La disponibilità di nuove tecniche consente analisi sempre più approfondite dei genomi dei patogeni delle piante, fornendo una risoluzione più affidabile nel discriminare background genetici altamente correlati.
La Romagna (dall’Appennino alla Bassa) e in parte l’Emilia sono in questi giorni lo scenario di una tragedia epocale che colpisce al cuore anche l’economia dell’ortofrutta nelle sue varie articolazioni: aziende produttive, consorzi e strutture cooperative di lavorazione, logistica e servizi, tecnologie, macchine e imballaggi. Il tutto alla vigilia della campagna estiva, e sono in molti a chiedersi cosa resterà delle produzioni primavera-estate di fragole, albicocche, susine, pesche e nettarine essendo la Romagna uno dei primi distretti produttivi del Paese con tutto l’indotto a valle e a monte (vivai, sementi). Forse la campagna estiva 2023 va considerata fin da ora quasi azzerata per la Romagna.
Un approccio corretto al tema della forestazione urbana, da qualunque punto di osservazione lo si intenda leggere, di mera disquisizione teorica o viceversa pratico-operativo, richiede in modo imprescindibile la presa di coscienza e la conoscenza di due elementi: i dati, ormai consolidati, che la Scienza ci offre inerenti le diverse sfaccettature della materia; il quadro delle norme di soft e hard law che tracciano i binari che guidano l’azione della pubblica amministrazione in questo settore, costruite sulla base di quei dati scientifici.
E la scienza ormai da tempo, in modo compatto, univoco e consolidato, ha lanciato un messaggio forte al diritto: il consumo di suolo, cioè la cementificazione di aree urbane e periurbane in precedenza verdi e la conseguente relativa impermeabilizzazione irreversibile, solo in pochi casi reversibile, va fermato non solo perché è già di per sé fautore di danni all’ambiente direttamente proporzionali al valore ecologico che il suolo riveste, ma anche in quanto innesca nella città una escalation esponenziale di altre criticità di matrice ambientale, tutte strettamente interconnesse tra loro, nel senso che l’una genera e potenzia l’altra, l’aggravarsi dell’una comporta il peggioramento delle condizioni dell’altra. Instabilità idrogeologica, evidenziata anche dal rapporto 2021 di ISPRA Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio; aumento del tasso di inquinamento, che alla luce dei dati OCSE potrebbe causare da 6 a 9 milioni di morti premature all’anno entro il 2060; massiccia erosione di biodiversità, habitat e specie, con conseguenze devastanti, in un’ottica antropocentrica, in termini di perdita di servizi ecosistemici; incremento dei consumi energetici, artefici del fenomeno delle isole di calore con conseguente rafforzamento, efficacemente evidenziato da ISPRA, del dislivello di temperatura tra la città e la campagna, e vorticoso aumento della domanda di raffreddamento, che, a sua volta, alla luce delle proiezioni offerte dalla scienza, può arrivare al 300% entro il 2050.
Ognuna di queste derive indotte dal consumo di suolo e la relativa sinergia potenzia il cambiamento climatico il quale poi si ripercuote negativamente su ciascuna di esse fungendo all’interno della città da moltiplicatore di insostenibilità: i rapporti dell’IPCC, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, forum scientifico ONU creato allo scopo di studiare il riscaldamento globale, che si susseguono con meticolosa scansione temporale, dovrebbero essere attentamente letti e meditati da tutti, in particolare dalle amministrazioni comunali, perché il fenomeno del climate change e le sue conseguenze, sempre più virulente, coinvolgono tutti noi e ancora di più chi dopo di noi vivrà su questo pianeta o su quello che dello stesso resterà a disposizione dell’uomo.
Dal 23 al 28 aprile 2023 si è tenuta a Vienna la General Assembly 2023 dell’European Geosciences Union (EGU) (https://egu23.eu/home.html), evento che annualmente richiama scienziati da tutto il mondo e che racchiude tutte le discipline che si occupano di Scienze della Terra, dello Spazio e dei Pianeti. Lo scopo dell’EGU è quello di fornire un forum dove scienziati, ed in particolare giovani ricercatori, possano presentare le loro ricerche e discutere le proprie idee con esperti di tutti i settori delle geoscienze.
Professor Prodi, nei più recenti numeri del nostro notiziario "Georgofili INFO" abbiamo pubblicato diversi articoli sul tema della siccità. Qual è la sua analisi sull'attuale situazione climatica?
