Cari lettori,
il 2024 vedrà la presenza di un appuntamento fisso sulle pagine virtuali del nostro notiziario, quella dei Dialoghi sul suolo e l’acqua.
La rubrica, mensile, sarà tenuta dall’accademico Marcello Pagliai, ex ricercatore CNR esperto di suolo, già direttore dell’Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo di Firenze e del Centro di ricerca per l’agrobiologia e la pedologia del CRA (oggi CREA) di Firenze, membro della Società Italiana di Scienza del Suolo e della International Union of Soil Sciences, è stato anche uno dei promotori della Giornata Mondiale del Suolo che si celebra ogni 5 dicembre.
La recente approvazione della legge che vieta produzione e commercializzazione dei cibi ottenuti da colture cellulari, ha scatenato acceso un dibattito pubblico, con posizioni a volte polarizzate e sicuramente non completamente aderenti alle informazioni oggi disponibili nella letteratura scientifica e tecnica circa questo argomento. Cercherò di mettere in chiaro i principali punti di dissidio.
Il programma IRIDE (International Report for Innovative Defence of Earth) rappresenta uno tra i programmi spaziali europei più rilevanti nell’ambito dell’osservazione della Terra. La sua realizzazione avverrà in Italia, grazie alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) integrate dai fondi del Piano Nazionale Complementare (PNC). IRIDE è un sistema satellitare che sarà operativo entro giugno 2026, coordinato dall’ESA-Agenzia Spaziale Europea, con la partecipazione dell’ASI-Agenzia Spaziale Italiana.
IRIDE è un sistema costituito da costellazioni di satelliti in orbita terrestre bassa (LEO), dall’infrastruttura operativa a terra e dai servizi destinati alla Pubblica Amministrazione italiana. La costellazione IRIDE sarà unica nel suo genere; spazia dall’imaging a microonde (tramite Radar ad Apertura Sintetica, SAR), all’imaging ottico a varie risoluzioni spaziali (dall’alta alla media risoluzione) e in diverse gamme di frequenza, dal pancromatico, al multispettrale, all’iperspettrale, alle bande dell’infrarosso con una risoluzione che può arrivare a 2, 3 metri in alcuni casi anche sotto i 2 metri.
Con un ritardo di un giorno (e una notte) sui tempi previsti si è chiusa la sessione della ventottesima Conferenza sui cambiamenti climatici, Cop 28, per consentire un accordo alla venticinquesima ora. La Conferenza ha avuto la solita attenzione dei mezzi di informazione, intensa, ma distratta, spenta prima ancora che le sessioni si chiudessero e che il consenso unanime fosse espresso. I punti in discussione riguardavano il bilancio dell’attuazione del contenuto delle precedenti sessioni, definito “Global Stocktake (GST)” previsto dall'Accordo della Cop 21 di Parigi del 2015, e le decisioni da prendere sul futuro della lotta al cambiamento climatico. Il contesto in cui si muove tutto il mondo, inclusa la questione della transizione climatica, è molto mutato sotto diversi punti di vista, economico, geopolitico, sociale, ambientale con eventi climatici avversi sempre più numerosi ed intensi: la pandemia più rilevante dei tempi moderni, due guerre locali di dimensioni ed implicazioni anch’esse senza precedenti, un’ondata inflazionistica (forse) relativamente breve, ma violentissima, un peggioramento economico serio di vaste aree del pianeta in termini di sottoalimentazione. Dopo anni di costanti miglioramenti che avevano ridotto il numero dei sottonutriti a 650 milioni circa, infatti, questi sono risaliti a 732 milioni, su una popolazione mondiale giunta a 8 miliardi di persone.
Pensare al mantenimento degli indirizzi precedenti e delle relative tabelle di marcia sembra effettivamente ambizioso. Tanto più se si considera che doveva essere decisa la questione più importante: la decarbonizzazione delle fonti energetiche a breve scadenza. Gli obiettivi della Cop 28 erano legati alla riduzione del 43% delle emissioni entro il 2030 con un incremento del riscaldamento globale fermato sotto al 2% e, possibilmente, sotto l’1,5%.
Il dibattito, come si ricorderà, è iniziato nella seduta d’apertura con le affermazioni del Presidente, Sultan Al-Jaber che, molto realisticamente, di fronte ai problemi della “eliminazione totale” dei combustibili fossili (phase out) ha introdotto maggior cautela. Nell’accordo finale è diventata “allontanamento” (transitioning away) e per il carbone riduzione graduale o semplice “abbattimento” (phase down).
Il testo finale, 21 pagine di dati, considerazioni e nuovi obiettivi, appare ragionevole sulla maggior parte delle questioni, inclusa la più spinosa il finanziamento da assicurare ai Paesi a basso reddito per favorirne l’adattamento. Per essi si prevede un contributo totale a riparazione di danni e perdite stimato in 4,3 miliardi di $, ma al presente può contare solo su circa 650 milioni. Le questioni aperte vengono rinviate alla Cop 29 che si terrà l’anno prossimo a Baku in Azerbaigian, altro Paese produttore di petrolio e gas, tra l’altro importante fornitore dell’Italia.
