Pianteremo patate su Marte?

di Giulia Bartalozzi
  • 02 October 2024

La possibilità di realizzare missioni spaziali estese, con lunghi periodi di permanenza a bordo di piattaforme spaziali orbitanti o in colonie spaziali sulla Luna o su Marte, è legata alla capacità di creare un sistema biorigenerativo di supporto alla vita e, tra tutti gli organismi studiati per questa funzione, a oggi le piante rappresentano i rigeneratori più promettenti. È qui che entra in gioco l’agricoltura spaziale, la pratica di coltivare piante per sostenere la vita in un ambiente extraterrestre. Stefania De Pascale, pioniera assoluta a livello internazionale in questo campo, spiega quali sono le sfide biologiche e tecnologiche che abbiamo di fronte e come potremmo fare per superarle nel suo ultimo libro: “Piantare patate su Marte. Il lungo viaggio dell'agricoltura” (Ed. Aboca). 

Con la partecipazione di capitali privati, la corsa allo spazio ha subito un’enorme accelerazione: Elon Musk ha recentemente dichiarato che i primi voli con equipaggio su Marte avverranno tra 4 anni e che il numero dei voli crescerà esponenzialmente, con l’obiettivo di costruire una città autosufficiente in circa 20 anni. Questo, dunque, significherà praticare agricoltura nello spazio ... ma COME?
La visione di Elon Musk per la colonizzazione di Marte è certamente ambiziosa perché ci sono ancora molte sfide da superare. Secondo i piani di Musk, la prima città su Marte dovrebbe essere costruita in circa 20 anni. Per rendere questa città autosufficiente nello spazio, sarà fondamentale sviluppare sistemi di supporto alla vita biorigenerativi (BLSS), veri e propri ecosistemi artificiali in grado di rigenerare aria, acqua e cibo in modo continuo direttamente su Marte, per ridurre la dipendenza dai rifornimenti dalla Terra. Si tratta di ecosistemi artificiali basati sulle interazioni tra esseri umani (consumatori), batteri e altri organismi decompositori, alghe, piante e batteri fotosintetizzanti (produttori), alloggiati in relativi compartimenti, in cui ciascun componente utilizza i prodotti di scarto dell’altro come risorsa, in un ideale ciclo chiuso. I BLSS rappresentano l’evoluzione dei sistemi fisico-chimici (come quelli attualmente in uso sull’ISS) attraverso l’inserimento di componenti biologiche, che spiegano il prefisso “bio”. I BLSS sono concepiti come sistemi chiusi o circolari, e l’espressione “di supporto alla vita” viene utilizzata per descrivere la loro funzione, che supera di gran lunga la semplice produzione di cibo. In un BLSS, le piante svolgono un ruolo fondamentale. Semplificando, infatti, le piante sono in grado di:
1. rigenerare l’aria assorbendo anidride carbonica ed emettendo ossigeno attraverso la fotosintesi;
2. purificare l’acqua mediante la traspirazione (acqua pura che può essere recuperata attraverso la condensazione in appositi circuiti);
3. produrre cibo fresco per l’alimentazione, utilizzando parte dei prodotti di scarto dell’equipaggio (anidride carbonica dalla respirazione, feci e urine come fonte di elementi minerali) e la luce come fonte di energia;
4. fornire, attraverso gli scarti substrato utile agli organismi decompositori.
Infine, nell’ottica di lunghe permanenze nello spazio è stato dimostrato che la presenza di piante ha un impatto positivo sul benessere psicologico degli astronauti, riducendo lo stress e la nostalgia di casa.
Ciò richiederà lo sviluppo di un sistema chiuso (biosfera) in cui le piante non solo forniscano cibo, ma contribuiscano anche alla rigenerazione delle risorse e di sistemi di coltivazione adattati alle condizioni marziane. Le sfide tecnologiche da affrontare sono molteplici: dalla protezione dalle radiazioni cosmiche alla gestione della gravità ridotta, dalla scelta di substrati di coltivazione adeguati all’ottimizzazione dell’illuminazione artificiale e del controllo ambientale. Questi sistemi di “agricoltura marziana” dovranno, inoltre, essere in grado di sfruttare le risorse disponibili sul pianeta, come l’anidride carbonica presente nella sottile atmosfera marziana, l’acqua presente sotto forma di ghiaccio in profondità e i nutrienti presenti nel suolo marziano. Saranno necessari anche sistemi di riciclo dell’acqua e dei rifiuti organici per massimizzare l’efficienza d’uso delle risorse impiegate. Oltre alle colture alimentari, si prevede anche lo sviluppo di sistemi per la produzione di carburanti e materiali da costruzione a partire da risorse locali, in modo da rendere la città il più possibile autosufficiente. Tutto ciò richiederà un enorme sforzo di ricerca e sviluppo, ma Musk è convinto che sia possibile raggiungere l’obiettivo di una città marziana autosufficiente in circa 20 anni, grazie all’accelerazione dei voli spaziali con equipaggio prevista nei prossimi anni. Personalmente, ritengo questa tempistica estremamente ottimistica, la colonizzazione di Marte probabilmente richiederà più tempo e dovrà anche affrontare ulteriori sfide impreviste.

