Pagliai – Nelle azioni atte a ridurre le emissioni di gas serra anche l’agricoltura è chiamata a dare il proprio contributo e, talvolta, se ne parla a sproposito anche se dobbiamo ammette come sia ormai evidente che l’intensificazione colturale ha sovente superato la soglia di sostenibilità ambientale. Ad esempio, nel circuito internet circolano miriadi di dati e anche riguardo alle emissioni di anidride carbonica è necessario prendere atto che una lavorazione profonda del terreno porta alla perdita di circa 250 kg ha−1 di CO2, che equivalgono alle emissioni di un'auto Euro5 che viaggia per 1700 km. Ma a quanto ammontano le reali emissioni dei gas serra e, quindi non solo di CO2, da parte del settore agricolo?
Lagomarsino – Innanzitutto, va chiarito che le emissioni di gas serra dal suolo sono un processo naturale e necessario: un suolo è vivo e sano proprio perché produce CO2 con i processi respiratori sia delle radici delle piante sia dei microrganismi come batteri e funghi, che vivono nel suolo e decompongono la sostanza organica rendendo disponibili i nutrienti essenziali per la crescita delle piante, che a loro volta assimilano la CO2 atmosferica e la fissano in carbonio organico. È quindi un ciclo, o più cicli, essenziali per la vita sul nostro pianeta. Anche gli altri gas serra prodotti dal settore agricolo, il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), fanno parte di cicli naturali essenziali, come la respirazione in assenza di ossigeno (anaerobica) nei ruminanti e nelle risaie per il CH4 e le trasformazioni dell’azoto nei suoli per il N2O.
Le attività agricole possono alterare fortemente questi cicli naturali, aumentando fortemente le emissioni, ad esempio con gli allevamenti intensivi e una scorretta gestione del letame, con lavorazioni eccessive del suolo o con l’uso eccessivo di fertilizzanti. In particolare, in Italia il settore agricolo è responsabile del 65% delle emissioni di CH4 e del 34% delle emissioni di N2O.
Tuttavia, l’applicazione di gestioni sostenibili che favoriscano l’accumulo del carbonio nel suolo (e quindi la sottrazione di CO2 dall’atmosfera) e un uso efficiente della fertilizzazione possono fortemente ridurre le emissioni di questi gas.
Pagliai – Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica caratterizzata da eventi piovosi estremi concentrati in un brevissimo periodo e da lunghi e frequenti periodi di siccità con forti ripercussioni sulla produzione agricola e sull’ambiente comprese, ovviamente, le emissioni dei gas serra. In questa situazione critica i processi di adattamento e mitigazione, nel breve periodo, non sembrano in grado di contrastare questa crisi.
Lagomarsino – La sfida che abbiamo davanti infatti è duplice: da un lato l’adozione di pratiche sostenibili da un punto di vista ambientale ed agronomico in grado di mitigare i cambiamenti climatici e dall’altro la necessità di adattare l’agricoltura del XXI secolo agli eventi estremi che sempre più colpiscono a livello globale e locale. I due aspetti non sono però in conflitto tra loro, anzi con le conoscenze attuali, abbiamo un enorme potenzialità di agire in entrambe le direzioni.
Ad esempio, gli eventi siccitosi impongono l’adozione di pratiche di riduzione del consumo idrico per la coltivazione del riso, di cui l’Italia è il primo produttore in Europa, sostituendo la sommersione con irrigazioni alternate, in grado sia di ridurre il consumo idrico, sia di diminuire le emissioni di CH4.
Tuttavia, tali interventi possono funzionare solo se sostenuti da strumenti attuativi adeguati forniti dall’Unione Europea e la Politica Agricola Comune (PAC). Numerose iniziative e progetti di ricerca sono oggi in atto a livello nazionale ed Europeo. Quello che ancora manca è una stretta interazione tra i diversi attori coinvolti (ricercatori, decisori politici, agricoltori di grandi e piccole aziende), per cui spesso le conoscenze ottenute non vengono messe in pratica, o lo sono in tempi troppo lunghi rispetto ai cambiamenti climatici in atto.
Pagliai – Circa le prospettive future, è possibile individuare tecniche di gestione del suolo più adatte a contrastare le emissioni di gas serra nei diversi ambienti pedo-climatici?
Lagomarsino – In generale oggi l’adozione di pratiche di agricoltura di precisione e/o agricoltura conservativa vanno nella direzione giusta nel contrasto ai cambiamenti climatici.
Tecniche di minima lavorazione sono risultate efficaci nel lungo termine sia per la diminuzione delle emissioni di CO2 dal suolo, sia soprattutto per l’aumento del carbonio organico nel suolo, con molteplici benefici sulla riduzione della CO2 atmosferica, il miglioramento della struttura e in generale delle proprietà fisiche, chimiche e biologiche del suolo alla base della sua fertilità.
La gestione dell’azoto dato alle colture è estremamente importante: un eccesso di fertilizzazione azotata, maggiore della capacità di assimilazione della pianta, oltre a essere uno spreco economico, determina una perdita di N2O in atmosfera e di nitrati nelle acque, altra fonte di inquinamento di notevole impatto. L’utilizzo di fertilizzanti organici alternativi come compost e digestati è una valida opzione anche in un’ottica di economia circolare in cui residui o addirittura rifiuti vengono valorizzati e riutilizzati, diminuendo così l’impatto complessivo e riducendo nel complesso le emissioni. L’utilizzo di colture di copertura che evitano di avere suolo nudo per lunghi periodi, la rotazione delle colture e le pratiche di agro-forestazione, con la compresenza di colture annuali e pluriennali, possono fornire anch’esse una risposta adeguata.
Quello che bisogna tenere presente è che non esiste un’unica ricetta per tutte le situazioni, ma è necessario integrare le tecniche di gestione disponibili oggi e calibrarle nei diversi territori, avendo consapevolezza delle legittime esigenze di sostenibilità economica e ambientale. Mai come oggi ne abbiamo bisogno ma mai come oggi abbiamo conoscenze e capacità potenzialmente in grado di mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici in atto.