Notiziario





Agricoltura e Chimica

Agricoltura e chimica: mondi apparentemente distanti anni luce, o talvolta addirittura contrapposti in modo quasi manicheo, dove il bene starebbe interamente dalla parte dell’agricoltura e il male totalmente dalla parte della chimica. La verità, come sempre, è assai più complessa e articolata. Sono innumerevoli le contiguità fra queste due discipline ed è ben noto come l’agricoltura, nel suo svilupparsi durante gli ultimi due secoli, abbia beneficiato della chimica, anche se spesso in modo incontrollato e potenzialmente dannoso. Per esaminare questa interazione fra discipline, muoverò, in modo forse per molti sorprendente, da una citazione letteraria, in particolare dal famoso romanzo francese Madame Bovary di Gustave Flaubert.
«Ma che c’entrate voi con l’agricoltura? Da quando in qua ve ne intendete?». «E come no? Me ne intendo: sono farmacista, vale a dire chimico! E la chimica, cara la mia signora, ha per oggetto la conoscenza dell’azione reciproca e molecolare di tutti i corpi che sono in natura, dal che deriva, è ovvio, che l’agricoltura rientra nel suo dominio! E, infatti, composizione dei concimi, fermentazione dei liquidi, analisi dei gas e influenza dei miasmi, cos’è tutto questo, ve lo domando, se non chimica, pura e semplice chimica? … Occorre tenersi al corrente della scienza, … star sempre all’erta per poter tempestivamente segnalare i miglioramenti.» E proprio sul tema del “tenersi al corrente della scienza”, è del tutto evidente come buona parte dei grandi progressi dell’agricoltura negli ultimi due secoli siano stati quasi sempre dovuti a scoperte e innovazioni provenienti dalla chimica, a partire dai concimi di sintesi a base di fosforo e azoto. Il nesso fra agricoltura e chimica è stato obiettivamente forte e duraturo, evidenziando proprio i grandi meriti della chimica e anche, però, le inevitabili controindicazioni del massiccio impiego di prodotti chimici artificiali. Oggi tutto ciò necessita di un’attenzione ancora più netta e puntuale a uno dei temi più dirompenti dell’evo contemporaneo, ossia l’esplosione demografica che ha reso cogente e indispensabile un incremento della produttività agricola senza precedenti, per poter conseguire l’obiettivo di alimentare ormai otto miliardi di individui nel nostro pianeta.

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Le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale in agricoltura

La locuzione “Intelligenza Artificiale” è stata coniata per la prima volta negli anni ’50 del secolo scorso, con l’obiettivo di imitare il comportamento del cervello umano nelle varie attività che lo vedono coinvolto nel mondo reale: effettuare complesse analisi di scenario, formulare ragionamenti, svolgere operazioni e prendere decisioni.
Più in particolare, essa mira a tradurre nel linguaggio matematico-informatico ciò che il cervello umano svolge nel contesto biologico. Appare dunque evidente come la volontà di simulare l’uomo e il funzionamento del suo cervello possa assumere, di fatto, un’infinità di possibili declinazioni che comportano, a loro volta, differenti approcci al problema.
Diversi obiettivi accomunano le varie forme di intelligenza artificiale:
Agire come agirebbe l’uomo, nelle medesime situazioni in cui esso si trovi ad operare.
Pensare come penserebbe l’uomo, affrontando le situazioni mediante funzioni cognitive.
Seguire gli schemi del pensiero umano nella formulazione dei ragionamenti, secondo i presupposti della logica.
Prendere decisioni orientate ad ottenere il miglior risultato possibile, sulla base dei dati effettivamente disponibili, del contesto di riferimento e delle informazioni che il cervello sintetico delle intelligenze artificiali riesce ad elaborare in maniera autonoma, in analogia con il cervello umano.

Per descrivere e divulgare in maniera sufficientemente comprensibile le caratteristiche e l’operato dei sistemi di intelligenza artificiale, si è fatta larga la distinzione tra Intelligenza Artificiale forte (Intelligenza Artificiale generale) e Intelligenza Artificiale debole (Intelligenza Artificiale ristretta). Va precisato che, finora, quest’ultima si è rivelata di gran lunga più efficace nel produrre risultati nelle applicazioni del mondo reale.
L’Intelligenza artificiale forte, quella davvero in grado di pensare e, almeno in teoria, superare le capacità intellettuali dell’uomo, non la vedremo per lungo tempo ancora. Infatti, ad oggi, non esiste un sistema di intelligenza artificiale in grado di operare in maniera del tutto autonoma per imitare e sostituire l’uomo, cioè capace di ragionare in modo consapevole, di trarre conclusioni e di prendere decisioni che non necessitino della supervisione dell’uomo.
Si tratta di un’ambizione molto complessa per vari fattori, che spaziano da tecnologie lungi dall’essere mature, all’incapacità di soddisfare i requisiti computazionali, al semplice fatto che si cerca di imitare qualcosa che, in fondo, non si conosce nemmeno alla perfezione: il cervello umano e il suo funzionamento. Perciò, un sogno fermo al palo!
L’intelligenza Artificiale debole, invece, è nelle app degli smartphone, nei termostati intelligenti, negli assistenti vocali come Alexa o Siri, nei videogame e nei social media: quando Facebook riconosce i volti ritratti in una fotografia, usa questa forma di intelligenza che viene alimentata da milioni di dati, dalla grossa capacità di esaminare tali dati e di incrociarli tra loro.

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Datteri non solo natalizi

Nel secolo scorso i datteri apparivano solo per le feste natalizie e sulle tavole della buona borghesia italiana come una dolce esotica curiosità, mentre oggi la loro presenza è in continuo aumento e tende a destagionalizzarsi anche in nuove forme di consumo. Oltre tremila sono ora le tonnellate di datteri che ogni anno mangiando gli italiani per un valore di oltre venti milioni di Euro e con una tendenza di continua crescita. 

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Agricoltura e Fisica

Se consideriamo la visione del mondo che ha chi si forma nella fisica e chi nelle scienze agrarie vediamo subito una condivisione del metodo scientifico, anche se la prima disciplina viene ascritta più al campo delle scienze speculative mentre la seconda a quello delle scienze opportunistiche.

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Aumentano le alluvioni, i dissesti idrogeologici … e anche il consumo di suolo!