Per rispondere alla sua domanda devo richiamare i fondamenti della fisica del clima. Sono un fisico dell’atmosfera, con particolare competenza in fisica delle nubi. Le nubi sono al centro del sistema climatico perché regolano, insieme ai gas triatomici ed all’aerosol fuori da nubi, il bilancio della radiazione solare in arrivo e di quella terrestre in uscita verso lo spazio esterno. Se prevale il flusso di fotoni solari l’atmosfera in prossimità della superficie si riscalda, se prevale il flusso di fotoni terrestri si raffredda. Detta così sembrerebbe semplice ma quando si passa al calcolo di questi flussi le cose si complicano assai per due ordini di effetti: diretti, di aerosol, gas triatomici e nubi nello scattering (diffusione) della radiazione ed effetti indiretti, quelli delle particelle di aerosol (sia naturali che di origine antropica) sulla composizione delle nubi stesse. Il trasferimento della radiazione in atmosfera è quindi il processo da comprendere prioritariamente, e non è semplice se si pensa allo scattering secondario (la radiazione diffusa da una gocciolina, o da un cristallino o da una particella di aerosol raggiunge le circostanti complicando il problema), e che l’altezza. la forma delle nubi e la loro composizione hanno pure grande rilevanza. Poi vi sono processi concomitanti a questo principale: bisogna includere nel sistema clima il flusso di calore che proviene dall’interno della terra, le interazioni oceano-atmosfera e vegetazione-atmosfera, le emissioni di gas triatomici dai vulcani, per citare solamente i principali. Lo sviluppo della modellistica del clima è impressionante dai modelli degli anni Settanta (solo di circolazione atmosferica) agli attuali (che includono tutte interazioni citate, ed i processi chimici) ma il ruolo centrale delle nubi, aerosol e gas triatomici è parametrizzato in modo grossolano e quindi tutti i modelli producono solo scenari molto differenti fra loro, e non quelle previsioni affidabili sull’andamento futuro del clima, sulle quali l’umanità possa basare delle decisioni cruciale per il suo destino sul pianeta. Siamo ben lontani dalla situazione della modellistica numerica nella meteorologia, i risultati della quale sono sotto gli occhi di tutti, e dai quali tutti traiamo benefici.
Venendo quindi alla sua domanda sulla situazione attuale del clima abbiamo una unica sicurezza condivisa da tutti gli scienziati, perché basata su misure fisiche strumentali (il termometro) della temperatura dell’aria a due metri dalla superficie e sufficientemente distribuite sul pianeta (“globali”) dall’inizio dell’Ottocento, raccolti nelle cosiddette serie storiche di dati di temperatura: un riscaldamento di sette decimi di grado per secolo. Ma qui, sulle cause di questo riscaldamento, comincia la bagarre, la grande divisione all’interno del mondo della scienza e nel contempo la diffusione, al momento inarrestabile, del pensiero unico dominante, che l’uomo sia al 98% responsabile di questo riscaldamento, attraverso la emissione di CO2 in atmosfera per l’uso dei combustibili fossili.
La carrellata di riflessioni che desidero portare all’attenzione dei lettori di Georgofili Info su quella sorta di strabismo, di dialogo tra sordi che sempre più caratterizza il confronto sul tema della foresta urbana, tra la scienza, il diritto che su quei consolidati dati scientifici ha plasmato le sue norme, da un lato, e il modus operandi delle amministrazioni comunali dall’altro, prende le mosse dal monito lanciato alle amministrazioni comunali da una recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, la n. 9178 del 27 ottobre 2022, ben conosciuta da quanti auspicano una reale conversione ecologica da parte di chi amministra le nostre città, che non si risolva in un mero greenwashing. In quella pronuncia il Giudice amministrativo ha annullato un’ordinanza sindacale che imponeva il taglio di un abete secolare collocato in area urbana, in quanto non supportata da una adeguata ed inequivocabile valutazione peritale sul pericolo imminente per la pubblica incolumità sulla viabilità pubblica e nell'abitato circostante idoneo a giustificare l’abbattimento della pianta. Un richiamo dunque ad una maggiore oculatezza e ponderazione nelle scelte operate, da leggere, tra le righe, come una sorta di monito di più ampio respiro alle amministrazioni comunali, alle quali in funzione della loro maggiore vicinanza e conoscenza del territorio, il diritto affida la tutela della foresta urbana, ad abbandonare il diffuso atteggiamento tranchant nei confronti di quest’ultima che tendenzialmente le caratterizza, dove il modo di procedere per interventi random di urgenza, si accompagna alla scarsa attitudine alla manutenzione, condotta secondo consolidati criteri scientifici, delle sue componenti, arboree e non, alla mancanza di una visione lungimirante e consapevole che proietti questi temi in una dimensione di indispensabile gestione pianificata degli interventi di conservazione, valorizzazione e potenziamento del patrimonio verde urbano e periurbano
Un evento siccitoso con ricorrenza secolare ha colpito l’Italia settentrionale dal gennaio 2022 ed è tutt’oggi causa di inquietudine non solo per gli agricoltori ma anche per gli altri utenti delle risorse idriche (civili, turistici, industriali, ecc.). In questo scritto ci si propone di individuare e delimitare l’areale interessato dalla siccità e di descrivere alcuni interventi tattici e strategici atti ad incrementare la resilienza del nostro sistema rispetto all’evento in atto e ad eventi siccitosi futuri.
