Dalla chimica del ferro alla difesa delle piante

di Silverio Pachioli
  • 12 February 2025

Il ferro è un micronutriente essenziale per numerose funzioni biologiche di tutti gli esseri Eucarioti e per buona parte dei Procarioti.
Le piante, per assimilare l’elemento, hanno sviluppato due strategie, note come Strategia I e Strategia II. Tutte le dicotiledoni e le piante “non Graminacee” si servono della prima tipologia, anche chiamata “strategia di riduzione”; le Graminacee utilizzano, invece, il meccanismo della strategia II, nota come “strategia di chelazione”. Questa prevede due fasi: la chelazione del metallo e il trasporto all’interno della pianta.
In condizioni di carenza di ferro le piante Graminacee rilasciano fitosiderofori, nella rizosfera, che chelano l’elemento e lo trasportano, attraverso trasportatori specifici, nella pianta.
Proprio come per le piante, anche per patogeni il ferro risulta elemento essenziale. Una volta che un agente patogeno (fungo, batterio) infetta la pianta, questa è la sua unica fonte di ferro, che viene prelevato principalmente mediante siderofori (catecolati, carbosilati, idrossimati). Sebbene il ferro sia necessario si patogeni per infettare le piante ospiti e per proliferare al loro interno, un eccesso può minacciare la sopravvivenza degli stessi, soprattutto nella fase avanzata dell’infezione.
È stato dimostrato che quando le piante sono “affamate” di ferro o in terreni ferro-carenti, subiscono meno danni dal fungo necrotrofico Botrytis cinerea e da alcuni batteri.
Tutto ciò ha portato a ipotizzare due possibili strategie utilizzate dalle piante per difendersi dagli agenti patogeni. La prima prevede il sovraccumulo di ferro nei punti dell’infezione; la seconda consiste nel privare i patogeni dell’elemento, con una conseguente significativa limitazione della crescita di questi.
Il ferro accumulato in eccesso sopprime drasticamente la crescita dei patogeni attraverso un’esplosione di specie reattive dell’ossigeno (ROS), prodotte principalmente attraverso la reazione di Fenton, che portano all’ossidazione di biomolecole importanti, quali lipidi, proteine, DNA, con danneggiamento delle strutture cellulari e, infine, morte cellulare dei microrganismi stessi.
Gli effetti antifungini e antibatterici di alcuni sali di ferro (II) sono noti e già ampiamenti dimostrati, così come appaiono interessanti prove effettuate su alcuni insetti di importanza agraria.
Il concetto è sempre lo stesso, ossia “innescare” la perossidazione lipidica di membrane cellulari presenti in tutti i microrganismi e, in gran quantità, anche negli stadi giovanili (uova e larve) degli insetti.
Inoltre, le diverse specie reattive dell’ossigeno avviate dal ferro possono fungere da induttori, a loro volta, dei sistemi di difesa endogeni della pianta ai patogeni.
Interessanti lavori sono stati già svolti su diverse malattie del riso (es. Magnaphorte orizae), Botrytis cinerea, alcuni funghi del complesso dell’esca della vite, batteriosi, ecc.
Lo studio dei fenomeni di ferroptosi e cuproptosi apre scenari affascinanti nella difesa delle piante. Alcune prove, portate avanti anche dallo scrivente, hanno permesso di verificare l’efficacia di diversi sali di ferro, in particolare su botrite e su alcuni insetti parassiti di piante frutticole.