Il rispetto dei requisiti di benessere degli animali in allevamento è attualmente un argomento di forte interesse nell’ambito dell’opinione pubblica e rappresenta di fatto un tema significativo per il settore zootecnico moderno, in quanto direttamente collegabile ad altri concetti di estrema attualità, quali la salubrità e la sicurezza degli alimenti di origine animale.
Proprio in virtù dell’importanza di questa tematica, Regione Toscana negli ultimi anni ha intrapreso un percorso volto al miglioramento della conoscenza del tema benessere in allevamento, al fine di poter sviluppare una serie di strategie utili a garantire un futuro sostenibile delle aziende zootecniche facenti parte del contesto regionale. Una serie di iniziative progettuali, inerenti l’impiego di innovazioni e buone pratiche allevatoriali atte al miglioramento del livello di benessere animale in allevamento, sono state sviluppate da partenariati costituiti tra Aziende agricole toscane ed Istituzioni Scientifiche competenti sul territorio regionale che hanno trovato accoglienza nel corso della programmazione 2014-2022.
Se sul mondo produttivo continuano a scaricarsi tutte le contraddizioni del sistema, tutti i bei discorsi che si fanno sul giusto prezzo, sulla qualità, sul made in Italy che senso hanno? Il giusto prezzo non deve essere ‘giusto’ in primo luogo per chi produce? Domande a cui qualcuno prima o poi dovrà rispondere.
L’ultimo rapporto annuale della EMA (European Medicines Agency, News:
18/11/2022) ci informa che nella Unione Europea, Svizzera e Regno Unito,
la vendita di antibiotici è crollata del 47% nella decade 2011 -2021,
con un calo del 5,5% solo l’anno scorso. È la dimostrazione che le
iniziative politiche dell’Unione Europea stanno sortendo effetti
positivi nell’ambito della lotta all’antibiotico resistenza acquisita
(AMR) di molti agenti patogeni.
La Commissione Europea ha tolto il tema dell’etichettatura fronte pacco
(FOP) dall’agenda per i prossimi mesi, ogni decisione rinviata al 2024.
La
guerra europea tra i differenti schemi di etichettatura proposti dalle
nazioni, in particolare il Nutriscore francese e il Nutrinform Battery
italiano, è partita con le migliori intenzioni per il benessere e la
salute dei cittadini europei ed è naufragata sulla minaccia che il
modello Nutriscore possa impropriamente essere utilizzato per modificare
il paniere d’acquisto alimentare boicottando i prodotti emblema del
Made in Italy.
In questa guerra non bisogna trascurare il fattore
“tempo”, la risorsa più scarsa per i cittadini europei e certamente una
risorsa non rinnovabile, variabile chiave nella definizione delle azioni
politiche che fissano al 2030 la scadenza per gli obiettivi della
strategia Farm to Fork che mira ad un approccio innovativo e più
sostenibile per i nostri sistemi alimentari, inclusa l’armonizzazione
dell’etichettatura fronte pacco (FOP).
Il fattore tempo, dunque,
coinvolto nel processo di valutazione a cui è chiamata la Commissione
Europea che si esprimerà su diverse proposte di etichettatura FOP, se
trascurato, costituirà il principale ostacolo all’arresto dell’epidemia
di obesità, fattore di rischio per le malattie metaboliche,
cardiovascolari, neurologiche e neoplastiche, che riducono l’aspettativa
e la qualità di vita della popolazione europea. Proprio il fattore
tempo, però, non può trovare un affidabile alleato nel modello del
Nutriscore, inadatto a raggiungere in maniera efficiente ed efficace
l’obiettivo di modelli dietetici più sani e sostenibili per le nazioni
europee.
Il Nutri‐Score, infatti, si basa su un algoritmo che
analizzando gli elementi ritenuti positivi per l’alimentazione dai suoi
progettisti (le fibre, le proteine e il contenuto di frutta e verdura) e
quelli reputati, al contrario, negativi (il sale, lo zucchero, i grassi
saturi e le calorie) in 100 grammi di alimento, assegna la valutazione
complessiva in cinque colori, dal verde al rosso, e in cinque lettere,
dalla A (salutare) alla E (non salutare), in base al risultato.
L'algoritmo
alla base dell'etichetta Nutri‐Score deriva dal modello di profilo
nutrizionale della Food Standard Agency (FSA), originariamente un
modello binario sviluppato per regolamentare la commercializzazione di
alimenti per i bambini nel Regno Unito.