Occorre anche premettere che per valutare gli impatti dell’evento siccitoso in corso sul nostro sistema agricolo occorre valutare tanto la siccità idrologica quanto quella agronomica. La siccità idrologica si riferisce alla carenza idrica nel sistema idrografico (ghiacciai, nevai, laghi, fiumi, falde) mentre la siccità agronomica si riferisce allo stato delle riserve idriche nello strato esplorato dalle radici delle colture, che può essere determinato con un semplice modello di bilancio idrico che consideri gli apporti (precipitazioni, irrigazione, risalita di falda) e le perdite (evapotraspirazione, infiltrazione profonda, ruscellamento, pioggia evaporata dalle superfici). Si noti anche che gli effetti della siccità idrologica si propagano attraverso il sistema idrografico andando a colpire zone non direttamente interessate dall’evento (si pensi ad esempio al fatto che una siccità che colpisce il Nordovest ha effetti anche gli agricoltori che operano più ad est e che sfruttano l’acqua del Po per irrigare i loro campi).
Sulla giacca ha una piuma che ricorda quelle degli Apache, come il taglio dei capelli che si intravede da ciò che fuoriesce dallo scaldacollo che porta alzato fino agli occhi. Sul petto scende una collana con il TAU di San Francesco. Ha gli occhi scuri, penetranti. Bucano come spilli. È gentile, ma incute soggezione.
Perché si fa chiamare Capitano Ultimo?
Capitano ormai non ha più molto senso, dato che sono fuori dalla battaglia, ma ho scelto di chiamarmi Ultimo quando sono entrato in clandestinità, secondo la strategia di lotta alla mafia messa a punto dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, perché ho passato la mia vita in un mondo di “primi”. Ma il voler primeggiare a tutti i costi non mi appartiene, la trovo una mentalità fastidiosa e molto meschina. Per questo motivo ho scelto di chiamarmi Ultimo.
Lei ha catturato Totò Riina nel 1993, infliggendo un grave colpo alla mafia. Eppure, nel maggio dello stesso anno c’è stata la bomba in via dei Georgofili. Perché?
Si è trattato molto semplicemente della prosecuzione dello stragismo corleonese condiviso dai vertici di Cosa Nostra, era un periodo molto buio della politica criminale e il compito assoluto era quello di indebolire a tutti i costi le istituzioni tenendo uniti, al contrario, i mafiosi che erano al 41 bis.
Oggi sono all’Accademia dei Georgofili per rendere onore alla famiglia Nencioni e allo studente Dario Capolicchio e non solo, io rendo onore a tutti i caduti per mano della mafia e della sua strategia vigliacca. Desidero rendere omaggio anche alla città di Firenze che fu accanto all’Accademia dei Georgofili nella ricostruzione, ribadendo la nostra natura di “maledetti toscani” (Capitano Ultimo è nato a Montevarchi ndr) che non sopportano la prepotenza e l’autoritarismo, né dei nazifascisti né dei mafiosi. Voglio ricordare qui anche tre persone semplici, contadini toscani, che nel 1943 vennero barbaramente uccisi dai tedeschi a Bucine: Antonio Gambini con suo figlio Silvano di 16 anni ed Ernesto Genti. Altri innocenti, morti senza un perché.
Questo interessante documento della FAO arriva in un momento assai agitato del dibattito italiano circa la dieta alimentare più adeguata per tutti noi, soprattutto per i suoi numerosi risvolti sulla salute. In Italia, come è noto internazionalmente, "si mangia bene" e di questo, personalmente, ne sono molto convinto; diversa è la posizione di ciascuno di noi quando si affronta il problema di cosa faccia bene o male o di quale sia la scelta alimentare più giusta sul piano dell’impatto sulle risorse planetarie da parte di una popolazione globale che ha superato gli 8 miliardi e che è tutt'ora in crescita, ma che, necessariamente deve alimentarsi tutti i giorni.
Nella Prefazione al documento si sottolinea come il nostro pianeta sia segnato da profonde contraddizioni; ad esempio, un decimo della popolazione soffre la fame e ben tre miliardi di nostri "fratelli" soffrono per non potersi alimentare con una dieta sana, ma, allo stesso tempo, ben una persona su tre è sovrappeso o addirittura obeso, mentre poco meno del 25% dei bambini mostrano una crescita rachitica e oltre mezzo miliardo di donne soffre di anemia. Tutti questi guai derivano da malnutrizione che può essere risolta solo con una dieta alimentare sana.
Risulta semplice constatare come gli alimenti che possiamo ottenere da molti animali terrestri, siano in grado di provvedere ai nostri bisogni di energia e di principi nutritivi essenziali come proteine, lipidi, vitamine e elementi minerali, in modo molto più efficace rispetto ad altre sorgenti alimentari.
Gli allevamenti animali sono in grado di contribuire ad una sana alimentazione umana anche se devono affrontare una serie di ostacoli che, a seconda degli ambienti si configurano in modo diverso; essi vanno da problemi ambientali come i pericoli della deforestazione, il cambiamento di uso dei suoli, le emissioni di gas serra, l'uso inadeguato di acqua e suolo -risorse naturali primarie per l'agricoltura-, inquinamento, ecc., a problematiche inerenti la gestione stessa del bestiame che include la bassa produttività, il pascolo eccessivo e il trascurato benessere animale non più tollerato non solo dalle società privilegiate. Infine, non si può dimenticare che la salute degli animali allevati è precaria e, quindi, richiede continue attenzioni anche terapeutiche, oltre a sottolineare che vi sono continue evidenze anche di zoonosi -infezioni che possono essere trasmesse direttamente o indirettamente dagli animali all'uomo-.
