Si è scoperto che le bucce delle cipolle, residui dell’industria di trasformazione industriale, inserite nella dieta delle vacche da latte, abbattono significativamente la produzione di metano enterico, limitando il danno che questo gas arreca all’ambiente.
Immagina di aprire un libro antico, scritto in un linguaggio misterioso fatto non di parole, ma di lettere – A, T, C, G – ripetute all'infinito in combinazioni che sfuggono alla nostra piena comprensione. Questo libro è il DNA, una lunga sequenza di basi azotate che racchiude le istruzioni fondamentali per costruire e far funzionare ogni essere vivente. Un testo tanto ordinato quanto enigmatico, di cui abbiamo imparato a decifrare soltanto alcune frasi. Il resto? Un intricato codice ancora da interpretare, un poema biologico scritto dalla natura nel corso di miliardi di anni.
L’intelligenza artificiale (IA), creatura moderna di silicio e logica, ha dimostrato una sorprendente affinità con ogni forma di testo. Che si tratti di parole pronunciate dagli uomini o di quelle scritte dalla vita stessa nel linguaggio del DNA, l’IA entra in scena non solo come un lettore instancabile, ma come un interprete lucido e visionario. In questo vasto universo di lettere e simboli, decifra alfabeti e strutture, osserva, confronta, riconosce.
Il cuore pulsante dell’intelligenza artificiale è la cosiddetta macchina di apprendimento, un’entità che si comporta come un allievo curioso e tenace. All’inizio del suo cammino, questo allievo si trova spaesato di fronte a un sapere complesso e ancora indecifrabile. Le domande che gli vengono poste gli appaiono come enigmi senza chiave, e le sue risposte, spesso imprecise, sono tentativi incerti di orientarsi in un mondo che ancora non conosce. Ma ogni errore che commette non è una sconfitta: è un’occasione per imparare. Ogni correzione ricevuta è una lezione, ogni fallimento un passo avanti. A poco a poco, l’allievo inizia a riconoscere regolarità e schemi, a collegare i concetti, ad affinare il proprio sguardo. Con pazienza, attraverso la riflessione e la ripetizione, costruisce una comprensione sempre più profonda del mondo che lo circonda.
Ferrucci: Il ruolo del verde urbano tra le Nature Based Solutions che concorrono ad arginare le conseguenze perverse sotto il profilo ambientale indotte dal consumo di suolo nelle nostre città è un dato ormai consolidato nella letteratura scientifica di settore e riconosciuto dallo stesso legislatore dell’Unione Europea, da ultimo nel Regolamento sul Ripristino della Natura del 2024. Credo però sia necessario al fine di sensibilizzare in modo più incisivo l’opinione pubblica e scuotere la diacronica disattenzione degli amministratori locali, approfondire il profilo della incidenza della presenza e viceversa dell’assenza di aree verdi in ambito urbano e periurbano sulla salute umana. Ed ho pensato come privilegiata interlocutrice di questo dialogo, a te che, come medico, ti sei dedicata allo studio della Medicina Ambientale ed hai approfondito la ricerca sull’Approccio One Health nel setting della Medicina Generale.
Ti chiedo allora quale collegamento possiamo trovare tra la presenza di verde urbano e la salute umana?
Stanco: La presenza di verde urbano offre molteplici effetti benefici per la salute umana. Consideriamo una città che ne è priva e vediamo alcuni effetti negativi che questo comporta.
Le isole di calore urbano, ad esempio, comportano un aumento della mortalità prematura da caldo eccessivo. Uno studio pubblicato nel 2023 condotto su 93 città europee ha messo in evidenza gli effetti deleteri delle UHIs (urban heat islands) e dimostrato i benefici per la salute derivanti dall’aumento della copertura arborea per raffreddare gli ambienti urbani. Nello studio vengono stimati il numero di decessi attribuibili alle isole di calore urbane e quantificati quelli che potrebbero essere evitati aumentano la copertura arborea nella città europee. Nel 2015, si stima che 6700 decessi siano stati causati da UHIs, di cui 2644 avrebbero potuto essere evitati con una copertura arborea del 30%.
L’agricoltura sta vivendo una grande trasformazione, chiamata a produrre cibo in modo sostenibile, rispettando l’ambiente. In questo scenario, il riutilizzo degli scarti agroindustriali può rappresentare una soluzione concreta per migliorare la salute del suolo, ridurre l’inquinamento e utilizzare meglio le risorse naturali. Nonostante i numerosi vantaggi ambientali ed economici, l’applicazione pratica di queste soluzioni su larga scala resta limitata da ostacoli normativi e burocratici.
