Notiziario

Consumo di alcol: cosa dicono i Georgofili

In un recente articolo pubblicato su La Stampa (leggi qui) il "re del Barbaresco", Angelo Gaja, distingue tre tipologie di alcol: l'alcol da fermentazione, l'alcol da distillazione e l'alcol da addizione.
Abbiamo interpellato a questo proposito due accademici dei Georgofili: il dott. Francesco Cipriani, per dare un parere autorevole dal punto di vista medico ed epidemiologico, e il prof. Vincenzo Gerbi per un approccio di tipo enologico-scientifico.
Ecco che cosa ci hanno risposto. 

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Controllo biologico di Drosophila Suzukii: aggiornamenti e prospettive

Dal suo primo rilevamento in Trentino, ormai quindici anni fa, Drosophila suzukii, specie invasiva originaria dell'Asia orientale, è diventata il principale insetto dannoso per una vasta gamma di fruttiferi, in particolare per piccoli frutti e ciliegie. Grazie alla sua polifagia e alla grande mobilità, riesce a riprodursi massivamente negli habitat naturali che circondano gli appezzamenti coltivati, ricchi di piante ospiti che offrono frutti da infestare lungo quasi tutto l'arco dell’anno. Lo spillover di adulti da habitat semi-naturali e boschivi verso le coltivazioni è uno dei fenomeni che maggiormente complicano il controllo delle infestazioni.
In questo contesto, le sole strategie di gestione basate sull’uso di insetticidi per il controllo degli adulti si sono rivelate inefficaci e devono essere integrate con opportune pratiche agronomiche e tecniche di controllo biologico.
La giornata di studio, promossa dalla sezione Nord-Est dell’Accademia dei Georgofili con il patrocinio della Fondazione Edmund Mach, e ospitata nell’auditorium della Cooperativa Sant’Orsola a Pergine Valsugana (TN), è stata l’occasione per aggiornare tecnici e produttori sull’efficacia delle modalità di controllo attualmente implementate e sulle prospettive offerte dall’applicazione del controllo biologico.
Si è ribadito che non esiste una sola soluzione tecnica in grado di garantire l’efficacia del controllo di D. suzukii, ma che è indispensabile integrare i diversi mezzi tecnici a disposizione, dai trattamenti insetticidi alle pratiche agronomiche, fino all’organizzazione del cantiere di raccolta. 

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Attivisti irragionevoli, non nuovi eroi

Mercoledì 26 febbraio 2025, durante lo svolgimento nella sede accademica del convegno “Il contributo dello spazio per l’agricoltura”, in cui si analizzavano le odierne applicazioni del telerilevamento nel settore primario, con la partecipazione di relatori esperti e rappresentanti degli ordini professionali di agronomi, agrotecnici e periti agrari, hanno fatto irruzione nel salone delle adunanze tre energumeni, sedicenti attivisti di non si sa quale organizzazione, i quali hanno interrotto con urla sguaiate la relazione della dottoressa Maria Libera Battagliere dell’Agenzia Spaziale Italiana, hanno consegnato dei dépliant e di fatto hanno impedito lo svolgimento dell’incontro, blaterando poche idee ma molto confuse su OGM, TEA e potere delle multinazionali.
Di fronte alla costernazione dei presenti, sono intervenuto personalmente cercando di placare gli animi, ma non è stato possibile instaurare alcun tipo di dialogo con queste persone, che si sono allontanate soltanto in seguito all’intervento solerte delle forze dell’ordine, che ringrazio a nome dell’Accademia dei Georgofili.
Questo fatto, mai avvenuto prima - a mia memoria - nella sede della nostra Accademia (luogo di dibattito, idee e confronti civili dal 1753), desta non poca preoccupazione soprattutto in aggiunta ai recenti atti di vandalismo contro la sperimentazione di piante ottenute con TEA (tecnologie di evoluzione assistita): ricordiamo nel giugno 2024 la devastazione di un piccolo campo di riso resistente al brusone, studiato dall’Università di Milano, e soltanto poche settimane fa la distruzione di un vigneto sperimentale dell’Università di Verona.
Occorre evidenziare che gli autori di questi atti, con i quali è assolutamente impossibile ragionare perché hanno la mente obnubilata da deliri e farneticazioni sconclusionate, danneggiano la società e qualificano con le azioni violente loro stessi. Ricordiamo che la sperimentazione e la ricerca scientifica sono da sempre servite all’umanità per migliorare la qualità della vita, sconfiggere malattie, scoprire nuove terapie e metodi di cura. Analogamente, lo studio delle TEA si propone di selezionare piante più resistenti agli stress biotici e abiotici, oggi in aumento a causa dei cambiamenti climatici, e dar vita quindi a un’agricoltura più sostenibile con minori input chimici, ridotto utilizzo di acqua e, se possibile, più produttiva, a fronte di un incremento della popolazione su scala mondiale.