Entro questo quadro certamente non semplice, la FAO, come ha già fatto in una serie di valutazioni dei sistemi agroalimentari, ha applicato la prospettiva One Health anche al settore zootecnico per accertarne tutti i risvolti sul piano delle ricadute ambientali, economiche e sociali in modo da inserire il contributo degli allevamenti animali entro le linee guida dello Sviluppo Sostenibile di Agenda 2030, consentendo un reale giudizio in termini di sicurezza alimentare, sistemi alimentari sostenibili e diete sane.
Questo meticoloso e accurato lavoro ha generato quattro sezioni del documento il primo dei quali riguarda tutte le valutazioni a valle del consumo di cibo, originato dagli allevamenti animali, all'interno di diete salutari e che conferma il suo fondamentale contributo alla salute delle popolazioni. Tali conclusioni fanno parte delle raccomandazioni alimentari della FAO che in tal modo sottolinea con forza come il ruolo degli allevamenti sia determinante per contrastare la povertà, contribuire alla sicurezza alimentare in modo sostenibile, nell'ottica di Agenda 2030.
Il lavoro è stato realizzato da una imponente gruppo di lavoro che ha mobilitato alcune decine di tecnici di varie Divisioni della FAO con la stretta collaborazione di altrettanti esperti di vari centri di ricerca; la prima bozza del documento è stata trasmessa alla comunità scientifica ampia, comprendente sia il settore pubblico che privato, includendo anche altre importanti organizzazioni delle Nazioni Unite, come l'Organizzazione Mondiale della Salute (WHO). Al termine di questo complesso lavoro di comunicazione sono stati ricevuti oltre 1400 commenti che sono stati attentamente valutati e che hanno contribuito alla stesura finale del documento.
Le zone aride, che occupano circa 1/3 della superficie terrestre e sono abitate da circa 1 miliardo di persone, sono fra gli ecosistemi più fragili. Eppure, è proprio in queste zone che è più sentita la necessità di aree verdi pubbliche in grado non solo di mitigare il clima, ma anche per ridurre i conflitti sociali che purtroppo sono più frequenti proprio in queste zone.
Nella pianura padana addio a mais, pomodoro e riso? E in prospettiva anche al kiwi, altra coltura molto idroesigente? Il cambiamento climatico in atto potrebbe sconvolgere gli assetti produttivi del bacino padano mettendo a rischio anche quello che resta della frutticoltura nelle regioni del Nord. Che già hanno visto migrare al Centro gran parte di una produzione frutticola di pregio come il kiwi, al Sud fragole e pesche/nettarine mentre Trentino-Alto Adige e Piemonte (Cuneo) – dove l’acqua ancora c’è - si confermano i territori leader per la melicoltura di qualità. Il climate change potrebbe dare uno scossone definitivo a colture come le pere, già alle prese con pesanti problemi di prodotto, di mercato e di fitopatie.
L’Italia è in stato di emergenza idrica : lo testimonia la cabina di regia interministeriale insediata a Palazzo Chigi e l’arrivo di un Commissario nazionale (fino a fine anno poi si vedrà) che “potrà agire sulle aree territoriali a rischio elevato e potrà sbloccare interventi di breve periodo come sfangamento e sghiaiamento degli invasi di raccolta delle acque, aumento della capacità degli invasi, gestione e utilizzo delle acque reflue, mediazione in caso di conflitti tra regioni ed enti locali in materia idrica, ricognizione del fabbisogno idrico nazionale”. Lo stato di emergenza non esclude che nei prossimi mesi si potrà arrivare a provvedimenti drastici come il razionamento dell’acqua in alcune aree dove la condivisione dell’acqua tra usi civili, agricoli e industriali dovrà fare i conti con l’assenza della materia prima.
In tempi meno frenetici e insofferenti di quelli attuali l’alternanza casuale di periodi di siccità con altri di piovosità eccessiva veniva accolta e subita con un senso di tacita sopportazione, come una fatalità ineluttabile, tanto da far pensare alla vendetta o ai capricci di qualche divinità offesa o incostante. I rimedi venivano trovati nella pazienza, cioè nell’adattamento all’immancabile carestia, e nella sapienza dell’agricoltore, cioè nelle pratiche colturali note. L’una e l’altra virtù erano praticate sino a quando la ruota imperscrutabile del tempo rimetteva le cose a posto. Ancora pochi anni fa, per prudenza, si evitava di scrivere di siccità, lasciando l’argomento all’effimero delle cronache, nell’attesa che carenze o eccessi terminassero.
Ora siamo di fronte ad un evento più raro, ma non ignoto, costituito da due annate consecutive di siccità ed elevate temperature, affrontato da una società insofferente, iper-reattiva che muta i suoi codici di comportamento nei confronti dei fenomeni naturali in modo bizzarro, per il fatto di essere essenzialmente urbana e di aver smarrito un rapporto più disteso con natura e agricoltura. Il meteo, nuovo oracolo super consultato, serve per programmare ferie e ponti e non per organizzare le pratiche agricole, quelle inscindibili “opere e giorni” descritti da Esiodo circa sette secoli a. C. con sapienza ammirevole.
