La produzione mondiale di uva da tavola, negli ultimi anni, ha raggiunto circa 28 milioni di tonnellate, collocandosi al secondo posto tra la frutta fresca temperata dopo le mele (oltre 86 milioni di t) con un incremento del 19,7% dal 2012, superiore a tutte le specie temperate ad eccezione del kiwi (+ 46,4%).
La maggiore produzione è concentrata nel continente asiatico che contribuisce per circa il 65-66%, seguito dal Sud America con il 10 %, dall’Africa con circa il 9%, dall’Europa (8,5 %) e dal Nord America con poco più del 5 %. L’Oceania non raggiunge l’1%. La Cina è, di gran lunga, il maggior paese produttore con oltre 10 milioni di tonnellate, seguita da India (3 Mt), Turchia (2Mt), Iran (1,6-1,8 Mt), Uzbekistan (1,2 Mt). Tra i paesi mediterranei, oltre la Turchia, sono importanti l’Egitto (1,5-1,6 Mt), l’ltalia (1,0 Mt), la Spagna e la Grecia (0,3 Mt ciascuno). Il Sud Africa (0,33 Mt) è il secondo produttore africano. Gli Stati Uniti hanno una produzione simile all’Italia (1,0 Mt). Nell’America del Sud, tre sono i produttori più importanti: Brasile (0,8-0,9 Mt), Cile (0,7-0,8 Mt), Perù (oltre 0,6 Mt).
Le cultivar più diffuse a livello mondiale sono Alphonse Lavallée, Regina, Moscato d’Amburgo, Italia, Moscato d’Alessandria, Red Globe e Victoria tra quelle con seme e Crimson Seedless, Flame Seedless, Sugraone (Superior Seedless) e Sultanina tra le apirene (Fao-Oiv, 2016). Regina (sinonimi sono Mennavacca bianca, Pergolona, Inzolia imperiale, Afuz Ali, Dattier de Beyrouth, Rosaki, …) e Moscato d’Alessandria (sinonimo Zibibbo) hanno origini antichissime e provengono dal Medio Oriente e dal Nord Africa, Alphonse Lavallée e Moscato d’Amburgo sono state selezionate nell’Ottocento, rispettivamente in Francia e Inghilterra, Italia, Red Globe e Victoria sono frutto del miglioramento genetico italiano, statunitense e romeno del Novecento.
Il fatto che due cultivar di oltre duemila anni fa e due selezionate nell’Ottocento siano ancora tra le maggiormente coltivate nel mondo testimonia l’alto livello qualitativo raggiunto dall’uva da tavola da lungo tempo e la difficoltà del miglioramento genetico tradizionale ad apportare innovazioni competitive. Diverso è il caso delle uve apirene, tra le quali solo la Sultanina ha origini molto antiche, mediorientali; le altre sono state ottenute per incrocio intervarietale in California nella seconda metà del secolo scorso. Sultanina è anche la progenitrice di quasi tutte le cultivar apirene attualmente coltivate. Il panorama varietale mondiale sta rapidamente cambiando a favore delle cultivar apirene che negli ultimi venti anni hanno rappresentato il 70% delle nuove introduzioni, quando nel ventennio precedente, 1980-2000, erano solamente il 40% (Fideghelli, 2022); oggi la percentuale di apirene è superiore al 90%. Il miglioramento genetico moderno, oltre che all’apirenia è sempre più attento alla costituzione di varietà resistenti ai parassiti per ridurre drasticamente i trattamenti chimici che attualmente pongono l’uva da tavola al sesto posto tra i 12 prodotti ortofrutticoli maggiormente inquinati (dirty dozen- la sporca dozzina, secondo l’Enironmental Working Group americano).