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Sostenibilità e qualità multidimensionale nel nuovo “Pacchetto Qualità”: strumenti e criticità

Il Regolamento (UE) 2024/1143 introduce il principio che la qualità dei prodotti a indicazione geografica non sia monodimensionale perché limitata alla qualità organolettica, ma tetradimensionale: oltre alla qualità organolettica sono rilevanti anche la sostenibilità sociale, economica e ambientale che deve caratterizzare non solo l’attività produttiva, ma anche tutte le attività svolte a sostegno dell’offerta dei prodotti a indicazione geografica.

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Sì, Virginia, c'è Babbo Natale... e ci sono anche le fiabe sugli alberi

Nel 1897, Francis Pharcellus Church, in risposta alla letterina della piccola Virginia, scrisse un editoriale passato alla storia con la celebre frase: "Yes, Virginia, there is a Santa Claus". Un capolavoro di retorica che invitava a credere nella magia, nei sogni e nelle speranze. Dopo quasi 130 anni, verrebbe da chiedersi cosa scriverebbe oggi Church se dovesse rispondere non solo a una bambina curiosa, ma a un'intera società che sembra essersi smarrita in una foresta di credenze bislacche e narrazioni improvvisate, in special modo sui temi ambientali, e in particolare sugli alberi.

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Quale Europa nel mondo di Trump?

L’avvento di Trump alla guida degli Usa ha portato con sé un’improvvisa ventata di novità che non finisce di stupire il resto del mondo. Da un lato la sua personalità, la modalità di affrontare problemi mondiali irrisolti da decenni, la fulmineità delle sue reazioni, dall’altro la “sventagliata” dei cento provvedimenti urgenti e che sono azioni di governo già decise e preparate, enfatizzate dai riflettori della comunicazione. La novità scuote un quadro stagnante dominato da uno stile molto più formale e prudente. Saltano vecchi schemi, regole obsolete, punti fermi di una diplomazia più convenzionale in un mondo che sta perdendo la capacità di gestire in tempi brevi situazioni tanto complesse.
Seguendo un’abile regia, l’offensiva trumpiana si è mossa da iniziative destinate a suscitare un grande clamore come la guerra dei dazi subito scatenata in maniera, però, dichiaratamente flessibile e che colpisce Paesi e casi di particolare impatto sulla sensibilità interna degli Usa e su quella esterna dei principali partner, come i Paesi confinanti (Canada e Messico), quelli vicini territorialmente (Panama, Colombia e Groenlandia), quelli affini  nello scacchiere politico mondiale ma lontani geograficamente come i Paesi europei, o quelli  “politicamente” avversi come Russia e Cina. La miscela di casi lascia intendere che le misure concrete, come i dazi in via di applicazione, in realtà abbiano un forte contenuto di politica economica e anche siano parte di una strategia mondiale tout court. Che siano solo l’indice di un volume più ampio, quello della politica Usa dopo l’era chiusa da Biden e iniziata con la fine della Seconda Guerra e la pace successiva.
In sintesi, la traccia di un nuovo ordine mondiale che Trump intenderebbe costruire, sostituendo quello precedente in forte affanno nelle grandi emergenze di questo decennio con l’obbiettivo di dimostrare che se il resto del mondo è debole non lo è altrettanto l’America.

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Dialoghi sul Verde: La terapia forestale

Ferrucci: Ormai  è consolidata negli studi di settore ed è acquisita  sul piano giuridico la consapevolezza del ruolo multifunzionale del bosco, economico, ambientale, paesaggistico, sociale, al quale è strettamente collegata l'affermazione crescente della gestione forestale sostenibile come leading concept delle più recenti Strategie dell'Unione Europea in materia di foreste e di biodiversità, e, sul versante italiano, della Strategia forestale nazionale e dello stesso Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali. La Terapia forestale o Forest Bathing sembra ampliare questo orizzonte nella direzione del moderno paradigma del One Health, che unisce sinergicamente la salute del pianeta e la salute umana e animale. Potresti spiegarci, tu che ad essa hai dedicato studi approfonditi, la genesi e la dinamica di questa nuova terapia?