L’obiettivo di creare città spaziali autosufficienti in 20 anni è quindi realizzabile?
Posso solo commentare le recenti affermazioni di Musk come osservatore, sebbene informato. Secondo Elon Musk e SpaceX, il piano è di iniziare con il lancio di veicoli senza equipaggio “Astrovani” entro i prossimi 2 anni, per testare le tecnologie necessarie per l’atterraggio sicuro sulla superficie marziana. Successivamente, Musk prevede di poter iniziare le prime missioni con equipaggio umano entro i prossimi 4 anni. Questo rappresenterebbe un passo cruciale verso l’obiettivo finale di costruire vere e proprie città autosufficienti su Marte nell’arco di 20 anni. Sebbene ci siano ancora sfide significative da affrontare, come la protezione degli astronauti dalle radiazioni, la realizzazione di sistemi di supporto vitale e, non ultimo, garantire il benessere psicofisico dell’equipaggio durante lunghi periodi di isolamento, l’ambizioso piano di SpaceX punta a superare questi ostacoli attraverso innovazione tecnologica e selezione attenta degli equipaggi. Quindi, l’obiettivo di creare città spaziali autosufficienti su Marte in 20 anni, seppur estremamente sfidante, potrebbe essere realizzabile, ma molto dipenderà dalla capacità di SpaceX e della comunità spaziale internazionale di mantenere il ritmo di sviluppo tecnologico e di gestione delle missioni previsto e, quindi, di garantire i notevolissimi investimenti necessari. Il costo di un progetto di tale portata sarebbe astronomico e non è ancora chiaro se sia possibile garantire un ritorno economico sufficiente a giustificare l’investimento. A mio parere, sebbene l’idea di città spaziali autosufficienti in 20 anni sia allettante, la sua realizzabilità dipende da una serie di fattori complessi e interconnessi. Pertanto, mentre sarà possibile stabilire avamposti umani su Marte entro questo periodo, la creazione di città completamente autosufficienti richiederà molto probabilmente più tempo e sforzi.