Agricoltura e progresso tecnico
Poco di nuovo vi sarebbe da aggiungere per le diverse evenienze se non fosse che l’Umanità, nel frattempo, ha aumentato le sue conoscenze scientifiche e tecniche e di conseguenza ha appreso a usare con maggiore efficienza ed efficacia gli strumenti (i mezzi di produzione) di cui dispone. Ha compreso che combinazioni diverse dei fattori di produzione consentono di incrementare la produttività, migliorare i raccolti, difendersi da eventi avversi. L’agricoltura irrigua non solo fa aumentare i rendimenti produttivi, ma permette di contrastare le bizzarrie del tempo. Sull’ampliamento teoricamente possibile dell’impiego di aree irrigue non utilizzate si fondano le maggiori speranze per il futuro alimentare. A tutto ciò si è aggiunto l’impiego di fertilizzanti e antiparassitari razionalmente studiati e usati. Da ultimo giunge il grande sviluppo della genetica che stenta ad affermarsi nell’ Umanità che l’accetta, invocandolo solo per la salute umana.
Gli studi sulla influenza dell’aggiunta nell’alimentazione di polli e conigli della propoli e del polline d’api sullo stato di salute e sulla qualità delle carni degli animali allevati sono abbondanti in letteratura scientifica.
Ultimamente l’argomento è tornato ad essere oggetto di ricerche e sperimentazioni, probabilmente in risposta alla necessità di sostituire gli antibiotici come promotori di crescita in alimentazione animale.
I nanomateriali (NM) sono strutture, agglomerati o aggregati naturali o sintetici di dimensione inferiore a 100 nm, ma con una estesa area volumetrica che conferisce loro caratteristiche e comportamenti diversi rispetto a quelli dei materiali di per sé, tra cui l’elevata reattività. Classificabili in base alle loro proprietà (dalle più piccole adimensionali a quelle 1D - nanofibre, nanotubi, nanobarre - ai 2D nanostrati, grafene, nanofilm , 3D – zeolite, polveri altri materiali porosi), i nanomateriali hanno acquisito molta importanza in medicina, cosmetica, elettronica, comunicazioni, produzione dell’energia. Una review pubblicata all’inizio del 2023 (Nanoparticles as a Promising Strategy to Mitigate Biotic Stress in Agriculture- Tortella G., Rubilar O., Pieretti J.C., Fincheira P., de Melo Santana P., Fernández-Baldo M.A., Benavides-Mendoza A., Seabra A.B; Antibiotics, 2023, 12, 338) esamina come i NM rientrino anche tra le possibili soluzioni applicabili in agricoltura, e non solo per ridurre l’uso di pesticidi. Ad esempio, i NM metallici, in particolare quelli costituiti da silicio, rame, ossidi di zinco e da selenio hanno dimostrato notevole efficienza quando usate per la fertilizzazione. Ma le prospettive sono molto allargate, date le capacità di alcuni NM di entrare nella biosintesi ormonale e favorire la resistenza delle colture a stress abiotici, come elevate temperature, salinità e siccità. L’interazione dei NM con il sistema pianta-suolo avviene a livello fogliare (via stomi, tricomi e ferite) e radicale, e la loro dimensione, solubilità e configurazione chimica giocano un ruolo importante sulla loro traslocazione, dalla quale dipende poi l’azione specifica di modulazione morfologica, biochimica, fisiologica di tolleranza.
Si è svolto pochi giorni fa, presso la Camera dei Deputati, il convegno “Le morti bianche in agricoltura” su iniziativa del vicepresidente, On. Sergio Costa.
L’evento è stato organizzato da Federacma, Federazione Confcommercio che raggruppa le associazioni nazionali dei rivenditori di macchine agricole e da giardinaggio, con l’obiettivo di portare all’attenzione del mondo politico e associativo la grave problematica relativa alle 120 morti l’anno nel settore agricolo, legate all’utilizzo di mezzi agricoli.
In merito l'Accademia dei Georgofili ha prodotto un focus sulla "Revisione dei trattori agricoli o forestali" che è consultabile liberamente sul sito dell'Accademia.
Ad introdurre la problematica è stato Vincenzo Laurendi del Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e Sicurezza degli Impianti, Prodotti e Insediamenti Antropici dell'INAIL, accademico dei Georgofili, il quale ha illustrato i dati degli incidenti invalidanti e i decessi, il raffronto con gli altri settori e con gli altri Paesi europei.
Dottor Laurendi, ogni anno l’agricoltura italiana perde 120 lavoratori a causa della inadeguata sicurezza, con costi sociali inestimabili e un corrispondente peso annuale per le casse dello Stato di oltre 200 milioni di euro. Morti bianche che si possono ridurre? Come?
Prima di entrare nel merito delle possibili soluzioni è opportuno fare un piccolo passo indietro per spiegare quali sono i termini del problema.