Il primo mito da sfatare è
l’errata fiducia che l’uomo comune ripone nell’infallibilità dei sistemi
basati su un approccio matematico. Comunemente, infatti, di fronte alla
complessità degli algoritmi subentra un atto di fede, che porta,
spesso, a credere, a priori, che una procedura matematica rappresenti
uno strumento efficace ed efficiente per guidare i consumatori
dimenticando che la fallacia dell’algoritmo risiede proprio nella
fragilità delle premesse sui quali è progettato.
«Quando parliamo di agricoltura non dobbiamo mai dimenticare che la prima missione è quella di produrre cibo, un’attività che con l’aumento della popolazione mondiale sarà sempre più rilevante. Allo stesso tempo, dobbiamo assecondare lo sviluppo di nuovi modelli di agricoltura, che consentano da un lato l’adozione di strumenti di agricoltura di precisione e dall’altro aprano alle nuove frontiere dell’agro-ecologia. Fieragricola TECH (Verona, 31 gennaio-3 febbraio 2023, ndr), con i focus dedicati alla digitalizzazione in agricoltura, alla smart irrigation, alle energie rinnovabili e al biocontrollo e ai biostimolanti sposa temi di grandissima attualità, che stiamo portando avanti anche nel progetto Agritech , il Centro nazionale per lo sviluppo delle nuove tecnologie in agricoltura, che vede l’Università di Napoli Federico II capofila e coordinatore di quello che, a oggi, è il più importante sforzo scientifico in ambito agricolo e agroalimentare».
Obiettivi dell’agricoltura e finalità della ricerca nel settore primario si intrecciano nelle parole della professoressa Stefania De Pascale, ordinario di Orticoltura e Floricoltura all’Università Federico II di Napoli, vicepresidente del Crea, componente del Consiglio direttivo dell’Accademia dei Georgofili e responsabile tecnico-scientifico del progetto GreenFarm, finanziato dal MiSE, sulle energie rinnovabili in agricoltura e sull’implementazione della circolarità in agricoltura. La scienziata De Pascale è coinvolta anche in numerosi progetti finalizzati a studiare l’agricoltura nello spazio.
Nel toccare i diversi aspetti che rientravano tra gli obiettivi, il Convegno di chiusura del Progetto BEENOMIX 2.0 (PSR 2014 – 2020 di Regione Lombardia), ha fornito qualche spunto interessante circa la vexata quaestio della mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici in apicoltura. Di tutti gli animali che l’uomo alleva forse sono proprio le api quelle che risentono maggiormente dell’impatto del clima impazzito. Abbiamo inverni brevi e miti che finiscono troppo presto e incoraggiano le colonie di api a iniziare in anticipo una vigorosa deposizione di covata in modo da disporre di un numero di bottinatrici all’altezza degli attesi raccolti primaverili. Ma è una falsa partenza. I mesi primaverili che seguono possono essere freddi, piovosi oppure così secchi da inibire quella abbondante secrezione di nettare che è il punto di partenza per una generosa produzione di miele. Le covate troppo copiose e precoci che, fino a pochi decenni fa, permettevano alla nostra benemerita varietà Ligustica di Apis mellifera di produrre nell’ambiente mediterraneo raccolti da record oggi sembrano controproducenti. Tanta covata significa tanta energia per tenerla calda ed alimentarla. Tutto bene se poi le fioriture primaverili, tipicamente l’acacia (Robinia pseudoacacia), potevano giovarsi di uno sterminato popolo di bottinatrici, capaci di portare a casa raccolti straordinari. Se però questi mancano le colonie si trovano spiazzate e a rischio di collasso per fame. Diventa necessaria una nutrizione di soccorso proprio nel momento in cui dovrebbe esserci la massima abbondanza di nettare e polline da raccogliere. Nutrizione che lo scorso anno ha superato spesso il chilo di sciroppo per chilo di miele prodotto. Un fatto che espone l’apicoltore che salva la vita alle sue colonie al rischio di passare per adulteratore del miele, se mai vi si trovassero tracce dello sciroppo. Coi tempi che corrono quindi gli apicoltori più avveduti hanno capito che è giunto il momento di plasmare l’operoso insetto in modo da renderlo resiliente al disastro climatico che si annuncia inevitabile. La selezione deve qui agire con prontezza e il Progetto BEENOMIX 2.0 ha indicato un paio di strategie che meritano di essere portate in evidenza.
