Mentre per la Sardegna l'Unione europea ha finalmente deciso di abrogare le ultime misure restrittive ancora in vigore per la Peste suina africana, il virus continua ancora a far tremare gli allevatori in numerose regioni italiane, in Europa e in molte altre aree del mondo. Abbiamo approfondito l’argomento con il Prof. Giovanni Ballarini.
Prof. Ballarini, cosa pensa dell’attuale epizoozia di Peste Suina Africana in Italia?
Non è la prima volta che questa malattia sbarca in Italia e ricordo che nel 1967 arriva negli allevamenti di maiali per un improvvido uso di un vaccino di origine clandestina. Un avvenimento che circa cinquanta anni fa vivo in prima linea come giovane professore di Medicina Veterinaria con allevamenti di maiali colpiti nella Pianura Padana. In quella occasione subito, nel giorno più lungo si può dire, si interviene con una battaglia intelligentemente comandata da Luigino Bellani, con a fianco Giuseppe Caporale e un esercito di cento Veterinari Provinciali dotati di pieni poteri, come si addice a una guerra che è così rapidamente vinta. Purtroppo allora l’infezione in Sardegna passa ai cinghiali dove è poi vinta con una guerriglia durata ben cinquanta anni. Ora la Peste Suina Africana è di nuovo sbarcata in Italia, non è fermata nel giorno più lungo e non costituisce solo una testa di ponte, ma conquista i cinghiali di un vasto territorio che comprende più regioni dell’Italia Settentrionale e necessita non di singoli interventi, spesso sparsi, ma una adeguata strategia.
Gentile Professore, cosa è questo suo parlare di giorno più lungo, testa di ponte, guerriglia, strategia? Parliamo di una malattia, non di una guerra.
Qui si sbaglia, perché le epizoozie animali e le epidemie umane per essere vinte devono essere affrontate non in modo settoriale e scoordinato ma con un piano globale come una guerra contro un agente patogeno, soprattutto se invadente in una popolazione e in un territorio, tenendo presente le caratteristiche di questi ultimi, sia per un nemico di primo arrivo che già insediato, come è l’attuale situazione italiana della Peste Suina Africana. Come avvenuto per lo sbarco in Normandia, uso ancora un linguaggio bellico, anche per combattere la Peste Suina Africana è necessario un comando unico con pieni poteri esecutivi, che alle attuali condizioni non credo possa esistere.
Quali condizioni?
Tre Ministeri (Salute, Agricoltura, Commercio), venti regioni, interessi diversi anche contrapposti tra differenti categorie sociali (allevatori, cacciatori, animalisti, ambientalisti) e chi più ne ha più ne metta, rendono non solo difficile, ma soprattutto tardivo e lento ogni intervento, che è invece necessario in una guerra lampo (Blitzkrieg) come l’attuale epizoozia di Peste Suina Africana. A questo riguardo ricordo che la guerra del 1967 fu guidata e vinta dal centro con telegrammi inviati ai cento Prefetti e che i cento Veterinari Provinciali resero immediatamente operativi senza lentezze, intermediari o interferenze di qualsiasi genere.
Lasciamo stare il passato e guardiamo all’oggi. Quali le sue previsioni?
Quando gli Alleati nel 1944 conquistano la Normandia è chiaro che è solo possibile una strategia di contenimento. Lo stesso è per la Peste Suina Africana che ora coinvolge quattro regioni (Liguria, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte). Con un giudizio non pessimista ma realista, considerando l’esperienza italiana della Sardegna e quella attuale dei paesi dell’Europa Orientale, la malattia insediata in Italia Settentrionale qui rimarrà molto a lungo, per molti decenni se non forse per sempre, almeno nei limiti della nostra, attuale esperienza umana.
La recente morte in Sicilia di un carabiniere cinquantenne, attribuita alle conseguenze del morso del cosiddetto Ragno violino, ha destato notevoli preoccupazioni e ha sollecitato la curiosità su questa specie di Aracnide che è stata descritta da Doufour nel 1820 ed è attualmente nota come Loxosceles rufescens, afferente alla famiglia Sicariidae il cui nome deriva dal latino Sicarius con il quale gli antichi romani indicavano i terroristi Zeloti che uccidevano per terrorismo, o su commissione, usando una corta spada ricurva detta "sica".
Il 2024 sarà sicuramente ricordato, almeno al Centro e Sud Italia, come la peggiore annata per l’agricoltura. Purtroppo, in molte situazioni, agricoltori e tecnici si sono ritrovati impreparati ad affrontare situazioni e risvolti non facilmente gestibili con un complesso di nozioni teorico-pratiche classiche che, generalmente, sono focalizzate quasi esclusivamente alla gestione fitopatologica delle tipiche avversità biotiche delle colture negli ambienti mediterranei.
Il discorso siccità andrebbe affrontato in un’ottica molto più ampia rispetto alla classica carenza di acqua, considerando anche gli eccessi di temperature e di radiazione e le pratiche agro-colturali messe in atto dagli stessi agricoltori nei diversi agroecosistemi. In definitiva la siccità, per le piante, è uno stress multiplo causato dall’interazione di deficit idrico, alte temperature e alte intensità luminose (Medrano et al., 2002, Ann. Bot.).
Una siccità come quella del 2024 non si era mai vista e, come accade in queste situazioni, ci si è trovati impreparati nell’adottare anche le più semplici azioni di limitazione dei danni.
La viticoltura, in questo contesto climatico bizzarro, si è ritrovata a subire le maggiori conseguenze negative, sia per l’elevata superficie della coltura a livello nazionale e sia perché, almeno a livello di alcune località e situazioni, non è stata capace, negli anni, di “rinnovarsi” pienamente e giustamente per adottare nuove pratiche mitigatrici degli eventi climatici avversi ed estremi.