In base all’ordinamento vigente nel 2012, per le macchine agricole non esisteva l’obbligo di effettuare la revisione periodica: l’articolo 111 del nuovo Codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285) prevedeva infatti tale adempimento per le macchine agricole come una mera possibilità e non come un obbligo, rimettendo la scelta alle amministrazioni competenti (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali). Il relativo decreto ministeriale non era mai stato emanato e, di conseguenza, quella norma è rimasta inapplicata. Ciò ha significato che non era possibile fare controlli sui mezzi «per accertarne la permanenza dei requisiti minimi di idoneità per la sicurezza della circolazione, nonché lo stato di efficienza», secondo la formula usata dallo stesso articolo 111 del nuovo Codice della strada. Di fronte alla obsolescenza e inadeguatezza di molti di questi mezzi, ciò ha costituito un limite oggettivo per qualunque azione di prevenzione degli infortuni in questo settore.
Il ritorno a qualche forma di agricoltura come, ad esempio, la transumanza, ripensata in chiave moderna, può avere due grandi benefici. Il primo è che riportando l’uomo sul territorio si interrompe quello stato di continuo degrado del territorio e il suolo riacquisterebbe la sua funzionalità in termini produttivi ed ecologici. Il secondo è di natura alimentare perché il pascolo in alpeggio migliora, non solo il benessere animale, ma la qualità dei prodotti da un punto di vista salutistico, esaltando le proprietà nutraceutiche delle essenze del pascolo, come ben riportato nel suddetto articolo.
Nella storia della ricerca in agricoltura il tema del miglioramento genetico e di come questa possa contribuire a migliorare i risultati produttivi ottenibili ha l’immagine di un fiume carsico che scorre, cioè, sotterraneamente riemergendo con forza periodicamente in superficie.
La comunità scientifica ha ormai descritto un ampio ventaglio di modalità attraverso cui il cambiamento climatico influisce sulle piante, come la modificazione dei tempi di sviluppo e fioritura attraverso le stagioni, l’alterazione di strutture anatomiche e processi fisiologici, per arrivare fino ad impatti su aspetti ecologici ed evoluzionistici. Il cambiamento climatico sta anche determinando drastici effetti anche sulla conservazione delle specie vegetali, alcune delle quali si troveranno a forte rischio di estinzione nel prossimo futuro.
Gli Orti Botanici sono strutture che hanno le potenzialità, nonché la responsabilità istituzionale, di svolgere studi e ricerche sul cambiamento climatico, cercando di conservare la diversità vegetale e di sensibilizzare la cittadinanza su questa grave criticità in corso. A questo proposito l’Orto e Museo Botanico dell’Università di Pisa ha recentemente pubblicato uno studio volto a saggiare il grado di vulnerabilità climatica degli alberi nella propria collezione. Sono state ricostruite le esigenze climatiche delle singole specie ottenendole tramite analisi della loro distribuzione globale, sia allo stato spontaneo sia in coltivazione, per poi confrontarle con quelle che sono le condizioni climatiche attuali della città di Pisa e con quelle attese nel breve (2050) e nel medio (2090) periodo.
Assumendo la mancata messa in atto di strategie globali di riduzione delle emissioni di gas serra (scenario SSP2/RCP4.5, ‘Intergovernmental Panel on Climate Change’), nello studio si arriva a stimare che fino al 60% delle specie coltivate all’Orto Botanico potrebbe trovarsi in condizioni climatiche non adatte alle esigenze proprie climatiche, trovandosi a forte rischio di scomparsa per la fine di questo secolo. La quasi totalità delle specie arboree di interesse conservazionistico si troverebbe a forte rischio di scomparsa. Se, da un lato, alcuni elementi inducono a un maggior ottimismo nei confronti di queste stime, come ad esempio la plasticità di molte specie che potrebbe permettere loro di rispondere agli squilibri climatici meglio di quanto atteso, ci sono ulteriori elementi di preoccupazione, come la crescente diffusione di organismi patogeni e le già precarie condizioni di diversi esemplari in coltivazione, molti dei quali vetusti.
In termini più strettamente gestionali, conoscere il grado di sensibilità ai cambiamenti climatici di ciascun esemplare permette di cartografare mappe di rischio climatico dell’intero Orto Botanico. Queste mappe permettono la pianificazione di un piano a medio-lungo termine di sostituzione di specie, in modo da prevenire quello che verosimilmente sarà un significativo impatto sul patrimonio arboreo e sull’assetto del giardino. In linea con la propria missione istituzionale, l’Orto e Museo Botanico si prefigge di mantenere anche in futuro una elevata diversità vegetale nelle proprie collezioni, cercando però di mitigare i problemi climatici e gestionali con la giusta selezione di specie da mettere a dimora. Un approccio simile potrebbe essere replicato, con alcuni accorgimenti e rimodulazioni, anche in contesti di verde urbano, per una pianificazione territoriale virtuosa e attenta alla sostenibilità ambientale.