Il genere Vitis e le specie di interesse colturale
Sono circa 80 le specie appartenenti al genere Vitis (Vitis L., Plants of the World Online, Kew Science), inizialmente comparso nella parte nord del continente nordamericano circa 28 milioni di anni fa e migrato nella parte nordorientale dell’Asia quando i due continenti erano ancora uniti ( Wang et al., 2013; Testolin, 2021). Circa un terzo delle specie si è differenziata in Asia, le altre in Nord-America; solo una, Vitis vinifera, è considerata di origine europea, in un’area tra il Mar Nero e il Mar Caspio, e deriverebbe dalle specie asiatiche che progressivamente avevano occupato il territorio ad est del Caucaso ( Einset e Pratt, 1975). Storicamente, la coltivazione della vite, basata sulla specie vinifera, si è sviluppata nei paesi mediorientali e nei paesi mediterranei. Con ogni probabilità l’uva è stata utilizzata inizialmente come frutto fresco e come frutto essiccato e solo successivamente per la produzione del vino. Tra le prime testimonianze che distinguono varietà da tavola e varietà da vino si ricordano gli scrittori dell’antica Roma: Plinio autore della Naturalis Historia e Columella che nel De Re Rustica (42 d.C.) elenca dodici varietà da tavola, distinguendole per epoca di maturazione, colore, dimensioni e forma dell’acino, origine geografica (Scienza, 2010). Per millenni, il miglioramento varietale è stato fatto dall’uomo selezionando i semenzali spontanei e il livello qualitativo attuale non è molto diverso da quello raggiunto prima di Cristo come testimoniano varietà come Regina e Moscato d’Alessandria ancora oggi tra le più diffuse. Diverso è il caso delle varietà apirene, per secoli utilizzate prevalentemente, se non esclusivamente, per la produzione di uva passa, conservabile per molti mesi in condizioni naturali. La più nota tra le varietà antiche senza semi è la Sultanina (Thompson Seedless negli Stati Uniti), caratterizzata da acini di discrete dimensioni e per questo apprezzata anche per il consumo fresco, ancora oggi ampiamente coltivata in tutto il mondo e presente nel pedigree di tutte le cultivar apirene moderne.
La valorizzazione su larga scala di specie diverse da vinifera è iniziata nell’ultimo quarto di secolo del 1800 dopo che l’afide della fillossera è comparso in Francia nel 1860, portato con specie americane per la loro resistenza all’oidio, compromettendo la sopravvivenza dei vigneti europei franchi di piede, sensibilissimi a questo insetto. Viticoltori, vivaisti e ricercatori, soprattutto francesi, ma anche ungheresi, austriaci, tedeschi e italiani si attivarono per contrastare il flagello della fillossera attraverso due vie: la selezione di portinnesti resistenti e la costituzione di ibridi produttori diretti di vinifera x specie americane resistenti (V. berlandieri, V. riparia, V. rupestris,….) (Barret, 1956; Fregoni e Bavaresco 1986). Tra i tanti attivi viticoltori, amatori e breeder si ricordano F.G. Richter, C. de Grasset, E. Contassot, H. Jaeger, G. Couderc, A. Seibel, S. Teleki; tra gli universitari e i ricercatori più noti si distinsero P.M. Millardet dell’Università di Bordeaux, Franz Kober del Ministero dell’ Agricoltura di Vienna e gli italiani Federico Paulsen primo direttore del Vivaio Governativo di Viti Americane di Palermo e Antonio Ruggeri, direttore dei Regi Vigneti sperimentali di Spadafora (Messina). Inizialmente, mentre la viticoltura francese ha puntato molto sugli ibridi produttori diretti (vinifera x berlandieri, vinifera x riparia, vinifera x rupestris, ...), oggetto di numerosi programmi di miglioramento genetico, la viticoltura italiana scelse la strada del mantenimento delle varietà storiche di vinifera e la qualità dei vitigni europei puntando sulla scelta e la costituzione di portinnesti resistenti alla fillossera, adatti alle diverse condizioni pedoclimatiche del Paese. Tra i tanti portinnesti costituiti in quel periodo, si ricordano i francesi riparia x rupestris 101.14 (Millardet e de Grasset) e 3309 (Couderc), l’austriaco-ungherese berlandieri x riparia Kober 5BB ( Teleki e Kober) e gli italiani berlandieri x rupestris 140 Ruggeri e 1103 Paulsen, ancora oggi molto utilizzati nella viticoltura italiana da vino e da tavola.
Il miglioramento varietale
a) Uve tradizionali con semi
Oltre che per i vitigni da vino, anche per l’uva da tavola, in Europa, i programmi di miglioramento varietale post-fillossera sono continuati e intensificati nell’ambito della V. vinifera e solo di recente aperti all’ibridazione con specie americane e asiatiche per l’introduzione di caratteri di resistenza agli stress biotici, in particolare oidio e peronospora. In Nord-America e in Estremo Oriente (Giappone, Cina, Korea), per ragioni climatiche (temperatura e umidità), il miglioramento varietale si è basato sulla combinazione dei caratteri di qualità della vite europea con i caratteri di resistenza agli stress biotici e abiotici delle specie americane e asiatiche.
