Sembrerebbe di sì. Il Dipartimento per l’Agricoltura Americano (USDA) ha recentemente autorizzato, sebbene in modo “condizionale”, cioè con efficacia non pienamente dimostrata, l’uso di un vaccino contro la peste americana delle api. Il vaccino, chiamato “Paenibacillus Larvae Bacterin”, è stato sviluppato dalla Dalan Animal Health (Athens, Georgia, USA), compagnia biotech dedicata allo sviluppo di soluzioni “sicure, innovative e sostenibili per gli apicoltori”. L’obiettivo della company, secondo Dalial Freitak, CSO ed ex ricercatrice dell’Università di Helsinki, è lanciare il vaccino negli Stati Uniti entro l’anno e poi nell'Unione Europea. Oltre al vaccino contro la peste americana, la Dalan AH ha, allo studio, lo sviluppo di vaccini contro altri patogeni delle api, come la peste europea e la ascosferosi (covata calcificata).
La peste americana è una delle più dannose patologie dell’ape domestica, Apis mellifera L. (Hymenoptera Apidae). Tale patologia, diffusa in tutto il mondo, è causata dal batterio sporigeno gram-positivo Paenibacillus larvae e purtroppo, al momento, in caso di manifestazione della malattia, l’unico intervento previsto nei paesi dell’Unione Europea è la distruzione, per incenerimento, delle colonie e dei favi colpiti. Per questo, la possibilità di utilizzare un vaccino sarebbe uno straordinario strumento di prevenzione della malattia, sicuramente più sostenibile ed ecologico rispetto all’impiego di antibiotici o altri chemioterapici.
Sebbene i vaccini siano largamente utilizzati con successo contro un gran numero di malattie nell’uomo e negli animali domestici e da reddito, il loro uso per la prevenzione delle malattie delle api non è stato tuttavia, fino ad oggi, ritenuto una via percorribile. È noto, infatti, che gli insetti non abbiano un sistema immunitario adattativo capace di produrre anticorpi e che, quindi, non sia possibile addestrare il loro sistema immunitario contro un patogeno, così come avviene grazie ai vaccini per l’uomo e altri vertebrati. Come è stato possibile allora sviluppare un vaccino per le api?
Facciamo un passo indietro. Anche se non producono anticorpi, gli insetti hanno comunque un sistema di difesa attiva verso i patogeni, la cosiddetta immunità innata. Si tratta di un sistema di difesa, presente sia nei vertebrati che negli invertebrati, per la cui importanza anche per l’uomo è stato assegnato il premio Nobel per la medicina nel 2011. È interessante, inoltre, che, così come avviene nei mammiferi, dove gli anticorpi materni passano nel feto proteggendo il neonato, anche negli invertebrati è possibile un trasferimento di “informazione” di difesa contro i patogeni tra generazioni. Tale meccanismo, mediante il quale l’esperienza immunitaria viene trasmessa alla progenie, è chiamato “trans-generational immune priming” (TGIP). Negli insetti, tuttavia, tale informazione non è rappresentata da anticorpi ma da “elicitori” costituiti da strutture molecolari del patogeno. Chiari effetti TGIP negli insetti sono stati osservati nel 2006 da Moret, in uno studio dove il ricercatore ha allevato tarme della farina, Tenebrio molitor L. (Coleoptera Tenebrionidae), in un ambiente ad alta carica di patogeni, osservando che nella generazione successiva si induceva un aumento dell’immunità verso quegli stessi patogeni, mediante la produzione di peptidi antimicrobici (AMPs) (Moret, 2006). Nell’ape domestica tale meccanismo può essere particolarmente efficace perché l’esperienza immunitaria acquisita da un singolo individuo, l’ape regina, può essere trasmessa (tramite TGIP) alla covata, proteggendo l’intera colonia (Lopez et al., 2014). Il trasferimento dell’informazione immunitaria da una generazione alla successiva è mediato da una proteina, la vitellogenina, prodotta dal corpo grasso dell’ape regina. Tale proteina si lega a molecole della parete cellulare dei batteri patogeni (lipopolisaccaridi e peptidoglicani, in particolare) con i quali la regina è venuta in contatto e le trasporta all’interno dell’uovo, inducendo maggiore resistenza ai patogeni nella prole (Salmela et al., 2015).
Un passo decisivo verso la formulazione del vaccino è stato infine compiuto lo scorso anno, con la dimostrazione che la “vaccinazione” dell’alveare può essere effettuata in modo molto semplice tramite somministrazione all’ape regina di gelatina reale artificiale addizionata di una sospensione di cellule di P. larvae, disattivate mediante calore (il vaccino). Secondo lo studio, la vaccinazione orale non influenza la sopravvivenza delle regine, mentre le larve derivanti da regine vaccinate hanno una sopravvivenza significativamente maggiore rispetto a quelle provenienti da regine alimentate con normale gelatina (placebo). Sebbene l’efficacia dal vaccino non sia elevatissima (decremento della mortalità larvale di circa il 30%, rispetto al controllo), la protezione acquisita, secondo gli autori, sarebbe sufficiente ad abbassare la densità delle spore batteriche dell’alveare a livelli subclinici, evitando la manifestazione dei sintomi della malattia negli alveari (Dickel et al., 2022).