Sembrerebbe di sì. Il Dipartimento per l’Agricoltura Americano (USDA) ha recentemente autorizzato, sebbene in modo “condizionale”, cioè con efficacia non pienamente dimostrata, l’uso di un vaccino contro la peste americana delle api. Il vaccino, chiamato “Paenibacillus Larvae Bacterin”, è stato sviluppato dalla Dalan Animal Health (Athens, Georgia, USA), compagnia biotech dedicata allo sviluppo di soluzioni “sicure, innovative e sostenibili per gli apicoltori”. L’obiettivo della company, secondo Dalial Freitak, CSO ed ex ricercatrice dell’Università di Helsinki, è lanciare il vaccino negli Stati Uniti entro l’anno e poi nell'Unione Europea. Oltre al vaccino contro la peste americana, la Dalan AH ha, allo studio, lo sviluppo di vaccini contro altri patogeni delle api, come la peste europea e la ascosferosi (covata calcificata).
La peste americana è una delle più dannose patologie dell’ape domestica, Apis mellifera L. (Hymenoptera Apidae). Tale patologia, diffusa in tutto il mondo, è causata dal batterio sporigeno gram-positivo Paenibacillus larvae e purtroppo, al momento, in caso di manifestazione della malattia, l’unico intervento previsto nei paesi dell’Unione Europea è la distruzione, per incenerimento, delle colonie e dei favi colpiti. Per questo, la possibilità di utilizzare un vaccino sarebbe uno straordinario strumento di prevenzione della malattia, sicuramente più sostenibile ed ecologico rispetto all’impiego di antibiotici o altri chemioterapici.
Sebbene i vaccini siano largamente utilizzati con successo contro un gran numero di malattie nell’uomo e negli animali domestici e da reddito, il loro uso per la prevenzione delle malattie delle api non è stato tuttavia, fino ad oggi, ritenuto una via percorribile. È noto, infatti, che gli insetti non abbiano un sistema immunitario adattativo capace di produrre anticorpi e che, quindi, non sia possibile addestrare il loro sistema immunitario contro un patogeno, così come avviene grazie ai vaccini per l’uomo e altri vertebrati. Come è stato possibile allora sviluppare un vaccino per le api?
La transumanza, nel senso etimologico del termine, è lo spostamento stagionale degli armenti lungo percorsi consolidati allo scopo di sfruttare razionalmente la disponibilità di foraggio. Diffusa in tutto il mondo in varie forme e modalità, in Europa ed in particolare in Italia, si presenta da una parte come transumanza mediterranea che vede il percorso dai monti verso le zone costiere e di pianura, e dall’altra come transumanza alpina, con percorsi dai fondivalle ai monti. Si tratta di un sistema di allevamento molto antico la cui origine si perde nelle fasi più remote della storia dell’uomo.
Lo scorso ottobre 2022, si è svolta nella tenuta presidenziale di Castel Porziano il convegno “Ripensare la Transumanza”, con lo scopo di proporre un confronto multidisciplinare sul tema della transumanza, da leggersi come articolato fenomeno connettivo socio culturale, alla luce anche del rinnovato interesse che tale fenomeno suscita sia sotto il profilo squisitamente produttivo sia quale pratica funzionale al presidio dei territori, alla loro valorizzazione, al ripristino delle connessioni ecologiche e alla conservazione delle tradizioni locali.
Ne abbiamo parlato con il georgofilo Alessandro Nardone, professore emerito di zootecnia generale e miglioramento genetico all’Università della Tuscia e oggi Presidente del Consiglio Scientifico della Tenuta presidenziale di Castelporziano.
Qual è oggi il valore della transumanza nel sistema zootecnico italiano e nel nostro patrimonio di cultura e tradizione?
La transumanza non è solo un fenomeno storico dal valore evocativo, ma una componente ancora vitale e attuale nel processo produttivo di realtà significative del sistema zootecnico, in Italia e in diverse aree del mondo. Vitalità e attualità sono testimoniate dall’entità odierna degli animali transumanti in Italia che approssima il 10% del patrimonio zootecnico nazionale, escludendo dal computo i sistemi di allevamento a elevata intensità di monogastrici e di produzione di latte. Valori percentuali molto più elevati caratterizzano talune regioni, quali Valle d’Aosta e Basilicata.
Altri due elementi ne attestano l’attualità: la crescente carenza di alimenti per gli animali e la nuova denominazione del Ministero dell’Agricoltura.
La biomassa assunta dagli animali al pascolo ha un significativo valore, sia economico per la pari quantità di alimenti che non devono essere coltivati, sia ecologico per il risparmio energetico e di emissioni che deriverebbero da una loro produzione e trasporto agli animali; inoltre, se non pascolata, la biomassa può essere potenzialmente fonte di emissioni per fenomeni combustivi naturali.
L’espressione “sovranità alimentare” presente nella nuova denominazione del Ministero dell’Agricoltura induce a ritenere vi sia la forte volontà di valorizzare il legame tra alimentazione umana, agricoltura, ecosistemi e culture, rivalutando biodiversità e mercati locali, come è nell’intendimento corretto della espressione. La transumanza risponde appieno a questi obiettivi, fuori di ogni implicazione di antitesi con le logiche dell’OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio).