Il più importante breeder europeo è stato, senz’ombra di dubbio, Alberto Pirovano, figlio di Luigi, vivaista di Vaprio d’Adda ed egli stesso costitutore di varietà di uva da tavola, la più nota delle quali è il Moscato d’Adda, ancora oggi nota e apprezzata in diversi mercati locali. Alberto Pirovano ha lavorato privatamente come ibridatore dal 1899 al 1927 quando fu chiamato, per la sua fama mondiale (negli anni ’20 aveva diffuso la varietà Italia), a dirigere il nuovo Istituto di Frutticoltura e di Elettrogenetica di Roma dove ha continuato il lavoro di selezione e di incrocio intervarietale. Tra le tantissime cultivar diffuse da Pirovano, oltre l’Italia, hanno avuto grande importanza Delizia di Vaprio e Primus, così come tante sue selezioni e varietà sono state utilizzate nei cinque continenti come parentali in programmi di miglioramento genetico. Altri breeder italiani che hanno contribuito al successo della viticoltura da tavola italiana nel 900’ sono Bogni, Dalmasso, Manzoni, Prosperi, Paglieri, Manzo, quest’ultimo allievo di Pirovano all’Istituto di Roma e costitutore della cv Matilde. Un decennio prima di Pirovano, in Ungheria, Janos Mathiasz aveva avviato un intenso programma di miglioramento varietale dell’uva da tavola e ottenuto molte varietà diffuse in tutto il mondo; Regina dei Vigneti è la varietà più nota e storicamente molto importante anche in Italia. Nel ‘900, programmi europei di una certa importanza sono stati condotti anche in Moldavia, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Francia, ma le sole cultivar di grande diffusione internazionale sono Victoria, ottenuta presso la Stazione di Ricerche Frutticole di Dragasani in Romania e Black Magic ottenuta presso l’Istituto di Viticoltura di Kishinau in Moldavia.
Negli Stati Uniti, il miglioramento genetico della vite inizia a metà dell’800 con Eduard Rogers di Salem (Massachusset) che esegue i primi incroci tra vinifera e labrusca per migliorare la viticoltura da vino del Nord- Est. Le varietà ibride ottenute da Rogers sono state anche ampiamente utilizzate in molti programmi di miglioramento varietale, sia da vino che da tavola ( Reisch B. I. et al. 2015; Stephen Casscles J. 2019). Nel 1853 è stata diffusa commercialmente la cv Concord, selezionata da E. W. Bull nell’ambito di semenzali ibridi naturali, sempre di labrusca x vinifera e per più di un secolo è stata la varietà più importante del Nord-Est, prevalentemente per la produzione di succhi e gelatine, ma anche di vino. Tra i breeder della generazione successiva emerge la figura di Thomas V. Munson di Denison, Texas, il massimo studioso delle specie di Vitis americane, costitutore di centinaia di varietà, frutto di ibridazioni di vinifera con labrusca, aestivalis, champini, cinerea, riparia, rupestris, non particolarmente importanti per la loro coltivazione, ma importantissime quali parentali nei programmi di miglioramento genetico della vite, americani e non (Tamara e Hellmann, 1990). Il miglioramento dell’uva da tavola di vinifera è stato portato avanti dall’Università di Davis e dall’ARS-USDA di Fresno in California, mentre tutti gli altri programmi, in molti altri stati americani, si sono basati sulla combinazione di vinifera ( qualità della bacca, resistenza all’ alto pH del terreno) x specie autoctone resistenti a stress abiotici ( freddo, caldo ) e biotici ( oidio, peronospora, malattia di Pierce, nematodi,…).