Meneguzzo: La terapia forestale nacque sotto altra denominazione (“Shinrin-Yoku”, traducibile come “immergersi nell’atmosfera forestale”, o più semplicemente “bagno di foresta” o, in inglese, “forest bathing”) in Giappone nei primi anni ’80 del secolo scorso, quale pratica di salute individuale particolarmente orientata alla riduzione dello stress da superlavoro. La concomitante diffusione, con la globalizzazione dell’economia, dei sovraccarichi di lavoro, e la crescita delle evidenze scientifiche sui benefici delle immersioni negli ambienti forestali, ha portato negli ultimi due decenni e soprattutto da dieci anni a questa parte a un tumultuoso sviluppo della pratica dei bagni di foresta, fino all’avvio della transizione da pratica di salute a terapia di rilevanza medica e sanitaria: verso, appunto, la “Terapia Forestale”.

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I criteri ESG per la sostenibilità dell’agroalimentare

Il settore agroalimentare presta sempre più attenzione ai criteri ESG (Environmental, Social and Governance), condivisi sia dai consumatori che dalle aziende produttrici, le quali devono adeguarsi a un quadro normativo sempre più stringente. La transizione verso pratiche più sostenibili richiede investimenti significativi e una riorganizzazione delle catene del valore. L’adozione dei criteri ESG implica anche un cambiamento culturale: è fondamentale comprendere il valore della sostenibilità e trasformarlo in azioni concrete e misurabili. Per questo, è necessario investire in formazione, aggiornamento continuo e strumenti adeguati per monitorare e rendicontare i progressi. 

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Dialoghi in biotecnologie: “Il contributo delle TEA per il Miglioramento genetico del grano tenero”

Frusciante: Nel dialogo precedente abbiamo discusso l’importanza storica del miglioramento genetico del grano duro in Italia, partendo dal lavoro pionieristico di Strampelli fino alle moderne tecnologie di evoluzione assistita (TEA). Spostando ora l’attenzione sul grano tenero, una coltura fondamentale per l’alimentazione umana, con oltre 760 milioni di tonnellate prodotte annualmente nel mondo, è interessante riflettere sui principali fattori che ne hanno determinato il successo.
Tuttavia, negli ultimi anni il tasso di crescita della produttività del grano tenero sta rallentando in molte regioni. Tale fenomeno è attribuibile all’esaurimento della diversità genetica disponibile e agli effetti del cambiamento climatico. Quali strategie possano essere adottate per affrontare queste sfide e garantire una maggiore resilienza e sostenibilità nella sua coltivazione?

De Vita: Il successo del grano tenero è il risultato di una combinazione di innovazioni genetiche e miglioramenti nelle pratiche agronomiche, che hanno consentito di soddisfare la crescente domanda alimentare a livello mondiale. Negli ultimi decenni, il miglioramento genetico ha portato a un guadagno annuale nelle rese di circa l’1% a livello globale, con tassi di incremento ancora maggiori in alcune aree. Anche in Italia, l’introduzione di varietà migliorate ha contribuito all’aumento delle rese e alla stabilità produttiva: in un secolo, la produzione di frumento è più che raddoppiata, mentre la superficie coltivata si è ridotta a meno della metà.
Tuttavia, mantenere questo ritmo di progresso genetico rappresenta una sfida, soprattutto in quelle aree dove le condizioni ambientali stanno diventando più estreme. Si stima che ogni aumento di 1°C della temperatura globale possa causare una perdita del 4-6% in resa. In questo contesto, emergono conflitti tra le priorità di resistenza agli stress ambientali e l’incremento del potenziale produttivo, i cosiddetti “trade-off”. Per superare questa impasse, è fondamentale approfondire la conoscenza dei meccanismi genetici che regolano i vincoli fisiologici delle colture.

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Opportunità e problematiche per la viticoltura eroica

La presenza della vite è diffusa su un ampio areale, che nell’emisfero nord va da 30° a 50° di latitudine. In molti di questi territori, la coltivazione avviene storicamente in vari ambienti considerati “difficili”, quali le zone ad elevata pendenza o montane.
Le problematiche di gestione dei vigneti in queste aree sono comuni a molti territori italiani, tanto che nel 2020, su sollecitazione del CERVIM (organismo internazionale creato nel 1987 sotto gli auspici dell’O.I.V.) è stato emanato un Decreto interministeriale che definisce questa tipologia di viticoltura, definendola “eroica”. Il D.M. 30.06.2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 2020 riporta all’art. 3 i requisiti per la definizione di viticoltura “eroica”, cioè:
- coltivazione su terrazzi e gradoni;
- altitudine superiore a 500 m (esclusi gli altipiani);
- pendenza superiore al 30%;
- vigneti nelle piccole isole;
Le caratteristiche che accomunano le zone sulle quali si fonda il riconoscimento delle "viticolture eroiche" sono di fatto le seguenti:
condizioni orografiche che creano impedimenti alla meccanizzazione;
vigneti dalle ridotte dimensioni, non sempre contigui e in molti casi con presenza di terrazzamenti o significativi dislivelli tra i filari;
aziende agricole con superfici aziendali contenute e prevalenza di imprenditorialità non a titolo principale;
condizioni climatiche talvolta limitanti;
tipologie produttive spesso fuori dai modelli di riferimento (prodotti di nicchia);
vigneti situati in aree geografiche ad alta valenza paesaggistica e turistica.