“Il consumo di suolo continua a trasformare il territorio nazionale con velocità elevate e crescenti. Nell’ultimo anno, le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 76,8 km2, il 10,2% in più del 2021. Si tratta, in media, di più di 21 ettari al giorno, il valore più elevato degli ultimi 11 anni, in cui non si erano mai superati i 20 ettari.
La crescita delle superfici artificiali ha interessato 2,4 metri quadrati di suolo ogni secondo ed è stata solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali, (che ha riguardato 6 km2, per lo più associati al recupero di aree di cantiere o di altro suolo consumato reversibile), facendo risultare ancora lontano l’obiettivo di azzeramento del consumo di suolo netto, che, negli ultimi dodici mesi, è invece risultato pari a 70,8 km2 (19,4 ettari al giorno, 2,2 m2/secondo) di cui 14,8 km2 di consumo permanente. A quest’ultimo valore vanno aggiunti altri 7,5 km2 passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile (rilevato nel 2021) a permanente, portando nell’ultimo anno a una crescita complessiva dell’impermeabilizzazione di 22,3 km2.”
Questo paragrafo è tratto dal Rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2023” dell’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (ISPRA). Si ricorda che con consumo di suolo si intende l’incremento della copertura artificiale del suolo, copertura che lo rende impermeabile.
Già negli anni passati, quando viaggiavamo al ritmo di 2 metri quadrati al secondo di consumo di suolo, avevamo definito questi dati allarmanti e avevamo auspicato fortemente un’inversione di tendenza. Cosa dire alla luce dei dati attuali? Nemmeno la recente pandemia, che ha bloccato tutto in Italia, è riuscita a frenare questo fenomeno!
Il consumo di suolo riguarda tutte le Regioni d’Italia e gli incrementi maggiori, in termini di consumo di suolo netto avvenuto nell’ultimo anno, riguardano Lombardia (con 908 ettari in più), Veneto (+739 ettari), Puglia (+718 ettari), Emilia-Romagna (+635), Piemonte (+617). Anche la Toscana che, da tempo, ha assunto il consumo di suolo zero quale principio ordinatore delle politiche di governo territoriale non è riuscita a mantenere questo impegno sebbene detto consumo sia di entità inferiore alle suddette Regioni.
Eppure è stato ampiamente riconosciuto e sottolineato che il ritmo impressionante con cui si ripetono le catastrofi ambientali, dalle Marche (2022), a Ischia (2022), alla Romagna (2023), tralasciando le precedenti, dipendono, oltre che dalla crisi climatica in atto con eventi estremi ma non più eccezionali, anche dalle ampie superfici impermeabilizzate (suolo consumato), fiumi o corsi d’acqua tombati, ecc. Nonostante questo e nonostante i proclami di invertire la tendenza si continua imperterriti a cementificare.

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Le piante utili alla cosmetologia

Non si può rifiutare la forza persuasiva del profumo, essa penetra
in noi come l’aria, ci domina totalmente, non c’è modo di opporvisi …

(Patrick Suskind, 1985) 

Il profumo è al tempo stesso benessere, espressione e condivisione (A. Martone, 2022). In questo ambito l’ingegno e la creatività non hanno confini, proprio dall‘Italia la moderna profumeria è stata esportata prima in Francia ad opera di Caterina de’ Medici e a Renato Bianco suo profumiere, quindi in Germania, a Colonia in particolare per merito di Giovanni Paolo Feminis con l’Aqua Mirabilis, resa famosa come Acqua di Colonia.
I profumi sono composti da vari tipi di ingredienti. La prima categoria è rappresentata dagli ingredienti naturali, essenzialmente da piante che producono sostanze odorose.
ENFLEURAGE: è l’antico metodo per estrarre le essenze dai petali fiorali, strutture troppo delicate per essere sottoposte ad elevate temperature. Sfrutta il principio basato su “il simile scioglie il simile”, essendo gli oli essenziali delle sostanze lipofile ottenute per estrazione a partire da piante ricche in «essenze». Le essenze vengono prodotte per molteplici ragioni e svolgono diverse funzioni: allelopatica, antibiotica e attrattivo per gli impollinatori.
Possono essere contenuti in varie parti della pianta: cime fiorite (lavanda, rosmarino, timo), fiori (camomilla, arancio, gelsomino, violetta), foglie (basilico, eucalipto, verbena), frutti (anice, finocchio, pepe, ginepro, vaniglia), scorza di frutti (arancio, bergamotto, limone), radici e rizomi (iris, zenzero).
Gli ω-3 e ω-6: acidi grassi insaturi essenziali per la salute, vengono definiti “essenziali” in quanto non sono sintetizzabili dall’organismo umano e come tali devono essere introdotti mediante l’alimentazione. Il solvente utilizzato per l’enfleurage è un grasso solido. In passato si usavano grassi animali come quello di maiale o bovino, oggi si utilizzano grassi vegetali come il benzoino o resina di stirace (sostanza balsamica estratta dalla corteccia dell'arbusto Styrax benzoin dotata di proprietà antibatteriche) o il burro Karité.

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Confetti, una storia italiana

Le mandorle confezionate (confectum da conficere) in uno impasto di farina e miele esistono già al tempo dei Romani e ne parlano la famiglia Fazi (447 a.C.) e Apicio (14-37 d.C.). I cibi dolci risalgono però a tempi precedenti fino alla preistoria quando si usa il miele per conservare la frutta tra cui mele, pere, melograni e cotogne ottenendo masse dolci, conserve e frutta candita. Questi prodotti sono conosciuti dalle antiche autorità mediche e Ippocrate (460 a. C. – 377 a. C,) e Galeno (129 – 216 d. C.) li considerano mezzi terapeutici per cui i prodotti dolci a base di miele, e dal Medioevo anche di zucchero, sono per secoli associati alla medicina e usati come medicamenti.

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Agricoltura e Letteratura

La copula “Agricoltura & Letteratura” può rivelarsi problematica (almeno nella nostra Letteratura italiana), o addirittura frustrante. La letteratura italiana è infatti eminentemente urbana, a cominciare da Dante, il cui perimetro mentale è fieramente cittadino, e che non ha, per la villa e i villani, se non parole di sarcastico distacco. Anche Beatrice è una ragazza di città, rappresentata contro uno sfondo urbano ben riconoscibile, anche se misticamente trasfigurato.