Harold P. Olmo, la cui famiglia era di origini italiane, è stato professore di viticoltura ed enologia all’Università di Davis dal 1938 al 1977, ma già nel 1931 aveva iniziato la sua attività di breeder, continuata anche dopo il pensionamento. Olmo ha lavorato soprattutto sulle uve apirene, ma la sua Red Globe, con semi, è ancora oggi tra le sette cultivar più coltivate al mondo (FAO-OIV, 2016). Tra i breeder californiani merita di essere ricordato E. Snyder che negli anni ‘30 e ’40 del 1900 fu responsabile del miglioramento varietale presso la Stazione Sperimentale USDA di Fresno dove costituì la cv Cardinal, per decenni la varietà precoce più diffusa negli Stati Uniti e in Italia, oltre che in tutti i paesi produttori di uva da tavola. Negli Stati Uniti, la Stazione Sperimentale di Geneva (NY) della Cornell University, è attiva da più di un secolo nel miglioramento dell’uva da tavola, da succhi e gelatine e da vino, ma l’impulso al programma è stato dato, a partire dagli anni ’40 del ‘900, da John Einset, norvegese di nascita (1915), emigrato negli Usa da ragazzo e direttore a Geneva dal 1942 al 1973. La parte Nord dello Stato di New York e delle aree limitrofe, Canada compreso, è caratterizzata da inverni molto rigidi dove la vite europea non sopravvive, ragione per la quale il miglioramento genetico, inizialmente, è stato basato sulla ibridazione della V. vinifera (qualità) con le viti americane labrusca e riparia e successivamente con altre specie per integrare le resistenze ad altri stress abiotici e biotici. Il lavoro di Einset è stato continuato con successo da Bruce I. Reisch e numerose varietà sono state introdotte sia da tavola che da vino, utilizzate per la coltivazione, ma anche come parentali portatori di caratteri di resistenza in molti programmi di miglioramento genetico nel mondo. Fino a poco tempo fa, il problema della malattia di Pierce (Xylella fastidiosa subsp. fastidiosa) non riguardava l’Italia (purtroppo, nel febbraio scorso, in provincia di Bari, è stato individuato, sia su mandorlo che su vite, il ceppo Xylella fastidiosa subsp. fastidiosa), mentre dalla California, dove è stata inizialmente individuata, si è ormai estesa in tutti gli Stati Uniti e i programmi di breeding per costituire cultivar resistenti sono attivi in molti Stati utilizzando V. arizonica, portatrice di un locus di resistenza a questo pericoloso batterio (Riaz et al., 2020). Diverse cultivar resistenti, sia da tavola che da vino, sono già in commercio (Amy, 2019).
In Giappone, la cultivar da tavola più antica e per secoli la più coltivata è la Koshu cui fa riferimento un documento del 1186; recenti indagini molecolari hanno documentato che questa cultivar deriva da un incrocio di (V. davidii x V. vinifera) x V. vinifera (Yamada e Sato,2016). Il clima del Giappone, caldo –umido, non è particolarmente adatto alla vite europea per ragioni fitosanitarie, mentre ben si adattano le viti americane, in particolare la labrusca. Veri programmi di miglioramento genetico iniziano negli anni ’30 del ‘900 a cura di breeder privati e viene costituita Kyoho, la cv più importante degli ultimi 80 anni. Kyoho è tetraploide, frutto dell’incrocio tra due mutazioni tetraploidi di Campbell Early (labrusca) e Rosaki (Regina) (vinifera). Il pregio di Kyoho è la grossa dimensione degli acini (12-14 g), il sapore foxy leggero (molto gradito ai giapponesi) e la possibilità di renderla apirena con trattamenti con acido gibberellico. Da Kyoho sono derivate molte cultivar della stessa tipologia: Pione, Fujiminori, Takaro, Aurora Black, ... Da uno studio fatto sulle 130 cv iscritte nel registro del Ministero dell’Agricoltura nel 2015, 21 provenivano da libera impollinazione e 109 da incrocio controllato. Di queste ultime, 3 erano labrusca x labrusca, 61 labrusca x vinifera (70% delle quali 4n x 4n) e 39 vinifera x vinifera (Yamada e Sato, 2016). Anche in Giappone, l’orientamento più recente del miglioramento varietale, sia pubblico che privato, è la costituzione di cultivar apirene resistenti alle crittogame.
