Negli ultimi decenni si sono verificati dei profondi mutamenti nella percezione del valore totale dell’ambiente e delle foreste. Oggi non si può prescindere dalla consapevolezza dell’impossibilità di trasformare un bosco, cioè un sistema biologico complesso, in un semplice insieme di alberi organizzato in modo da assolvere alle sole esigenze produttive.
La Foresta di Vallombrosa può essere considerata un caso esemplare di questa svolta. Nella Foresta di Vallombrosa l’abete bianco è stato coltivato in purezza da molti secoli, una tradizione iniziata dai Monaci Vallombrosani. L’inaugurazione nel 1869 a Vallombrosa della Scuola Forestale italiana contribuì alla diffusione e all’applicazione dei principi scientifici della gestione forestale che si stavano allora affermando in Europa e che miravano a ottenere dal bosco un prodotto legnoso annuo, massimo e possibilmente costante. A partire da quella data tutti i piani di gestione della foresta, ad esclusione del primo, del 1876, vennero redatti dai professori di Assestamento forestale, quindi secondo le più aggiornate metodologie del tempo. Questo tipo di gestione portò all’ampliamento della superficie delle abetine a Vallombrosa che arrivarono fino a oltre 600 ettari, abetine che sono divenute un elemento caratterizzante del paesaggio.
Nel 2006 è entrato in vigore il nuovo Piano di gestione forestale della Riserva Naturale Statale Biogenetica di Vallombrosa (Ciancio, 2009). Questo piano cambia radicalmente l’indirizzo di gestione che non tende più verso una composizione e una struttura predefinite e ritenute ottimali, bensì, in accordo con la teoria dei sistemi biologici complessi, favorisce il ripristino della capacità di autorganizzazione del bosco. In tal modo si è avviato un cambiamento, seppure lento, delle caratteristiche strutturali ed estetiche del bosco, perché il paesaggio forestale è anche la testimonianza delle pratiche selvicolturali che lo hanno plasmato nel tempo. Per salvaguardare gli aspetti storici, culturali e paesaggistici che rappresentano un legame con la storia millenaria di uso e coltivazione della foresta, è stato istituito un Silvomuseo.
Nel Silvomuseo sono state incluse le abetine intorno all’Abbazia, circa 100 ettari, che rappresentano il nucleo storico, memoria e testimonianza vivente della tecnica colturale del passato messa a punto dai Monaci Vallombrosani. In questa zona gli abeti formano una macchia scura che contrasta con le faggete e i boschi misti che orlano il crinale. Le particelle di abete di diversa età si mescolano e formano un mosaico di popolamenti ben visibile dai punti panoramici come il «Paradisino». Qui verranno mantenute le tecniche colturali che hanno caratterizzato la gestione di queste abetine nei secoli passati.
Oltre a consentire il mantenimento del paesaggio culturale di Vallombrosa, il Silvomuseo svolge anche una importante funzione scientifica e didattica. Esso offre infatti la possibilità di conoscere e analizzare criticamente un approccio colturale e di gestione che ha rappresentato uno dei cardini delle Scienze forestali, nate in Europa alla fine del XVIII secolo e che ha influenzato fortemente il pensiero e la pratica forestale fino alla fine del XX secolo.