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Lo spreco alimentare: nutrizione e salute

La recente indagine dell’Osservatorio Waste Watcher International su cibo e sostenibilità, promosso dalla Campagna Spreco Zero in collaborazione con l’Università di Bologna e IPSOS (presentata a Roma in occasione della 4 Giornata internazionale ONU su perdite e sprechi alimentari, 29 Settembre, 2023), mette in relazione – fra gli altri indicatori - lo spreco alimentare con la nutrizione e la salute delle fasce economiche della popolazione. Condotta su un campione rappresentativo di 7.500 famiglie in 8 Paesi - Italia, Francia, Spagna, Germania, Olanda, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e, per la prima volta, l’Azerbaijan - dall’indagine emerge chiaramente che i ceti più poveri della popolazione non solo registrano un’alimentazione di qualità inferiore ma, paradossalmente, sprecano di più dal punto quantitativo e inoltre soffrono delle patologie legate al basso valore nutrizionale della dieta alimentare.
L'indagine ha rilevato una massiccia riduzione dello spreco domestico, con punte assai rilevanti in paesi dove a livello domestico si spreca di più come ad esempio gli USA, ancora 859 grammi pro capite alla settimana ma - 35% rispetto al 2022. Anche l’Italia riduce lo spreco domestico che scende sotto la soglia dei 500 g: -21% pari a 469 gr. Effetto dello scatto inflattivo, che porta le persone a diminuire gli acquisti, porre più attenzione a ciò che si compra, a ridurre il più possibile ciò che si getta via. Come nelle indagini degli anni passati, tuttavia, ciò che conta oltre al peso è anche la qualità degli alimenti gettati via: in Italia prevalentemente frutta fresca (27g), insalate (19,5g), pane fresco (18,8g) e verdure (17,1g). Sono prodotti alimentari che non solo hanno subito un incremento dei prezzi al dettaglio ma anche che si deteriorano più velocemente e si collocano alla base di una dieta sana e sostenibile come è il caso della Dieta mediterranea.
Il quadro economico, sociale e ambientale - effetto combinato della pandemia, guerra, e cambiamento climatico - si è molto deteriorato in tutti i Paesi con un’inflazione alimentare (e relativi tagli alla spesa come detto) che ha superato le due cifre in molte realtà e un indice di fiducia sul futuro molto basso. Le uniche due nazioni in cui la maggioranza dell’opinione pubblica mostra (un relativo) ottimismo solo gli Stati Uniti e l’Olanda. Nel primo paese l’indice di fiducia dei consumatori è al 54,4% mentre in Olanda è del 50,8%. Negli altri paesi, Italia compresa, il termometro volge al pessimismo. In tutte le realtà monitorate il giudizio sullo stato di salute dell’economia del proprio paese vede una maggioranza di cittadini assegnare una valutazione negativa. In Olanda siamo al 49% di cittadini che danno un giudizio sostanzialmente buono, mentre in Italia si scende al 33%, in GB al 28% e in Francia al 24%. A far da padrone nei giudizi negativi delle persone è appunto l’inflazione. È il nemico numero uno a livello mondiale e preoccupa il 43% degli americani e degli inglesi, il 40% dei francesi, il 38% dei tedeschi e il 31% di italiani e spagnoli. Solo gli olandesi hanno un tasso di tensione sul tema più basso che si colloca al 25%.

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Frumento, conosciamolo meglio

I FRUMENTI
Con “frumenti” intendiamo circa una ventina di specie e sottospecie coltivate o selvatiche, strettamente imparentate tra loro ed appartenenti al genere Triticum. Limitandoci ai frumenti coltivati utilizzati per l’alimentazione umana, abbiamo: i) il monococco (T. monococcum) che fu il primo frumento coltivato dall’uomo neolitico circa 12.000 anni fa, nella mezza luna fertile quando nacque l’agricoltura; ii) il farro (T. turgidum subspecie dicoccum), coltivato ai tempi degli antichi romani (dal termine farro deriva la parola farina); iii) il frumento duro (T. turgidum subspecie durum) che sostituisce il farro a partire dalla fine dell’impero romano; iv) il T. turgidum subspecie turanicum (noto commercialmente con il nome di kamut® o di “grano khorasan”), una sottospecie molto simile al grano duro evolutasi nel territorio dell’attuale Iran; v) lo spelta (T. spelta) e vi) il frumento tenero (T. aestivum). Infine, è importante sapere che alcune forme coltivate hanno semi vestiti, ossia i semi si presentano alla raccolta avvolti dalle glume che devono essere tolte (decorticatura) prima di procedere alla macinazione per produrre farina; sono frumenti vestiti il monococco, il farro e lo spelta. I frumenti in cui le glume si separano spontaneamente dal seme in fase di raccolta sono detti nudi; sono frumenti nudi il frumento duro, il frumento tenero ed il T. turanicum.
Complessivamente abbiamo 6 frumenti coltivati di cui tre vestiti e tre nudi, oltre ad altri frumenti selvatici o comunque non più coltivati. Per ciascuna delle specie coltivate, possiamo trovare antiche popolazioni locali (i frumenti che in Italia si coltivavano fino ai primi del ‘900), varietà cosiddette antiche (frumenti selezionati da ricercatori a partire dai primi del ‘900 sino agli anni ’60) e varietà moderne (dagli anni ’60 in poi).
A partire da 10.000 anni fa, l’uomo ha costantemente selezionato frumenti migliori, prima su basi totalmente empiriche e poi, a partire dai primi del ‘900, sfruttando le conoscenze genetiche e più recentemente quelle genomiche. Su basi empiriche l’uomo ha selezionato le forme coltivate differenziandole da quelle selvatiche (in quest’ultime i semi cadono dalla spiga una volta maturi, un carattere estremamente utile per la dispersione dei semi figli, ma che rende difficile la raccolta dei semi da parte dell’uomo) e successivamente ha preferito le forme nude, soprattutto se caratterizzate da semi grandi, per un’ovvia comodità in quanto i semi nudi non devono essere decorticati. Negli ultimi 100 anni si è tuttavia assistito ad un intenso lavoro di miglioramento genetico che ha portato alla selezione dei frumenti moderni attraverso un susseguirsi di nuove varietà.