Sebbene la coltivazione della vite in Cina risalga a circa 2000 anni fa (Li S., 2015), i primi programmi di miglioramento genetico sono iniziati nel 1953 dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese con l’obiettivo della resistenza al freddo mediante incroci tra V. vinifera e la specie autoctona V. amurensis che è anche resistente alla peronospora. I programmi, interrotti durante la Rivoluzione Culturale, sono ripresi nel 1980 ed estesi a più Province; nel 2015 è stata introdotta una quindicina di nuove uve da tavola e molte di più di uva da vino. Gli attuali programmi hanno come obiettivo la costituzione di varietà resistenti al freddo secco invernale (V. amurensis, V. labrusca), alle gelate tardive (V. thunbergii), all’oidio e alla peronospora (V. amurensis), diploidi e tetraploidi (acini più grandi, più alto contenuto zuccherino, minore acidità) (Liang et al.,2011).
b) Uve apirene
Le uve apirene, come già ricordato, sono presenti nell’Asia medio-orientale e nel Mediterraneo orientale fin dall’antichità, consumate prevalentemente essiccate per la loro idoneità alla lunga conservazione in condizioni naturali; oggi costituiscono l’obiettivo di tutti programmi di miglioramento genetico e stanno rapidamente sostituendo dovunque le tradizionali cultivar con i semi. Si conoscono due tipi di apirenia: la stenospermocarpia e la partenocarpia. Nel primo caso l’ovario è regolarmente fecondato, l’embrione inizia il proprio sviluppo che si interrompe con l’aborto (Einset e Prat, 1975). I vinaccioli abortiti si atrofizzano e, a seconda del genotipo e delle condizioni fisiologiche della pianta, rimangono rudimenti di varia consistenza, da legnosa ad erbacea, nel primo caso rilevabili dal consumatore; le apirene di maggior valore commerciale sono quelle il cui residuo di seme non sia percepito dal consumatore.
Anche in questo campo Pirovano è stato tra i primi a capire l’importanza dell’apirenia per promuovere il consumo di uva da tavola e fece i primi incroci tra Zibibbo (Moscato d’Alessandria) e Sultanina nel 1911 ottenendo le cv Basile Logothetis e Sultana Moscata, incrocio ripetuto nel 1926 ottenendo le cv Maria Pirovano e Rodi, cultivar che il professor Cosmo, direttore della Stazione Sperimentale di Viticoltura e di Enologia di Conegliano, negli anni ’50 del secolo scorso, consigliava, purtroppo senza successo, per la coltivazione nell’Italia meridionale ( Cosmo,1961).
Il successo commerciale su larga scala delle uve apirene per il consumo fresco è iniziato in California negli anni ’50 del ‘900, grazie anche al fatto che la California coltivava da tempo la Thompson Seedless (Sultanina) per la produzione di uva passa e al programma di miglioramento genetico di Olmo presso l’Università di Davis che nel 1946 e 1947 introdusse rispettivamente Perlette e Delight, due cultivar apirene molto popolari, non solo in California. La cv apirena di maggior successo di Olmo è stata Ruby Seedless (1968) e successivamente Centennial (1980). John Weinberger, succeduto a Snyder alla Stazione Sperimentale USDA-ARS di Fresno negli anni ’60, ha incentrato il proprio programma sulle uve apirene e nel 1973 ha licenziato la cv Flame Seedless, ancora oggi molto diffusa in California e tra le varietà apirene più coltivate al mondo (FAO-OIV, 2016). A metà degli anni ’70, dopo il pensionamento di Weinberger, il responsabile del miglioramento genetico è stato David Ramming che ha ulteriormente potenziato il miglioramento varietale delle uve apirene, grazie al recupero in vitro degli embrioni degli incroci “apirena x apirena”, ottenendo un gran numero di cv di successo internazionale: Crimson Seedless (tra le cv più diffuse al mondo), Autumn Sd., Autumn Black, Autumn King, Black Emerald, Scarlet Royal, ...). In California sono anche molto attivi più programmi privati: Sun World (Superior Seedless di J. Garabedian, Autumn Crisp, Sable Seedless, Sophia Seedless e molte altre di D. Cain) , Giumarra Vineyards Company- Arra ( Arraone, Arra 15, Arra 29, Arra 30,….), International Fruit Genetics ( Cotton Candy, Sweet Sapphire, Sweet Celebration, Sweet Joy e molte altre di D. Cain che, dopo aver lasciato Sun World, è l’attuale breeder di IFG), e altri minori, tutti localizzati a Bakersfield .
Fuori dalla California i programmi sono tutti basati sulla ibridazione tra vinifera per la qualità e ibridi euro-americani, sia per la resistenza agli stress biotici che agli stress abiotici. Attualmente il programma più importante è quello dell’Università dell’Arkansas, avviato nel 1964 da James Moore e che ha lanciato numerose cv apirene diffusamente coltivate negli Stati Uniti (Venus, Mars, Saturn, Jupiter, Reliance, Faith, Hope, …) e utilizzate come parentali in diversi altri programmi di miglioramento varietale (Clark, 2003). Un altro programma importante è quello della Cornell University a Geneva (NY), come già ricordato avviato da Einset e continuato da Reisch, che ha introdotto diverse cv apirene, particolarmente adatte ai climi freddi (Lakemont, Remailly, Einset in onore del breeder, Marquis …).