Il mercato dei prodotti vitivinicoli, abbastanza favorevole degli ultimi anni, ha favorito velocemente l’impianto di nuovi vigneti in zone e situazioni non sicuramente eccellenti dal punto di vista pedoclimatico o, se si vuole, del terroir. Spesso sono state effettuate valutazioni affrettate nella scelta dei portinnesti, cultivar, cloni, lavorazioni di base e gestione successiva della chioma.
Poca importanza è stata data alla corretta scelta del sito di impianto, alla correzione di eventuali “difetti” del terreno, alla carenza “cronica” di sostanza organica, alla gestione di eventuali sorgenti idriche, alle forme di allevamento “resilienti”, ecc.
Ma i cambiamenti climatici, volendo o non volendo, sono pronti a “erodere” silenziosamente tutto quello che, non gestito correttamente dall’uomo, risulta esposto alla furia di una natura divenuta ormai incontrollabile.
Frusciante - Il miglioramento genetico delle piante agrarie ha sempre fatto uso di metodologie innovative, che, nel contesto storico in cui sono state introdotte, sono spesso apparse all'opinione pubblica come interventi "contro natura". Un esempio significativo è rappresentato da Nazzareno Strampelli, che circa un secolo fa venne allontanato dall'associazione da lui stesso fondata. Gli associati, infatti, consideravano le nuove varietà di grano da lui sviluppate come una minaccia per il "Rieti originario".
Pezzotti - La genetica e il miglioramento genetico sono scienze che l'umanità ha inconsapevolmente utilizzato per oltre diecimila anni per domesticare e migliorare piante e animali in base alle esigenze alimentari. Solo con la formulazione delle leggi di Mendel, però, queste pratiche sono diventate scienze applicate, migliorando qualitativamente e quantitativamente le specie agrarie. Le piante che oggi nutrono l'umanità sono il risultato di un processo scientifico in continua evoluzione, sviluppato grazie alla genetica, biologia e fisiologia delle piante coltivate. La genetica moderna non deve essere vista come antagonista della tradizione, ma come uno strumento rigoroso e innovativo per preservare e valorizzare specie produttivamente obsolete o a rischio di estinzione. Un esempio significativo è proprio Strampelli, che, pur non avendo una completa conoscenza delle leggi di Mendel, ottenne progressi straordinari nel miglioramento dei frumenti attraverso incroci intra e interspecifici, pratica fortemente criticata all'inizio del XX secolo. I risultati ottenuti da Strampelli dimostrarono la validità della sua visione, smentendo i critici che non riuscivano a vedere oltre le conoscenze scientifiche del tempo.
Frusciante - Dagli incroci alla mutagenesi degli anni Ottanta (accompagnata dalle aspre critiche alla cultivar Creso) e agli OGM, oggi le Tecnologie di Evoluzione Assistita promettono di rivoluzionare il miglioramento genetico delle piante. Potrebbero essere decisive per affrontare cambiamenti climatici e sicurezza alimentare. Tuttavia, mi sorge un dubbio: non stiamo forse riponendo troppe aspettative in queste tecnologie?
Il giornalista brasiliano freelance Daniel Azevedo ci informa dalle pagine della rivista di informazione zootecnica “Dairy Global” del 7 agosto scorso che la multinazionale JBS Foods, conosciuta come la più grande azienda per la lavorazione delle carni nel mondo, sta utilizzando gli scarti di lavorazione delle carni per produrre biocarburanti per aerei. Le strutture industriali di trasformazione si trovano negli Stati Uniti, Canada e Australia.
Il vino – per cui l’export è strategico quasi quanto per l’ortofrutta - batte la strada dell’innovazione nei prodotti, nell’attenzione al mercato e nelle strategie di marketing. L’ortofrutta al momento piange molto su se stessa, anche se c’è chi sta lavorando per il futuro e non mancano progetti innovativi.
Non bastavano gli incendi: ora è in atto il deperimento dei boschi naturali. Nuovi ingenti danni alle risorse forestali della Sardegna si manifestano con appassimento delle foglie e successivo e completo disseccamento delle chiome degli alberi. Già evidenti a partire dal mese di questo luglio sono proseguiti con intensità crescente durante tutto il mese di agosto assumendo carattere di grave eccezionalità. Particolarmente intensi in vari comuni dell’area orientale dell’Isola, dal Sarrabus Gerrei al sud, passando per l’Ogliastra e per la Baronia al centro fino in Gallura al nord. L’eccezionale siccità, presente con una diminuzione delle precipitazioni medie negli ultimi anni che lungo la costa orientale dell’Isola sfiora il 50%, unita all’aumento delle temperature medie estive, con massimi superiori a 45°C negli ultimi 10 anni ormai ricorrenti e per periodi temporali prolungati, sta colpendo in particolare le formazioni naturali di sughera (Quercus suber L.) e di leccio (Quercus ilex L.), ma anche le superfici occupate da macchia mediterranea. In tutta l’Isola le prime stime indicano decine di migliaia di ettari le superfici complessivamente colpite.
Il glifosate è, oggi, il prodotto più utilizzato a livello globale per la gestione della vegetazione indesiderata nelle aree agricole ed extra-agricole. Il grande successo dell’erbicida è essenzialmente da porre in relazione ad un ampio spettro di azione, ad un costo non elevato, unitamente ad un buon profilo tossicologico e ambientale. In molti paesi, alla diffusione dell’erbicida ha fortemente contribuito la possibilità di impiego in modo selettivo nelle colture geneticamente modificate di mais, soia, cotone e colza.
Il glifosate è un erbicida sistemico ad azione totale nei confronti delle piante annuali e poliennali, erbacee e legnose. Assorbito dai tessuti verdi, circola in modo sistemico in tutte le parti delle piante, comprese quelle sotterranee ed inibisce la sintesi degli aminoacidi, bloccando l’azione dell’ESPS, un enzima unicamente presente nei vegetali.