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Quando l’olio di oliva cambiò la storia dell’Uomo

Sono i Calibei nel periodo 1400-1200 a.C. che riescono a lavorare il ferro con lo sviluppo di tecniche di fusione a temperature più alte di quelle usate per altri metalli quali oro e rame che fondono a temperature più basse. Questo popolo costruisce forni capaci di ottenere temperature superiori a 1300 °C. sufficienti per fondere il ferro. In questi formi si usa il minerale grezzo triturato insieme a legna da ardere messo in crogiuoli a tiraggio naturale, orientando i forni secondo la direzione dei venti delle vallate, poi usando mantici e soprattutto aggiungendo come combustibile e l’olio d’oliva.

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Italia in ritardo, solo poche città scommettono sul verde e sulle bici

Siamo ormai in piena era dell'Antropocene, un'epoca in cui le attività umane sono diventate la forza trainante delle principali trasformazioni globali, spesso a discapito dell'equilibrio del nostro pianeta. In questo contesto, una delle questioni più preoccupanti è l'inadeguatezza con cui molte città pianificano e gestiscono le aree verdi.

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Una curiosa striscia dei Peanuts di Schulz dedicata a Rachel Carson (1963)

Tutti conoscono Charles M. Schulz (1922-2000), considerato l’autore di fumetti (‘cartoonist’) più influente della storia. La sua striscia giornaliera, denominata ‘Peanuts’ (‘noccioline’), è comparsa in migliaia di giornali quotidiani in oltre 70 Paesi e una ventina di lingue ed è tuttora oggetto di repliche. La produzione complessiva, nell’arco di 50 anni, sfiora le 18.000 unità. Quella che è certamente la saga umoristica più deliziosa nella storia è centrata sulle vicende di un gruppo di bambini (Linus, Charlie Brown, Lucy, ecc.) e del cane bracchetto umanizzato Snoopy, dei quali l’autore mette in evidenza, con una grafica essenziale ma efficacissima, le sfaccettature psicologiche pur all’interno di caratteri tipici che ne fecero delle vere e proprie maschere. Le frustrazioni, insicurezze, illusioni e ansie dei personaggi bambini dei Peanuts hanno sempre rispecchiato quelle dei lettori adulti, aggiungendovi tenerezze fanciullesche che hanno appassionato i lettori, costruendo nel tempo un successo presso generazioni diversissime. La serie ha raccontato la società americana del secondo Novecento in equilibrio fra ironia, filosofia e poesia e un intellettuale della statura di Umberto Eco annovera l’autore fra i più importanti protagonisti della letteratura statunitense. Il sogno americano visto ad altezza di bambino (o di bracchetto) diventa una commedia umana con profonde riflessioni esistenziali filtrate dall’innocenza dell’infanzia.
Da attento osservatore della società, Schulz non poteva non imbattersi nella figura di Rachel Carson, la biologa che coraggiosamente si è battuta per attrarre l’attenzione dei decisori pubblici sui pericoli legati all’uso indiscriminato degli insetticidi di sintesi.
Personaggio popolarissimo, la coraggiosa autrice del volume “Silent Spring” viene individuata come donna eroica e figura di riferimento positiva (oggi, forse, diremmo ‘influencer’) per le bambine e le ragazze. Ad esempio, Lucy, l’ardente femminista sorella di Linus, dichiara orgogliosa a Charlie Brown che la propria mazza da baseball è firmata non da campioni maschili, ma da Rachel Carson!
(https://www.facebook.com/silentspringmovie/photos/a.291983947574998/291986730908053/?type=3&locale=zh_CN).
Una delle strisce a lei dedicate presenta, però, alcuni aspetti quantomeno curiosi. Si tratta di quella pubblicata in origine il 20 febbraio 1963. Il libro era uscito con grande clamore alla fine di settembre 1962, ma in realtà ampi stralci erano ben noti da alcuni mesi, essendo stati anticipati dal settimanale The New Yorker. L’impatto sull’opinione pubblica era stato impressionante e Rachel era saldamente in testa alle classifiche di vendita. Per tutti era l’autrice di Silent Spring, anche se in passato la sua notorietà era stata legata a una trilogia di testi dedicati alla vita nel mare, l’ultimo dei quali edito nel 1955. Cionostante, quando Lucy – adagiata con le spalle sul pianoforte giocattolo di Schroeder – se ne esce con una profonda riflessione (“Rachel Carson dice che quando la nostra Luna è nata non c’erano oceani sulla Terra”), tale da suscitare la reazione del ragazzo (“Non fai altro che parlare di Rachel Carson”), il riferimento non è all’attuale (allora) e prevalente motivo della fama di Rachel (la campagna ambientalista), ma al suo trascorso (oramai remoto) di biologa marina.

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Il benessere degli animali in allevamento: quali sono l’interesse e le preoccupazioni di noi consumatori

Un recente articolo apparso sul “Corriere della Sera” a firma di Alessandro Sala informava che “il 90% degli italiani vorrebbe più benessere per gli animali da allevamento”, riferendosi ad un sondaggio di “Eurobarometro” del marzo 2023. In effetti, il sondaggio risulta effettuato, come dice l’articolo, in 27 paesi europei, ma il “Corriere” concentra l’attenzione soprattutto sugli umori dei consumatori italiani che, con il loro 90%, hanno dimostrato di porsi in Europa in posizione intermedia in termini di sensibilità al problema. Fra questi, il 79% ha dichiarato di essere interessato a maggiori informazioni sulle condizioni di allevamento e trasporto, ma solo il 27% controlla abitualmente le etichette al momento dell’acquisto. Più della metà degli interpellati, il 54%, si è dichiarata disposta a pagare di più i prodotti provenienti da allevamenti attenti al benessere animale, anche del 10-15%. Per lo meno nelle intenzioni.
Per cominciare, qualche riflessione sul rapporto fra l’uomo e gli animali non da compagnia che alleva. Una decina di migliaia di anni fa l’uomo si è scocciato di cacciare gli animali per procurarsi proteine nobili sotto forma di carne, latte e pelli ed ha capito che era più comodo allevare quegli stessi animali, addomesticati, ovviamente chiusi in recinti. E sono cominciati i problemi connessi alla densità degli animali allevati per unità di superficie: stress per la mancanza di libertà di movimento, fastidio per la presenza ravvicinata di altri individui con conseguenti comportamenti anche aggressivi, facilità della diffusione di malattie, impossibilità di difendersi, con le migrazioni, da condizioni estreme di eventi climatici e meteorologici. Tutto ciò parzialmente compensato dalla disponibilità immediata per gli animali di alimenti e di acqua, della difesa nei riguardi dei predatori e delle cure, in generale, da parte dell’allevatore.
Ed ecco emergere il concetto di “benessere animale”. Sembra del tutto evidente che l’allevatore, che investe tempo, lavoro e denaro nella sua impresa, abbia tutto l’interesse a che i suoi animali stiano il meglio possibile: otterrà dai suoi animali prodotti apprezzabili in termini di quantità e, soprattutto, di qualità.