Fuori dagli Stati Uniti, merita di essere ricordato il lavoro di Angelo Gargiulo presso la Stazione Sperimentale INTA di San Rafael in Argentina che negli ultimi decenni del ‘900 ha introdotto numerose varietà apirene che anche in Italia hanno avuto una discreta diffusione (Della Strada G., Fideghelli C., 2010). Dopo il pensionamento di Gargiulo il programma argentino è stato molto ridimensionato. In Sudamerica sono invece molto attivi il Brasile e il Cile.
Il clima caldo-umido del Brasile è molto favorevole alla peronospora e alla botrite ed è il motivo per cui si sono diffuse con successo cultivar tipo labrusca accanto alle varietà europee, tra le quali l’Italia occupa il primo posto. Il successo delle varietà di labrusca non è dovuto solo alla adattabilità alle condizioni climatiche ma anche alla preferenza di buona parte dei consumatori per il tipico aroma ‘volpino’ e la polpa molle che si separa facilmente dalla buccia (Camargo e Ritschel, 2008). Il programma è condotto dal Centro Nazionale della vite e del vino dell’Embrapa di Bento Gonsalves e, negli anni più recenti, è incentrato sull’apirenia e sugli ibridi di vinifera x specie americane, in particolare quelle maggiormente adatte ad ambienti subtropicali dove è possibile una doppia fruttificazione nei dodici mesi (Ahmed et al., 2010; Koyama et al., 2020).
Il Cile è un importante paese produttore e uno dei principali paesi esportatori e basa, da sempre, la propria produzione su cultivar californiane; da alcuni anni ha avviato propri programmi di miglioramento genetico condotti in collaborazione tra imprenditori del settore e le due principali istituzioni di ricerca: Università Cattolica del Cile e INIA (www.asoex.cl; Torres et al., 2017). L’obiettivo dei due programmi è la costituzione di varietà apirene con caratteri di resistenza ai principali parassiti mutuati da specie nordamericane presenti in numerose cultivar realizzate da diversi programmi di breeding statunitensi. Le prime cultivar dei due progetti sono già in commercio (Maylen, INIA G2, INIA G3, …)
Il Sud Africa produce prevalentemente per il mercato europeo e da settanta anni ha un proprio programma di miglioramento genetico presso l’Agricultural Research Center dell’Università di Stellenbosch , inizialmente basato sulle uve con semi, ma successivamente orientato verso le uve apirene, la prima delle quali è stata la Muscat Seedless licenziata nel 1986 (Burger et al., 2014). La cultivar sudafricana più nota in Italia è la Regal Seedless, tra le più diffuse nel nostro Paese, sia per le buone caratteristiche agronomiche e commerciali, sia perché non “brevettata” e, pertanto, non soggetta alle restrizioni e ai costi di tutte le cultivar più recenti.
Molto attivo è l’Agricultural Research Center (ARO) di Bet Dagan in Israele che, sotto la guida di Avi Perl, ha costituito un gran numero di cultivar apirene (Prime, Red Prime, Big Red Pearl1530, Valley Pearl 358-29, Autumn Pearl, ...), coltivate non solo in Israele, ma in più Paesi produttori, Italia compresa (Perl et al.,2003; Brusco,2018). Il programma israeliano è particolarmente attento alla selezione di cultivar aromatiche, sia con aroma moscato che aromi fruttati per diversificare l’offerta e favorire l’aumento di consumi.