Che i formaggi di montagna siano diversi da quelli di pianura e che ogni valle abbia i suoi formaggi è un’idea antica che non ha bisogno di essere confermata, ma questo come avviene? Saranno le caratteristiche dei foraggi ricchi di erbe aromatiche che crescono nei pascoli alpini o le razze di animali alpini o il clima o qualche altra condizione del territorio che influenzano il formaggio, iniziando dal latte? Tutti interrogativi di un molto complesso argomento che oggi incomincia ad essere affrontato anche con ricerche di metabolomica
Nel settembre 2004 la Wildlife Conservation Society riunì un folto gruppo di esperti internazionali per discutere il livello di conoscenze e le stime per il futuro in merito alle malattie degli esseri umani, degli animali domestici e delle popolazioni naturali. Il simposio generò una serie di raccomandazioni (note sotto il nome di “Manhattan Principles”) che furono facilmente sintetizzate nella definizione di “One World, One Health”. Secondo una affermata visione olistica, si tratta di un modello sanitario ispirato alla razionale integrazione di saperi differenti. La One Health si basa, quindi, sul riconoscimento che la salute umana (ma anche il benessere), quella degli animali (domestici e selvatici) e quella dell’ecosistema siano interconnesse e interdipendenti indissolubilmente
Studiare come le piante reagiscono alla vita nello spazio, consente di capire di più su come queste si adattano ai cambiamenti ambientali. Le piante non solo sono cruciali per quasi ogni aspetto della vita sulla Terra, ma saranno ancor più fondamentali per le esplorazioni dell'universo. Mentre si guarda ad un possibile futuro di colonizzazione spaziale, è di particolare rilevanza comprendere come le piante possano allontanarsi dal pianeta prima di affidarci a loro all'interno di avamposti spaziali per riciclare aria, acqua e integrare il cibo destinato agli astronauti. Quindi, mentre noi restiamo sulla terra, gli impianti sperimentali vengono posizionati nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Al momento gli studi compiuti ci hanno fornito alcune sorprese riguardo all’accrescimento vegetale a gravità zero e hanno messo in discussione alcuni nostri convincimenti su come le piante crescono sul nostro pianeta.
Nella ISS sono molti gli esperimenti condotti finora sulle piante sia quelli gestiti da un’astronauta, sia quelli realizzati a terra per cercare di migliorare la vita e le conoscenze nell’avamposto realizzato nello spazio.
Per far vivere delle piante nello spazio i punti nodali da collaudare sono i seguenti:
• gestione di aria e acqua
• serre planetarie
• sistemi terrestri per ecosistemi in microgravità
• scelta delle specie
• illuminazione e gestione dell’energia
• radicazione nello spazio
Una prima domanda è: scegliendo e prelevando le piante dal pianeta Terra, come si accresceranno in assenza di gravità? In breve si tratta di selezionare e assemblare in modo opportuno degli organismi (batteri, alghe, piante superiori) secondo fasi successive di riciclo al fine di convertire gli scarti (residui colturali) e i rifiuti organici dell’equipaggio a bordo in O2, H2O, cibo. In sostanza le piante rappresentano dei veri e propri biorigeneratori che verrebbero fatti crescere in un ambiente artificiale su appositi substrati o in idroponia e nutrite dai componenti essenziali contenuti nei residui vegetali e nelle deiezioni.
L’apertura dei lavori della Cop 28, la riunione annuale dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, UNFCCC, a Dubai il 30 novembre è stata per lo meno inconsueta. Eravamo preparati ad ascoltare discorsi generici, scontati, dati caratterizzati da un forte allarmismo, propositi di cambiamenti epocali. Il tutto scandito da scadenze draconiane fissate forse con eccessiva fretta e sorrette da un ottimismo atteso alla prova dei fatti. Impegni sempre più pesanti e costosi. Invece a Dubai vi è stato molto più realismo, specialmente su tre aspetti: a) in tema di de-carbonizzazione con un conseguente, implicito, ridimensionamento della transizione climatica; b) sulle tempistiche con una più realistica gradualità della transizione; c) sul piano degli impegni finanziari da parte dei maggiori Paesi, compresa l’Italia, che hanno messo sul tavolo aiuti per i Paesi colpiti dalle conseguenze economiche della lotta al cambiamento climatico, ciascuno una pesante fiche da 100 milioni di dollari. Il riposizionamento energetico viene in parte e temporaneamente ridimensionato per quanto riguarda le fonti fossili mentre riemerge il nucleare rivalutato realisticamente come energia pulita e possibile almeno nel medio-lungo periodo. Un dibattito confuso, ma significativo. Leggeremo fra le righe delle conclusioni per comprendere davvero se e quale sarà il cambiamento che ne scaturirà.
L’andamento della Cop 28 induce a riconsiderare anche la parte di transizione che riguarda l’agricoltura e l’alimentazione, quella “Green” al momento forse non ben chiara nelle modalità e nei tempi, con scadenze però oggetto, come si è visto, di possibili dilazioni. È utile riflettere sulla svolta della Cop 28 e su che cosa è accaduto negli ultimi 3 anni per i prodotti energetici. L’impennata dei prezzi che hanno mandato in confusione il mercato, nonostante quanto si crede, non è stata creata dall’aggressione russa all’Ucraina. Il prezzo del petrolio sino alla prima metà del 2021 era sui 55-60 $/barile, ma già nella seconda metà dell’anno si era mosso al rialzo portandosi, a fine 2021, a circa 80 $. Da gennaio 2022 ha dato inizio ad una nuova fase ascensionale con un massimo subito prima dell’inizio del conflitto a 110 $/barile e un secondo a giugno/luglio 2022, sui 115-118 $/barile. Ma da quel momento ha iniziato a scendere sino ai 60$ dell’autunno 2023. Questo andamento si è innestato sui tagli di produzione indotti dalla pandemia e sulla riduzione degli scambi a causa del conflitto combattuto anche sul piano economico con sanzioni e ritorsioni. A ciò si è sommata la prospettiva della riduzione dei prodotti fossili per la transizione climatica con il risultato di un’ulteriore contrazione dell’estrazione di petrolio e di gas. L’impennata dei prezzi si è estesa a tutte le commodity innescando l’inflazione mondiale da fine 2022 a luglio 2023. La fiammata dei prezzi e la riduzione della circolazione monetaria abbinata all’incremento dei tassi per frenarla hanno ridotto la domanda di tutti i beni, compresi anche gli alimentari. I costi sono saliti, in parte “trascinati” dall’onda inflazionistica e in parte da quelli degli input che usano energia per essere prodotti come carburanti, fertilizzanti, antiparassitari. L’offerta agricola si è contratta spingendo al rialzo i prezzi al secondo posto dopo gli energetici.
