Andrà tutto bene, si diceva nell’anno della pandemia da Covid. E non è andato tutto bene, come sappiamo. Dall’emergenza pandemica usciremo migliori, si diceva. E non siamo usciti migliori. Adesso il disastro dell’Emilia-Romagna (soprattutto della Romagna) ci mette di fronte ad un’altra emergenza da gestire. Per paradosso dopo l’edizione di Macfrut “della svolta”; dopo l’omaggio reso dal presidente Mattarella alla Romagna dell’ortofrutta nella piazza di Cesena, per una atroce beffa del destino il presidente è dovuto tornare nella Romagna ferita e piagata da alluvioni, frane e vittime. Non starò qui a parlare dei danni inferti dall’acqua esondata all’agricoltura nel suo complesso, alle altre attività produttive, alle strade di collegamento, agli insediamenti civili, alle infrastrutture su tutto il territorio della regione (da Bologna alle province di Ravenna e Forlì-Cesena). I danni sono ingentissimi. In un mio articolo dal titolo eloquente “Cosa resterà della Fruit Valley romagnola?” parlavo di un conto miliardario della ondata di maltempo e di una campagna della frutta estiva “quasi azzerata per la Romagna”. Purtroppo la realtà ha superato qualunque negativa previsione. Non è stata colpita solo la Romagna dell’ortofrutta, ma la Romagna del vino, dei cereali, degli allevamenti bovini, suini e avicoli, delle strutture cooperative di magazzinaggio, lavorazione e confezionamento dei prodotti.
Una prima stima della diminuzione della sola PLV-produzione lorda vendibile agricola nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Bologna, parla di perdite oltre 1,5 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti i costi futuri per rifare gli impianti di frutta, ri-mettere a dimora i frutteti, sistemare i terreni devastati dalle frane, rifare le serre, ristorare i danni per macchine, attrezzature danneggiate e i magazzini resi inservibili. Un quadro che, anche per la frutta romagnola (soprattutto drupacee e kiwi), impone che si parli di un prima e di un dopo il maggio 2023, un po’ come si fa per la vite con la filossera.
L’unico fatto positivo (si fa per dire) è che la ricostruzione comporterà un rinnovamento varietale forzato, si rifaranno serre e impianti orticoli, si metteranno a dimora le varietà più in linea con il mercato, si ripenseranno i modelli organizzativi. Intanto mancherà per la campagna estiva 2023 molto prodotto, drupacee in primis. Privati e strutture cooperative si stanno già organizzando, e così sta già facendo la Gdo per albicocche, pesche e nettarine (e fragole) attingendo di più al Sud (e poi magari al Nord, Piemonte, Veneto) e all’estero per sostituire le forniture romagnole mancanti. Questo comporterà un aumento dei prezzi – che già sono alti – complice anche la carenza di prodotto in Spagna e in Grecia. Forse mangiare frutta buona diventerà un piccolo lusso per le famiglie a basso reddito. Già i consumi sono bassi, il trend è destinato a peggiorare. Forse sarebbe l’occasione – anche qui cerchiamo una nota positiva nel disastro – di lanciare davvero quella campagna di promozione dei consumi di ortofrutta di cui si parla da sempre. Una campagna vera, che colpisca il consumatore con messaggi efficaci. Il rating dell’ortofrutta in termini di benessere è alto, ma l’immagine è un po’ “sfigata”. Quindi serve lavorare sull’immagine, sul valore per il made in Italy che il settore rappresenta. Bisogna far capire che non sono i produttori che speculano sui prezzi. Bisogna promuovere il consumo ‘tricolore’ e in questo serve che anche i grandi retailer diano una mano. A proposito: in tutto questo disastro la voce della Gdo si è sentita poco. Se consideriamo che a Bologna ci sono le sedi di Coop Italia e Conad qualche iniziativa in più di solidarietà verso i produttori ci poteva stare (ad esempio più impegno a comprare italiano, a valorizzare quello che la Romagna può dare, anche se in misura ridotta rispetto agli altri anni).
In sintesi: usiamo questo disastro per portare al Tavolo nazionale una rinnovata volontà di tutto il settore, privati, cooperative e OP, per affrontare le priorità che sono sempre le stesse: competitività delle imprese, costo della manodopera, reperibilità della stessa, nuovi mercati all’estero. E non dimentichiamo che il Dlgs sulle pratiche sleali, annunciato come una piccola rivoluzione, funziona poco o niente come spiega bene il nostro collaboratore avv. Roveda nelle pagine seguenti. Bisogna rimetterci mano, e questo tocca alla politica.
E alla politica bisogna una volta tanto battere le mani. L’approvazione del provvedimento sulle Tecniche di evoluzione assistita (Tea) nel DL Siccità dà una svolta alla ricerca e rappresenta un grande passo avanti per tutta la nostra agricoltura alle prese col climate change. Gli ambiti di applicazione delle biotecnologie per il miglioramento genetico sono enormi. I ricercatori del Crea (sezione @CREA & TEA) ad esempio stanno lavorando sui vegetali simbolo della dieta mediterranea – pomodoro, basilico, melanzana, sulla frutta, cioè drupacee (pesche, albicocche e ciliegie), fragole, agrumi (sia sotto il profilo della qualità, sia sotto quello della difesa dalle malattie), kiwi.
L’Italia si è finalmente messa al passo, adesso serve l’Europa con una nuova proposta di regolamento. Facciamo gli scongiuri…
*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it