Stanno per concludersi i primi 100 giorni della Presidenza di Trump. Un’antica e nota regola della politica vuole che essi siano dedicati alla presentazione delle linee guida e dei relativi primi provvedimenti di un Governo appena insediato. In tutto ciò vi è un fondo di logica verità e di pragmatismo. Il rapporto del vincitore con l’elettorato è vivo, le promesse elettorali sono recenti e i tempi per realizzarle abbondanti. Tutte le premesse indicano che anche Trump si voglia attenere a questa regola non scritta, per quanto in modo molto personale e con frenetici cambiamenti di comportamento
Il 17 luglio 2023 il motore di ricerca per Internet Google, con una serie di vignette colorate e coinvolgenti, ha dedicato il doodle (il disegno o filmato commemorativo di un evento) a Eunice Newton Foote, la prima persona nella storia a scoprire il funzionamento dell’”effetto serra”, dimostrando scientificamente come un aumento dei livelli di CO2 in atmosfera sia responsabile del surriscaldamento del pianeta. Inutile sottolineare l’importanza dell’argomento, alla luce dei recenti e preoccupanti mutamenti climatici ai quali stiamo assistendo.
Scienziata, inventrice e attivista per i diritti delle donne vissuta tra il 1819 (appunto, 17 luglio) e il 1888, Eunice riuscì a prevedere la crisi climatica grazie ai suoi esperimenti sull’interazione tra i raggi solari e diversi gas. In particolare, Eunice condusse una serie di esperimenti che dimostrarono le interazioni dei raggi del Sole su diversi gas. Usò una pompa ad aria, quattro termometri a mercurio e due cilindri di vetro. Per prima cosa posizionò due termometri in ogni cilindro, quindi utilizzando la pompa ad aria, evacuava l’aria da un cilindro e la comprimeva nell’altro. Consentendo a entrambi i cilindri di raggiungere la stessa temperatura, li posizionò alla luce del Sole per misurare la variazione di temperatura una volta riscaldati e in diverse condizioni di umidità. Eseguì questo esperimento con la CO2, con l’aria comune e con l’idrogeno. Foote concluse che la CO2 aveva trattenuto più calore, raggiungendo una temperatura di 125 °F (52 °C). In base a questo esperimento, affermò che «Il recipiente contenente questo gas è diventato esso stesso molto caldo, molto più sensibilmente dell’altro, e quando è stato rimosso [dal Sole], il raffreddamento è stato altrettanto lungo.» In riferimento alla storia della Terra, Foote teorizzò che «Un’atmosfera costituita da quel gas darebbe al nostro pianeta una temperatura elevata; e se, come alcuni suppongono, in un periodo della sua storia, l’aria si fosse mescolata con essa in una proporzione maggiore rispetto allo stato attuale, deve essere necessariamente derivato un aumento della temperatura per sua stessa azione…» Il lavoro fu ammesso all’ottavo incontro annuale dell’American Association for the Advancement of Science il 23 agosto 1856 ad Albany, New York. Non è chiaro perché Foote non abbia presentato personalmente il proprio contributo alla conferenza, dato che le donne erano in linea di principio autorizzate a parlare, ma la sua relazione fu, invece, affidata al Prof. Joseph Henry dello Smithsonian Institution. Prima di leggere il lavoro di Foote, Henry ne introdusse i risultati affermando che «La scienza non è di nessun Paese e di nessun sesso. La sfera della donna abbraccia non solo il bello e l’utile, ma anche il vero.» Il lavoro sperimentale apparve in un fascicolo dell’American Journal of Science and Arts del 1856, e Foote fu elogiata nel numero di settembre 1856 di Scientific American intitolato “Scientific Ladies”, in cui gli autori erano rimasti colpiti dalle sue scoperte supportate dai suoi esperimenti, affermando «siamo felici di dire che ciò è stato fatto da una signora». Ciononostante, l’articolo ebbe scarsa risonanza nella comunità scientifica e in Europa uscirono dei riassunti incompleti e tali da non rendere giustizia dell’importanza della scoperta.
Frusciante: Le colture industriali si dividono in due settori: agroalimentare (food) e non alimentare (no food). Paolo, con te vorrei approfondire due delle specie più rappresentative di queste categorie: la canapa e la barbabietola da zucchero. Iniziamo dalla canapa. Sappiamo che questa pianta produce molteplici metaboliti con effetti benefici sulla salute e altri con proprietà psicotrope che ne limitano l’impiego agricolo. Sappiamo anche, che è in vigore una normativa specifica che ne regolamenta la coltivazione per usi agricoli.