Installati sensori wireless per il monitoraggio costante delle condizioni ambientali e il controllo in tempo reale dell’andamento dei parametri di temperatura umidità e radiazione.
Se partiamo col pensare che, divenendo tutti vegani, ci risparmieremo l’inquinamento dovuto a tutte le vetture, navi, aerei e treni messi insieme, forse siamo un po’ lontani dalla realtà.
La transizione ecologica ha contribuito a riportare al centro del dibattito il tema delle aree interne, unitamente alle crisi alimentari ed energetiche, innescate dagli ultimi eventi (conflitto russo-ucraino), che ne hanno evidenziato il loro ruolo strategico.
I fenomeni di insostenibilità delle aree urbane e la nuova domanda di qualità della vita hanno fatto riemergere il ruolo delle aree interne e la necessità di una loro rigenerazione trasformativa, valorizzando il patrimonio di risorse di cui sono detentrici (risorse naturali, forestali, ambientali, paesaggistiche, storiche, culturali, alimentari, ecc.). Queste aree rappresentano i territori più fragili del paese, a rischio severo di desertificazione economica e sociale in conseguenza della generalizzata rarefazione delle attività antropiche e dei servizi, nonché del crescente spopolamento e indebolimento dei modelli di welfare (Barbera et al., 2022; Locatelli et al., 2022). Fenomeni, questi, non contrastati dalla Strategia Nazionale per lo Sviluppo delle Aree Interne (SNAI), attuata attraverso iniziative su “aree pilota” in tutte le regioni italiane, la quale dopo una fase di slancio iniziale, e a seguito delle prime analisi sui risultati conseguiti, ha evidenziato una sostanziale inefficacia (Interlandi, Famiglietti, 2022).
Più di recente, la guerra in Ucraina ha riportato nuovamente alla ribalta il tema, anche da un altro punto di vista, almeno nel dibattito fra gli addetti ai lavori, per la constatazione di un apparente incomprensibile paradosso: una minacciosa dipendenza esterna del nostro paese per risorse strategiche, quali cibo ed energia, che ha avuto significative ripercussioni economiche e sociali, a fronte di una diffusa e ampia sottoutilizzazione del potenziale produttivo di tali beni nelle aree interne.
Riduzione degli imballaggi in plastica e dei fitofarmaci, dopo la riforma del sistema Ig (acronimo di Indicazioni geografiche), sono tra i lavori qualificanti su cui le istituzioni europee si sono concentrate in questa IX legislatura, ormai al termine, in particolare al Parlamento che dal 2009 ho l’onore di rappresentare per l’Italia.
Sul primo tema, grazie alla dedizione costante di alcuni colleghi della commissione Agricoltura, con il voto favorevole a maggioranza del ‘regolamento imballaggi’, espresso a novembre, abbiamo dato una risposta concreta alla necessità di ridurre i rifiuti, senza tuttavia mettere a rischio migliaia di posti di lavoro in filiere produttive chiave per il nostro Paese, come quelle della carta e dell’agroalimentare. Tutelando inoltre i nostri consumatori che potranno così contare sugli elevati standard di igiene e di qualità che contraddistinguono il nostro sistema alimentare. Una questione spinosa e dirimente per la quale i negoziati con Consiglio e Commissione Ue potrebbero ora partire nei prossimi mesi.
Con questo voto potremo dire finalmente addio alle confezioni monouso di sapone, ai sovraimballaggi classici dei tubetti di dentifricio o ai cellofan sulle valigie in aeroporto. E poi abbiamo chiesto un approccio più realistico per quanto riguarda gli obiettivi di riuso degli imballaggi alimentari. Infatti abbiamo inserito una deroga per tutti quei Paesi che, come l’Italia, negli ultimi anni hanno investito in un sistema di riciclo ad alta qualità tra i più efficienti in Europa. E questo, a chi raggiungerà l’85% di riciclo degli imballaggi interessati, consentirà di essere esentato dall’obbligo di riuso.
Inoltre, comparti chiave del settore agroalimentare – dalle Ig all’ortofrutta e al florovivaismo, dai vini alle bevande alcoliche, fino alle bioplastiche e ai contenitori in carta della ristorazione – saranno esclusi da questo regolamento, limitando al massimo il rischio di ulteriori sprechi alimentari.
Per quanto riguarda i fitofarmaci, l’obiettivo indicato dalla Commissione fin dal 2019-2020 nel quadro più generale del Green Deal – il patto con i consumatori - è quello di dimezzare il loro uso per contenere l’impatto ambientale ed eventuali riflessi negativi sulla salute delle persone entro il 2030. Termine che nel novembre scorso, nel frattempo, è stato prorogato al 2035 e ridotto l’obiettivo al 35% in attesa di nuove norme che vadano incontro con alternative concrete alle necessità operative dei nostri agricoltori. Tuttavia con la bocciatura finale in plenaria se riparlerà la prossima legislatura!
L’agricoltura, scrive Marco Terenzio Varrone nel ‘De re rustica’, è “la scienza che insegna quali colture piantare in un tipo di terreno e le operazioni da fare per avere la maggiore produzione in perpetuo”. Fin dall’avvento dell’agricoltura, gli esseri umani hanno selezionato le piante con caratteristiche migliori tali da rispondere alle loro esigenze. Alla base di qualunque forma di agricoltura c’è la genetica, la scienza che studia la trasmissione dei caratteri ereditari negli organismi viventi.
La gestione agronomica dei sistemi colturali deve innovarsi per poter raggiungere gli obiettivi del Green Deal EU per il 2030. Tra gli obiettivi fissati, c’è la riduzione dell’impiego dei fertilizzanti e delle perdite dei nutrienti nel suolo. Questi obiettivi possono essere raggiunti attraverso l’impiego di prodotti biostimolanti che possono compensare la riduzione dell’apporto dei fertilizzanti senza riduzioni delle rese e della qualità dei prodotti.