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I dazi e la fine dell’ordine globale

La questione dei dazi, opposta alle logiche di apertura agli scambi commerciali, costituisce molto di più di una semplice guerra commerciale e per questo va affrontata con maggior ponderazione di quanto stia avvenendo ma per questo occorrono la volontà e l’umiltà di porre mano al disordine del mondo ed alla costruzione di un nuovo ordine su basi multilaterali condivise, magari proprio ripartendo dall’agricoltura.

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L’etichettatura dei prodotti e la pubblicità: i consumatori sono tutelati o ingannati?

Qualsiasi prodotto che un consumatore mangia, beve o inala nel corso della sua vita può potenzialmente causare danni. Le leggi che regolano la sicurezza dei prodotti mirano a prevenire tali danni. Questo documento si rivolge ovviamente ai consumatori ma ed allo stesso tempo a tutti coloro che sono coinvolti nelle industrie alimentari e farmaceutiche.

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Che cos’è la Botanica e quali relazioni ha con l’Agronomia e la Medicina?

In un periodo di crescente interesse per le piante, nonostante i noti e documentati problemi di “cecità vegetale” specialmente nelle aree urbanizzate, una delle principali sfide consiste nel comunicare in modo efficace l’essenza della Botanica: di cosa tratta questa disciplina? Chi sono i botanici? Come si differenziano i giardini botanici dagli altri tipi di giardini? Secondo il Cambridge Dictionary, la Botanica è definita come "lo studio scientifico delle piante", mentre il Dizionario Treccani la descrive come "la branca della Biologia che studia gli organismi vegetali". Tuttavia, poiché la ricerca contemporanea sulle piante presenta una grande varietà di specializzazioni, lo studio delle piante può manifestarsi in forme diverse, spesso coinvolgendo l’uso delle piante o dei loro estratti in studi che spaziano dalla ricerca di base alla ricerca applicata in ambito agronomico o medico, talvolta definita come “Botanica applicata”.
Questa complessità risale certamente all’origine della Botanica stessa come scienza separata dalla Medicina durante il Rinascimento, fino alle sue origini più remote nell’antica Grecia, quando la parola ‘botanica’ venne coniata da Omero nell’Iliade, nell’VIII secolo a.C. Il legame profondo con la coltivazione delle piante per scopi alimentari e estetici è ancor più antico, risalendo ad almeno 11.700 anni fa. Questa stessa complessità è riflessa anche nell’organizzazione accademica, in cui la Botanica pura viene insegnata sempre meno frequentemente. Infatti, la ricerca di base è sempre più rara a causa delle limitazioni di fondi, con la ricerca applicata che attrae finanziamenti enormemente maggiori. Tutti questi problemi hanno portato alcuni a dichiarare “la fine della Botanica” e altri a sottolineare come concetti di base e fondamentali, come la nomenclatura, vengano sempre più trascurati dalla comunità scientifica dei biologi vegetali. I termini “botanica” e “botanico” stanno diventando sempre più rari in ambito accademico, a favore dei più accattivanti “biologia vegetale” e “biologo vegetale”. Parallelamente, al di fuori dell’ambito accademico, questi termini sono ancora di largo uso, ma sempre più spesso vengono applicati a qualsiasi figura professionale o amatoriale che si occupi delle piante a qualsiasi livello e per qualsiasi motivo, comprese Agronomia (agronomi, arboricoltori, giardinieri, ecc.) e Medicina (erboristi, fitoterapisti, farmacologi vegetali, ecc.). Da queste premesse è scaturita la proposta che ho di recente pubblicato sulla rivista “Italian Botanist”.