Ranalli: La canapa contiene due principi attivi di particolare rilevanza: il cannabidiolo (CBD) e il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Questi composti sono simili agli endocannabinoidi, sostanze prodotte naturalmente dal nostro organismo, che interagiscono con recettori presenti nel cervello e nelle parti periferiche del corpo. Il THC si lega principalmente ai recettori delle cellule nervose ed esercita effetti psicoattivi, mentre il CBD agisce sui sistemi periferici, non ha effetti psicotropi e può contribuire al trattamento di diverse patologie, tra cui ansia, convulsioni, infiammazioni e spasmi. A seconda dell’impiego, le varietà destinate all’uso agricolo devono contenere quantità minime di THC (inferiori allo 0,2%), mentre quelle per scopi farmacologici devono presentare un’elevata concentrazione di CBD. La normativa di riferimento è la Legge n. 242 del 2 dicembre 2016, volta a promuovere la filiera agroindustriale della Cannabis sativa L. La legge stabilisce che la coltivazione è consentita esclusivamente con sementi certificate di varietà iscritte nel Catalogo comune dell’Unione Europea. Gli impieghi della canapa coltivata includono la produzione di alimenti e cosmetici, semilavorati industriali, materiali per la bioedilizia, fitodepurazione, nonché attività didattiche e di ricerca. Inoltre, la canapa rientra tra le colture ammesse ai finanziamenti della Politica Agricola Comune, ma per la sua coltivazione è necessario possedere una partita IVA agricola. È importante sottolineare che il quadro normativo è in continua evoluzione: attualmente è in fase di esame un disegno di legge che potrebbe rendere più flessibile il limite di THC consentito.
Mentre i termini di genomica e proteomica sono ormai entrati nel nostro lessico quotidiano, ancora non risultano ben diffusi i concetti di lipidomica e di ionomica.
La Sardegna non è solo una meta famosa per le sue acque cristalline e le antiche rovine nuragiche, ma è anche una terra ricca di tradizioni culinarie uniche, dove il cibo racconta la storia e la cultura di un popolo. Oltre alla bellezza naturale e alla storia millenaria, la Sardegna è un viaggio anche nei sapori, un’esperienza sensoriale che affonda le radici nella terra e nel mare. Tra i suoi simboli gastronomici più rappresentativi, il porceddu è senza dubbio l’emblema della cucina sarda.
Enotria è un'antica regione d'Italia meridionale fin dalla prima ondata di genti italiche indoeuropee abitata dagli Enotri così denominati, secondo una credenza comune senza fondamento, dal greco οἶνος (oînos, vino) a causa dei floridi e numerosi vigneti del territorio. Ma quando s’inizia a bere vino in Italia?
Questa storia inizia da molto lontano e parte da recenti ricerche scientifiche su antiche giare di terracotta di grande capacità prodotte nel Vicino Oriente nella Cultura Shulaveri- Shomutepe del periodo neolitico in un territorio che si estende nell'Azerbaigian occidentale e nell'Armenia settentrionale. Queste giare servono per la fermentazione, l'invecchiamento e il servizio del liquido ottenuto dall’uva prima selvatica uva e poi coltivata, come dimostrano le analisi chimiche degli antichi composti organici assorbiti dalle pareti di queste giare risalenti al primo periodo neolitico (circa 6.000-5.000 a. C.) e ci danno le prime prove archeologiche biomolecolari della nascita del vino d'uva e della viticoltura del Vicino Oriente, circa 6.000-5.800 a.C. Questi risultati sono confermati dalla ricostruzione climatica e ambientale, insieme a prove archeobotaniche, tra cui polline d'uva, amido e resti epidermici associati a un vaso di tipo e data simili.
Negli ultimi anni, la riforestazione urbana è diventata un tema centrale nelle politiche ambientali, spesso accompagnata da annunci trionfali e titoli altisonanti. L’idea di piantare alberi nelle città per combattere il cambiamento climatico e migliorare la qualità della vita è fondamentale, ma anche innegabilmente affascinante; tuttavia, queste iniziative si rivelano spesso essere poco più che operazioni di marketing prive di una reale pianificazione a lungo termine.
Prendiamo, ad esempio, l’ultima iniziativa che promette di riforestare tredici città metropolitane con migliaia di nuovi alberi (in totale 4,5 milioni nel progetto presentato dal MASE). A prima vista, potrebbe sembrare un passo avanti verso la sostenibilità urbana, un progetto lodevole. Ma scavando un po’ più a fondo, emergono le solite criticità :
1. Dove verranno piantati questi alberi? Le città hanno spazi limitati e complessi, spesso già impermeabilizzati o non adatti ad accogliere grandi impianti arborei. Senza un’attenta progettazione, il rischio è di piantare alberi in luoghi inadatti, compromettendone la sopravvivenza e trasformando un’azione potenzialmente benefica in uno spreco di risorse.
2. Chi si occuperà della gestione post-impianto? Piantare alberi è solo il primo passo. Senza un piano di gestione che includa irrigazione e monitoraggio continuo molti di questi alberi finiranno per seccarsi o diventare un pericolo per la sicurezza pubblica.
3. Quali specie vengono scelte? Troppo spesso si piantano alberi, solo sulla base della provenienza (solo specie autoctone) senza considerare la loro adattabilità al contesto urbano o al clima locale. L’uso di specie inadatte può ridurre l’efficacia dell’intervento e causare più problemi di quanti ne risolva, dalla sensibilità alle malattie, fino all’incompatibilità con l’ambiente urbano. Ma il vero problema è un altro: la cieca applicazione di linee guida generali, senza un'analisi approfondita del contesto locale. Non si può imporre un elenco rigido di specie valide per ogni città, ogni quartiere, ogni condizione climatica. Serve flessibilità, capacità di adattamento e una conoscenza approfondita delle specificità ambientali. Le amministrazioni spesso si rifugiano dietro linee guida astratte, senza voler affrontare la complessità della scelta caso per caso, con il risultato di interventi inefficaci o addirittura dannosi.