A partire dal 2019 il prodotto è stato sottoposto, come previsto dalle normative europee sui prodotti fitosanitari, ad un nuovo processo di revisione da parte delle Autorità e Agenzie competenti (EFSA, IARC, ECHA, OMS, FAO) basato sull‘esame di oltre 2.400 nuovi studi da cui non è emersa. Non essendo emerse significative criticità sanitarie e ambientali, il 28 novembre 2023 la Commissione Europea ha approvato la proroga dell’autorizzazione dell’erbicida fino al 15.12.2033 (Reg. 2660/2023).
Il rinnovo è stato accompagnato da alcune limitazioni alle dosi massime di impiego, oltre che da nuove misure legate alla protezione dell’ambiente e da una riduzione della presenza di alcune impurezze nella sostanza attiva. La dose massima è stata stabilita, per gli usi agricoli a 1,44 kg s.a./ha/anno (innalzabile a 1, 80 kg s.a./ha anno nel caso di specie invasive) e per gli usi extra-agricoli a 3,60 kg s.a./ha anno. Nel nostro Paese il mantenimento delle autorizzazioni esistenti è stato subordinato alla richiesta di rinnovo, entro il 15.03.2024, al Ministero della Salute da parte dei titolari, con adeguamento delle condizioni di impiego alle limitazioni stabilite. Data la numerosità di formulati da esaminare (oltre 70), è prevedibile che il processo di riesame nazionale di tutti i prodotti richieda alcuni anni per il suo completamento. Nel frattempo i formulati per i quali è stata presentata la richiesta di rinnovo continueranno a mantenere le dosi e le modalità di impiego in precedenza autorizzate.
Nei sistemi colturali erbacei il quantitativo massimo utilizzabile di 1,44 kg s.a./ha/anno (corrispondente a 4 L/ha/anno di un formulato con una concentrazione di 360g/L di glifosate) fornisce, in generale, una soddisfacente efficacia delle malerbe annuali e di alcune poliennali, sia in assenza delle colture (falsa semina, post-semina/pre-emergenza), sia in presenza delle colture con attrezzature in grado di impedire il contatto con le colture (ugelli schermati barre lambenti, ecc.). Per una più completa azione nei confronti delle specie poliennali o difficili è prevedibile che si rendano necessari interventi integrativi meccanici (sfalci, lavorazioni del terreno) o chimici (es. con 2,4 D, dicamba, limitatamente alle specie a foglia larga). Data la frequente presenza di specie poliennali di difficile controllo, più critica potrebbe risultare la gestione delle malerbe nei sistemi conservativi, dove la semina delle colture viene eseguita su terreno sodo, una pratica fortemente sostenuta dagli indirizzi politici comunitari e nazionali per le favorevoli ricadute agronomiche e ambientali. In queste condizioni, le alternative all’impiego del glifosate, con risultati non sempre soddisfacenti, sono essenzialmente limitate all’applicazione di pochi prodotti integrativi a specifica azione nei confronti di malerbe graminacee o a foglia larga e alla semina di colture di copertura gelive, in grado di completare il ciclo prima dell’inverno (es. rafano americano, trifoglio incarnato) o da terminare con interventi meccanici.
Presente secondo una leggenda nella valle dell’Eden, l’asparago (Asparagus officinalis) con le sue numerose cultivar è coltivato e utilizzato nel Mediterraneo dagli Egizi e in Asia Minore duemila anni prima della nostra era e poi dai Romani che ne descrivono la coltivazione e la cucina tanto che pare abbiano costruito navi apposite per commerciarli, ma più probabilmente così denominate per la forma allungata come un turione di asparago.
Le proposte europee del cosiddetto “Green Deal” sono, anche troppo spesso, argomento di discussione sui mezzi di informazione. Altrettanto spesso assistiamo, specialmente in televisione, ad interventi da parte di personaggi che, non si sa quanto in buona fede, sparano false informazioni senza vergogna. Per quanto riguarda il settore agricolo, ad esempio, non è difficile sentire affermare che le attività legate agli allevamenti bovini contribuiscono all’inquinamento da gas serra più di tutti i trasporti per terra, per mare e per aria, messi insieme.
La conservazione significa sviluppo tanto quanto significa protezione. Il 31 agosto 1910, il presidente Theodore Roosevelt nel Kansas, riconobbe “il diritto e il dovere di questa generazione di sviluppare e utilizzare le risorse naturali della nostra terra; ma non riconosco il diritto di sprecarle, né di derubare, tramite un uso sconsiderato, le generazioni che verranno dopo di noi”.
Dopo oltre 100 anni in un'epoca in cui il progresso tecnologico e industriale avanza a passi da gigante, è fondamentale ricordare che ogni risorsa naturale che utilizziamo è un patrimonio non solo per noi, ma anche per i nostri figli e nipoti. Le foreste, i fiumi, i minerali e le terre fertili sono doni che la natura ci ha concesso con generosità, e il nostro compito è di utilizzarli con saggezza e rispetto.
Parliamo molto di sviluppo, ma questo non deve avvenire a scapito delle risorse naturali e dell’ambiente, ma deve rispettare il principio DNSH (Do No Significant Harm) un concetto chiave nella legislazione ambientale europea, introdotto nel contesto del Green Deal Europeo e reso centrale nel piano Next Generation EU. Questo principio stabilisce che qualsiasi attività economica o finanziaria non dovrebbe causare danni significativi a nessuno degli obiettivi ambientali definiti dall'Unione Europea.
L'applicazione del principio DNSH richiede un'analisi dettagliata degli impatti ambientali potenziali delle attività economiche, con l'obiettivo di garantire che queste contribuiscano positivamente alla transizione ecologica senza causare danni significativi agli obiettivi ambientali esistenti.