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Il ripristino degli ecosistemi urbani alla luce del Regolamento sul ripristino della Natura

L’ambizioso programma mirato al ripristino della natura forgiato dall’Unione Europea con il Regolamento (UE) 2024/1991 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 giugno 2024, ispirato all’obiettivo quasi utopistico di arginare la deriva, attestata da report dai toni sempre più drammatici della Commissione e della Corte dei Conti, della perdita e del declino della biodiversità, habitat e specie sul territorio europeo, non poteva escludere dal suo ampio raggio di azione il ripristino degli ecosistemi urbani. Sotto il profilo scientifico è infatti ormai da tempo consolidata la qualificazione del verde urbano, in tutte le sue componenti chiaramente enucleate dalle Linee guida per la gestione del verde urbano e prime indicazioni per una pianificazione sostenibile, redatte dal Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, tra le Nature Based Solutions che concorrono a limitare le emergenze ambientali dalle quale le città europee (e non solo) sono indistintamente colpite: dall’inquinamento dell’aria, a quello acustico, ai fenomeni della c.d. isola di calore, tutti generati da uno scellerato esponenziale consumo di suolo, potenziati dagli effetti nefasti del climate change, in una sorta di perverso gioco di reciproche interconnessioni in cui l’uno è causa ed effetto dell’altro, fino ad incidere in maniera pesante sulla stessa salute dei cittadini. E tale ruolo del verde urbano è espressamente riconosciuto dalla lunga teoria di strumenti di Soft Law, comprese le diverse Strategie unionali, sia attuative del Green Deal che più risalenti, alle quali il Regolamento espressamente dichiara di dare attuazione. Nei suoi Considerando il Regolamento espressamente motiva il suo intervento in materia di ecosistemi urbani sulla base della considerazione che questi ultimi, che rappresentano circa il ventidue per cento della superficie terrestre dell'Unione ed ospitano al loro interno la maggioranza dei cittadini europei, costituiscono, come gli altri ecosistemi destinatari di misure di ripristino, habitat importanti per la biodiversità, in particolare per le piante, gli uccelli e gli insetti, compresi gli impollinatori, oltre a fornire molti altri servizi ecosistemici essenziali, tra cui la riduzione e il contenimento del rischio di catastrofi naturali, ad esempio per le inondazioni e gli effetti «da isole di calore urbano», il raffrescamento, le attività ricreative, la depurazione dell'acqua e dell'aria, nonché la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici.

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Il futuro delle scienze e tecnologie alimentari

Nel terzo millennio il sistema agro-alimentare e il settore delle scienze e tecnologie alimentari si trovano ad affrontare sfide significative collegate alla crescita della popolazione mondiale, ai cambiamenti climatici, alle crisi e ai conflitti geopolitici, all’evoluzione delle esigenze dei consumatori anche in relazione al loro stato di salute. 

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Verso un nuovo sistema per la gestione del rischio in agricoltura

Le azioni da mettere in campo per circoscrivere e tenere sotto controllo i rischi delle imprese agricole sono diventate una delle aree strategiche gestionali che maggiormente preoccupano gli imprenditori, per effetto della imprevedibilità e della variabilità dei fattori che incidono sui costi, sul rendimento produttivo e sui prezzi. Le avversità climatiche che aumentano in frequenza ed intensità, la diffusione di malattie delle piante e del bestiame difficili da prevenire ed arginare, la volatilità dei prezzi, i fenomeni geopolitici che provocano turbolenze nei mercati sono alcuni degli esempi che si possono menzionare per evidenziare l’importanza che ha assunto il sistema della gestione del rischio.

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Per un (vero) rilancio dell’olivicoltura italiana: strategie e prospettive

L’olivicoltura italiana, da sempre simbolo di eccellenza agroalimentare, è oggi chiamata a fronteggiare sfide complesse. Una progressiva perdita di competitività rispetto ai mercati internazionali, unita agli effetti dei cambiamenti climatici, alla diffusione di fitopatie come la Xylella fastidiosa e all’obsolescenza di buona parte del patrimonio produttivo, ha reso necessario un intervento organico per rilanciare il settore.
A ciò si aggiungono problematiche strutturali: frammentazione fondiaria, limitato ricambio generazionale e obsolescenza degli impianti, spesso non meccanizzabili e scarsamente produttivi, a cui fanno eco la concorrenza sempre più forte di Paesi come Spagna, Tunisia, Grecia e Marocco, capaci di innovare il proprio sistema olivicolo, con impianti intensivi e super-intensivi e tecnologie avanzate.
Un patrimonio olivicolo, quello italiano, assai composito, che comprende al suo interno numerose tipologie diverse di olivicoltura (al punto che si può ben parlare di “olivicolture”) per molti fattori, tra cui: pendenza del suolo, presenza di terrazzamenti, sesti d’impianto, età delle piante, impiego di varietà autoctone minori o altre di più larga diffusione, incluso alcune straniere, disponibilità di acqua di irrigazione, certificazione di origine, ecc.
L’Italia, tuttavia, vanta punti di forza ineguagliabili: un patrimonio genetico ricco di biodiversità, la capacità di produrre oli EVO di qualità eccellente e un legame profondo con il territorio, che conferisce unicità alle produzioni. È quindi essenziale un Piano Olivicolo Nazionale Pluriennale, per superare le criticità e trasformare il settore in un volàno di crescita economica, sostenibile e culturale. Con tale spirito, la Regione Toscana si è fatta promotrice di una forte sollecitazione, sia verso le altre regioni che il Ministero dell’Agricoltura, con una proposta che è stata largamente condivisa ed ha formato la proposta regionale del Piano.