Che gli animali possano scegliere cosa mangiare, avendone l’opportunità, non è una novità. Ma il fatto che i suini siano talmente sofisticati da privilegiare il consumo di proteine e aminoacidi per ottimizzare il rapporto energia/proteine secondo i loro fabbisogni, potendo scegliere fra due diete diverse, per lo meno ci incuriosisce.
Negli ultimi tempi, il dibattito sull’Unione Europea (UE) si è intensificato, mettendo in luce questioni cruciali sul suo ruolo e sulle sue politiche. Indirettamente, anche quello forestale emerge come ambito di riflessione.
Ho finito di leggere un ottimo testo sulla situazione delle donne in scienza. L'argomento è di quelli seri, che richiedono soluzioni, mentre mi ricordo bene che il mio personale tragitto su questo tema è stato, nel tempo, se non proprio tortuoso, almeno titubante. Eppure, vissi, in un campus universitario americano degli anni '70-'71 del secolo scorso, l'esordio di un movimento femminile di massa che poneva il problema dell'emarginazione della donna -nella società e quindi anche nella scienza- in modo deciso; ma, pur riconoscendo la legittimità di quelle richieste, rimasi per anni in una sorta di limbo. Ero attirato da quel movimento, ma rimanevo incerto (il mio valore primo era il merito); tornato in Italia, dopo qualche anno divenni un assiduo lettore del quotidiano "la Repubblica" e mi capitò di leggere un editoriale del suo direttore, Eugenio Scalfari, nel quale, a commento dell'ormai cresciuto movimento femminista, dichiarava che non c'era stato nulla, negli ultimi anni della nostra storia collettiva, più significativo del movimento di emancipazione della donna. Da quel momento divenni sempre più attento a quanto emergeva da questa parte della società che comprendeva peraltro moglie e figlia nel frattempo cresciuta.
Pagliai – La crisi climatica in atto ormai da decenni ci sottopone a imprevedibili e violenti nubifragi (come purtroppo accade ed è accaduto nei giorni scorsi in Toscana ed Emilia Romagna e già in passato, in questi dialoghi, ci siamo soffermati su queste tragiche situazioni – vedi, ad esempio, il dialogo del 7 febbraio 2024 “L’acqua: risorsa o calamità?”) e a certi periodi di siccità più o meno lunghi. In questa situazione è evidente che le piante hanno sempre più bisogno di acqua per assicurare livelli standard di produzione sia qualitativa che quantitativa. Visto che attualmente il 90% della pioggia che cade in maniera violenta la perdiamo per scorrimento superficiale e per allagamenti perché non si infiltra nel terreno, nel futuro, che potrebbe essere anche relativamente immediato, potremmo incorrere in una vera e propria crisi idrica. Cosa fare per contrastarla?
Mannini – Effettivamente la serie di periodi di grave siccità e di eventi alluvionali devastanti, come hanno riportato anche le cronache di questi giorni, si stanno alternando continuamente in molte parti di Italia. Non si può certamente dubitare che questi fenomeni siano le conseguenze del cambiamento climatico in atto; fenomeno che si pensava potesse essere lento e progressivo ma che, viceversa, si mostra sempre più incisivo e dannoso.
L’incremento delle temperature e la diminuzione delle piogge hanno già determinato un aumento dell’evapotraspirazione delle piante e quindi delle necessità idriche. La diminuzione delle “piogge utili”, cioè dei quantitativi di precipitazioni che riescono ad infiltrarsi nel terreno a vantaggio delle colture, aggrava il fenomeno rendendo sempre più necessaria l’irrigazione.
Si evidenzia che in alcune regioni italiane, nelle quali il ricorso all’irrigazione era, su alcune colture, raro ed effettuato con criteri “di soccorso”, oggi sia necessaria un’irrigazione stabile senza la quale le produzioni non riescono a determinare un reddito agricolo sufficiente.
Due mesi, poco più di 60 giorni di presenza di Trump alla Casa Bianca, sconvolgono il mondo e fanno emergere con chiarezza crescente le crisi, le divisioni e i conflitti che affliggono il mondo e che hanno continuato a lavorare sottotraccia per decenni.
È convinzione diffusa che l’agricoltura sia nata nella mezzaluna fertile circa 8-10 mila anni fa. Forse non è proprio così, dice Anil Gupta, un indiano che insegna negli Stati Uniti. Si tratta di una visione legata alla vasta attività di scavi condotta per secoli nel vicino oriente, ma forse – dice sempre Gupta – basterebbe fare due passi verso est e scavare anche nella valle dell’Indo per scoprire altre agricolture del neolitico.