Il Senato ha approvato, e la Camera dei deputati sta esaminando, la proposta di legge per il riconoscimento della figura dell’agricoltore custode dell’ambiente e del territorio
(v. https://documenti.camera.it/leg19/pdl/pdf/leg.19.pdl.camera.1304.19PDL0045190.pdf).
Il testo, all’art. 1, muove dal richiamo al nuovo testo dell’art. 9 della Costituzione, quanto alla tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, e tuttavia segna una significativa novità rispetto alla recente riforma costituzionale.
La Legge cost. 11 febbraio 2022, n. 1, che ha modificato gli artt. 9 e 41 della Costituzione, invero, non ha neppure nominato l’agricoltura e l’uso dei suoli, quasi che la tutela dell’ambiente e della biodiversità possa prescindere dall’utilizzazione dei suoli e delle altre risorse naturali ai fini della produzione agricola ed alimentare.
L’omissione in sede di riforma costituzionale non è in realtà sorprendente, perché di agricoltura, e più in generale di attività destinata alla produzione di cibo e di uso dei suoli per tale attività, non si era parlato nell’ambito del dibattito che ha accompagnato la recente riforma della costituzione.
D’altro canto – come è noto – la parola agricoltura non compare più nel testo vigente della costituzione, in esito alla riforma del 2001 (introdotta con L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 1, che ha modificato il Titolo V della Parte II, fra l’altro riscrivendo l’art. 117 cost.), che ha cancellato dall’elenco delle materie nominate nell’art. 117 cost. quella dell’agricoltura e foreste.
Anche quando, in questi ultimi anni, si è riaperto il confronto su eventuali riforme costituzionali, agricoltura e produzione agricola sono rimaste totalmente assenti dal dibattito.
La stessa ampia legge di riforma costituzionale del 2016, approvata dal Parlamento ma bocciata in sede referendaria, non prevedeva la reintroduzione della materia agricoltura e foreste nel testo dell’art. 117 cost., pur aggiungendo all’elenco delle competenze dello Stato “le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”, in qualche misura anticipando l’attenzione alla food security riemersa dopo la pandemia di Covid-19 e lo scoppio della guerra in Ucraina.
L'aspetto paradossale è che, successivamente alla riforma del 2001, la nostra Corte costituzionale è dovuta intervenire più volte in controversie tra lo Stato e le Regioni, nelle quali si discuteva di questioni che le Regioni rivendicavano come di propria competenza esclusiva collocandole in una materia, l’agricoltura, non nominata espressamente nell’art. 117 cost., e come tale rientrante – almeno ad una prima lettura – nella previsione del 4^ comma, in forza del quale «Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».
La Corte costituzionale, in un’articolata serie di sentenze, ha motivatamente respinto tale lettura, ricostruendo un quadro di principi e regole, ed un articolato contesto, nel quale collocare l’agricoltura. Le pronunce della Corte in materia sono numerosissime, a conferma dell’insostenibilità della scelta operata nel 2001. Basti dire, per ricordare qualche numero significativo, che dal gennaio 2002 al luglio 2019 sono oltre 400 le pronunce della Corte, che hanno investito questioni che in vario modo riguardano l’agricoltura, con un’impressionante dimensione del contenzioso costituzionale in argomento. Nella grande maggioranza dei casi la Corte ha respinto i ricorsi regionali contro leggi statali, che avevano previsto interventi nazionali attraverso l’esercizio di funzioni di politica economica ovvero attraverso attività di monitoraggio e vigilanza, ricostruendo la disciplina dell’agricoltura come essenzialmente unitaria e condivisa, a livello nazionale e comunitario.
Il tempo è galantuomo, e sta oggi maturando la consapevolezza che cancellare agricoltura e foreste dall’elenco delle materie nominate in costituzione, e non inserirla esplicitamente nel testo riformato degli artt. 9 e 41 della Costituzione, è stata una scelta davvero paradossale, per un paese come l'Italia, che rivendica da sempre la ricchezza della propria agricoltura e vanta nelle statistiche ufficiali la capacità di esportazione dei prodotti agroalimentari, sottolineando il primato quanto al numero di Prodotti del territorio riconosciuti in sede europea come DOP o IGP.
Si chiamano “piante della resurrezione” quelle che utilizzano particolari processi rappresentati da cicli di essiccazione e successiva reidratazione per sostenersi e rimanere vive.
Le specie xerofite sono vegetali capaci di vivere in ambienti caratterizzati da lunghi periodi di siccità o da clima arido o desertico, definiti genericamente ambienti xerici. Un gruppo particolare di piante xerofite manifesta anche adattamenti a vivere in suoli ad elevato accumulo di salinità. In questo caso vengono chiamate alofite e possono colonizzare anche ambienti umidi; tuttavia, per la presenza di una elevata pressione osmotica, mantengono prerogative analoghe a quelle adatte agli ambienti xerici.
Nei vegetali gli aspetti fisiologici sono in generale meno evidenti di quelli morfologici, ma in taluni casi possono rappresentare la più alta espressione di adattamento xerofitico. Questi adattamenti si traducono in una contrazione del ciclo biologico, una regolazione attiva delle aperture stomatiche, una fotosintesi tipo CAM (Crassulacean Acid Metabolism) e infine una disidratazione della fitomassa.
Il 14 novembre u.s. si è svolto a Firenze il Forum Mondiale sulle frane. Oltre 1100 i partecipanti da 69 paesi, con un programma di lavoro intenso focalizzato su come ridurre il rischio di frana a livello globale attraverso il monitoraggio e l’allerta rapida, la modellizzazione, la valutazione del rischio e le tecniche di mitigazione, lo studio della relazione con i cambiamenti climatici.