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Non c’è calma dopo la tempesta

Sono trascorsi ormai cinque anni da quando i territori montani delle regioni dell’Italia nord-orientale furono interessati dalla tempesta Vaia che dal 27 al 30 ottobre 2018 li investì con la forza di un uragano. E in effetti Vaia è stato un evento meteorologico classificato come “Medicane” ossia “Mediterranean hurricane”, un uragano sviluppatosi nel bacino del Mediterraneo, ma con tutte le caratteristiche proprie di un uragano tropicale.
Gli effetti per i territori montani furono devastanti: a una prima fase con precipitazioni piovose di elevata intensità fece seguito una seconda fase, anch’essa con precipitazioni piovose sostenute, ma caratterizzata da venti ad alta velocità (prossime a 200 km/h) con prevalente direzione SE, in grado quindi di penetrare nelle valli alpine senza trovare alcun ostacolo.
Se le intense precipitazioni piovose innescarono fenomeni di erosione idrica e di trasporto solido che crearono pesanti danni a persone, edifici e infrastrutture (strade, ponti, linee elettriche e telefoniche, acquedotti, funivie) il forte vento fu la causa prevalente dei danni arrecati ai boschi, con l’atterramento e il danneggiamento di 16 milioni di alberi corrispondenti a quasi 9 milioni di metri cubi di legname.
Naturalmente l’atterramento e il danneggiamento degli alberi costituiscono il danno primario al quale va a sommarsi il danno secondario rappresentato da: alberi inclinati e quindi da abbattere, riduzione della produzione degli alberi rimasti apparentemente intatti (riduzione degli accrescimenti dovuti all’indebolimento dell’apparato radicale stressato dal vento), alterazioni delle condizioni della vegetazione, riduzione dell’erogazione di servizi eco-sistemici (sequestro di CO2), aumento del rischio di incendio, alterazioni (pur se temporanee) del paesaggio.
L’ordinanza di protezione civile dichiarata nei giorni successivi all’evento consentì di effettuare con rapidità tutta una serie di interventi volti al consolidamento dei territori, la messa in sicurezza dei versanti, la ricostruzione delle infrastrutture, la raccolta del legname. Ad oggi si stima che una percentuale variabile tra il 75 e il 90% del legname danneggiato dalla tempesta Vaia sia stato raccolto; la quota mancante è dovuta principalmente all’inaccessibilità dei luoghi che non permette l’accesso ai mezzi o che rende economicamente inattuabile; a raccolta e alle funzioni di protezione dalla caduta di massi e/o di slavine che il legname a terra è in grado di esercitare in attesa del completamento della costruzione delle barriere paramassi e paravalanghe.

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La IV Gamma tra sostenibilità e mercato

Può un prodotto vegetale ad altissimo contenuto di servizio andare in crisi mettendo a repentaglio 1 miliardo di euro di giro d’affari, migliaia di posti di lavoro e l’economia di interi territori al Nord come al Sud? Sì può succedere, per un combinato disposto di calo dei consumi, concorrenza al ribasso, impoverimento delle famiglie causato dal caro-vita, l’eccesso e la polverizzazione dell’offerta. E’ quello che sta capitando al comparto degli ortaggi di IV Gamma (in primo luogo le insalatine in busta).
“E così, un prodotto familiare per il 93% degli italiani, rischia di non essere fatto più nel nostro Paese. Parliamo di un sistema che coinvolge centinaia di imprese agricole sul territorio nazionale e che soprattutto garantisce ai cittadini di poter contare su ortofrutta di qualità pronta all’uso. Un segmento che dà un aiuto fondamentale a raggiungere la quota dei 400 grammi al giorno di ortofrutta consigliati dall’OMS per una dieta salutare”, dice a FreshCutNews.it – il sito di riferimento del settore- Antonio Salvatore, coordinatore del Comitato IV Gamma dell’OI (Organismo Interprofessionale).
Il comparto, messo con le spalle al muro, sta però reagendo.  Con un plus di innovazione legato al Vertical Farming, nuova frontiera dell’agricoltura sostenibile, complessi indoor dove le piante crescono in verticale in un ambiente controllato e senza impiego di chimica.   Recentemente è stata inaugurata a Verolanuova (BS) la vertical farm “Kilometro Verde” dove da fine anno si produrrà l’insalatina Petali, con materia prima che (al momento) arriva dalla vicina Manerbio, comune dove ha sede La Linea Verde, una delle aziende storiche del comparto. Giuseppe Battagliola ha presentato Petali, prodotto pronto al consumo da lui definito “rivoluzionario” nel panorama italiano del fresh cut per “il gusto, la shelf life e la croccantezza decisamente superiori alla media, grazie a prodotti coltivati utilizzando una tecnologia innovativa a zero impatto ambientale”. Kilometro Verde è totalmente automatizzata, si basa sulla coltura idroponica indoor, con qualità garantita tutto l’anno, non essendo il prodotto soggetto a variazioni climatiche, come pure la freschezza, grazie ai pochi minuti che trascorrono dal momento della raccolta a quello del confezionamento.  Il brand Petali, che per ora ha fatto il suo ingresso in un numero limitato di insegne e store, dà il nome a una linea di teen leaf di calibro medio, “con foglia spessa, asciutta, consistente e dalla croccantezza unica”, precisa Battagliola. Nasce da un seme non trattato, e da un processo controllato in tutte le sue variabili. Il confezionamento avviene subito dopo il taglio, così il prodotto rimane fresco e buono per più tempo, migliorando la stessa shelf life “molto più ampia di una tradizionale insalata di IV Gamma”.