Questo principio è fondamentale per assicurare che le azioni intraprese nel contesto del Green Deal e dei piani di ripresa economica siano davvero sostenibili e compatibili con una crescita “verde”, favorendo uno sviluppo che non comprometta le risorse naturali e l'ecosistema globale.
Sviluppare deve significare dunque pianificare, progettare un futuro in cui l'uso delle risorse sia sostenibile, in cui l'energia rinnovabile e le tecniche di coltivazione ecologiche diventino la norma, in cui le città, il luogo dove il 70% della popolazione mondiale, siano veramente “verdi”, cioè non solo un insieme di infrastrutture ecologiche, ma anche una comunità che abbraccia uno stile di vita sostenibile e che si impegna per il benessere presente e futuro dei suoi cittadini e dell'ambiente.
Pagliai – Nelle azioni atte a ridurre le emissioni di gas serra anche l’agricoltura è chiamata a dare il proprio contributo e, talvolta, se ne parla a sproposito anche se dobbiamo ammette come sia ormai evidente che l’intensificazione colturale ha sovente superato la soglia di sostenibilità ambientale. Ad esempio, nel circuito internet circolano miriadi di dati e anche riguardo alle emissioni di anidride carbonica è necessario prendere atto che una lavorazione profonda del terreno porta alla perdita di circa 250 kg ha−1 di CO2, che equivalgono alle emissioni di un'auto Euro5 che viaggia per 1700 km. Ma a quanto ammontano le reali emissioni dei gas serra e, quindi non solo di CO2, da parte del settore agricolo?
Lagomarsino – Innanzitutto, va chiarito che le emissioni di gas serra dal suolo sono un processo naturale e necessario: un suolo è vivo e sano proprio perché produce CO2 con i processi respiratori sia delle radici delle piante sia dei microrganismi come batteri e funghi, che vivono nel suolo e decompongono la sostanza organica rendendo disponibili i nutrienti essenziali per la crescita delle piante, che a loro volta assimilano la CO2 atmosferica e la fissano in carbonio organico. È quindi un ciclo, o più cicli, essenziali per la vita sul nostro pianeta. Anche gli altri gas serra prodotti dal settore agricolo, il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), fanno parte di cicli naturali essenziali, come la respirazione in assenza di ossigeno (anaerobica) nei ruminanti e nelle risaie per il CH4 e le trasformazioni dell’azoto nei suoli per il N2O.
Le attività agricole possono alterare fortemente questi cicli naturali, aumentando fortemente le emissioni, ad esempio con gli allevamenti intensivi e una scorretta gestione del letame, con lavorazioni eccessive del suolo o con l’uso eccessivo di fertilizzanti. In particolare, in Italia il settore agricolo è responsabile del 65% delle emissioni di CH4 e del 34% delle emissioni di N2O.
Tuttavia, l’applicazione di gestioni sostenibili che favoriscano l’accumulo del carbonio nel suolo (e quindi la sottrazione di CO2 dall’atmosfera) e un uso efficiente della fertilizzazione possono fortemente ridurre le emissioni di questi gas.
Pagliai – Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica caratterizzata da eventi piovosi estremi concentrati in un brevissimo periodo e da lunghi e frequenti periodi di siccità con forti ripercussioni sulla produzione agricola e sull’ambiente comprese, ovviamente, le emissioni dei gas serra. In questa situazione critica i processi di adattamento e mitigazione, nel breve periodo, non sembrano in grado di contrastare questa crisi.
Negli ultimi anni, i consumatori europei hanno concentrato il loro consumo su poche specie ittiche, caratterizzate da un elevato valore commerciale. Purtroppo, la pressione esercitata dalla pesca intensiva su poche specie può produrre un’eccessiva quantità di pesci scartati, esacerbare i problemi di sovra sfruttamento delle risorse e mettere a rischio la stabilità degli ecosistemi marini. Pertanto, sarebbe importante rivitalizzare la domanda delle specie ittiche considerate di minor valore commerciale, il cosiddetto “pesce povero”, al fine di favorire un consumo responsabile, sostenibile e diversificato. Tuttavia, preparare pietanze a base di pesce povero richiede tempo, pazienza ed abilità culinarie.
Da tempo la Politica Agricola Comune (PAC) è chiamata a confrontarsi con le imprescindibili esigenze di tutela ambientale: se è vero che tra gli obiettivi della PAC (di cui, ora, all’art. 39 TFUE), non compare alcun riferimento alla tutela dell’ambiente, non è men vero che a far tempo dall’Atto Unico europeo, risalente al 1987, l’azione della Comunità (ora Unione europea) nel campo ambientale ha acquisito piena legittimazione. Con il Trattato di Amsterdam (entrato in vigore il 1° maggio 1999) è stato altresì inserito nel trattato l’art. 3C – divenuto ora art. 11 TFUE - secondo cui le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed azioni dell’UE: in questo modo, agli obiettivi della PAC come indicati nell’art. 39 del trattato, si è aggiunta la finalità, trasversale, della tutela ambientale.