I confini tracciati dall’uomo sulle cartine geografiche perdono il
proprio significato di fronte alle moderne sfide globali poste dal
clima, dalla salute e da un mondo sempre più interconnesso. Considerarci
come elementi estranei all’ecosistema ha fatto sì che alterassimo molte
terre emerse, mari ed oceani, spesso non rispettandone gli equilibri.
Invece, facciamo parte di un solo sistema, in cui la salute di ogni
elemento del pianeta (umano, vegetale e animale) è strettamente
interdipendente con quella degli altri.
Per questo motivo, si parla
sempre più diffusamente dell’approccio “One Health”, ovvero la
constatazione che esiste UNA sola salute che interconnette l’uomo con le
piante, con gli animali e l’ambiente (visione olistica del concetto di
salute). Detto più semplicemente, la salute del pianeta e di tutti i
suoi abitanti deve avere pari dignità se vogliamo creare un ecosistema
sostenibile, resiliente e durevole.
Le città di tutto il mondo stanno crescendo drammaticamente. Oggi il 55%
degli abitanti del pianeta vive in aree urbane ed entro il 2030 si
prevede che il 60 per cento della popolazione mondiale, ovvero quasi 5
miliardi di persone, vivrà nelle aree urbane. I movimenti di popolazioni
non sono mai avvenuti in precedenza con questa velocità e con questa
modalità. Tuttavia, le città non si stanno solo espandendo, ma stanno
anche cambiando nei loro ruoli e nella loro funzione. La
deindustrializzazione, l'aumento della mobilità e un settore dei servizi
in crescita hanno visto le aree urbane trasformarsi in economie di
consumo post-industriali basate sulla conoscenza piuttosto che sulla
produzione.
Emerge da questo spostamento del focus della funzione
delle città un cambiamento “evolutivo” nella forma e nei modi in cui le
città stesse dovrebbero essere progettate e costruite e come la natura
dovrebbe far parte di questo cambiamento. Ciò ha attirato ulteriori
ricerche e sviluppi da parte di persone interessate e con obiettivi
comuni e il desiderio di consentire una maggiore opportunità per gli
abitanti delle città di affiliarsi con la natura, e di tutti i vantaggi
che ciò offre, all'interno dell'ambiente urbano. L'attenzione sulla
connessione uomo-natura non è più relegata agli ambientalisti e alle
aree naturali al di fuori delle città; è una richiesta che proviene
dagli abitanti delle città.
Si è perciò evoluto un movimento sociale
basato sul design biofilico sostenuto dall'aumento della popolazione
urbana e dal cambiamento della funzione della città che ha portato a una
dinamica mutevole e all'interazione tra luoghi e spazi urbani. Questa
trasformazione recente, e in espansione, negli insediamenti urbani umani
richiede un nuovo approccio alla costruzione delle città. Le città
devono essere progettate, pianificate, costruite e adattate per essere
sostenibili e vivibili (Storey e Kang 2015). La maggiore densità
edilizia, i canyon urbani e le superfici impermeabilizzate modificano il
clima locale, in particolare la temperatura, aumentando il fenomeno
noto come effetto isola di calore urbano.
In Italia il settore forestale si trova ad affrontare problematiche in
ampia misura connesse alla necessità di valorizzare in maniera più
efficace le potenzialità e le opportunità in termini di salvaguardia
ambientale, presidio del territorio e sviluppo socioeconomico e
occupazionale, soprattutto, ma non solo, nelle aree interne e montane.
In questo quadro, la ricerca ha raccolto la sfida di tradurre i
risultati degli avanzamenti metodologici e tecnologici in applicazioni
operative.
Questo 2023 si presenta difficilissimo, forse il più difficile dopo
l’anno della pandemia. Inflazione che viaggia al 12-13%, prezzi al
consumo in aumento, consumi sempre più calanti. Un quadro di necessaria
resistenza per le imprese, anche perché chi doveva tirare la cinghia
l’ha già fatto, chi doveva sacrificare parte dei propri margini ha già
compiuto i riti sacrificali. Adesso margini non ce ne sono più.