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“Dialoghi sul suolo e l’acqua”: La percezione dell’importanza del suolo in Italia

Pagliai – Carmelo, tu nel 2010 in occasione della giornata mondiale del suolo organizzasti un workshop a Palermo su “La Percezione del Suolo in Italia”. Ricordo che scopo del workshop, come da te dichiarato, era quello di ascoltare da “non addetti ai lavori” come il suolo era da essi percepito in modo da ricavare utili indicazioni per stimolare la diffusione della cultura del suolo in Italia. Ascoltare il modo in cui viene percepito il suolo da studiosi di altre discipline poteva certamente servire a meglio comprendere le ragioni sottese alla difficoltà che gli scienziati del suolo hanno sempre sperimentato nella diffusione della cultura del suolo in Italia.
Si è riusciti nell’intento? È cambiato qualcosa da allora?

Dazzi – Marcello caro, la tua domanda mi porta indietro nel tempo di 15 anni, e anche di più. Ricordo che l’idea di organizzare un workshop nel quale a parlare di suolo erano chiamati esperti di discipline anche molto diverse dalla scienza del suolo, nacque dalla consapevolezza che tutti i convegni che, a partire dal 1952 (anno di fondazione della SISS - Società Italiana della Scienza del Suolo), sono stati organizzati fino ad oggi, hanno visto “scienziati del suolo” che parlavano di suolo ad altri “scienziati del suolo”. Così era accaduto anche nel convegno nazionale organizzato sempre a Palermo nel 1997, sul tema “Per una Cultura del Suolo in Italia”. E così, purtroppo continua ad accadere.
Noi sappiamo che il suolo è una risorsa fondamentale per la vita sulla terra, che svolge numerose funzioni e fornisce servizi essenziali per le attività umane e per la sopravvivenza degli ecosistemi. Siamo inoltre consapevoli che oggi il suolo è sottoposto a pressioni ambientali ed antropiche sempre più forti che danneggiano per sempre la capacità del suolo di fornire servizi ecosistemici. È quindi imperativo intervenire per proteggere il suolo al fine di garantire la sua funzionalità alle generazioni future. Il non perseguimento di questo obiettivo mina fortemente la sostenibilità ambientale ed economica della nostra società, ancor di più nel nostro fragile, complesso e tanto maltrattato paesaggio italiano. Nonostante l’importanza di queste tematiche e l’urgenza di una strategia di interventi (politici, economici, sociali) per la difesa del suolo, si registra una scarsa percezione da parte della società civile. È in un contesto così problematico che si è inserito il workshop cui tu facevi riferimento che, tramite un focus sulla percezione del suolo mira ad affrontare il nodo cruciale culturale della diffusione della Scienza del Suolo e della Pedologia in Italia. Ma la vera innovazione è stata quella di farlo a ruoli invertiti invitando economisti, bancari, architetti, dirigenti d’azienda, giornalisti, forze dell’ordine, insegnanti di scuola, colleghi di altri settori a parlarci della loro percezione sul suolo.

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La lezione del tetraedro delle scelte

Occorre la forza di sottrarsi a mode ed ideologie effimere e vaghe, ma assai diffuse, e di agire con coraggio e determinazione seguendo le leggi fondamentali dell’economia. Non si può distribuire ricchezza se prima non la si produce e se non si stimola la produttività con l’immissione di innovazione frutto di ricerca, sviluppo scientifico e trasferimento di tecnologie ai settori produttivi.

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Si può tornare indietro dalla resistenza batterica acquisita agli antibiotici (AMR)?