Le catastrofi recenti da quella dell’Emilia Romagna del maggio scorso a quella del 2-3 novembre in gran parte della Toscana accentuano, senza dubbio, l’importanza di questa assise; da un punto di vista pedologico ci preme sottolineare che la gran parte dei movimenti di massa verificatisi in queste catastrofi, come del resto in quella della Versilia del 1996, di Sarno del 1998, di Giampilieri 2009, della Lunigiana 2011, delle Marche 2022, di Ischia 2022, tanto per citare le più eclatanti, hanno riguardato esclusivamente il suolo. Certo c’è stato anche qualche movimento franoso che ha interessato anche la roccia sottostante ma la maggior parte dei movimenti di massa ha riguardato il suolo, che è stato trasportato a valle dal movimento turbolento delle acque, ricoprendo la pianura di quella coltre di fango che ha provocato le catastrofi. Il suolo infatti non è solamente lo strato superficiale interessato dalle lavorazioni agricole ma, come recita la definizione ufficiale europea, comprende tutto lo spessore della parte più esterna della crosta terrestre, situato tra la roccia o il sedimento inalterato e l’atmosfera. Tale spessore non è affatto omogeneo e si differenzia in orizzonti o strati con caratteristiche anche molto diverse tra loro e i cui passaggi tra loro possono essere abrupti. A seconda della natura degli orizzonti, si possono avere caratteristiche idrologiche completamente diverse, ad esempio, orizzonti che assorbono bene l’acqua posti sopra altri che invece ne rallentano o impediscono il drenaggio in profondità e favoriscono i movimenti idrici sub orizzontali. In questi casi vi è un rischio molto elevato di frana, che si accentua quando i limiti tra gli orizzonti sono netti. Rischio che si accentua ulteriormente nei terreni in pendio.
La catastrofe di Sarno del 1998 fu provocata da una gestione del territorio che ignorava le più elementari qualità di quel tipo di suolo, un suolo vulcanico con la capacità di assorbire acqua fino a quattro volte il proprio peso, perdendo quindi totalmente la sua consistenza quando si è in presenza di un eccesso di acqua che le piogge incessanti dell’epoca provocarono. A questo si aggiunse l’abbandono delle opere di regimazione idrica realizzate dai Borboni, i “regi lagni” e una non corretta gestione del territorio come la realizzazione di strade forestali nei castagneti.
A Giampilieri (2009) e Ischia (2022) la causa del disastro è da ricercarsi nell’abbandono dei terrazzamenti dove prima vi era una fiorente agricoltura.
Le recenti alluvioni da quella delle Marche, all’Emilia Romagna, alla Toscana di qualche giorno fa hanno una matrice comune che va dall’abbandono delle aree marginali montane a cominciare dagli anni Sessanta del secolo scorso e quindi dell’abbandono della cura e manutenzione del territorio e soprattutto l’abbandono della regimazione delle acque fin dall’origine del reticolo idrico, alla cementificazione selvaggia dalla bassa collina alla pianura.
Il 21 novembre si celebra la Giornata nazionale degli alberi, istituita come ricorrenza nazionale con una legge della Repubblica entrata in vigore dal febbraio 2013. L’obiettivo di questa celebrazione è quello di valorizzare l’importanza del patrimonio arboreo e di ricordare il ruolo fondamentale ricoperto da boschi e foreste. Pubblichiamo i commenti di tre accademici dei Georgofili a riguardo.
Il prossimo 26 novembre ricorre il World Olive Tree Day, istituito nel 2019 dall’Unesco, che lo ha incluso nella sua lista dei Patrimoni Culturali Immateriali (Intangible Cultural Heritage). La giornata serve a sensibilizzare la collettività verso una maggiore protezione dell’olivo e i valori che questo albero incarna in modo da contribuire ad apprezzare il valore sociale, economico, culturale e ambientale dell’olivicoltura nel mondo.
La sostenibilità nei processi di produzione delle filiere agroalimentari è argomento ampiamente discusso in ambito scientifico e tecnico. Potrebbe sembrare quindi pleonastico dedicare una giornata di studio alla sostenibilità dei processi di vinificazione. In realtà le cantine, private o cooperative, hanno già realizzato, o stanno per realizzare, interventi per migliorare la loro sostenibilità, ma non sempre con una visione completa rispetto ai tre pilastri della sostenibilità (ambientale, economica ed etica). Tra i requisiti dei vini che hanno impatto sulle scelte d’acquisto dei consumatori, secondo Nomisma Wine Monitor, si confermano importanti il territorio viticolo e la denominazione e/o indicazione geografica (37%), il prezzo e le promozioni (26%), ma il grado di sostenibilità, sia in termini di schemi volontari che di regime biologico, pesa per il 10%, misura sicuramente in grado di stimolare le scelte dei produttori. L’urgenza di fornire risposte ai consumatori porta le aziende a cercare soluzioni facilmente comunicabili, quindi sfruttabili ai fini commerciali, ma non sempre razionali e basate su una corretta e completa revisione del processo produttivo.
Gli aspetti ambientali della sostenibilità, soprattutto della gestione del vigneto, ed in particolare il regime di impiego dei fitofarmaci, hanno spesso monopolizzato l’attenzione dei consumatori, facendo sottovalutare aspetti altrettanto importanti, quali il risparmio in termini di CO2 emessa, la razionalizzazione del consumo di acqua, il riuso in termini circolari dei sottoprodotti.
Nella giornata di studio del 9 novembre 2023 (https://www.georgofili.it/contenuti/innovazioni-per-la-sostenibilit-nei-processi-di-vinificazione/19564), organizzata dai Georgofili in collaborazione con l’Accademia Italiana della Vite e del Vino e il Cluster Agrifood Nazionale, un gruppo di esperti ha condotto una analisi delle innovazioni che potrebbero contribuire ad un sostanziale progresso della sostenibilità dei processi di trasformazione dell’uva in vino, diminuendo l’impatto sull’ambiente, ma garantendo nel contempo un elevato livello di qualità e di sicurezza per il consumatore (Food Safety), poiché un corretto concetto di “naturalità” non si esprime nel “lasciare che la natura faccia il suo corso” senza controllare i processi, bensì nell’adozione di pratiche a basso impatto ambientale che consentano di ottenere vini sani, conservabili e con una forte identità varietale e territoriale.
