Le proteste degli agricoltori, che stanno occupando le strade di tanti Paesi dell’Unione, sono un segnale molto evidente dell’esasperazione della categoria.
Al cuore del disagio si trova la fatica di fare reddito in un contesto di vincoli diventato insostenibile – peggio, incomprensibile – per gli agricoltori stessi. Le accuse vengono rivolte soprattutto alle politiche ambientaliste nate dal Green Deal e dalla sua strategia per il settore agroalimentare, la Farm to fork.
Se si parla con gli agricoltori, però, si scopre che essi chiedono di essere messi nelle condizioni di poter produrre in modo sostenibile; chiedono cioè che venga condiviso con loro un percorso verso la sostenibilità economica ed ambientale. L’accento su questi due aspetti fondamentali non è casuale, perché serve a ricordare che se le aziende non guadagnano chiudono, e se chiudono il cibo per gli europei verrà prodotto in Paesi terzi. Non si fraintenda: non vi è volontà di demonizzare il lavoro degli agricoltori extra-UE, sia ben chiaro; ma sia chiaro anche che il cibo importato è prodotto secondo regole sulle quali il controllo dei requisiti ambientali e sanitari è debole, e che aumentare le importazioni verso l’UE aumenta come conseguenza – è dimostrato da diversi studi – la deforestazione e quindi l’impatto ambientale nei Paesi da cui importiamo.
Con queste premesse, che delineano la complessità dell’attuale contesto economico e politico del settore, proviamo a commentare la notizia che il Parlamento Europeo ha approvato la Proposta di Regolamento della Commissione sulle piante ottenute con le nuove tecniche genomiche, le TEA. La Proposta era sostenuta in particolare dal PPE e da Renew Europe, mentre gli altri partiti si sono divisi per lo più per appartenenza geografica: il sud Europa favorevole alle TEA, l’est Europa generalmente contrario.
Il Parlamento ha apportato alcune modifiche alla Proposta della Commissione. Per esempio, ha incluso la tracciabilità dei prodotti TEA lungo tutta la filiera, cosa che se mantenuta porterà a costi aggiuntivi e forse non giustificati. Inoltre, ha posto ulteriormente l’accento sui requisiti di sostenibilità e sui piani per il monitoraggio delle piante rilasciate. Il Parlamento ha poi introdotto un divieto alla brevettabilità su tutte le piante TEA, cosa che non vede consenso fra gli Stati Membri.
Rimane il grande tema del divieto di impiego di tali piante in agricoltura biologica richiesto dalla maggioranza delle associazioni del settore, quando, a detta del mondo scientifico, proprio tale comparto potrebbe trarre il massimo beneficio da piante migliorate per la sostenibilità ambientale, che per esempio includono tratti di resistenza a malattie.
Il testo non è ancora definitivo e sono possibili emendamenti nel percorso di approvazione. Sarà necessario vigilare perché alcuni degli emendamenti approvati, nel caso dovessero rimanere nel testo finale, siano applicati in modo da garantire decisioni rigorosamente basate su dati scientifici e non pretestuosamente su un mal applicato principio di precauzione, oltre che nella piena garanzia alle imprese di tutti gli Stati Membri di avere un pari accesso all’innovazione e di evitare distorsioni del mercato interno. Il riferimento è in particolare all’emendamento che introduce la possibilità di revocare le autorizzazioni alla coltivazione nel caso di ipotesi di rischi e a quello che ha rimosso il divieto agli Stati Membri di proibire la coltivazione di piante TEA.
Il Consiglio non ha ancora raggiunto una posizione condivisa sulla Proposta e le probabilità che essa venga approvata prima delle elezioni europee non sono molto alte. L’Italia è fra i Paesi più favorevoli, come pure la Spagna, convinta che queste tecniche possano essere utili per aiutare il comparto della produzione agricola a rimanere competitivo in un contesto di clima in cambiamento.
Proprio sulla parola competitività sembra sia incentrata la campagna elettorale per le europee 2024: le proteste dei trattori sono un elemento caratterizzante di queste elezioni, proprio come lo erano le proteste degli attivisti per il clima cinque anni fa. C’è da augurarsi che la politica riesca a fare sintesi delle esigenze dell’economia e di quelle dell’ambiente, che non possono essere contrapposte perché, dovremmo averlo capito, sono fortemente dipendenti le une dalle altre: non c’è tutela dell’ambiente se si mortifica la produttività, non c’è produzione sostenibile se non si invita al tavolo della programmazione economica anche la coesistenza fra produzione e ambiente.