L’uso dei dati satellitari sta trasformando rapidamente l’agricoltura di precisione, offrendo agli agricoltori una conoscenza dettagliata dei propri sistemi colturali e aziendali, permettendo loro di ottimizzare le decisioni strategiche. Se un tempo questa tecnologia era confinata alla ricerca, oggi notevoli sforzi sono profusi per renderla accessibile in applicazioni dirette sul campo. Tuttavia, per sfruttarne appieno il potenziale, è necessario affrontare alcune sfide legate alla diversità delle condizioni agronomiche, pedoclimatiche e tecniche. In particolare, è fondamentale favorire un dialogo efficace tra fornitori di dati e operatori del settore, affinché queste innovazioni si traducano in strumenti realmente utili. Il trasferimento tecnologico rappresenta un ruolo chiave in questo processo, consentendo agli agricoltori di incrementare la produttività, ridurre i costi e minimizzare l’impatto ambientale.
L’agricoltura moderna sfrutta l’interconnessione tra telerilevamento, meccanizzazione e ingegneria avanzata per raccogliere e analizzare dati digitali auspicabilmente interoperabili, essenziali per la gestione agronomica di precisione. I dati satellitari permettono, attraverso l’aumentata capacità di calcolo, di monitorare e valutare la gestione dei processi produttivi, per verificare l’impatto ed i benefici in tempo reale, rispetto a predeterminati indicatori di risultato, l’erosione idrica ed il contenuto di carbonio organico del suolo. Inoltre, le più recenti tecniche di analisi multi-temporale offrono un’alternativa efficace ai convenzionali metodi di mappatura geospaziale, consentendo di ottimizzare il posizionamento dei punti di campionamento e riducendo significativamente tempi e costi.
Ferrucci: quando ho scelto il verde pensile come oggetto del dialogo di questo mese ho pensato immediatamente di coinvolgere te, Camilla, che hai organizzato nel 2000 a Vicenza uno dei primi convegni internazionali su questo tema con relatori provenienti da tutt'Europa e sei autrice del progetto del bellissimo giardino pensile dell'Head Quarter Lavazza di Torino, quest’ultimo progettato dall'Arch. Cino Zucchi. In quel tuo progetto il verde pensile è stato utilizzato per la piazza (3500 mq), realizzata sopra i parcheggi, per i terrazzi dirigenziali (circa 2000 mq) e per le coperture a verde estensivo (900 mq).
Il tema del verde pensile in Italia viene percepito ancora come qualcosa di innovativo e molto tecnologico, ma in realtà questa soluzione ha radici antiche.
Zanarotti: è vero, il ‘verde pensile’ inteso come superficie vegetale continua che non presenta, per posizione o modalità di realizzazione, continuità con il suolo naturale ha testimonianze di realizzazioni molto antiche e tra queste il rimando immediato è ai leggendari giardini del palazzo reale di Babilonia (VI sec. a.C.). Giardini pensili vennero realizzati dagli etruschi, a copertura delle sepolture, e dai romani. A questo periodo risalgono il mausoleo di Augusto (29 a.C.), in cui la copertura era in origine rivestita di terra e inverdita con cipressi, la villa dell'imperatore Adriano a Tivoli (92 d.C.) e il mausoleo da lui ideato (130 d.C.). Nel Medioevo il verde pensile aveva soprattutto una connotazione utilitaristica e veniva realizzato in monasteri e castelli per consentire una produzione alimentare nei chiostri e nei cortili murati. Il valore ornamentale del verde sarà una riscoperta a partire dal Rinascimento. Tra gli splendidi esempi, che ancora possiamo ammirare, merita ricordare i giardini del Belvedere in Vaticano, quelli di palazzo Piccolomini a Pienza, di alcune ville medicee, o quelli presenti all’interno del Palazzo Ducale di Mantova. Parallelamente nel nord Europa invece troviamo le Turf houses, edifici che presentano una copertura formata da zolle d’erba. È un modello di costruzione tradizionale comune a Norvegia, Scozia, Irlanda, Isole Faroe, Groenlandia e Islanda e che probabilmente risale alle influenze della conquista vichinga. Questa tecnica tradizionale utilizza esclusivamente materiali naturali quali pietra, legno e zolle d’erba dando come risultato edifici coibentati a bassissimo impatto ambientale.
Si consideri che la spesa per interventi di prevenzione può essere inferiore di 10 volte rispetto a quella per interventi post-catastrofi (3 miliardi all’anno, secondo la Commissione Demarchi istituita dopo l’Alluvione di Firenze del 1963 e poi confermata anche dal programma Italia Sicura, rispetto agli oltre 8 miliardi spesi annualmente per ri ristori e la ricostruzione). Intervenendo “a monte” possiamo avere ulteriori vantaggi in termini di servizi ecosistemici (ad es. trattenere e rallentare l’acqua garantisce anche accumulo di riserve per i periodi siccitosi e ravvenamento di falde e sorgenti).