In Europa ogni anno si verificano 4 milioni di infezioni dovute a
batteri resistenti agli antimicrobici e il costo per i sistemi sanitari
dei Paesi coinvolti è stimato attorno a 1,1 miliardi di euro. È stato
calcolato che, se non controllata, nel prossimo decennio la resistenza
antimicrobica potrebbe comportare un calo del Pil mondiale di 3,4
trilioni di dollari all’anno e spingere 24 milioni di persone in più
nella povertà estrema. La resistenza antimicrobica è la capacità dei
microrganismi di persistere o crescere in presenza di farmaci progettati
per inibirli. Questi farmaci, chiamati appunto antimicrobici, sono
usati per trattare malattie causate da batteri, funghi, virus e
parassiti protozoici. Ogni volta che utilizziamo antimicrobici su
persone, animali e piante, i germi hanno la possibilità di acquisire la
capacità di tollerare i trattamenti diventando resistenti, rendendo i
farmaci meno efficaci nel tempo. Quando i microrganismi diventano
resistenti agli antimicrobici, i trattamenti standard sono spesso
inefficaci. Di conseguenza, i trattamenti falliscono, aumentando le
malattie e la mortalità negli esseri umani, negli animali e nelle
piante.
La frana di Ischia “celebra” il centesimo anniversario della legge
Serpieri, il primo fondamentale intervento (regio decreto n. 3267 del 30
dicembre 1923) a tutela del vincolo idrogeologico del territorio per la
sua salvaguardia, con il divieto rigoroso di trasformazione per il suo
rimboschimento e rinsaldamento di fronte alla crescente domanda di esso
per il pascolo e l’agricoltura.
Con quel provvedimento si
introdussero le prescrizioni di massima e di polizia forestale e la
sistemazione dei bacini montani senza indennizzi, a differenza di altri
vincoli, in vista di un interesse pubblico che prevale sugli interessi
privati.
Il disastro di Ischia rappresenta l’ennesima conseguenza di
un degrado del territorio che deriva dalla sua fragilità geofisica.
Quest’ultima nasce sia da fattori climatici, sia dal suo consumo e
cementificazione dissennata in un contesto di “anarchia urbanistica” e
di abusivismo; si snoda in una catena ininterrotta di alluvioni e di
frane.
Una “tragedia annunziata” emblematica del consumo del suolo e
del suo dissesto idrogeologico su scala nazionale, nei cento anni
trascorsi dalla introduzione di quella legge, che rappresentò un primo
passo dell’Italia unitaria per la difesa dai disastri ambientali.
Una
tragedia che sottolinea ancora una volta – se ve ne fosse bisogno –
l’urgenza di intervenire drasticamente per la tutela dell’ambiente,
della salubrità e della salute in uno con quella della dignità umana,
quest’ultima di fronte alla “rivoluzione digitale” con i suoi sviluppi
prodigiosi e i suoi rischi.
Sono due temi fra loro strettamente connessi e intrecciati, come ricordava la Presidente della Commissione europea all’atto del suo insediamento, a proposito della necessità di realizzare un modello innovativo di politica europea che tenga conto della sinergia fra l’ecologia e le tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione (ICT). La necessità di affrontare la transizione ecologica e quella digitale – al di là delle dichiarazioni di propositi e buone intenzioni a livello nazionale, europeo e globale per il pianeta terra – è un dato drammaticamente urgente per i problemi che coinvolgono le persone, le collettività e i paesi per una svolta “epocale” del modo di vivere e di convivere, di lavorare, di produrre e di consumare risorse, di relazionarsi, di conoscere e di ricercare: sia nelle riflessioni più approfondite e specialistiche di carattere scientifico, sia in quelle più semplici ed accessibili tratte dall’esperienza quotidiana.
Si inaugura mercoledì 18 gennaio 2023, nella sede dell’Accademia dei
Georgofili, la mostra “Terra” del Maestro Andrea Roggi, autore
dell’opera ‘Albero della Pace’ che nel 2021 è stato posta in Via dei
Georgofili a simboleggiare la memoria ma anche la speranza e la
rinascita dopo l’attentato del 27 maggio 1993, di cui quest’anno ricorre
il trentesimo anniversario.
L’attuale scenario geopolitico impone imminenti riflessioni e
adeguamenti dei correnti modelli gestionali attuati nel mondo delle
produzioni agrarie. Da un lato la crisi energetica, con la difficoltà
delle nostre istituzioni di organizzare nuovi e affidabili canali di
approvvigionamento a costi sostenibili, dall’altro l’aumentata
competizione da parte di paesi agricoli emergenti rendono evidente la
necessità di un ripensamento nelle tecniche e tecnologie impiegate.
Un insetto è composto di tre parti: testa, torace e addome. Ricordo
ancora la prima lezione del Prof. Luigi Masutti, entomologo
dell’Università di Padova. Alla lavagna sapeva disegnare come nessun
altro, riproducendo organi che sembravano veri. Da allora, quando vedo
una mosca, o una farfalla, o una formica, la prima cosa che il mio
cervello vede sono queste tre parti: le zampe sono solo sul torace, gli
occhi e le antenne sulla testa, l’addome è come una pancia-cuore esterno
che continuamente pompa alimenti nel resto.