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Perché gli italiani mangiano poca frutta

Perché gli italiani mangiano sempre meno frutta? Non facile se non impossibile rispondere in modo semplice a una domanda su un fenomeno molto complesso e che riguarda l’Italia come altre società ricche e industrializzate. Alcuni richiami e considerazioni possono aiutare a comprendere la una scarsa presenza di frutta nell’alimentazione italiana e gli insuccessi fatti per aumentarne l’uso.

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Quando ai cannibali della Polinesia non era consentito mangiare gli Americani

La storia dell’insetticida organico DDT (1,1,1-tricloro-2,2-bis(p-clorofeniletano), abbreviato in Dicloro-Difenil-Tricloroetano) è quanto mai bizzarra. La molecola, sintetizzata “quasi per gioco” nel 1873 da uno studente austriaco, Ohtmar Zeidler, che fece reagire cloralio (tricloroacetaldeide) e clorobenzene, rimase per quasi 70 anni una mera curiosità scientifica, priva di qualsivoglia applicazione. Si arriva al 1939, quando Paul Müller, un giovane ricercatore della compagnia elvetica Geigy (tuttora operativa dopo varie vicissitudini societarie nell’ambito del gruppo Novartis) brevetta il composto, dopo averne verificato le notevoli proprietà insetticide. Salutata come scoperta rivoluzionaria e liberatoria, la molecola in realtà nascondeva trappole di varia natura da cui è stato faticoso uscire. Ampio spettro di azione (arma, peraltro, a doppio effetto, in quanto la mancata selettività si dimostrerà un limite invalicabile), efficacia a basso dosaggio e lunga persistenza, così come scarsa tossicità acuta per l’Uomo, ne fecero subito un prodotto strategico. Fondamentali campi di applicazione si dimostrarono quelli relativi al contrasto a insetti vettori di patogeni mortali, quali il plasmodio agente della malaria (veicolato da zanzare del genere Anopheles) e il batterio della famiglia delle rickettsie responsabile del tifo esantematico (trasmesso dai pidocchi umani). La notevole attività biocida dimostrata da DDT nei confronti di questi artropodi non sfuggì all’attenzione dei vertici militari degli Stati Uniti, appena coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale, e l’insetticida entrò ben presto a far parte dell’arsenale strategico delle truppe di terra e di mare. 

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Olivicoltura mediterranea e cambiamento climatico

Il cambiamento climatico pone sfide sempre più rilevanti ed in alcuni casi drammatiche al nostro sistema agroalimentare. Alcune filiere si stanno dimostrando particolarmente suscettibili e vulnerabili nei confronti delle mutate condizioni ambientali, tra queste va purtroppo inclusa la filiera olivicolo olearia. Per inquadrare in modo corretto il problema va ricordato che, pur avendo visto, la coltivazione dell’olivo nell’ultimo trentennio, un’espansione in aree geografiche collocate al di fuori del bacino del mediterraneo, ciò non di meno una gran parte della produzione olivicola mondiale si concentra ancora nell’ambito del suddetto areale.  Va infatti ricordato che solo la Spagna produce da sola poco più del 40% della produzione mondiale e mettendo insieme i volumi di prodotto di altri Paesi mediterranei arriviamo a circa il 90% dell’olio di oliva ottenuto su scala mondiale.
Questo significa che gli eventi climatici atipici, connessi al cambiamento climatico, che possono compromettere la produzione degli oli di oliva all’interno dell’areale mediterraneo, comportano perdite di prodotto di entità tali da non potere essere, se non marginalmente, rimpiazzate da eventuali incrementi di produzione, che potrebbero verificarsi nei Paesi produttori esterni alla suddetta area. Una prova eclatante di quanto affermato è da ricercare in quanto verificatesi lo scorso anno, quando la produzione Spagnola ha subito, causa le alte e prolungate temperature estive, associate ad una perdurante siccità, una riduzione di quasi il 50% rispetto alle medie di produzione degli anni precedenti e, purtroppo, qualcosa di simile si preannuncia per l’ormai imminente nuova campagna olearia.  Anche in questo caso la Spagna è il Paese più direttamente coinvolto a causa della scarsa allegazione dei frutti dovuta alla siccità ed alle elevate temperature registrate, in fase di fioritura ed allegazione, in Andalusia, la più importante area di produzione olivicola Spagnola. Questo significa che quando un paese come la Spagna che da solo produce intorno a 1,2-1,4 milioni di tonnellate di olio (circa il 40% dell’olio mondiale) va in sofferenza produttiva a poco possono servire, in termini di compensazione sui volumi mancanti, i potenziali incrementi di produzione di altri Paesi mediterranei, Italia in testa, che ormai si colloca stabile tra le 200.000 e 350.00 tonnellate annue di olio (tra 8% ed il 10% della produzione mondiale).

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Il rapporto FAO sullo stato del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in alimentazione ed agricoltura

Nei giorni scorsi a New York la comunità internazionale ha discusso lo stato della situazione riguardo il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall’agenda 2030 delle Nazioni Unite. La complessa situazione internazionale che stiamo vivendo ha certamente reso ancora più difficile questo esercizio fondamentale. Per cercare di focalizzare al meglio il lavoro da fare, la FAO ha presentato un Rapporto specifico per il monitoraggio degli obiettivi relativi all’alimentazione e all’agricoltura.

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Le emissioni di carbonio in atmosfera e le proposte dell’industria mangimistica europea

Almeno nelle intenzioni, i vari attori del settore zootecnico europeo si stanno dando da fare per contrastare l’aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera. Purtroppo, l’Europa non è che una piccola parte del nostro pianeta ...