Per fortuna, sembra che la antibiotico-resistenza possa attenuata o, addirittura, eliminata, facendo minor uso di antibiotici, in generale. Si hanno già dei segnali positivi in questo senso e tutto ciò sembra attribuibile al ridotto uso di antibiotici, specie se non necessario. È ovvio che, in certi casi, l’impiego di antibiotici è inevitabile: le patologie più gravi vanno combattute sia in medicina umana che veterinaria, anche per la sicurezza di tutti.

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Nuovi orizzonti nella valorizzazione dei sottoprodotti delle filiere forestali

I sottoprodotti della gestione del bosco, come rametti, cortecce e parti di tronco, rappresentano risorse abbondanti, concentrate e assicurate da filiere consolidate. Per esempio, residui della lavorazione del castagno sono utilizzati da secoli per produrre estratti ad elevato contenuto di tannini, a loro volta impiegati soprattutto nella concia delle pelli e, più recentemente, come integranti dell’alimentazione animale e in agricoltura. Finora, cortecce e rametti di conifere sono rimasti pressoché inutilizzati in quanto nessuna tecnica di estrazione ne ha consentito un impiego conveniente, nonostante ne siano note da tempo le interessanti proprietà biologiche a favore della salute umana. Già i Vichinghi, ad esempio, utilizzavano parti di abete rosso, macerate in una bevanda alcolica simile alla birra, in funzione curativa e di prevenzione dello scorbuto durante le lunghe navigazioni. Oggi, la situazione è destinata a cambiare rapidamente.
Uno studio coordinato dall’Istituto per la BioEconomia del Cnr e dall’Istituto Luke di Helsinki, in Finlandia, cofinanziato per la parte italiana dai progetti ‘On Foods’ (NextGenerationEU) e ‘Nutrage’ (Cnr) e pubblicato sulla rivista Separation and Purification Technology, ha infatti confrontato la nuova tecnica di estrazione di cortecce di abete rosso mediante cavitazione idrodinamica con la più consolidata estrazione in acqua calda, trovando che la prima era sei volte più efficiente. La tecnica di cavitazione idrodinamica prevede la ricircolazione della miscela composta soltanto da acqua e dal sottoprodotto forestale, in un circuito idraulico chiuso costituito da una pompa centrifuga e un “reattore”, per esempio in forma di tubo Venturi, in cui, accelerando, l’acqua va in depressione e bolle a qualsiasi temperatura. Le bolle di cavitazione, trascinate dal flusso, in pochi millesimi di secondo implodono sotto l’azione della pressione esterna, generando microambienti dotati di altissime densità di energia, in grado di distruggere le membrane cellulari vegetali ed estrarre in acqua tutti i composti bioattivi. Gli estratti così ottenuti dalla corteccia di abete rosso, in forma di polvere secca, hanno rivelato elevati livelli di attività antiossidanti e antivirale rispetto a due diversi tipi di virus, nonchè una straordinaria attività antibatterica nei confronti di diversi ceppi resistenti agli antibiotici. 

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L’invasione della Cocciniglia tartaruga in Italia e i rischi per le pinete di Pino domestico

  • 29 January 2025
  • Giuseppino Sabbatini Peverieri, Leonardo Marianelli, Lucrezia Giovannini, Giuseppe Mazza, Francesco Turillazzi, Paolo Toccafondi, Pio Federico Roversi

Toumeyella parvicornis (Cockerell), nota come Cocciniglia tartaruga del pino, è una grave minaccia per le pinete italiane, in particolare quelle di pino domestico. Originaria del Nord America è stata reperita per la prima volta in Italia in Campania nel 2014 e si è successivamente diffuso nel Lazio, Toscana, Puglia, Abruzzo e Marche.
Insieme al commercio di piante infestate e al trasporto di parti di piante infestate derivanti da potature o abbattimenti, la principale modalità di colonizzazione di nuove pinete è legata alla capacità delle neanidi neonate, mobili, di farsi trasportare per km dalle correnti d’aria. Occasionalmente anche altri animali, uccelli in particolare, possono diventare vettori della Cocciniglia.
In Italia, T. parvicornis completa 3-4 generazioni/ anno manifestando grandi potenzialità di moltiplicazione anche grazie alla elevata fecondità delle femmine che possono deporre fino a 500 uova. L’Insetto causa danni diretti alimentandosi a spese della linfa delle piante colpite e danni indiretti a causa dello sviluppo di abbondanti fumaggini che finiscono per ricoprire con una colorazione nerastra l’intera chioma. Il forte indebolimento delle piante attaccate può concludersi con un rapido disseccamento o con l’attacco di insetti xilofagi di debolezza. Le piante di maggiori dimensioni possono resistere anni alle ripetute infestazioni, mentre le piante giovani e i semenzali non di rado collassano rapidamente. Nei casi di infestazioni gravi, interi soprassuoli a pino possono essere devastati, come rilevato per pinete costiere di Pino domestico Campane e Laziali tra il 2016 e il 2024.