Il colore rosso nel vino non solo è bello ma anche salutare, soprattutto oggi quando nei vini rossi si vuole togliere l’alcole mantenendo tutti i loro fattori benefici dovuti ai polifenoli e flavonoidi delle piante, abbondanti nell'uva e che si modificano nella vinificazione e durante la conservazione e l’invecchiamento del vino.
Questo potrebbe essere il possibile titolo del saggio che verrà pubblicato a testimonianza dei notevoli progressi compiuti in chiave radicale e nell’interazione con gli invisibili del terreno. Aumentando le conoscenze dei numerosi fenomeni biologici che incidono sul miglioramento quali-quantitativo delle produzioni primarie, la sostenibilità ambientale verrebbe quindi realizzata. L’obiettivo principale è raggiungere un nuovo livello di conoscenza orientata al conseguimento del riequilibrio dei terreni agroforestali. Il riequilibrio tra le caratteristiche chimico-fisiche, il rinnovo della sostanza organica e l’attività del microbioma del suolo rappresentano dunque il nuovo traguardo da raggiungere con finalità produttivistiche.
Gli studenti frequentanti i corsi di studio di Ecologia microbica, Microbiologia ambientale e Microbiologia del suolo, Agronomia e Coltivazioni erbacee, Coltivazioni arboree, Scienze forestali e ambientali, Biologia naturalistica potranno trovare tra queste pagine il giusto completamento delle loro conoscenze in tema di rigenerazione del sistema primario suolo.
I procarioti sono stati i primi viventi del nostro pianeta (i primi resti fossili datano 3,7-4,2 miliardi di anni), ben prima della comparsa di piante ed animali. Durante il corso dell’evoluzione, i microbi hanno maturato mezzi di comunicazione molto raffinati. Questi tipi di comunicazione si sono basati innanzitutto su “parole” chimiche: il sistema di quorum-sensing dei batteri, i fattori della micorrizazione (Myc) nella simbiosi tra funghi micorrizici e radici delle piante, i fattori della nodulazione (Nod) nella simbiosi tra leguminose e rizobi del terreno sono solo i casi più noti.* (*da M. Nuti: La biodiversita nel terreno agrario. Firenze, 19 novembre 2010).
Il ruolo strategico della radice ha sempre destato una notevole curiosità in quanto essa è coinvolta in numerosi processi che incidono sia sul miglioramento quanti- qualitativo della produzione vegetale, sia sulla sua sostenibilità ambientale.
Frusciante: La sicurezza alimentare è una delle sfide più urgenti per nutrire una popolazione in crescita. Tuttavia, i cambiamenti climatici mettono a rischio le produzioni agricole. I ricercatori devono quindi incrementare le rese senza aumentare la pressione antropica sugli agroecosistemi. La soluzione più efficace è il miglioramento genetico delle piante attraverso programmi mirati.
Batelli: Nel corso del XX secolo, la Rivoluzione Verde, grazie al ruolo cruciale del miglioramento genetico, ha determinato un notevole incremento delle rese agricole, soprattutto per colture come riso e frumento. Questo progresso, particolarmente evidente nei Paesi in via di sviluppo, ha ampliato l'accesso agli alimenti per una crescente parte della popolazione mondiale. Tuttavia, la rapida crescita della popolazione mondiale, che si stima raggiungerà un picco di 10,3 miliardi entro il 2080 (fonte: Nazioni Unite), insieme all’aumento della frequenza e intensità di eventi atmosferici estremi – come siccità, alluvioni e temperature elevate – pone sfide senza precedenti per la sicurezza alimentare. Inoltre, la crescente competizione per le risorse naturali e la necessità di rendere l'agricoltura più sostenibile e meno impattante sull'ambiente rendono indispensabile un cambiamento di paradigma, volto a migliorare la produttività e la stabilità delle rese, anche in condizioni ambientali imprevedibili e con un uso ridotto di risorse idriche, nutrizionali e di pesticidi. In questo scenario, il miglioramento genetico riveste un ruolo fondamentale. Fornire agli agricoltori varietà ad alta produttività, maggiormente tolleranti agli stress ambientali e meno dipendenti da interventi esterni è essenziale per adottare strategie di gestione integrata. Tali strategie sono cruciali per sviluppare sistemi agricoli resilienti, efficienti e sostenibili, capaci di garantire elevate rese con un impatto ambientale ridotto.
L’Accademico dei Georgofili Generale Giuseppe Vadalà è il nuovo commissario unico per la Terra dei Fuochi , ovvero una parte del territorio della Campania, compresa tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, caratterizzata dall'interramento di rifiuti tossici, dalla presenza di discariche abusive e roghi di rifiuti che hanno determinato altissimi livelli di inquinamento. L'area è recentemente finita nel mirino della Corte europea dei diritti umani (CEDU) che ha condannato l'Italia per non aver fatto abbastanza per tutelare la salute dei residenti.