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Le proprietà dei funghi nel "Sommario di Botanica medico-farmaceutica" di Antonio Targioni Tozzetti

Di estremo interesse è il Sommario di botanica medico-farmaceutica e di materia medica per uso degli studenti di Farmacia, realizzato da Antonio Targioni Tozzetti. Articolato in due densi volumi fu stampato nel 1830, a Firenze, da Giuseppe Galletti e s’impose subito all’attenzione per il ruolo ricoperto dall’autore, apprezzato Professore di Botanica e di Materia Medica nell’Arcispedale di Santa Maria Nuova, il massimo nosocomio fiorentino.
Targioni Tozzetti aveva dedicato ai funghi notevole spazio nella sua trattazione, giungendo a definirli: “Piante semplici carnose, o legnose, o sugherose di varia figura, mancanti di fusto, di rami, di foglie e di frondi; sporangi sparsi alla superficie, o inviluppati nella parte interna del fungo, o formanti da loro stessi la pianta”.
I porcini emergevano per la loro qualità ed erano presenti in natura con numerose specie: Boletus Edulis, Boletus Esculentus, Boletus Bulbosus, Boletus Reticulatus, Boletus Aestivus, Boletus Mutabilis e Ceryomices phragmites Rufus. Erano “funghi ottimi a mangiarsi e sono nutritivi. Rompendoli sono bianchi nell’interno e non mutano colore. Il cappello è a guancialetto convesso, piano, di colore di tabacco scuro, di sotto bianco giallastro, o giallo verdastro. Stipite prima rigonfio, poi cilindrico ed un poco retato. Si trovano in grande abbondanza nella primavera e più ancora in autunno. Hanno buon sapore e odore”.

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Il tempo per le piante e le piante nel tempo: l’orologio del clima

Misurare il tempo significa per noi, gli umani, affidarci all’alternarsi delle ore di buio o di luce e, quindi al moto di rotazione della terra e al cosiddetto ‘giorno solare’, che dura mediamente 24 ore, con leggerissimi mutamenti legati all’orbita della terra nel suo moto ellittico di rivoluzione terrestre intorno al sole, che ha una durata pari a 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 49 secondi. Gli uomini hanno creato un sistema comune per mettere ordine nel tempo e per costruire una cronologia. Quello strumento è il calendario che si basa su unità di tempo e lo suddivide. Il calendario non è solo una sorta di misura, di ordine del tempo, ma è una storia, contiene ricorrenze religiose e laiche, contiene la storia di Paesi, uomini e di santi. Il calendario è legato al sole o alla luna, o ad ambedue, e tutte le grandi civiltà, da quella egizia a quella persiana, all’ebraica, alla cristiana, alla cinese e all’indiana, ne hanno sviluppato uno, distinguendolo in mesi, settimane, giorni.
Un lavoro straordinario sviluppato dalle migliori menti dell’umanità, nella consapevolezza del legame profondo tra la nostra terra e l’universo intero e, quindi, tra le nostre vite e l’infinito.
E le piante, cosa fanno? Sono forse elementi passivi del tempo? Lo misurano? Ne hanno contezza?
E le loro vite sono scandite da una sorta di determinato orologio interno che ne definisce la durata, la vita media?
E soprattutto, sono gli anni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti, i secondi l’unità di misura del tempo delle piante?
Non è fantasia immaginare una relazione tra la vita delle piante e le fasi lunari. Nella pratica boschiva si discute dell’influenza della fase lunare sulla qualità del legno e, d’altra parte, le fasi lunisolari influenzano fenomeni come le maree e non sorprende che le differenze gravitazionali influenzino la vita delle piante. L’agricoltura biodinamica ne fa un postulato, ma non esistono evidenze scientifiche e, d’altra parte, non è neanche semplice studiare questi fenomeni, nel tempo e nello spazio.
L’uomo studia da sempre le relazioni tra tempo, inteso come cronologia, e vita delle piante. È quello che si fa in campi di studio come l’ecofisiologia e la fenologia entrambi finalizzati a studiare le manifestazioni stagionali di alcuni fenomeni della vita vegetale, come la fioritura, la maturazione dei frutti, il germogliamento primaverile.
Quello che è certo è che le piante hanno una straordinaria capacità di ‘leggere’ il tempo e certamente le specie perenni, gli alberi lo ‘scrivono’ nel divenire del loro accrescimento annuale.

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Segnalata in Sicilia la presenza della pericolosa Formica di fuoco

Le operaie in pericolo iniettano un veleno i cui effetti sono simili a quelli di una ustione e da cui deriva il nome comune di Formica di fuoco o di Fire ant, con il quale nel 1998 è stata anche protagonista del film horror “Legion of Fire: Killer Ants”.

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Uva e ampeloterapia

Ampeloterapia è un termine per la prima volta registrato nel 1892 e composto da ampelo (uva) e terapia, curarsi con l’uva quindi. Una pratica che si dice già in uso dai greci, romani e arabi e che diviene di moda negli anni trenta del secolo scorso durante il periodo autarchico quando durante la vendemmia per due o tre giorni, ma a volte anche per alcune settimane, si consiglia un consumo di circa mezzo chilogrammo di uva nei primi giorni, fino a quasi due chili verso la fine della dieta.