La valutazione della sostenibilità dei prodotti di origine animale è orientata all’analisi delle componenti economiche, sociali e ambientali lungo la catena alimentare che va dalla produzione primaria, alla trasformazione, alla commercializzazione e al consumo. Negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione nei confronti di aspetti della sostenibilità sociale che riguardano l’accettabilità delle pratiche agricole e zootecniche, la multifunzionalità (es. erogazione di servizi ecosistemici), la qualità e salubrità dei prodotti. La sostenibilità ambientale delle produzioni animali è fortemente influenzata dall’adozione di buone pratiche aziendali, rispettose del benessere animale e in grado di garantire una piena efficienza produttiva. I dati relativi al contesto nazionale indicano chiaramente un deciso miglioramento dell’impronta ambientale dei sistemi zootecnici negli ultimi decenni, con notevole riduzione delle emissioni di gas serra e di altre sostanze considerate problematiche per l’ambiente. Nella valutazione delle emissioni di metano da parte dei ruminanti occorre considerare correttamente i tempi di permanenza in atmosfera delle forme di natura biogenica, di gran lunga inferiori rispetto a forme di diversa natura e con un potere di riscaldamento globale negativo, cioè non dannoso per il clima. L’aumento della produttività individuale ha influito positivamente sul miglioramento della efficienza delle produzioni zootecniche. I risultati conseguiti sono principalmente dovuti al miglioramento genetico degli animali allevati (fenomica, genomica, crossbreeding, ecc.), nutrizione (precision feeding, unifeed, formulazione mangimi, controllo qualità), benessere animale (prevenzione delle malattie, controllo ambientale, densità di allevamento, ecc.), management (precision farming, sensoristica, formazione del personale, ecc.).
Tra le tecnologie disponibili per migliorare l’impronta ambientale degli allevamenti, il miglioramento genetico rappresenta una strategia di medio-lungo termine, capace di apportare modifiche permanenti e cumulabili. Punti essenziali per lo sviluppo di un piano di selezione finalizzato alla riduzione delle emissioni di gas serra, ed in particolare di metano enterico, sono la definizione di fenotipi che possano essere utilizzati qual obiettivi di selezione, la comprensione della loro architettura genetica, con particolare riferimento alle relazioni con i caratteri produttivi e funzionali e le possibilità offerte dalla selezione genomica. Tale strumento ha avuto un grande impatto sui programmi di miglioramento genetico, in particolare dei bovini da latte, determinando aumenti del progresso genetico dovuti alla riduzione degli intervalli di generazione e all’aumento dell’accuratezza delle valutazioni dei giovani animali e delle femmine. La selezione genomica è efficace, in termini di aumento di accuratezza della valutazione genetica, soprattutto nei caratteri a bassa ereditabilità, quali appunto l’emissione del metano. I progressi del miglioramento genetico dovranno essere accompagnati da un contemporaneo e efficace progresso nell’alimentazione animale.
Il Working Group of the UEAA sulla Politica Agricola Comunitaria ha prodotto il documento: “Input to the Strategic Dialogue on the future of EU agriculture” che propone delle linee guida per la prossima PAC. Nel gruppo è in corso una significativa discussione sul futuro della PAC e in particolare sui vari tradeoffs esistenti fra i 9 obiettivi alla base dell’attuale politica europea, ad esempio fra sicurezza nell’approvvigionamento alimentare e sostenibilità ambientale; fra competitività delle aziende e difesa delle attività nelle aree marginali; fra semplificazione amministrativa e compensazione dei servizi non di mercato prodotti dall’agricoltura.
Anche i vari punti costituenti il documento sono il risultato di questo dibattito e in questo senso devono essere considerati come indicazioni di massima, che per una loro esatta definizione richiedono la collocazione in un quadro complessivo che ne permetta l’integrazione e valutazione sistemica, una volta effettuate le scelte fondamentali proprio sulle priorità dei vari obiettivi.
Su questa premessa i principali punti costituenti il contributo sul futuro della PAC possono essere individuati nei seguenti.
Eliminare gradualmente le sovvenzioni che supportano l'uso di fertilizzanti chimici, pesticidi e combustibili fossili o che incentivano la produzione dei prodotti più intensivi in termini di emissioni di gas serra. Proporre una riallocazione di queste sovvenzioni verso pratiche agricole ambientalmente sostenibili, in linea con gli ambiziosi obiettivi climatici dell'UE.
Introdurre schemi di pagamento innovativi progettati per compensare finanziariamente gli agricoltori che forniscono significativi benefici ambientali, climatici e per il benessere degli animali, oltre ai requisiti standard. Gli incentivi forniti dovrebbero promuovere l'integrazione delle pratiche verdi nei modelli di business principali delle aziende agricole, privilegiando la partecipazione volontaria per favorire un maggiore coinvolgimento e impegno da parte della comunità agricola. Gli schemi dovrebbero mirare specificamente a miglioramenti nella biodiversità, salute del suolo, conservazione dell'acqua, adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici.
Come nasce un nuovo piatto o una nuova tendenza gastronomica? Per il caso e la necessità, come tutte le cose direbbe l’antico filosofo greco Democrito di Abdera (470 a. C. circa – 350 a. C circa). Da qui una serie quasi infinita di leggende e di storie inventate, come quella del pastore che nella regione di Kaffa della lontana Etiopia si accorge che le capre che si nutrono di bacche rosse non dormono ma saltellano ben sveglie e prova anche lui ad assaggiarle, sperimentando il loro effetto eccitante e stimolante, inventando l’uso del caffè.
Qualche giorno fa la notizia (Dairy Global, 27 giugno 2024): il governo danese, dopo cinque mesi di discussioni, sta introducendo un balzello sugli agricoltori relativo alle emissioni carboniose di gas serra, a partire dal 2030. La tassa prevede il pagamento di 40€ per tonnellata di CO2 prodotta, aumentabili a 100€ a partire dal 2035. Sono previsti sconti per gli agricoltori più “volenterosi”, “climate-efficient” in inglese. Non è chiaro come saranno compilate le pagelle, ma tant’è. Gli esperti prevedono, bontà loro, che, solo nel primo anno di applicazione della carbon tax, possa venir abbattuto il 70% delle emissioni totali di gas serra di origine agricola.