Generale Vadalà, il governo le ha affidato il compito di coordinare la bonifica dei territori ed entro sessanta giorni: Lei è tenuto a trasmettere alla presidenza del Consiglio una relazione sullo stato dell'arte e sulle azioni che intende intraprendere per arrivare all'obiettivo di bonifica e ripristino ambientale. Ha già un’idea della situazione in essere, dal momento che già dal marzo 2017 è “Commissario Unico per la realizzazione degli interventi necessari all’adeguamento alla normativa vigente delle discariche abusive presenti sul territorio nazionale” (sanzionate sempre dall’Ue)?
La missione del marzo 2017 prevedeva la messa in sicurezza e l’adeguamento alla normativa vigente di 81 siti sul territorio nazionale, inseriti in una procedura di infrazione Ue di cui alla Causa 196-13, per la quale l’Italia era stata sanzionata per 200 siti irregolari ed aveva pagato oltre 150 €mil per il periodo dal 2013 al 2017, ben 200mila € per semestre a sito in infrazione. Ad oggi, degli 81 siti commissariati e dopo 8 anni di lavoro ininterrotto con i territori, con gli stakeholder locali e nazionali, siamo prossimi alla chiusura della sanzione avendo bonificato 78 siti e, da crono programma, completando le bonifiche degli ultimi 3 entro la fine dell’anno. Questi 81 siti in infrazione erano su tutto il territorio nazionale e 14 erano in Campania (nelle province Avellino, Benevento e Salerno) con la quale abbiamo collaborato in modo stretto ed efficace per la risoluzione dei casi. Relativamente alle province di Napoli e Caserta attueremo lo stesso metodo dell’ampia collaborazione con tutti gli enti territoriali poiché l’ampiezza delle aree è certamente superiore a quella di cui fino ad ora ci siamo occupati. Il Decreto del Governo, ancora in fase di definizione, ha dato mandato al Commissario di predisporre una relazione che evidenzi la situazione complessiva, ponga i target da raggiungere, indichi una quantificazione delle risorse e possa avanzare idonee proposte.
Tra dazi annunciati, minacciati, rinviati, applicati e poi sospesi, la guerra commerciale globale è solo agli inizi. E nessuno sa quando e come finirà. Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao. Se Trump alza i toni verso l’Europa su dazi e altro, se le minacce crescono di intensità oltre la buona educazione e i tradizionali rapporti di partenariato, un vantaggio c’è per l’Europa: metterla con le spalle al muro, togliere qualunque alibi per una reazione altrettanto decisa (e magari sgarbata).
Siamo abituati da tempo a leggere gustosi e intelligenti racconti del nostro Accademico prof. Rolando Guerriero, ma questa volta ha sorpreso gli amici con un libro di 500 pagine, scritte con la maestria di sempre, ma dense di insegnamenti per tutti noi. Voglio sottolineare l'appartenenza di Rolando all'Accademia dei Georgofili perché, in più occasioni, ci siamo ricordati come il motto dell'Istituzione sia "Per il bene pubblico" esattamente come dovrebbe operare ogni agronomo.
Comincio dalla parte più facile. Il caro amico Rolando mi ha scritto, nella dedica sul risvolto di copertina "...una piccola testimonianza delle ragioni per le quali si nasce agronomi... ". Potete solo figurarvi la mia curiosità, stimolata anche da un titolo che sembra estraneo a quella dichiarazione. Il libro si intitola infatti "Tutto passa e si scorda" accompagnato dal sottotitolo "Piccole cronache del tempo di guerra". Questo romanzo, edito da Giovane Holden Edizioni e finito di stampare nel novembre 2024, ha un potere di seduzione che va ben oltre i fatti narrati ancorché essi ne siano l'indispensabile substrato emotivo.
L'ineluttabilità della Grande Storia erompe sin dalle prime pagine; comunque i grandi fatti sono l'indispensabile cornice della vita per tanti cittadini come per il piccolo Rolando (Pippo nel testo) che è, di fatto, l'io narrante dell'intero romanzo.
Così si è trascinati e coinvolti, nello sfondo degli avvenimenti destinati a sconvolgere l'Italia e buona parte dell'Europa e del mondo, in tutta una serie di ricordi che il giovane Pippo ci narra con la lucidità e la perizia di una memoria attenta e sensibile, accompagnate da una rara sensibilità umana.
Si passa così dall'uso del "caffè" d'orzo, così diffuso nell'Italia del tempo e dalla lettura del Corriere dei Piccoli (ancora ricordiamo in tanti il Signor Bonaventura, così come Bibì e Bobò), ai più intriganti vecchi garibaldini della "famiglia allargata" di Pippo, atei e liberi pensatori, malvisti dal prete della Parrocchia di via Santa Marta.