Anche il suolo è
composto di tre sezioni: Humipedon, Copedon e Lithopedon. Per
svilupparsi un suolo necessita di qualche migliaio di anni, ma anche
molto di più! È una matrice viva, una sorta di spugna in cui le piante
inseriscono le loro radici. All’inizio coesistono humipedon e
lithopedon. In un clima temperato, un vero e sviluppato copedon arriva
solo dopo centinaia di anni.
L’humipedon è la sede del riciclo di tutto ciò che muore e che cade sul pabulum del bosco. Bisogna immaginare una macchina biologica che decompone le molecole fino ad un livello strutturale minuto simile a “mattoncini”, capace di ricostruire nuove strutture viventi. L’humipedon è anche il volume di suolo occupato dalle radici che alimentano e sostengono le piante. Fin dall’inizio e per tutta la durata della vita della pianta, un dialogo si installa tra questa e il suolo. I vettori di tale scambio sono dei microrganismi.
Il 21 dicembre 2022 il Prof Giovanni Bernetti, noto docente presso la
Facoltà di Agraria di Firenze, ci ha lasciato. Era nato a Firenze l'8
settembre del 1934.
Nel 1956, dopo la laurea in Scienze forestali,
aveva frequentato come Assistente volontario l’Istituto di Mineralogia e
Geologia, e nel 1957 aveva ricoperto il ruolo di Assistente incaricato
presso l’Istituto di Selvicoltura, nel 1959 aveva vinto il concorso di
Assistente presso la cattedra di Assestamento forestale.
All’Istituto
di Assestamento forestale, sotto la guida del Prof. Patrone e la
stretta collaborazione con i proff. Bernardo Hellrigl e Mario Cantiani,
ha iniziato un’intensa attività di studi e ricerche nel settore della
Pianificazione forestale, della Dendrometria, dell’auxologia. I Piani di
assestamento elaborati dai Proff. Bernetti e Cantiani si arricchirono
di indagini dendro-auxologiche, pedoclimatiche, turistico-ricreative,
ecologico-ambientali.
Le tappe importanti della Sua carriera: dal
1956 al 1970 ha ricoperto il ruolo di assistente, ha conseguito la
libera docenza in Assestamento forestale nel 1968, è stato professore
incaricato dal 1970 al 1973 e professore di prima fascia dal 1974 al
1999. E’ stato Direttore d’Istituto dal 1984 al 1990 e dal 1997 al 1999
(anno del suo pensionamento).
Ha insegnato Dendrometria, Assestamento
forestale e Selvicoltura speciale. Nelle suddette discipline, e non
solo, ha lasciato importanti contributi scientifici e divulgativi.
Dal
Suo cv risulta che era socio dell’Accademia Nazionale di Agricoltura di
Bologna, della Società Botanica Italiana, dell’Accademia dei
Georgofili.
Il mondo accademico e professionale hanno perduto un
illustre studioso che ha dato importanti contributi allo sviluppo delle
Scienze forestali e un Maestro poliedrico e geniale nella divulgazione
del sapere.
Come sappiamo la Federazione Russa e l'Ucraina sono tra i più importanti produttori di materie prime agricole al mondo. Entrambi sono esportatori netti di prodotti agricoli ed entrambi sono leader nei mercati globali di prodotti alimentari e fertilizzanti, dove le forniture esportabili sono spesso concentrate in una manciata di paesi. Concentrazione che rende questi mercati estremamente vulnerabili agli shock e alla volatilità.
Nel 2021, la Federazione Russa e l'Ucraina risultavano essere tra i primi tre esportatori mondiali di grano, mais, semi di colza, semi e olio di girasole. Inoltre la Russia si è classificata anche come primo esportatore mondiale di fertilizzanti azotati, il secondo fornitore leader di fertilizzanti al potassio e terzo esportatore di fertilizzanti al fosforo. Inevitabilmente, la guerra ha avuto un forte impatto anche sulla sicurezza alimentare globale.