Agricoltura e chimica: mondi apparentemente distanti anni luce, o talvolta addirittura contrapposti in modo quasi manicheo, dove il bene starebbe interamente dalla parte dell’agricoltura e il male totalmente dalla parte della chimica. La verità, come sempre, è assai più complessa e articolata. Sono innumerevoli le contiguità fra queste due discipline ed è ben noto come l’agricoltura, nel suo svilupparsi durante gli ultimi due secoli, abbia beneficiato della chimica, anche se spesso in modo incontrollato e potenzialmente dannoso. Per esaminare questa interazione fra discipline, muoverò, in modo forse per molti sorprendente, da una citazione letteraria, in particolare dal famoso romanzo francese Madame Bovary di Gustave Flaubert.
«Ma che c’entrate voi con l’agricoltura? Da quando in qua ve ne intendete?». «E come no? Me ne intendo: sono farmacista, vale a dire chimico! E la chimica, cara la mia signora, ha per oggetto la conoscenza dell’azione reciproca e molecolare di tutti i corpi che sono in natura, dal che deriva, è ovvio, che l’agricoltura rientra nel suo dominio! E, infatti, composizione dei concimi, fermentazione dei liquidi, analisi dei gas e influenza dei miasmi, cos’è tutto questo, ve lo domando, se non chimica, pura e semplice chimica? … Occorre tenersi al corrente della scienza, … star sempre all’erta per poter tempestivamente segnalare i miglioramenti.» E proprio sul tema del “tenersi al corrente della scienza”, è del tutto evidente come buona parte dei grandi progressi dell’agricoltura negli ultimi due secoli siano stati quasi sempre dovuti a scoperte e innovazioni provenienti dalla chimica, a partire dai concimi di sintesi a base di fosforo e azoto. Il nesso fra agricoltura e chimica è stato obiettivamente forte e duraturo, evidenziando proprio i grandi meriti della chimica e anche, però, le inevitabili controindicazioni del massiccio impiego di prodotti chimici artificiali. Oggi tutto ciò necessita di un’attenzione ancora più netta e puntuale a uno dei temi più dirompenti dell’evo contemporaneo, ossia l’esplosione demografica che ha reso cogente e indispensabile un incremento della produttività agricola senza precedenti, per poter conseguire l’obiettivo di alimentare ormai otto miliardi di individui nel nostro pianeta.
La locuzione “Intelligenza Artificiale” è stata coniata per la prima volta negli anni ’50 del secolo scorso, con l’obiettivo di imitare il comportamento del cervello umano nelle varie attività che lo vedono coinvolto nel mondo reale: effettuare complesse analisi di scenario, formulare ragionamenti, svolgere operazioni e prendere decisioni.
Più in particolare, essa mira a tradurre nel linguaggio matematico-informatico ciò che il cervello umano svolge nel contesto biologico. Appare dunque evidente come la volontà di simulare l’uomo e il funzionamento del suo cervello possa assumere, di fatto, un’infinità di possibili declinazioni che comportano, a loro volta, differenti approcci al problema.
Diversi obiettivi accomunano le varie forme di intelligenza artificiale:
• Agire come agirebbe l’uomo, nelle medesime situazioni in cui esso si trovi ad operare.
• Pensare come penserebbe l’uomo, affrontando le situazioni mediante funzioni cognitive.
• Seguire gli schemi del pensiero umano nella formulazione dei ragionamenti, secondo i presupposti della logica.
• Prendere decisioni orientate ad ottenere il miglior risultato possibile, sulla base dei dati effettivamente disponibili, del contesto di riferimento e delle informazioni che il cervello sintetico delle intelligenze artificiali riesce ad elaborare in maniera autonoma, in analogia con il cervello umano.
Per descrivere e divulgare in maniera sufficientemente comprensibile le caratteristiche e l’operato dei sistemi di intelligenza artificiale, si è fatta larga la distinzione tra Intelligenza Artificiale forte (Intelligenza Artificiale generale) e Intelligenza Artificiale debole (Intelligenza Artificiale ristretta). Va precisato che, finora, quest’ultima si è rivelata di gran lunga più efficace nel produrre risultati nelle applicazioni del mondo reale.
L’Intelligenza artificiale forte, quella davvero in grado di pensare e, almeno in teoria, superare le capacità intellettuali dell’uomo, non la vedremo per lungo tempo ancora. Infatti, ad oggi, non esiste un sistema di intelligenza artificiale in grado di operare in maniera del tutto autonoma per imitare e sostituire l’uomo, cioè capace di ragionare in modo consapevole, di trarre conclusioni e di prendere decisioni che non necessitino della supervisione dell’uomo.
Si tratta di un’ambizione molto complessa per vari fattori, che spaziano da tecnologie lungi dall’essere mature, all’incapacità di soddisfare i requisiti computazionali, al semplice fatto che si cerca di imitare qualcosa che, in fondo, non si conosce nemmeno alla perfezione: il cervello umano e il suo funzionamento. Perciò, un sogno fermo al palo!
L’intelligenza Artificiale debole, invece, è nelle app degli smartphone, nei termostati intelligenti, negli assistenti vocali come Alexa o Siri, nei videogame e nei social media: quando Facebook riconosce i volti ritratti in una fotografia, usa questa forma di intelligenza che viene alimentata da milioni di dati, dalla grossa capacità di esaminare tali dati e di incrociarli tra loro.
Nel secolo scorso i datteri apparivano solo per le feste natalizie e sulle tavole della buona borghesia italiana come una dolce esotica curiosità, mentre oggi la loro presenza è in continuo aumento e tende a destagionalizzarsi anche in nuove forme di consumo. Oltre tremila sono ora le tonnellate di datteri che ogni anno mangiando gli italiani per un valore di oltre venti milioni di Euro e con una tendenza di continua crescita.
Se consideriamo la visione del mondo che ha chi si forma nella fisica e chi nelle scienze agrarie vediamo subito una condivisione del metodo scientifico, anche se la prima disciplina viene ascritta più al campo delle scienze speculative mentre la seconda a quello delle scienze opportunistiche.
