Dopo il momento di grande interesse mediatico della cosiddetta guerra dei trattori, coinvolta, volente o nolente, nell’inizio della campagna elettorale per le ormai incombenti elezioni per il Parlamento Europeo dei primi di giugno, e dopo la pronta risposta delle Istituzioni europee con le decisioni di fine marzo su alcuni adattamenti della Pac in vigore, sembra essere calato il silenzio su presente e futuro della Politica agricola europea. Lo stesso avviene per quanto riguarda le diverse transizioni, in particolare quella ambientale e quella energetica che, al contrario, dovrebbero essere al centro del dibattito politico e dei programmi dei partiti europei e delle forze nazionali che li costituiscono.
Ma se la Politica, quella con la maiuscola, rimane paradossalmente in secondo piano nel momento in cui si prepara il futuro scenario politico europeo, altrettanto non si può dire per l’attività agricola che non può rimanere ferma sia per ragioni di prospettiva e di indirizzi sia perché il trascorrere dei giorni è fondamentale.
Il mondo agricolo ha visto con sorpresa che il tabù dell’intangibilità della Pac e delle transizioni non era poi tanto rigido e poteva essere quantomeno modificato. Le piccole correzioni concesse mostrano che qualche cosa si potrebbe fare, se solo si volesse seguire il sentiero della concretezza e della compatibilità con le condizioni che determinano il quadro di fondo delle politiche economiche dell’Ue.
Perché ciò potesse accadere, però, bisognerebbe entrare nel concreto. Un esempio fondamentale, che oltre a tutto collega la Pac alle politiche di transizione, ci sarebbe e riguarda proprio un elemento chiave nell’esercizio dell’agricoltura e nella formazione stessa dell’ambiente: l’acqua.
Francamente fanno amaramente sorridere le trite celebrazioni della Giornata dell’acqua, officiate secondo un copione pseudo ambientalista e falsamente agricolo, oltre che anti umanitario, ma in realtà più obbligate e fredde che spontanee e sentite dal resto del mondo non agricolo.
Gli episodi che fanno notizia sono le sempre più frequenti calamità provocate ed aggravate dalle alterazioni meteo, l’alternanza sempre più evidente di periodi anomali di siccità e di eccessi di piovosità, le gravi carenze di acqua per gli usi umani ed agricoli che ne derivano.
Il problema non è l’acqua, come sembra credere e voler far credere la grande giostra mediatica, ma il fatto che non vi sono progetti concreti per contrastare gli aspetti negativi che emergono. Per essere chiari non basta riparare/ripristinare ciò che la furia degli elementi ha provocato né tantomeno sognare/idealizzare improbabili e impossibili rinaturalizzazioni dell’ambiente del mondo dell’acqua. Ciò che serve è una nuova linea di progettazione e realizzazione di interventi infrastrutturali diversamente concepiti e dimensionati che consentano un’utilizzazione più razionale delle acque disponibili e, nel contempo, rafforzino gli elementi di struttura del territorio. In Italia abbiamo un territorio generalmente fragile dovuto alla sua formazione recente, sia per quanto riguarda le principali catene montuose sia per le pianure di origine alluvionale, a partire dalla principale, quella padana. Non dimentichiamo che proprio nel suo territorio sono numerose le aree che si sono definite “terre d’acqua”. L’acqua, regolata e governata in maniera razionale da circa un millennio ha consentito di trasformare una vasta area paludosa nella principale area agricola del nostro Paese. Le zone di bonifica diffuse in tutto il Paese sono alla base della nostra agricoltura e, allo stesso tempo, della salvaguardia del territorio e alla fornitura dell’acqua per tutti gli usi oltre che per quello agricolo. È giunto il momento di ricordare una volta per tutte che non è vero che l’agricoltura sprechi o sottragga acqua poiché nel ciclo produttivo degli alimenti questa viene restituita. Di recente un’importante Regione ha ritenuto necessario regolamentare l’uso delle acque a causa di un periodo prolungato di grave siccità a cui si sarebbe potuto far fronte con opportune opere di conservazione. Così come si potrebbe fare in collina e montagna quasi ovunque nel Paese. Lo spreco di una rete idrica che “perde” nel suo percorso circa la metà delle acque raccolte è un fatto di un’anomalia senza eguali.
Il punto è che, dopo ogni evento calamitoso alla cui origine si pongono cause legate alle acque, si ricorre a inchieste, ricerche di colpevoli del tutto improduttive e sostanzialmente perdite di tempo. La ricostruzione, quando e se attuata, è inutile e sprecata se le nuove opere non sono progettate e dimensionate sui nuovi standard che gli eventi hanno dimostrato necessari. Gli aiuti per la ricostruzione e la ripresa vanno ispirati a questa logica, non al solo indennizzo dei danni e alla replica dell’esistente che evidentemente non è idoneo a reggere alle nuove condizioni ambientali.
Il problema non è l’acqua, né quello dell’impiego agricolo, ma l’uso dissennato e miope di un patrimonio infrastrutturale che, iniziato storicamente in epoca remota e poi ampliato nei secoli, oggi deve essere adeguato ad una situazione ambientale mutata.
Un ripensamento di questa situazione oggi, alle soglie della nuova Legislatura europea ed alle possibili modifiche delle transizioni, è rigorosamente necessario per pensare al futuro del pianeta e dell’umanità, un futuro che di necessità in larga parte, quantomeno quella essenziale alla sopravvivenza, è agricolo.