Il 3 novembre di ogni anno si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale di One Health, una iniziativa che richiama l’attenzione sulla necessità di un approccio olistico per affrontare le sfide sanitarie condivise nell’interfaccia uomo-animale-ambiente. One Health può affrontare un’ampia gamma di problemi che oggi minano la salute pubblica a livello globale, come la resistenza agli antimicrobici, la salute ambientale e quella mentale, la sicurezza alimentare, le malattie trasmesse da vettori e quelle zoonotiche, e molto altro.
In un recente articolo pubblicato su La Stampa (leggi qui) il "re del Barbaresco", Angelo Gaja, distingue tre tipologie di alcol: l'alcol da fermentazione, l'alcol da distillazione e l'alcol da addizione.
Abbiamo interpellato a questo proposito due accademici dei Georgofili: il dott. Francesco Cipriani, per dare un parere autorevole dal punto di vista medico ed epidemiologico, e il prof. Vincenzo Gerbi per un approccio di tipo enologico-scientifico.
Ecco che cosa ci hanno risposto.
Dal suo primo rilevamento in Trentino, ormai quindici anni fa, Drosophila suzukii, specie invasiva originaria dell'Asia orientale, è diventata il principale insetto dannoso per una vasta gamma di fruttiferi, in particolare per piccoli frutti e ciliegie. Grazie alla sua polifagia e alla grande mobilità, riesce a riprodursi massivamente negli habitat naturali che circondano gli appezzamenti coltivati, ricchi di piante ospiti che offrono frutti da infestare lungo quasi tutto l'arco dell’anno. Lo spillover di adulti da habitat semi-naturali e boschivi verso le coltivazioni è uno dei fenomeni che maggiormente complicano il controllo delle infestazioni.
In questo contesto, le sole strategie di gestione basate sull’uso di insetticidi per il controllo degli adulti si sono rivelate inefficaci e devono essere integrate con opportune pratiche agronomiche e tecniche di controllo biologico.
La giornata di studio, promossa dalla sezione Nord-Est dell’Accademia dei Georgofili con il patrocinio della Fondazione Edmund Mach, e ospitata nell’auditorium della Cooperativa Sant’Orsola a Pergine Valsugana (TN), è stata l’occasione per aggiornare tecnici e produttori sull’efficacia delle modalità di controllo attualmente implementate e sulle prospettive offerte dall’applicazione del controllo biologico.
Si è ribadito che non esiste una sola soluzione tecnica in grado di garantire l’efficacia del controllo di D. suzukii, ma che è indispensabile integrare i diversi mezzi tecnici a disposizione, dai trattamenti insetticidi alle pratiche agronomiche, fino all’organizzazione del cantiere di raccolta.
Mercoledì 26 febbraio 2025, durante lo svolgimento nella sede accademica del convegno “Il contributo dello spazio per l’agricoltura”, in cui si analizzavano le odierne applicazioni del telerilevamento nel settore primario, con la partecipazione di relatori esperti e rappresentanti degli ordini professionali di agronomi, agrotecnici e periti agrari, hanno fatto irruzione nel salone delle adunanze tre energumeni, sedicenti attivisti di non si sa quale organizzazione, i quali hanno interrotto con urla sguaiate la relazione della dottoressa Maria Libera Battagliere dell’Agenzia Spaziale Italiana, hanno consegnato dei dépliant e di fatto hanno impedito lo svolgimento dell’incontro, blaterando poche idee ma molto confuse su OGM, TEA e potere delle multinazionali.
Di fronte alla costernazione dei presenti, sono intervenuto personalmente cercando di placare gli animi, ma non è stato possibile instaurare alcun tipo di dialogo con queste persone, che si sono allontanate soltanto in seguito all’intervento solerte delle forze dell’ordine, che ringrazio a nome dell’Accademia dei Georgofili.
Questo fatto, mai avvenuto prima - a mia memoria - nella sede della nostra Accademia (luogo di dibattito, idee e confronti civili dal 1753), desta non poca preoccupazione soprattutto in aggiunta ai recenti atti di vandalismo contro la sperimentazione di piante ottenute con TEA (tecnologie di evoluzione assistita): ricordiamo nel giugno 2024 la devastazione di un piccolo campo di riso resistente al brusone, studiato dall’Università di Milano, e soltanto poche settimane fa la distruzione di un vigneto sperimentale dell’Università di Verona.
Occorre evidenziare che gli autori di questi atti, con i quali è assolutamente impossibile ragionare perché hanno la mente obnubilata da deliri e farneticazioni sconclusionate, danneggiano la società e qualificano con le azioni violente loro stessi. Ricordiamo che la sperimentazione e la ricerca scientifica sono da sempre servite all’umanità per migliorare la qualità della vita, sconfiggere malattie, scoprire nuove terapie e metodi di cura. Analogamente, lo studio delle TEA si propone di selezionare piante più resistenti agli stress biotici e abiotici, oggi in aumento a causa dei cambiamenti climatici, e dar vita quindi a un’agricoltura più sostenibile con minori input chimici, ridotto utilizzo di acqua e, se possibile, più produttiva, a fronte di un incremento della popolazione su scala mondiale.