“Il consumo di suolo continua a trasformare il territorio nazionale con velocità elevate e crescenti. Nell’ultimo anno, le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 76,8 km2, il 10,2% in più del 2021. Si tratta, in media, di più di 21 ettari al giorno, il valore più elevato degli ultimi 11 anni, in cui non si erano mai superati i 20 ettari.
La crescita delle superfici artificiali ha interessato 2,4 metri quadrati di suolo ogni secondo ed è stata solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali, (che ha riguardato 6 km2, per lo più associati al recupero di aree di cantiere o di altro suolo consumato reversibile), facendo risultare ancora lontano l’obiettivo di azzeramento del consumo di suolo netto, che, negli ultimi dodici mesi, è invece risultato pari a 70,8 km2 (19,4 ettari al giorno, 2,2 m2/secondo) di cui 14,8 km2 di consumo permanente. A quest’ultimo valore vanno aggiunti altri 7,5 km2 passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile (rilevato nel 2021) a permanente, portando nell’ultimo anno a una crescita complessiva dell’impermeabilizzazione di 22,3 km2.”
Questo paragrafo è tratto dal Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2023” dell’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (ISPRA). Si ricorda che con consumo di suolo si intende l’incremento della copertura artificiale del suolo, copertura che lo rende impermeabile.
Già negli anni passati, quando viaggiavamo al ritmo di 2 metri quadrati al secondo di consumo di suolo, avevamo definito questi dati allarmanti e avevamo auspicato fortemente un’inversione di tendenza. Cosa dire alla luce dei dati attuali? Nemmeno la recente pandemia, che ha bloccato tutto in Italia, è riuscita a frenare questo fenomeno!
Il consumo di suolo riguarda tutte le Regioni d’Italia e gli incrementi maggiori, in termini di consumo di suolo netto avvenuto nell’ultimo anno, riguardano Lombardia (con 908 ettari in più), Veneto (+739 ettari), Puglia (+718 ettari), Emilia-Romagna (+635), Piemonte (+617). Anche la Toscana che, da tempo, ha assunto il consumo di suolo zero quale principio ordinatore delle politiche di governo territoriale non è riuscita a mantenere questo impegno sebbene detto consumo sia di entità inferiore alle suddette Regioni.
Eppure è stato ampiamente riconosciuto e sottolineato che il ritmo impressionante con cui si ripetono le catastrofi ambientali, dalle Marche (2022), a Ischia (2022), alla Romagna (2023), tralasciando le precedenti, dipendono, oltre che dalla crisi climatica in atto con eventi estremi ma non più eccezionali, anche dalle ampie superfici impermeabilizzate (suolo consumato), fiumi o corsi d’acqua tombati, ecc. Nonostante questo e nonostante i proclami di invertire la tendenza si continua imperterriti a cementificare.
Non si può rifiutare la forza persuasiva del profumo, essa penetra
in noi come l’aria, ci domina totalmente, non c’è modo di opporvisi …
(Patrick Suskind, 1985)
Il profumo è al tempo stesso benessere, espressione e condivisione (A. Martone, 2022). In questo ambito l’ingegno e la creatività non hanno confini, proprio dall‘Italia la moderna profumeria è stata esportata prima in Francia ad opera di Caterina de’ Medici e a Renato Bianco suo profumiere, quindi in Germania, a Colonia in particolare per merito di Giovanni Paolo Feminis con l’Aqua Mirabilis, resa famosa come Acqua di Colonia.
I profumi sono composti da vari tipi di ingredienti. La prima categoria è rappresentata dagli ingredienti naturali, essenzialmente da piante che producono sostanze odorose.
ENFLEURAGE: è l’antico metodo per estrarre le essenze dai petali fiorali, strutture troppo delicate per essere sottoposte ad elevate temperature. Sfrutta il principio basato su “il simile scioglie il simile”, essendo gli oli essenziali delle sostanze lipofile ottenute per estrazione a partire da piante ricche in «essenze». Le essenze vengono prodotte per molteplici ragioni e svolgono diverse funzioni: allelopatica, antibiotica e attrattivo per gli impollinatori.
Possono essere contenuti in varie parti della pianta: cime fiorite (lavanda, rosmarino, timo), fiori (camomilla, arancio, gelsomino, violetta), foglie (basilico, eucalipto, verbena), frutti (anice, finocchio, pepe, ginepro, vaniglia), scorza di frutti (arancio, bergamotto, limone), radici e rizomi (iris, zenzero).
Gli ω-3 e ω-6: acidi grassi insaturi essenziali per la salute, vengono definiti “essenziali” in quanto non sono sintetizzabili dall’organismo umano e come tali devono essere introdotti mediante l’alimentazione. Il solvente utilizzato per l’enfleurage è un grasso solido. In passato si usavano grassi animali come quello di maiale o bovino, oggi si utilizzano grassi vegetali come il benzoino o resina di stirace (sostanza balsamica estratta dalla corteccia dell'arbusto Styrax benzoin dotata di proprietà antibatteriche) o il burro Karité.
Le mandorle confezionate (confectum da conficere) in uno impasto di farina e miele esistono già al tempo dei Romani e ne parlano la famiglia Fazi (447 a.C.) e Apicio (14-37 d.C.). I cibi dolci risalgono però a tempi precedenti fino alla preistoria quando si usa il miele per conservare la frutta tra cui mele, pere, melograni e cotogne ottenendo masse dolci, conserve e frutta candita. Questi prodotti sono conosciuti dalle antiche autorità mediche e Ippocrate (460 a. C. – 377 a. C,) e Galeno (129 – 216 d. C.) li considerano mezzi terapeutici per cui i prodotti dolci a base di miele, e dal Medioevo anche di zucchero, sono per secoli associati alla medicina e usati come medicamenti.
