Se la cucina è tecnica e la gastronomia è arte, quest’ultima ha necessità di una critica, un’analisi eseguita in un più ampio contesto estetico, storico e sociale per ottenere delle basi razionali per la valutazione e l'apprezzamento degli aspetti artistici dell’alimentazione anche in una dimensione storica. La critica delle diverse arti, non ultima quella gastronomica, intesa come valutazione e interpretazione delle opere, ha un punto di partenza nell’Italia del Rinascimento. Per la critica gastronomica bisogna fare riferimento all’umanista e gastronomo Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina (1421 – 1481), che nel 1457 a Firenze ascolta le lezioni dell'Argiropulo, entrando a far parte dell'ambiente culturale locale e stringendo amicizia con celebri umanisti quali Marsilio Ficino, Poggio Bracciolini, Francesco Filelfo, Cristoforo Landino, Giovanni Pico della Mirandola e Leon Battista Alberti, quest’ultimo forse il teorico d’arte più importante del Rinascimento e iniziatore della la critica artistica. Il Platina inizia la critica gastronomica con il trattato De honesta voluptate valetudine, stampato una prima volta a Roma da Han tra il 1473 e il 1475 e subito dopo, nel 1475, a Venezia (Platine de honesta voluptate et valetudine, Venetiis: Laurentius de Aquila, 1475). In questo trattato il Platina trascrive in latino le ricette - originariamente scritte in lingua volgare – di Maestro Martino, il più celebre cuoco del XV secolo, di cui il Platina analizza e loda l'inventiva, il talento, la cultura. La cucina iconoclasta di Martino spinge il Platina su inedite, quanto avveniristiche, analisi critiche sulla gastronomia, sulla dieta, sul valore del cosiddetto "cibo del territorio" e persino sull'utilità di una regolare attività fisica, dando avvio a una critica gastronomica. Dal Rinascimento in poi, molto si è sviluppata la critica delle diverse arti, ma qual è oggi lo stato della critica gastronomica?
Il filosofo tedesco Walter Benjamin (1892 – 1940) dice che “recensire”, quindi esercitare una critica, “è un'arte sociale” riconoscendo al critico un’attività in un certo modo artistica che deve interpretare i bisogni della società in ogni sua articolazione. Fin dal suo inizio con il Platina e poi anche in seguito, ad esempio nel milleottocento in Francia con Anthèlme Brillat Savarin e in Italia con Pellegrino Artusi, e più vicino a noi, tra i tanti, Mario Soldati, Piero Camporesi e Massimo Montanari, la critica gastronomica ha vissuto la sua vocazione sociale, dandosi anche un lessico nuovo come quello cinematografico e televisivo, per poter parlare al più vasto numero di persone possibile di un'arte gastronomica che si estende a classi sociali che cambiano o a nuove classi sociali emergenti, come la classe borghese ottocentesca, la classe media novecentesca e gli attuali millennials.
In primo luogo, capire e interpretare cosa significa la cucina presuppone non soltanto comprendere i cibi, le ricette, la loro grammatica e il loro modo di comunicare, ma anche le forze che spingono sulla tavola i cibi e la loro trasformazioni in piatti e in riti, le forze economiche, politiche e sociali e, non ultimo, anche il profondo inconscio alimentare che da sempre soggiaccia e determina, con intensità variabile, la cultura e la civiltà della tavola.
In secondo luogo, la critica gastronomica deve accettare di essere un luogo di contaminazione e uno spazio capace di ospitare letterati, poeti, avanguardisti di diversa provenienza, perfino registi cinematografici e televisivi che nel cibo, cucina e gastronomia trovano il luogo in cui comunicare le proprie convinzioni e presentare quadri interpretativi maturati altrove e per questo la figura del critico gastronomico "puro" non può esistere.
In terzo luogo, la critica gastronomica ha dovuto confrontarsi con una progressiva espansione della dimensione, complessità e trasversalità dei suoi lettori. Se il Platina si rivolgeva a una ristrettissima platea di nobili e Anthèlme Brillat Savarin assieme a Pellegrino Artusi ai lettori di una ridotta classe borghese, oggi alle tavole dei ristoranti ci vanno tutti e il raffinato gastronomo si trova vicino a chi ha letto una recensione elogiativa del ristorante su un giornale, una rivista o una guida turistica e non ha mai letto nulla di gastronomia. Una situazione questa abbastanza singolare che non giova all’apprezzamento della tavola, anche se è un segno della rilevanza e della centralità che in questi ultimi decenni ha assunto la gastronomia. Di gastronomia o di pseudo-gastronomia oggi si scrive e si parla ovunque, dai quotidiani ai rotocalchi più popolari, dalle riviste di costume alle reti televisive dove la gastronomia è presente in diverse vesti, non ultimi i giochi e i quiz, e dove spesso i critici o pseudocritici, denominati esperti o cultori, occupano posizioni di prestigio dialogando con un pubblico nuovo e sforzandosi di interpretare l'atto critico come veicolo di una nuova socialità.
In questa situazione solo tratteggiata si profilano continuità e rotture tra una sempre più ridotta critica ritenuta alta e una sempre più diffusa e invadente comunicazione popolare infarcita se non inquinata da interessi sempre meno critici e più economici, commerciali e propagandistici. Questa divaricazione, che non esisteva solo alcuni decenni fa, ad esempio nella critica gastronomica di Mario Soldati, oggi impedisce una consapevolezza che, facendo leva sulla trasversalità della gastronomia, potrebbe favorire l'allargamento della base che attualmente manca alla cultura gastronomica e che rende più difficile capire chi sia e soprattutto dove sia il consumatore medio che ha voglia di impegnarsi nella storia, critica o tecniche della cucina e consapevolezza dei valori della gastronomia. In un periodo, l’attuale, che vede grandi cambiamenti nella cucina e soprattutto nella gastronomia, anche per nuove scritture critiche femminili, vi è una stratificazione della cultura gustativa innovativa necessaria per un pensiero completo sulla cucina e gastronomia moderne, nonché sulla comprensione e valutazione delle informazioni e dei giudizi gastronomici sui mezzi d’informazione, giornali quotidiani, periodici non di settore, riviste con diversi indirizzi da quelli storico-politici, a quelle teatrali, letterari, tecnico-industriali, fino alle testate legate al costume e al gossip.
Mentre in cucina e gastronomia si aprono nuovi orizzonti di ricerca, oggi assistiamo a una crisi del pensiero critico gastronomico che investe il lettore in tutta la sua ampiezza. Odiernamente non abbiamo critici meno bravi o preparati di un tempo, ma abbiamo una comunità di lettori sempre più frammentata dal punto di vista mediale e soprattutto sociale, con un’instabilità dello spazio critico di cui i consumatori sono parte. Una situazione che rimandando a Walter Benjamin e chiarisce perché, in questi tempi di cambiamento, è sempre più difficile esercitare una critica gastronomica come arte sociale.