In particolare su molti paesi della regione del Vicino Oriente e del Nord Africa (NENA). Questi infatti dipendono fortemente da prodotti alimentari e fertilizzanti importati dalla Russia e dall'Ucraina, compreso il grano come alimento base. Prima del conflitto, inoltre, la maggior parte dei paesi della regione aveva mostrato una tendenza all'aumento delle importazioni alimentari per soddisfare esigenze crescenti di consumo interno. Tale aumento della domanda stava già affrontando gli effetti negativi degli alti prezzi internazionali di alimenti e fertilizzanti a causa del caro-energia prima dello scoppio della guerra. Il conflitto non ha fatto altro che peggiorare la vulnerabilità della regione con seri rischi per soddisfare la domanda alimentare dei paesi della regione le cui importazioni dipendono fortemente da Russia e Ucraina.
La soia, come è noto, è l’ingrediente proteico di origine vegetale più usato in alimentazione animale, soprattutto per la buona qualità biologica della miscela dei suoi aminoacidi. Purtroppo, la sua coltivazione è spesso messa in discussione perché contribuisce indirettamente al riscaldamento globale. Infatti, da una parte, le vaste aree necessarie per la sua coltivazione vengono ottenute prevalentemente con l’abbattimento delle foreste naturali, dall’altra il prodotto necessita di trasporti a lunga distanza, con tutto ciò che ne consegue in termini di consumi energetici ed inquinamento ambientale.
Nei giorni che precedono il Santo Natale e in quelli di Vigilia delle Feste comandate le salumerie esponevano una bacinella piena d’acqua dove il baccalà, merluzzo salato e da secco e duro diviene umido e morbido. Il merluzzo (Gadus morhua), soprannominato anche maiale del mare perché e come il maiale di terra di lui non si butta via niente, è conservato con il sale e l’asciugatura. Conservato con il sale il merluzzo prende il nome di baccalà che deriva dal basso tedesco bakkel-jau che significa duro come una corda o dal nome baccalai che gli indigeni del Nord America danno ai merluzzi, oltre a questo ben poco di certo si sa. Lo stoccafisso cosi chiamato quando il merluzzo (pesce, visch o fish) è essiccato al vento su pali o bastoni (stoc) divenendo quasi un pesce-bastone (stoc-visch o stocfish).
Nel numero di Georgofili Info dello scorso 14 dicembre (https://www.georgofili.info/contenuti/le-nuove-politiche-europee-sul-suolo/23268) l’onorevole Paolo De Castro segnalava, tra le altre interessanti notizie, una di particolare rilevanza per la difesa del suolo, e cioè la decisione del governo italiano di costituire attraverso la legge di Bilancio un “Fondo per il contrasto al consumo di suolo”. Si tratta dell’art.127 che recita: “Al fine di consentire la programmazione e il finanziamento di interventi per la rinaturalizzazione di suoli degradati o in via di degrado in ambito urbano e periurbano, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il «Fondo per il contrasto del consumo di suolo», con una dotazione di 10 milioni di euro per l'anno 2023, di 20 milioni di euro per l'anno 2024, di 30 milioni di euro per l'anno 2025 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026 e 2027”.
Si tratta senz’altro di una opportunità per incentivare il ripristino delle aree degradate e con esse il recupero di almeno parte della funzionalità ecosistemica dei suoli più danneggiati dalle attività dell’uomo, ma l’articolo di legge in effetti non affronta il problema della limitazione del consumo di ulteriore suolo.
Come è noto, il consumo di suolo in Italia ha raggiunto negli ultimi anni un livello insostenibile, peraltro non correlato con l’andamento demografico. In Italia si cementificano più di 14 ha al giorno, oltre 2 metri quadrati al secondo, e nella maggior parte dei casi si tratta dei suoli migliori, quelli più fertili di pianura. La superficie coperta da strutture e infrastrutture raggiunge ormai i 21.500 km2, circa il 7,1 % della superficie nazionale.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta del Novecento Elio Conti, figura esemplare di studioso della realtà fiorentina, urbana e rurale, dal Medioevo alla contemporaneità, mise insieme circa 5.000 scatti dedicati alle campagne toscane nel momento dell’abbandono del sistema mezzadrile e dello spopolamento. I seminari universitari di Elio Conti sono rimasti famosi per l’esegesi della documentazione scritta fatta esattamente nei luoghi ai quali si riferiva: le foto costituivano il naturale completamento sul campo della ricerca che lo studioso andava effettuando sulle carte d’archivio per comprendere l’evoluzione storica del paesaggio agrario toscano.
Dal 2023, sarà attivo in Italia un sistema unico ed armonizzato di certificazione volontaria del benessere degli animali, secondo le regole stabilite nel decreto ministeriale del 2 agosto scorso, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 novembre 2022.