Nei nuovi sistemi agricoli, le leguminose da granella (fagiolo, fava, pisello, cece, lenticchia, cicerchia, lupino, soia) rivestono un ruolo cruciale, poiché forniscono un contributo essenziale alla sostenibilità degli ordinamenti colturali (per la possibilità di fissare nel suolo l’azoto atmosferico e di ridurre l’impiego di concimi di sintesi), al recupero/valorizzazione dei terreni marginali (con indubbi vantaggi sulla tutela di suoli agricoli dall’erosione e sul mantenimento di attività produttive anche in zone svantaggiate) ed all’auto-approvvigionamento di fonti proteiche, vantaggioso sia per gli umani che per il settore zootecnico, soprattutto quello condotto in regime biologico, che prevede l’impiego di mangimi prodotti in azienda.
Le prospettive? Una questione di resa.
Seppure favorite dalla Pac, il futuro di queste colture dipende dalla performance e dalla competitività delle relative filiere. La ricerca e l’innovazione devono impegnarsi a sviluppare varietà più adatte ai diversi impieghi e fornite di resilienza agli stress ambientali.
L’innovazione varietale trova un valido supporto nella ricca biodiversità genetica disponibile e in nuove metodologie di breeding che velocizzano i processi di selezione. In particolare, nella disponibilità di specie modello con genoma sequenziato (Medicago truncatula) che presenta estese sintenie con regioni cromosomiche di altre leguminose. Ciò fornisce l’opportunità di identificare sequenze di DNA associate a caratteri utili (marcatori molecolari) da utilizzare in tecniche di selezione assistita. Ovviamente, lo sviluppo di progetti di ricerca di base e applicata, di ampio respiro, necessita di un sostegno finanziario congruo e continuativo nel tempo.
La produzione mondiale di uva da tavola, negli ultimi anni, ha raggiunto circa 28 milioni di tonnellate, collocandosi al secondo posto tra la frutta fresca temperata dopo le mele (oltre 86 milioni di t) con un incremento del 19,7% dal 2012, superiore a tutte le specie temperate ad eccezione del kiwi (+ 46,4%).
La maggiore produzione è concentrata nel continente asiatico che contribuisce per circa il 65-66%, seguito dal Sud America con il 10 %, dall’Africa con circa il 9%, dall’Europa (8,5 %) e dal Nord America con poco più del 5 %. L’Oceania non raggiunge l’1%. La Cina è, di gran lunga, il maggior paese produttore con oltre 10 milioni di tonnellate, seguita da India (3 Mt), Turchia (2Mt), Iran (1,6-1,8 Mt), Uzbekistan (1,2 Mt). Tra i paesi mediterranei, oltre la Turchia, sono importanti l’Egitto (1,5-1,6 Mt), l’ltalia (1,0 Mt), la Spagna e la Grecia (0,3 Mt ciascuno). Il Sud Africa (0,33 Mt) è il secondo produttore africano. Gli Stati Uniti hanno una produzione simile all’Italia (1,0 Mt). Nell’America del Sud, tre sono i produttori più importanti: Brasile (0,8-0,9 Mt), Cile (0,7-0,8 Mt), Perù (oltre 0,6 Mt).
Le cultivar più diffuse a livello mondiale sono Alphonse Lavallée, Regina, Moscato d’Amburgo, Italia, Moscato d’Alessandria, Red Globe e Victoria tra quelle con seme e Crimson Seedless, Flame Seedless, Sugraone (Superior Seedless) e Sultanina tra le apirene (Fao-Oiv, 2016). Regina (sinonimi sono Mennavacca bianca, Pergolona, Inzolia imperiale, Afuz Ali, Dattier de Beyrouth, Rosaki, …) e Moscato d’Alessandria (sinonimo Zibibbo) hanno origini antichissime e provengono dal Medio Oriente e dal Nord Africa, Alphonse Lavallée e Moscato d’Amburgo sono state selezionate nell’Ottocento, rispettivamente in Francia e Inghilterra, Italia, Red Globe e Victoria sono frutto del miglioramento genetico italiano, statunitense e romeno del Novecento.
Il fatto che due cultivar di oltre duemila anni fa e due selezionate nell’Ottocento siano ancora tra le maggiormente coltivate nel mondo testimonia l’alto livello qualitativo raggiunto dall’uva da tavola da lungo tempo e la difficoltà del miglioramento genetico tradizionale ad apportare innovazioni competitive. Diverso è il caso delle uve apirene, tra le quali solo la Sultanina ha origini molto antiche, mediorientali; le altre sono state ottenute per incrocio intervarietale in California nella seconda metà del secolo scorso. Sultanina è anche la progenitrice di quasi tutte le cultivar apirene attualmente coltivate. Il panorama varietale mondiale sta rapidamente cambiando a favore delle cultivar apirene che negli ultimi venti anni hanno rappresentato il 70% delle nuove introduzioni, quando nel ventennio precedente, 1980-2000, erano solamente il 40% (Fideghelli, 2022); oggi la percentuale di apirene è superiore al 90%. Il miglioramento genetico moderno, oltre che all’apirenia è sempre più attento alla costituzione di varietà resistenti ai parassiti per ridurre drasticamente i trattamenti chimici che attualmente pongono l’uva da tavola al sesto posto tra i 12 prodotti ortofrutticoli maggiormente inquinati (dirty dozen- la sporca dozzina, secondo l’Enironmental Working Group americano).
L’optimum range di temperatura esterna per la bovina è compreso fra 5 e 15°C. Al di sopra dei 15°C l’animale non riesce a mantenere la propria temperatura corporea, ovvero a dissipare l’eccesso di calore prodotto dal metabolismo e quello proveniente dalle radiazioni solari. Aumentano l’irrorazione sanguigna cutanea, la sudorazione e la frequenza respiratoria, con dispersione di notevoli quantità di liquidi. Il risultato è che assistiamo ad un’alterazione significativa della capacità produttiva
Il mondo dei virus (o virosfera) comprende una vasta varietà di agenti infettivi per l’uomo, gli animali, le piante, o qualsiasi altra forma di vita sulla Terra. I virus sono parassiti intracellulari obbligati, mancano di struttura cellulare e di metabolismo, e dipendono dall’organismo ospite per la loro replicazione. I componenti virali sono sintetizzati dalla cellula infetta sulla base dell’informazione contenuta nel materiale genetico virale (DNA o RNA, a doppia elica o singola elica), e poi assemblati in virioni maturi. I virus delle piante sono agenti di malattie che possono causare la distruzione delle colture.