Forestazione urbana: abbiamo già affrontato questa tematica su “Georgofili INFO”, dialogando con Alberto Giuntoli e Francesco Ferrini. Questa settimana, ne parliamo con un altro georgofilo, Marco Marchetti, ordinario di pianificazione forestale all'Università del Molise, presidente della Fondazione Alberitalia e Chair del Board di EFI - European Forest Institute.
Lo scorso 21 marzo l’Accademia dei Georgofili ha ospitato il Convegno conclusivo del progetto “Epiresistenze”, cofinanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del Bando per la ricerca in campo agricolo e forestale.
Il progetto ha analizzato i meccanismi epigenetici che possono regolare la manifestazione delle resistenze agli erbicidi nelle risaie lombarde, focalizzandosi sui giavoni (genere Echinochloa P. Beauv.), infestanti tra le più diffuse e problematiche per la coltivazione del riso.
Il problema posto dal veto alla carne coltivata nel nostro Paese ha colto di sorpresa l’opinione pubblica e, di riflesso, anche il mondo scientifico. Per affrontare a fondo la questione che dilaga sui mezzi di comunicazione in un caos controproducente occorre comprendere che essa supera la semplice scelta fra accettazione o rifiuto della carne coltivata basata su reazioni emotive, più gastronomiche o di bandiera che realistiche e scientifiche. Non si tratta di scegliere fra risultati ancora lontani dall’essere pronti e il loro rifiuto. La questione è molto più complessa e si compendia nella risposta da dare alla domanda sulla posizione da assumere nei confronti degli sviluppi della ricerca scientifica e delle nuove tecnologie di processo e di prodotto che ne derivano.
Una questione generale che l’Umanità deve affrontare e che, In questa fase riguarda soprattutto le biotecnologie ed i loro sviluppi. Il colossale problema irrisolto che si è creato con gli Ogm è un incubo difficile da superare e un nodo talmente inestricabile da avere bloccato gli sviluppi agricoli delle biotecnologie, in parallelo ampiamente utilizzate in altri ambiti con risultati positivi e con un’accettazione più diffusa dei risultati della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico.
Proseguire implica prendere atto che è necessaria una svolta fondamentale nei processi di trasferimento dei risultati ottenuti. Perché ciò avvenga occorre mettere a punto una vera e propria Politica per un coerente ed efficace progresso delle biotecnologie da utilizzare nei più diversi settori dello sviluppo scientifico e del conseguente trasferimento in molti ambiti: salute, cambiamento climatico, produzione di energie innovative, sicurezza degli alimenti e garanzia di disponibilità adeguata, agricoltura (processi e prodotti), solidità delle catene di rifornimento e della loro reattività alle crisi. Tutto ciò comporta il trasferimento delle modalità delle scelte da sommatoria di fatti episodici a una strategia politica che riguardi la sicurezza nazionale e l’economia dei singoli Paesi e del mondo intero.
Nel 2050 oltre il 70% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane, da qui la necessità di migliorare la vivibilità delle città attraverso un'opera di forestazione urbana che tenga tuttavia conto delle modalità di impianto e di gestione degli alberi, la selezione delle specie, la salvaguardia della biodiversità e la stessa percezione dell'opinione pubblica rispetto all'ambiente e ai servizi ecosistemici offerti dalle piante.
Ne abbiamo parlato con il georgofilo Francesco Ferrini, ordinario di arboricoltura all’Università di Firenze, divulgatore scientifico e presidente del Distretto Vivaistico Ornamentale Pistoiese.
Un’onda che inevitabilmente cresce nella società di una popolazione con una nuova, diversa cultura anche alimentare, iniziando dal fatto che non cucina ma scalda alimenti preconfezionati o se cucina lo fa con nuove attrezzature che vanno dalle microonde al Bimby, considerando occasionale e folkloristico la griglia o barbecue, e soprattutto che mangia nel suo gruppo sociale eliminando il rapporto intergenerazionale. E senza alcuna consapevolezza del legame tra alimentazione, produzione, filiera, distribuzione e sostenibilità.
Il Consiglio dei Ministri dello scorso 29 marzo ha approvato uno “Schema di disegno di legge recante disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici”. In sei scarni articoli si introduce il divieto a priori agli operatori del settore alimentare e agli operatori del settore dei mangimi ad “impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare oppure distribuire per il consumo alimentare, alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati”. Si indicano le Autorità per i controlli, le Sanzioni da applicare agli inadempienti e i successivi provvedimenti a perfezionamento del blocco introdotto, oltre a determinare il quadro normativo per il rinvio e aggiornamento delle sanzioni e a richiamarsi ad una clausola di invarianza finanziaria relativa all’applicazione della legge.
Il tutto, in uno stile scarno e deciso, di fatto vieta acriticamente l’introduzione di prodotti non bene definiti perché, appunto, inesistenti al momento dell’emanazione ignorando a che cosa ci si debba precisamente riferire.
Poco rallegra il concetto di essere il primo Paese al mondo a vietare questo genere di prodotti, mentre per ora solo Singapore e, in prospettiva, ma in misura meno definita, gli Usa hanno approvato specifiche produzioni.
La questione è davvero sorprendente, crediamo che sia un caso più unico che raro di divieto che anticipa l’oggetto della sua applicazione.