Eccoci ancora una volta nel giro di pochi mesi a piangere vittime di alluvioni: dopo le Marche nel settembre 2022, Ischia nel novembre scorso e ora l’Emilia Romagna si aggiungono ad una drammatica lista di disastri simili a cominciare da quello di Sarno nel 1998.
Già in occasione di quel disastro nei report scientifici e nelle analisi degli studiosi del suolo dell’epoca si leggeva, nelle loro conclusioni, che la gestione del suolo e delle risorse idriche sarebbe stata la sfida del futuro: ora possiamo dire che quella sfida l’abbiamo già persa!
La causa è sempre la stessa e ha origine intorno agli anni ’60 del secolo scorso in concomitanza del così detto “boom economico” quando il modello di sviluppo di allora portò all’abbandono di vaste aree di collina e montagna considerate marginali e quindi all’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia perché quelle braccia erano più redditizie se impiegate nello sviluppo industriale e edilizio. Gli agricoltori rimasti nella bassa collina e nelle pianure furono indottrinati all’aumento delle produzioni, all’uso sfrenato di fertilizzanti chimici, alle monocolture con continue lavorazioni profonde con il risultato che nel tempo si è formato uno strato compatto al limite inferiore dell’aratura (“suola d’aratura”) che di fatto impedisce il drenaggio del terreno; da qui gli allagamenti di questi terreni quando piove in forma di nubifragio come ormai accade di regola.
Se illustri studiosi dei secoli scorsi avevano progettato sistemazioni idraulico-agrarie (terrazzamenti, ciglionamenti, girapoggio, spina, ecc.) che modellarono il nostro paesaggio non lo avevano fatto perché pazzi ma perché se si voleva condurre attività agricole e silvo-pastorali in ambienti fragili, quali sono quelli di collina e montagna del nostro Paese, bisognava conservare il territorio con queste opere, appunto. Una volta cessate queste attività, è cessata inevitabilmente sia la prosecuzione di dette sistemazioni, sia, e soprattutto, la loro manutenzione. Nelle pendici collinari non si vede più un solco acquaio trasversale. I corsi d’acqua e i fiumi a carattere torrentizio necessiterebbero di una manutenzione fin dal loro inizio con la realizzazione di casse di espansione. Per questo sarebbe necessario semplificare con urgenza normative che agevolino e non ostacolino questi lavori considerando il tributo di vite umane pagato finora.
È del tutto evidente che, se l’acqua non è regimata, il suo scorrere a valle diventa da subito turbolento e impetuoso ed in questo aggravato dalla crisi climatica in atto con i violenti nubifragi improvvisi e localizzati che innescano quel fenomeno vecchio come il mondo che si chiama “erosione del suolo”. L’erosione idrica è, infatti, causata dall’impatto della pioggia (impatto violento nel caso dei nubifragi; si calcola che negli ultimi venti anni l’aggressività della pioggia sia aumentato del mille per cento) e dal successivo ruscellamento superficiale. L’erosione può essere, infatti, laminare, a solchi, a burroni fino ad arrivare ai movimenti di massa; infatti la grandissima parte delle frane che si sono verificate in Emilia Romagna hanno riguardato lo strato superficiale (20-40 cm) del suolo.
Tutto il fango sceso a valle è il risultato di questa erosione che, nei secoli scorsi in occasione di questo tipo di eventi, si depositava nelle pianure tanto che quei suoli venivano proprio detti “alluvionali”. Ora il fango che scende non trova più i campi ma superfici impermeabilizzate (consumo di suolo) e le città e qui il suo deposito diventa un problema. Altra conseguenza di uno sviluppo economico disordinato, senza un’adeguata programmazione lungimirante (vedi, ad esempio, i corsi d’acqua tombati), senza regole e molte volte predatorio. Si tratta comunque di smaltire del suolo che però può essere arricchito da inquinanti a seconda del percorso che hanno fatto le acque.
Da molto tempo il mondo scientifico e non solo i pedologi auspicano un ritorno dei giovani alle attività agricole proprio in una prospettiva di presidio del territorio ma devono essere aiutati con politiche di sostegno tendenti a favorire la collaborazione fra il pubblico e il privato e con una programmazione che guardi al lungo termine. Così come si auspica che le aziende agricole dovrebbero essere incentivate e sostenute a intraprendere una ripresa di una nuova progettazione di sistemazioni idraulico-agrarie in chiave moderna oltre che, ovviamente, attuare una gestione sostenibile del suolo.
Forse possono sembrare proposte semplicistiche di fronte a immani tragedie come quest’ultima. Certo sarebbe fondamentale ridurre le emissioni di anidride carbonica, responsabili dell’attuale crisi climatica, ma non è facile perché occorrerebbe un drastico e radicale cambiamento dello stile di vita, rinunciando, fra l’altro, all’uso dei combustibili fossili. Ammesso e non concesso che si cominciasse subito in maniera drastica, a livello globale, gli effetti positivi non sarebbero certo immediati ma si comincerebbero a percepire nel lungo termine; certo se non si comincia mai sarà sempre peggio!