La "regola del 3" afferma che "una persona può sopravvivere 3 giorni senza acqua, 3 settimane senza cibo, 3 ore in condizioni climatiche estremamente calde o fredde, ma non può sopravvivere più di 3 minuti senza ossigeno".
Anche se la Regola del 3 è una esemplificazione, in quanto va confrontata con i casi soggettivi e ambientali effettivi, essa riassume efficacemente la gerarchia dei bisogni di sopravvivenza umani e mette in luce l'importanza cruciale dell'ossigeno, requisito più immediato e imprescindibile per la vita umana. In questo contesto, il ruolo degli alberi e di altri organismi fotosintetici nella produzione di ossigeno diventa estremamente significativo.
Nel contesto della "Regola del 3," l'incapacità di sopravvivere più di tre minuti senza aria respirabile sottolinea infatti l'indispensabilità degli alberi e delle foreste. Gli alberi agiscono come i polmoni del nostro pianeta, rifornendo continuamente l'atmosfera di ossigeno e ciò li pone al centro della nostra equazione di sopravvivenza.
Allora forse dovremmo cercare un aggettivo diverso per quanto riguarda le piante che sono presenti nelle nostre città e non solo. L'enciclopedia Treccani definisce infatti le piante “ornamentali” come "quelle utilizzate a scopo decorativo, per giardini, edifici, ecc., pregiate per il fogliame (alberi, felci, varie piante da serra) o per i fiori (rose, garofani, ecc.) o per i frutti (agazzino, alcune varietà di peperone)." Questa definizione, sebbene accurata, non rende giustizia alla complessità e all'importanza delle piante, e degli alberi in particolare, nel contesto urbano e ambientale contemporaneo. Gli alberi e le piante urbane non dovrebbero essere considerati solo come elementi decorativi. Gli studi scientifici hanno ampiamente dimostrato che le piante forniscono una vasta gamma di servizi ecosistemici essenziali per la nostra salute, il benessere e la sopravvivenza.
Pagliai – È del tutto evidente che il repentino passaggio intorno agli anni Sessanta del secolo scorso da un’agricoltura che faceva perno sulla “cultura contadina” ad un’agricoltura moderna fu reso possibile dall’avvento massiccio della meccanizzazione.
Tale modernizzazione portò a benefici immediati e criticità nel tempo anche perché i processi nel suolo avvengono nel lungo temine. Fra le prime criticità emerse vi fu sicuramente il compattamento dovuto al passaggio sul terreno di macchine sempre più potenti e pesanti, talvolta sovradimensionate sia rispetto alla dimensione delle aziende, sia, soprattutto, alla fragilità dei suoli. Nelle ultime decadi del secolo scorso iniziarono, infatti, gli studi sugli pneumatici per attenuare il fenomeno.
Queste criticità hanno fatto sì che l’attuale ingegneria agraria sia molto più sensibile e attenta alle problematiche del suolo e al contrasto della sua degradazione.
Vieri – A seguito della razionalizzazione dell’agricoltura con la proficua opera delle Accademie e delle relative Scuole avvenuta alla fine del 18° secolo, unità produttive come le comunità toscane dei poderi riuniti in fattorie rappresentavano un esempio eccellente di agricoltura ragionata e puntuale (oggi si direbbe sito specifica) per la osservazione costante nei giorni e negli anni del nucleo familiare su 2-3 generazioni che doveva garantire una sussistenza su pochi ettari. Nel secondo dopoguerra la Rivoluzione Verde, resa possibile dalla riconversione di industrie belliche chimiche e meccaniche e necessaria per lo spopolamento delle campagne, offri all’agricoltura strumenti e procedure per garantire una produzione cospicua tale da sfamare il continente europeo dopo due guerre mondiali. La eccessiva semplificazione di un sistema complesso come quello agricolo con prescrizioni generali portò negli anni ’90 a evidenti problemi di erosione, riduzione della fertilità e dispersione di macronutrienti e antiparassitari.
L’impostazione della Agricoltura di Precisione che, nata nel 1991 in America, approdò nel 1997 in Europa con un approccio teso alla sostenibilità ed alla misurazione di tutti i fattori del sistema agricolo. La misurazione e gli strumenti di valutazione hanno così permesso di evidenziare gli errori fra i quali quello del compattamento e tutto il settore ingegneristico dalla ricerca alla produzione ha perseguito il raggiungimento delle migliori tecniche e delle migliori prassi possibili.
Pagliai – Quante volte abbiamo sentito, in servizi televisivi, cittadini lamentarsi, ad esempio nella zona di produzione del prosecco che oggi è uno dei prodotti, se non l’unico, di grande espansione e di grande valore anche economico, di essere investiti dalla deriva di fitofarmaci in prossimità delle abitazioni. Questo perché, visto che il prodotto è importante, si cerca di espanderne la coltivazione e i trattamenti vengono fatti con mezzi potenti e veloci che, se da una parte si abbattono i costi di produzione risparmiando tempo, perché la mano d’opera costa, dall’altra si sprecano fitofarmaci e si causano danni ambientali. Non solo i fitofarmaci vengono sprecati ma anche, ad esempio, i fertilizzanti somministrati ancora in base a criteri empirici e molto spesso persi con l’erosione del suolo.