Quali esperimenti di “Space Farming” abbiamo realizzato finora e con quali risultati?
Gli esperimenti condotti a oggi nello spazio e, in particolare, sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), che si trova in media a 400 km sulle nostre teste, e in altre missioni in orbita bassa terrestre, hanno dimostrato la fattibilità della coltivazione delle piante in microgravità, fornendo informazioni preziose sulla loro risposta e sull’ottimizzazione dei sistemi di coltivazione, come l’uso di substrati capillari e tecniche di irrigazione e nutrizione adatte alla microgravità. Le piante cresciute nello spazio sono risultate commestibili e sicure per il consumo umano. Ortaggi come le insalate sono coltivati con successo a bordo dell’ISS nelle “salad machines”. Ma anche cereali, pomodori (nani), barbabietola, ravanelli e numerose altre piante utilizzate a scopo alimentare sono state coltivate in ambiente spaziale. Con l’avanzamento della ricerca, tuttavia, emergono nuovi obiettivi:
- produrre ortaggi freschi in piattaforme orbitanti come l’ISS o il futuro Lunar Gateway (la stazione spaziale, in fase di sviluppo nell’ambito del programma Artemis della NASA, destinata a orbitare attorno alla Luna), in quantità tale da integrare con composti nutraceutici l’alimentazione degli astronauti. Nell’ambito del progetto MicroX2 coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e di cui ero responsabile tecnico-scientifico, per esempio, abbiamo lavorato per ottimizzare la produzione di acido ascorbico (vitamina C, potente antiossidante ma instabile) da micro-ortaggi freschi prodotti a bordo dell’ISS. Approcci simili sono stati adottati per altri composti fitochimici importanti per la salute psicofisica degli astronauti, come antiossidanti e prebiotici, contenuti in vegetali freschi.
- coltivare specie a elevato contenuto energetico per sostenere l’equipaggio durante i voli di transito verso il Pianeta Rosso o altre mete lontane. Con l’aumentare della durata delle missioni spaziali, infatti, sarà necessario produrre colture in grado di contribuire in modo sostanzioso all’apporto calorico dell’equipaggio. Le condizioni uniche determinate da microgravità, sistemi chiusi e volumi ridotti presentano sfide agronomiche e tecnologiche significative per garantire la crescita e lo sviluppo di colture di base come cereali, leguminose e specie da tubero. Per esempio, nel progetto Precursor of Food Production Unit (PFPU), finanziato dall’ESA e coordinato da Thales Alenia Spazio Italia, stiamo lavorando a un prototipo di sistema modulare per la coltivazione di specie a tubero come patate e patate dolci in microgravità, da testare a bordo dell’ISS. In particolare, il nostro gruppo dell’Università di Napoli Federico II che coordino si occupa della selezione delle varietà, del materiale di propagazione e del substrato di crescita più adatti, nonché sulla definizione delle caratteristiche del modulo radicale destinato a ospitare la parte ipogea della pianta.
- sviluppare il BLSS che garantirà la sopravvivenza dell’equipaggio nelle future basi spaziali. Come detto, la possibilità di missioni spaziali di lunga durata e di insediamenti umani permanenti su altri pianeti, infatti, dipendono dalla capacità di rigenerare risorse ambientali come aria e acqua e produrre cibo. Le piante, che svolgono questo ruolo fondamentale nella biosfera terrestre, avranno un ruolo centrale anche nei BLSS. Su pianeti e satelliti dove la gravità è presente, seppur minore rispetto alla Terra, le piante potranno essere coltivate con sistemi senza suolo e metodi irrigui simili a quelli normalmente utilizzati sulla Terra. Nel caso di colonie planetarie, il volume disponibile per la coltivazione rappresenterà un fattore meno limitante e potrebbero essere utilizzate le risorse disponibili in situ (e.g., suolo lunare o marziano e CO2). Tuttavia, sarà fondamentale garantire la protezione da condizioni ambientali estreme come la bassa pressione atmosferica, le temperature critiche e i livelli elevati di radiazioni.
- Le condizioni di crescita delle piante, come l’intensità e lo spettro della luce, le pressioni parziali di O2, CO2, H2O e la temperatura, dovranno essere modulate per ottimizzare la crescita, la fotosintesi e la traspirazione. Questi studi vengono condotti sulla Terra in apposite camere di crescita che simulano il compartimento piante in un BLSS. Dal 2013 il Dipartimento di Agraria dell’Università Federico II di Napoli è partner ufficiale programma Micro-Ecological Life Support System Alternative (MELiSSA), il programma pluridecennale dell’ESA che studia, dal 1987, i sistemi di supporto vitale a ciclo chiuso con un approccio di tipo ecosistemico. Da allora partecipiamo attivamente ai progetti relativi al compartimento destinato alla coltivazione delle piante per un BLSS nell’ambito di questo ambizioso programma ESA. Il 19 novembre 2019, nel Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, abbiamo inaugurato il Laboratory of Crop Research for Space, un laboratorio che dirigo e che è esclusivamente dedicato allo studio delle piante per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita nello spazio, nato dalla collaborazione con ASI e ESA. Il fulcro del laboratorio è una Plant Characterization Unit (PCU) in cui effettuiamo studi relativi alle selezione delle colture e all’ottimizzazione delle condizioni di crescita, equipaggiata con pannelli a LED di ultima generazione, sofisticati sistemi di coltivazione, di monitoraggio e controllo ambientale, realizzata grazie al progetto di ricerca PlAnt Characterization Unit for closed life support system - engineering, MANufacturing and testing (PacMan), finanziato dall’ESA nell’ambito del programma MELiSSA e coordinato da EnginSoft Italy grazie al quale lavoriamo da anni alla caratterizzazione delle colture e all’ottimizzazione dei protocolli di crescita.