In Europa, i paesi con i programmi più importanti sono la Spagna e l’Italia. La crisi della viticoltura da vino nella regione di Murcia negli anni ’90 del 1900 ha spinto un gruppo di una ventina di produttori lungimiranti e coraggiosi del territorio a passare alla coltivazione dell’uva da tavola apirena e a finanziare un programma di miglioramento genetico all’IMIDA (l’Istituto di ricerca e sviluppo agricolo e alimentare di Murcia) con l’obiettivo di costituire varietà apirene resistenti alle fitopatie, oidio in primo luogo, la crittogama più pericolosa nella regione. E’ nato così ITUM, Investigacion y Tecnologia Uva de Mesa. Ad oggi sono state licenziate poco meno di una ventina di cultivar, due delle quali resistenti all’oidio: Itumfifteen e Itumseventeen (Tornel et al., 2017). Più recente è il programma interamente privato SFLN ( Specialty New Fruit Licensing) con sede a Murcia che, oltre la costituzione di nuove cultivar apirene, acquisisce i diritti di commercializzazione di cultivar costituite da breeder esterni alla società; di recente ha acquisito l’americana IFG di Bakersfield diventando uno dei maggiori costitutori mondiali di uva da tavola.
I programmi italiani
Le ultime cultivar italiane di successo commerciale sono state le tradizionali Michele Palieri e Matilde, introdotte rispettivamente nel 1958 e nel 1962. Il progressivo declino delle varietà con semi e il crescente successo delle apirene ha reso l’Italia sempre più dipendente dalle varietà importate da altri Paesi, in particolare dagli Stati Uniti. Trenta anni fa, quando, timidamente, è iniziata la coltivazione delle uve apirene, diverse cultivar di valore come Flame Seedless, Thompson Seedless, Ruby Seedless, le apirene di Gargiulo e, più di recente, Crimson Seedless e Regal erano libere da vincoli giuridici, a differenza di tutte le cultivar successive che sono “brevettate” e, sempre più diffuse secondo la formula “club”. All’inizio degli anni ’90, un breeder pugliese privato, lungimirante, Stefano Somma, ha avviato un programma di miglioramento genetico, per qualche anno in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma che ha successivamente abbandonato il programma. Il progetto di Somma è confluito nella società Grape and Grape Group con sede a Rutigliano (BA) e ha introdotto diverse cultivar apirene, le più note e coltivate delle quali sono Fiammetta e Luisa. Qualche anno dopo è nata l’iniziativa del Cra Viticoltura di Turi (ora Crea VE) che sotto la guida di Donato Antonacci ha avviato un programma di incroci per la costituzione di uve apirene che ha portato alla realizzazione del Consorzio NuVaUT tra il Crea VE e un gruppo di imprenditori pugliesi del settore per la valorizzazione delle varietà ottenute (oltre 30).
Nel 2015, una ventina di imprenditori del settore di Puglia, Sicilia, Basilicata, Campania e Marche, insieme con il Centro Ricerca Sperimentazione Formazione in Agricoltura (CRSFA) “Basile Caramia” di Locorotondo (BA) e lo Spin off SINAGRI dell’Università “Aldo Moro” di Bari ha costituito la Rete d’imprese IVC (Italian Variety Club) per la costituzione di varietà apirene e resistenti ai principali parassiti, oidio e peronospora, in particolare. Ad oggi sono stati ottenuti oltre 30.000 semenzali ed è stata avviata la procedura per ottenere la privativa europea delle prime 8 selezioni, una delle quali resistente all’oidio.
L’iniziativa più recente è il Gruppo Operativo SicilGrape, nato nel 2018 a Mazarrone (CT), “capitale” della viticoltura da tavola siciliana, tra le Università di Catania, che aveva avviato un proprio programma di incroci da alcuni anni, e Palermo, il Crea OFA di Acireale, Csei di Catania, Regione Siciliana, OPAS (Organizzazione Produttori Agricoli Siciliani) e Innovitis dell’Università di Catania. Il progetto SicilGrape non prevede solamente il miglioramento varietale, ma anche lo studio e il miglioramento di tutti gli aspetti della filiera, dalla coltivazione alla commercializzazione. Anche l’Università di Udine, che conduce un importante programma di miglioramento genetico dell’uva da vino per resistenza a oidio e peronospora, esegue incroci per uva da tavola con gli stessi obiettivi.
Il comparto italiano dell’uva da tavola vive un momento di difficoltà dovuto alla concorrenza dei Paesi produttori mediterranei, alla base varietale ancora costituita per oltre la metà della superficie da cultivar tradizionali con semi, alla dipendenza sempre più onerosa dalle cultivar apirene costituite all’estero e non sempre ben adattabili alle nostre condizioni pedoclimatiche. Le quattro iniziative italiane di miglioramento genetico di cui si è dato conto fanno ben sperare in un futuro che ridia al nostro Paese il ruolo di avanguardia che ha sempre avuto.