Il frumento, la coltura principale nel mondo per superficie e seconda per produzione, ha una storia millenaria nel commercio internazionale. Considerando il suo ruolo fondamentale nella sicurezza alimentare globale, non può non essere oggetto di attenzione il fatto che, a partire dal 2000, il mercato mondiale ha visto cambiare in modo consistente i suoi assetti. Gli Stati Uniti, un tempo il principale paese esportatore, hanno ceduto la posizione di leadership nelle esportazioni alla Russia e dell’Ucraina. Il conflitto tra questi due paesi ha fatto emergere chiaramente la necessità di ripensare le politiche di questo delicato settore anche in una chiave geopolitica.
L’Europa, all’inizio del secondo dopoguerra importatore netto, è oggi uno dei grandi attori del mercato globale, in quanto è uno dei principali esportatori mondiali. Al tempo stesso, per la segmentazione dei mercati e la diversa specializzazione dei suoi membri all’interno della catena del valore, l’Europa è anche un grande importatore. Tra i paesi europei l’Italia, ad esempio, pur essendo un importatore netto, ha un ruolo significativo nell'export di prodotti trasformati.
Nello spiegare i cambiamenti nel mercato globale del grano, è importante considerare che la mutata sensibilità dei consumatori ha sollecitato un passaggio da modelli di mercato basati sulla quantità a modelli basati sulla qualità, all’interno del quale si inserisce anche una crescente determinazione da parte dei policymaker occidentali a limitare gli incentivi alla produzione e incoraggiare pratiche più sostenibili. In questo passaggio i modelli di business tradizionali, basati sulla cerealicoltura specializzata con tecniche convenzionali sono da tempo caduti in una crisi di prospettive, vedendo la loro quota di valore progressivamente erosa a vantaggio degli operatori a valle e risultando esposti alla variabilità dei prezzi degli input produttivi, strettamente correlati con i prezzi dell'energia. Le proteste degli agricoltori degli ultimi mesi, per le quali e il taglio dei sussidi della PAC ha rappresentato un fattore scatenante, sono in buona parte legate a questa tendenza di fondo.
La crisi del modello basato sulla quantità pone gli agricoltori di fronte ad un bivio: da una parte, quello basato sulla crescita dimensionale e sulla specializzazione, che fa leva sulle economie di scala e confida nelle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. La comparsa, anche nei nostri territori, di mega-aziende di proprietà di holding finanziarie è uno dei risultati di tale tendenza. Il passaggio al modello della qualità vede invece gli agricoltori – soprattutto quelli medio-piccoli - co-protagonisti (insieme alle piccole imprese alimentari e alle comunità locali) della costruzione di nuovi prodotti e di nuovi mercati, facendo leva sulle potenzialità che le varietà tradizionali, le pratiche agroecologiche, le tecniche di trasformazione, il legame con il territorio offrono, praticando strategie di differenziazione che consentono di spuntare prezzi unitari più favorevoli e di impiegare in modo pieno la forza lavoro. Le piccole e medie aziende hanno inoltre accompagnato questo percorso con la diversificazione delle colture e l’integrazione dell’attività agricola con la trasformazione, la vendita diretta, l’agriturismo.
La trasformazione in atto nel settore del frumento è un aspetto della più generale trasformazione dei sistemi alimentari che viene invocata per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, e che da molti viene considerata non più rinviabile. Le tensioni che emergono fanno capire che la transizione sarà più lunga e difficile di quanto auspicato, e che bisognerà gestirla con i giusti strumenti, risorse adeguate, nuove conoscenze.