La recente indagine dell’Osservatorio Waste Watcher International su cibo e sostenibilità, promosso dalla Campagna Spreco Zero in collaborazione con l’Università di Bologna e IPSOS (presentata a Roma in occasione della 4 Giornata internazionale ONU su perdite e sprechi alimentari, 29 Settembre, 2023), mette in relazione – fra gli altri indicatori - lo spreco alimentare con la nutrizione e la salute delle fasce economiche della popolazione. Condotta su un campione rappresentativo di 7.500 famiglie in 8 Paesi - Italia, Francia, Spagna, Germania, Olanda, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e, per la prima volta, l’Azerbaijan - dall’indagine emerge chiaramente che i ceti più poveri della popolazione non solo registrano un’alimentazione di qualità inferiore ma, paradossalmente, sprecano di più dal punto quantitativo e inoltre soffrono delle patologie legate al basso valore nutrizionale della dieta alimentare.
L'indagine ha rilevato una massiccia riduzione dello spreco domestico, con punte assai rilevanti in paesi dove a livello domestico si spreca di più come ad esempio gli USA, ancora 859 grammi pro capite alla settimana ma - 35% rispetto al 2022. Anche l’Italia riduce lo spreco domestico che scende sotto la soglia dei 500 g: -21% pari a 469 gr. Effetto dello scatto inflattivo, che porta le persone a diminuire gli acquisti, porre più attenzione a ciò che si compra, a ridurre il più possibile ciò che si getta via. Come nelle indagini degli anni passati, tuttavia, ciò che conta oltre al peso è anche la qualità degli alimenti gettati via: in Italia prevalentemente frutta fresca (27g), insalate (19,5g), pane fresco (18,8g) e verdure (17,1g). Sono prodotti alimentari che non solo hanno subito un incremento dei prezzi al dettaglio ma anche che si deteriorano più velocemente e si collocano alla base di una dieta sana e sostenibile come è il caso della Dieta mediterranea.
Il quadro economico, sociale e ambientale - effetto combinato della pandemia, guerra, e cambiamento climatico - si è molto deteriorato in tutti i Paesi con un’inflazione alimentare (e relativi tagli alla spesa come detto) che ha superato le due cifre in molte realtà e un indice di fiducia sul futuro molto basso. Le uniche due nazioni in cui la maggioranza dell’opinione pubblica mostra (un relativo) ottimismo solo gli Stati Uniti e l’Olanda. Nel primo paese l’indice di fiducia dei consumatori è al 54,4% mentre in Olanda è del 50,8%. Negli altri paesi, Italia compresa, il termometro volge al pessimismo. In tutte le realtà monitorate il giudizio sullo stato di salute dell’economia del proprio paese vede una maggioranza di cittadini assegnare una valutazione negativa. In Olanda siamo al 49% di cittadini che danno un giudizio sostanzialmente buono, mentre in Italia si scende al 33%, in GB al 28% e in Francia al 24%. A far da padrone nei giudizi negativi delle persone è appunto l’inflazione. È il nemico numero uno a livello mondiale e preoccupa il 43% degli americani e degli inglesi, il 40% dei francesi, il 38% dei tedeschi e il 31% di italiani e spagnoli. Solo gli olandesi hanno un tasso di tensione sul tema più basso che si colloca al 25%.
I FRUMENTI
Con “frumenti” intendiamo circa una ventina di specie e sottospecie coltivate o selvatiche, strettamente imparentate tra loro ed appartenenti al genere Triticum. Limitandoci ai frumenti coltivati utilizzati per l’alimentazione umana, abbiamo: i) il monococco (T. monococcum) che fu il primo frumento coltivato dall’uomo neolitico circa 12.000 anni fa, nella mezza luna fertile quando nacque l’agricoltura; ii) il farro (T. turgidum subspecie dicoccum), coltivato ai tempi degli antichi romani (dal termine farro deriva la parola farina); iii) il frumento duro (T. turgidum subspecie durum) che sostituisce il farro a partire dalla fine dell’impero romano; iv) il T. turgidum subspecie turanicum (noto commercialmente con il nome di kamut® o di “grano khorasan”), una sottospecie molto simile al grano duro evolutasi nel territorio dell’attuale Iran; v) lo spelta (T. spelta) e vi) il frumento tenero (T. aestivum). Infine, è importante sapere che alcune forme coltivate hanno semi vestiti, ossia i semi si presentano alla raccolta avvolti dalle glume che devono essere tolte (decorticatura) prima di procedere alla macinazione per produrre farina; sono frumenti vestiti il monococco, il farro e lo spelta. I frumenti in cui le glume si separano spontaneamente dal seme in fase di raccolta sono detti nudi; sono frumenti nudi il frumento duro, il frumento tenero ed il T. turanicum.
Complessivamente abbiamo 6 frumenti coltivati di cui tre vestiti e tre nudi, oltre ad altri frumenti selvatici o comunque non più coltivati. Per ciascuna delle specie coltivate, possiamo trovare antiche popolazioni locali (i frumenti che in Italia si coltivavano fino ai primi del ‘900), varietà cosiddette antiche (frumenti selezionati da ricercatori a partire dai primi del ‘900 sino agli anni ’60) e varietà moderne (dagli anni ’60 in poi).
A partire da 10.000 anni fa, l’uomo ha costantemente selezionato frumenti migliori, prima su basi totalmente empiriche e poi, a partire dai primi del ‘900, sfruttando le conoscenze genetiche e più recentemente quelle genomiche. Su basi empiriche l’uomo ha selezionato le forme coltivate differenziandole da quelle selvatiche (in quest’ultime i semi cadono dalla spiga una volta maturi, un carattere estremamente utile per la dispersione dei semi figli, ma che rende difficile la raccolta dei semi da parte dell’uomo) e successivamente ha preferito le forme nude, soprattutto se caratterizzate da semi grandi, per un’ovvia comodità in quanto i semi nudi non devono essere decorticati. Negli ultimi 100 anni si è tuttavia assistito ad un intenso lavoro di miglioramento genetico che ha portato alla selezione dei frumenti moderni attraverso un susseguirsi di nuove varietà.