Nel film The Martian, con Matt Damon, che cosa coltiva l’astronauta per sopravvivere su Marte? Ci sono specie più indicate di altre? Le patate da sole non saranno sufficienti ...
Nel film “The Martian” il protagonista Mark Watney riesce a sopravvivere su Marte coltivando patate. Questo è un espediente narrativo utilizzato sia nel libro che nel film, in quanto le patate sono una coltura relativamente semplice da gestire e in grado di fornire calorie e nutrienti essenziali (non a caso l’abbiamo scelta nel titolo del mio libro “Piantare patate su Marte: il lungo viaggio dell’agricoltura edito da Aboca). Tuttavia, il suolo marziano (la regolite marziana, costituita da sedimenti, polvere e frammenti minerali) ha caratteristiche meccaniche, fisico-chimiche e idrologiche che non lo rendono idoneo alla crescita delle piante e, inoltre, è probabile che le coltivazioni, anche se su regolite, avverranno in contenitori. In questo ambito, nel 2019 è iniziato il progetto REBUS (In-situ REsource Bio-Utilization for life Support system), un programma di ricerca triennale finanziato dall’ASI, che ho coordinato e che ha coinvolto università, istituti di ricerca e partner industriali, finalizzato allo sviluppo di un BLSS basato sullo sfruttamento delle risorse locali disponibili su Luna o Marte, un approccio definito spesso con l’acronimo inglese ISRU (In-Situ Resource Utilization). Tra queste, la regolite come substrato per la coltivazione delle piante. Nell’ambito del progetto, abbiamo studiato colture come grano, riso, cereali, soia, ma anche tuberi, come la patata, e sperimentato la coltivazione delle piante su simulanti di regolite lunare o marziana. Nel film, il protagonista usa un po’ di terra portata dalla Terra e concime naturale (le feci dell’equipaggio) per rendere il terreno più coltivabile. Nel progetto REBUS, abbiamo utilizzato, compost verde, letame di animali monogastrici (per simulare le feci dell’equipaggio) e biostimolanti microbici. Oltre alle patate, dovranno essere coltivate anche altre specie vegetali ricche di proteine e altri nutrienti da utilizzare unitamente ad alghe, cianobatteri (es. spirulina) e altre fonti di cibo non convenzionali. Nel già citato progetto REBUS, per esempio, il concetto di sistema biorigenerativo è basato sull’integrazione di organismi produttori come piante e cianobatteri estremofili, e organismi decompositori che includono consorzi batterici, microfunghi commestibili e un insetto dittero, Hermetia illucens, nota come mosca soldato nera. Le sue larve sono utilizzabili per l’alimentazione umana. Quindi, mentre le patate sono state usate nel film come espediente narrativo e in condizioni di emergenza, una vera missione su Marte richiederebbe l’utilizzo di un mix di specie vegetali oltre ad alimenti alternativi, come alghe, insetti, funghi per soddisfare le esigenze nutrizionali degli astronauti. Inoltre, potrebbe essere necessario integrare l’agricoltura con la produzione di alimenti sintetici o coltivati in laboratorio.

Perché gli astronauti-agricoltori del futuro saranno principalmente vegetariani? Come si potrà colmare il fabbisogno proteico dell’essere umano?
La definizione di astronauti-agricoltori è nata quasi per gioco ma coglie comunque nel segno. Infatti, i primi coloni marziani dovranno essere qualcosa di ibrido tra astronauti e agricoltori e saranno principalmente vegetariani per motivi di efficienza e sostenibilità. Coltivare vegetali richiede, in generale, meno spazio, acqua e altre risorse rispetto all’allevamento di animali per la produzione di latte o di carne. Inoltre, una dieta vegetariana produce meno scarti e richiede “carichi” minori rispetto a una dieta onnivora, fattori cruciali per le missioni spaziali con limiti di carico. Ciò rende una dieta principalmente vegetariana più probabile per i futuri astronauti-agricoltori. Numerosi studi, inoltre, hanno dimostrato che una dieta prevalentemente vegetariana ben bilanciata può apportare benefici per la salute, come una riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tipi di cancro. Fattore questo di particolare rilievo per gli astronauti che affrontano condizioni di stress fisico e psicologico durante le missioni spaziali. Per soddisfare il fabbisogno proteico, i futuri astronauti-agricoltori potranno coltivare legumi, come soia e lenticchie, quinoa e pseudocereali ricchi di proteine vegetali di alta qualità, produrre proteine attraverso la fermentazione di batteri, lieviti, funghi e alghe, che possono essere coltivati efficientemente nello spazio o avvalersi di altre fonti proteiche come gli insetti.