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Il mondo ambientalista: fonte di fake news?

Non sono in grado di dire se vi sia una qualche relazione fra “Food for profit” (film di Giulia Innocenzi) e il documento WWF: “Al via la meat free week promossa dal WWF”, apparso il 26-02-24. Certamente è analoga l’ispirazione animalista e, soprattutto, l’attitudine a mescolare verità (poche) e fake (molte); in entrambi, ne risulta la diffusione di informazioni che sono fonte di confusione per i consumatori con minori competenze specifiche. Di qui il mio tentativo di evidenziare le principali “fake” veicolate dal documento WWF e così chiarire anche quelle riportate nel già menzionato film “Meat for profit”.
Per facilitare la lettura, il testo contiene (numerate) le frasi tratte dall’originale WWF (in corsivo e grassetto) che sono sembrate degne di essere confutate; ad esse fanno seguito le motivazioni critiche e, per accrescerne l’autorevolezza, ho citato alcuni documenti ufficiali della FAO.

1) Gli allevamenti intensivi sono una delle principali cause del cambiamento climatico, responsabili del 16,5% delle emissioni globali di gas serra (cifra paragonabile agli effetti dell’intero settore dei trasporti, considerando treni, macchine, aerei e camion) e del 60% delle emissioni dell’intero settore agroalimentare. 
I dati numerici non sono lontani dalla realtà, ma non vi è alcuna relazione con gli allevamenti intensivi; infatti, i dati sulle emissioni corrispondono  a quelli di tutti gli animali allevati sul pianeta, come emerge dal documento FAO (2023) che afferma: “A livello globale, la produzione di proteine animali, come presentato nella sottosezione precedente (Produzione globale di proteine animali), è associata a un totale di 6,2 Gt CO2eq di emissioni, che costituiscono circa il 12% delle emissioni antropogeniche totali stimate tra 50 e 52 Gt CO2eq nel 2015.” Ammettiamo pure che la FAO abbia sbagliato per difetto, ma è ovvio che il 16,5% del WWF non sia così lontano. Se a questo punto si considera che nei Paesi meno sviluppati è allocato un numero di bovini e ovicaprini che è da 6 a 9 volte superiore a quello dei Paesi sviluppati (FAOSTAT, 2018), risultano confermati i dati FAOSTAT (2020), che cioè la quota delle emissioni di CH4 enterico da parte dei ruminanti è più elevata in Asia (37%), sud America (23%) ed Africa (17%), rispetto ad Europa (10%), nord America (9%) e Oceania (3%). A questo punto, si potrebbe chiedere al WWF come sia possibile che gli allevamenti intensivi - una esigua minoranza nei 3 continenti Asia, Africa e America Latina – possano essere responsabili di gran parte dei GHG mondiali. D’altra parte, è esattamente quanto la FAO (2023) afferma nel medesimo documento: “La riduzione più significativa delle emissioni, sia assolute che relative, può essere ottenuta dando priorità ai miglioramenti della produttività, non solo per quella animale ma anche ottimizzando l’efficienza in ogni fase della catena di produzione... Questo documento stima che, se implementati collettivamente, questi miglioramenti (di produttività) potrebbero ridurre significativamente le emissioni del settore zootecnico, pur rispettando l'aspettativa di un ulteriore 20% di aumento del fabbisogno di proteine animali prevista entro il 2050.” L’aumento della produttività è, in primo luogo, quanto consentono gli allevamenti intensivi.

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Dialoghi in biotecnologie: “Il contributo delle TEA per il miglioramento genetico del grano duro”

Frusciante: Il miglioramento genetico del grano in Italia nasce dal lavoro visionario di Nazzareno Strampelli, pioniere della genetica agraria, che introdusse l'incrocio artificiale tra genotipi per combinare i migliori caratteri di ciascuno, senza conoscere le leggi di Mendel. Questo approccio portò allo sviluppo di numerose varietà di grano tenero a partire dal Rieti, una varietà apprezzata per l’ottima resistenza alla ruggine. Tuttavia, Strampelli è noto soprattutto per la varietà Cappelli, ottenuta nel 1915 tramite selezione entro una popolazione nordafricana. In che modo il lavoro di Strampelli e la varietà Cappelli hanno influenzato le moderne strategie di miglioramento genetico di questa coltura?

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