Ci chiediamo spesso: quanto dovrà durare questo periodo, inaugurato negli anni '90 del secolo scorso e sostanzialmente continuato sino ad oggi, contraddistinto da una ferma opposizione a tutto ciò che si può configurare come una alterazione del corredo genomico di qualsiasi organismo vivente? Se questo atteggiamento fosse solo un pensiero o un movimento creato intorno ad esso, dovremmo rispettarlo come si fa nelle democrazie mature. Il fatto è che alcuni degli adepti di questo modo di vedere le cose non si limitano a manifestare il proprio pensiero, ma intervengono pesantemente, anche con azioni deprecabili dirette alla distruzione di sperimentazioni in campo, come recentemente avvenuto a proposito del fatto che riportiamo e commentiamo.
Cominciamo dalla constatazione, probabilmente ignota a grande parte dell'opinione pubblica, che la Associazione Genetica Italiana (AGI) ha una storia lunga essendo stata fondata nel 1954 e presieduta per molti anni da studiosi di assoluto prestigio internazionale. Quindi gli studi di genetica sono sempre stati perseguiti in Italia con la serietà e competenza tipica di una comunità scientifica molto colta e scientificamente impegnata, soprattutto in ambito biologico e biologico-medico, anche in anni decisamente precedenti al 1954 e che corrispondono al diffondersi della cultura genetica dopo la famosa riscoperta delle leggi di Gregor Mendel, avvenuta nel 1900. Nello stesso anno 1954 fu formalmente approvata l'istituzione di una Società scientifica più orientata alle applicazioni, la Società Italiana di Genetica Agraria (SIGA), che rappresentò l'occasione di riunire tutti coloro che studiavano la genetica delle piante coltivate e degli animali allevati, cioè la genetica rilevante per l'agricoltura. Risulta importante ricordare che, nella revisione didattica dei Corsi di Laurea afferenti alle Facoltà di Agraria del 1982, la genetica agraria cambia il suo status: da disciplina facoltativa all'interno del corso di laurea in Scienze agrarie, passa definitivamente come obbligatoria e quindi diviene materia di esame fondamentale per ogni studente che voglia conseguire la laurea in Scienze Agrarie.
Da quel momento in poi gli studi e le ricerche di genetica si sono molto incrementate negli ambiti agrari (Facoltà di Agraria, Istituti del CNR devoluti a problematiche del settore, Centri di ricerca del CREA, ecc.) andando di pari passo con uno sviluppo mondiale di questo tipo di ricerche che ha radicalmente cambiato il modo di porsi le domande e di programmare gli esperimenti a sostegno di esse in campo genetico. La scoperta degli enzimi di trascrizione, la tecnologia del DNA ricombinante, la metodologia PCR (reazione a catena della polimerasi), i primi sequenziamenti di singoli geni e infine i sequenziamenti di interi genomi, sono state le grandi acquisizioni realizzate nell'ultimo ventennio del secolo scorso e nel primo dell'attuale. Sarà del dicembre 2000 la data in cui l'intero genoma di una pianta superiore, l'Arabidopsis thaliana, viene sequenziato. Tale pianta era già considerata un organismo "modello" sul quale si potevano studiare, in modo relativamente semplice, molti aspetti della fisiologia, biochimica e genetica vegetale, ma da questo momento in poi si moltiplicano gli studi per arrivare alla descrizione precisa dell'attività di ciascun gene. Nel volgere degli anni sono stati sequenziati i genomi di fondamentali piante alimentari del mondo per cui la tecnologia che rese possibili i primi OGM era già sottoposta ad alcune importanti modifiche, sino a quando la scoperta, premiata con il Nobel per la Chimica del 2020 a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, ha ulteriormente rivoluzionato il nostro modo di intervenire sulle modifiche del DNA con la messa a punto di un metodo preciso di "forbice genetica" chiamato CRISPR/Cas9.
Dottoressa, è a conoscenza del fatto che è stata presentata lo scorso 4 giugno una lettera aperta, da parte di UNCEM e Compagnia delle Foreste, insieme ad altri 14 importanti attori del mondo forestale italiano, con cui si sollecita i candidati alle elezioni europee a impegnarsi per dotare la Commissione di un’organizzazione amministrativa in grado di impostare le scelte tecniche e politiche a partire non dai fruitori, ma dai gestori del patrimonio forestale europeo? (Ne abbiamo parlato su Georgofili INFO). Che cosa ne pensa?
Si, sono al corrente di questa iniziativa e penso si tratti di una discussione ormai ineludibile. Sulla scorta dell’esperienza dell’istituzione, nel 2017, della Direzione generale dell’economia montana e delle foreste presso il MASAF, i cui risultati sono stati da tutto il settore giudicati positivamente, avendo comunque operato nel rispetto delle autonomie regionali, posso tranquillamente affermare che la multifunzionalità del ruolo delle foreste richiede che la sede dell’elaborazione di serie politiche forestali debba essere unica. La complessa organizzazione amministrativa europea deve essere adeguata alla attenzione rivolta al peculiare settore.
Come pensa che l'innovazione tecnologia potrà in futuro aiutare la gestione forestale? Quali ritiene essere le priorità?
Credo che l’innovazione tecnologica provochi un costante miglioramento del lavoro del forestale, purché questo non si dimentichi mai di confermare la sua attività entrando in bosco con gli scarponi ai piedi, naturalmente del modello più tecnologicamente avanzato. Credo infatti che moltissimi possano essere i supporti tecnologici, dai droni, alle foto satellitari, dagli strumenti di misura di precisione ai tree talker, dalle motoseghe a motore elettrico agli strumenti per esbosco più raffinati per diminuire fatiche, pericoli e compattamento al suolo. Ma il sopralluogo era e rimane a mio giudizio uno strumento indispensabile per assumere decisioni, sempre complesse, con l’accuratezza che richiedono.