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Agricoltura ed economia

Le prime testimonianze di una civiltà dedita alla coltivazione e agli allevamenti  possono essere  fatte risalire ad oltre 20.000 anni fa, ma è solo dall’8.000 A.C., con il passaggio dal nomadismo alla vita stanziale, che l’agricoltura assume la piena fisionomia di attività produttiva, arrivando a generare una quantità di beni capace sia di soddisfare i bisogni di chi li aveva prodotti sia di alimentare le prime forme di scambio attraverso il baratto: è con l’instaurarsi di questi primi rudimentali meccanismi di mercato che possiamo dire che inizi il dialogo tra agricoltura ed economia. I fatti ora descritti, risalenti al Neolitico, vengono comunemente indicati come “prima rivoluzione agricola” e sanciscono l’inizio della lunga storia di una delle attività umane che più di ogni altra ha plasmato lo sviluppo dell’intera civiltà.
Governata per secoli prevalentemente dalle leggi della natura e solo marginalmente condizionata dal lento succedersi di poche innovazioni, l’agricoltura si sviluppa per secoli ad una velocità che rende quasi impercettibili i cambiamenti che si susseguono nel tempo.
Si deve così attende sino al XVII secolo per assistere ad una “seconda rivoluzione agricola”, innescata dal succedersi ravvicinato di molteplici ed importanti innovazioni tecnologiche e socio-economiche: l’aratro in ferro sostituisce quello in legno, vengono messe a punto le prime seminatrici, così come si perfeziona la pratica delle rotazioni con l’introduzione delle leguminose per elevare la fertilità dei suoli. Prodromica della rivoluzione industriale ottocentesca, questa “seconda rivoluzione agricola” sollecita una intensificazione produttiva facendo leva, oltre che sulle innovazioni tecnologiche, anche su maggiori investimenti di capitali, incentivati da maggiori garanzie in favore dei proprietari e da un più intenso rapporto con i mercati.
Le novità introdotte con questa seconda rivoluzione che nasce in Inghilterra segnano lo sviluppo dell’agricoltura in tutto il Mondo, influenzando in particolar modo anche la nascente scuola economica agraria italiana. Ed è in particolare nel XIX secolo, grazie all’opera di Arrigo Serpieri, che per la prima volta agricoltura ed economia vengono portate a dialogare pariteticamente nell'ambito di uno stesso corpus teorico, individuando nella figura dell’imprenditore il soggetto al quale spetta l’onere di conciliare questi due mondi a livello di singole aziende. Ed è sempre in seno alla scuola economica italiana dell’epoca che si arriva con chiarezza a distinguere l'economia agraria dall'economia politica agraria, indicando come la prima rappresenti lo studio delle "azioni dell'uomo dirette al conseguimento della ricchezza sotto l'aspetto privatistico, dell'imprenditore”, laddove, invece, l'economia politica agraria deve intendersi come lo studio delle “azioni dell'uomo dirette al conseguimento della ricchezza sotto l'aspetto sociale, cioè sotto l'aspetto dell'interesse generale della società”. Con tale visione contrapposta, di ciò che debba intendersi per economia agraria e per economia politica agraria, Serpieri indica come l'agricoltura (e tutte le risorse ad essa riconducibili) sia un'attività che esprime un'utilità al tempo stesso privatistica e pubblica, anticipando di quasi un secolo i temi che oggi associamo al ruolo “multifunzionale” del primario e alla natura di bene misto delle risorse rurali.

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Massima allerta in Italia per la peste suina

Che tipo di malattia è la peste Suina Africana (PSA)?
La PSA è una malattia infettiva virale che interessa soltanto cinghiali e suini domestici, molto contagiosa, molto mortale e per la quale non esiste vaccino, perché il virus in questione non produce i cosiddetti anticorpi "neutralizzanti".

La PSA è una malattia comparsa di recente nel nostro paese?
In Sardegna, già fin dal 1978, era presente la PSA ma apparteneva ad un genotipo di tipo 1 e grazie all’applicazione di un piano di eradicazione stiamo raggiungendo l’eradicazione della malattia. Purtroppo, quella che sta circolando adesso è la PSA di genotipo di tipo 2, che è arrivata in Italia, compresa la Sardegna, dall'Est Europa.

Come si trasmette la PSA?
Il contagio della PSA può essere diretto (da animale sano ad animale malato) o indiretto. Quello indiretto può passare attraverso le scarpe di chi lavora in allevamento o il camion che porta il mangime da un allevamento a un altro. Questo tipo di contagio indiretto è molto difficile da gestire perché il virus è molto resistente nell'ambiente, pertanto si attivano i protocolli di "biosicurezza", come l'uso di soprascarpe negli allevamenti.
Molta più attenzione va fatta nel caso di passeggiate nei boschi, dove è possibile venire in contatto con carcasse di cinghiali infetti; si raccomanda infatti l’immediata segnalazione della carcassa ai servizi veterinari del territorio per le opportune indagini diagnostiche.

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Agricoltura e società

La storia dell’agricoltura coincide con la storia della civiltà da noi conosciuta. Sono circa ventimila anni di storia che sono partiti dalla prima incisiva rivoluzione della storia dell’umanità. È accaduto quando gli esseri umani si sono organizzati in società stanziali, abbandonando il nomadismo che aveva caratterizzato le comunità umane preistoriche. Il passaggio che rappresenta la prima e più importante rivoluzione della storia dell’umanità, anche se largamente trascurata o dimenticata, si basa su una scoperta acquisita dai nostri antenati: la governabilità della terra in funzione della produzione di cibo per la sopravvivenza. Questo non significa che il nomadismo legato alla caccia cessi d’un tratto. In aree periferiche del mondo, lontane dai grandi processi di civilizzazione, le civiltà nomadi sono sopravvissute. Per fare un esempio, la conquista dell’Ovest nel continente nord americano ha messo in contatto ancora nel corso del XIX secolo la civiltà occidentale con “la civiltà del bisonte e del cavallo” che mantenevano costumi plurimillenari di sopravvivenza tramite la caccia al bisonte.
In realtà, i processi storici anche rivoluzionari richiedono dei tempi storici differenziati nella loro diffusione. Tuttavia restano tali. Circa 20.000 anni fa o poco più l’agricoltura è divenuta la struttura portante della civiltà umana. Le società si sono organizzate per essa e da essa. Essa ha prodotto modelli di credenza e gerarchie sociali. Un dato del tutto innovativo nella comune mentalità è stata la percezione che gli esseri umani potevano controllare l’ambiente naturale e condizionarlo alle proprie necessità. Prima i cicli naturali pesavano come condizionamenti insuperabili nella trasmigrazione degli animali da preda; ora i cicli naturali restavano dominanti, ma potevano essere sfruttati ai fini della sopravvivenza umana.
Certo non tutto era governabile. Le stagioni potevano essere più propizie o addirittura nefaste. Potevano generare abbondanza o carestia. Questo era non governabile, dipendeva dalla natura ossia dalla divinità. Quindi le società divenute stanziali e basate sulla variabilità della produzione agricola esprimevano una cultura religiosa e degli individui deputati al culto della divinità, i sacerdoti appunto. Questi erano gli intermediari con Dio e deputati a conquistarne la benevolenza. Perché gli esseri umani della nuova civiltà stanziale hanno presto scoperto che la vita individuale e collettiva è precaria e finita, ma che anche le condizioni di sopravvivenza determinate dal frutto dei campi sono precarie. Per contenere e governare queste precarietà e in primis per metabolizzare la morte era necessario che una casta di sacerdoti propiziasse i favori della divinità. Così sono nate le gerarchie sociali e anche quando esse presumevano di laicizzarsi conservavano della loro legittimazione originaria la sacralità del divino. Nessuna autorità umana poteva essere e operare senza l’investitura divina o essendo essa stessa parte della divinità.

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