Notiziario










Toto-nomi per il Ministero dell’Agricoltura: chi è presentabile e chi no. Ma il mondo agricolo faccia "mea culpa"

A crisi di governo conclamata, la noia, l’indifferenza, la delusione, a volte la rabbia, sentimenti con cui gli italiani guardano ormai alle vicende della politica nazionale, circondano anche l’ennesimo toto-nomi per la poltrona di ministro dell’Agricoltura dopo le dimissioni  volontarie della ministra Teresa Bellanova che hanno aperto la strada all’uscita di scena del governo Conte bis.
Il ministero di via XX settembre, glorioso perché su quella poltrona prese posto anche Cavour, è ormai come un grand hotel, il suo motto è “chi va e chi viene”, ma soprattutto “chi va” perché in poco più di settant’anni di storia repubblicana  si sono alternati quaranta ministri, uno ogni venti mesi.
Teresa Bellanova  non ha fatto eccezione: ha abbassato la media, è durata 16 mesi. Per la sua successione sta circolando una ridda di nomi, alcuni presentabili, altri molto meno.
Certamente nella prima categoria più che presentabile è Simona Caselli, ex assessore dell’Emilia Romagna, oggi presidente Areflh, con ottimi rapporti a Bruxelles, conoscenza dei dossier comunitari,  e capacità di lavoro e risoluzione-problemi  dimostrate sul campo. Il suo problema è che è fuori dai giochi correntizi del PD e che a Roma  il suo partito non la appoggia come dovrebbe. Una volta la competenza era una qualità apprezzata nel vecchio Pci-Pds, adesso sembra quasi un problema. Per quello che conta, noi come Corriere Ortofrutticolo abbiamo aderito alla campagna social #simonacaselliministra  e ci saremo sempre. Tra i presentabili ci sono anche Susanna Cenni , parlamentare Pd e vicepresidente Comagri alla Camera e Riccardo Nencini , leader del partito socialista, politico di lungo corso. Intendo per ‘presentabili’ persone normali , con qualche esperienza politico amministrativa alle spalle, non animati da pregiudizi anti-europeisti, non portatori di fantasiose teorie pseudo-scientifiche. Sollevano inquietudine invece  i nomi di altri aspiranti alla poltrona di via XX settembre, come il battitore libero Di Battista, o i senatori De Bonis, Ciampolillo e Sandra Leonardo (alias signora Mastella), arruolati in extremis nella pattuglia dei “volonterosi –costruttori-responsabili”. C’è poi da considerare che al ministero ci sta un sottosegretario , Giuseppe l’Abbate dei   5Stelle, che il suo movimento “spinge” dopo aver garantito l’appoggio della Farnesina (quindi Di Maio)  alla candidatura di Maurizio Martina alla Fao.

Leggi


Dante Alighieri a tavola

Dante Alighieri, del quale si celebrano i settecento anni dalla morte, tenendo a battesimo la lingua italiana non può dimenticare il cibo e non manca di citare una ricetta dando anche la possibilità di rintracciarne una seconda alla quale allude.
In particolare nella “Commedia” il cibo, come tutti gli aspetti della vita, ha un significativo rilievo linguistico concreto e simbolico con toni e registri diversi, facendo anche ricorso a costruzioni ardite che, nella loro varietà, qualifica la lingua di Dante.

Leggi


Aree verdi e qualità della vita

È ormai noto che le aree verdi hanno un ruolo fondamentale nella riduzione dell’incidenza delle cosiddette patologie “urbane” in particolar modo su quelle che interessano la sfera psichica. Ma in che modo l'esposizione e l’interazione con la natura le può ridurre? Esistono due teorie consolidate su come la natura influenzi il cervello, entrambe basate sull’assunto che la natura ha un effetto riparatore sulla funzione cognitiva ed emotiva. Non sono il “vuoto” o la quiete a essere efficaci, ma è la natura nella sua gloria disordinata, selvaggia, rumorosa, diversificata, che ha il maggiore impatto nel riportare una mente stressata a uno stato calmo e vigile.

Leggi


Potremo includere nella nostra dieta mediterranea le larve di un coleottero!

Apprendo da un breve articolo pubblicato su “All about Feed” a firma Chris McCullough, che la European Food Safety Authority (EFSA) ha finalmente autorizzato l’introduzione sulle nostre tavole delle larve del coleottero Tenebrio molitor, sia essiccate che in farina, definendolo alimento “sicuro”, “safe” nella versione originale in inglese.  L’articolo è corredato da una fotografia delle larve, tutt’altro che invitante, almeno dal mio punto di vista. La notizia è apparsa anche sulla stampa nazionale e riportata dalla nostra “Georgofili Info”, Newsletter del 20 gennaio scorso (http://www.georgofili.info/contenuti/si-apre-lera-degli-insetti-nel-piatto-lefsa-d-il-via-libera/15402).
Nell’articolo di McCullough l’introduzione dell’alimento, inconsueto almeno per noi europei, viene considerata “un’importante pietra miliare in tutto il settore dell’alimentazione”.
La presa di posizione dell’EFSA segue la proposta di AGRONUTRIS, una compagnia bio-tech francese specializzata nell’allevamento di insetti e nella loro diffusione come alimento. Per il momento si tratta solo di un’autorizzazione, ma l’auspicio dell’EFSA è che “l’autorizzazione costituisca il primo gradino della scala che porterà all’approvazione ufficiale della Commissione Europea per la vendita di insetti come snacks o altri tipi di alimenti”. Secondo Antoine Hubert, titolare della ditta YNSECT SAS, l’iniziativa subirà l’effetto palla di neve, che si ingrandisce andando avanti. Aumenterà il suo potenziale produttivo e di capacità di attrazione di investimenti.

Leggi









La “Sfinge” della “Bella di notte”

I giovani adulti di numerose specie di lepidotteri Sfingidi, abbandonano le zone in cui hanno completato lo sviluppo e migrano verso aree dove hanno maggiori possibilità di trovare piante ospiti sulle quali ovideporre. La migrazione è una complessa sindrome fisiologica e comportamentale, finalizzata alla dispersione adattativa unidirezionale. Ben note sono le migrazioni degli adulti della “lugubre” Sfinge testa di morto, Acherontia atropos che, dall’Africa raggiungono il Nord Europa e vengono spesso ritrovati, morti e mummificati con la propoli, all’interno degli alveari, nei quali si erano introdotti per alimentarsi del miele. Non meno interessanti sono le migrazioni degli adulti di altri Sfingidi; quelli della polifaga e polivoltina Hippotion celerio, di origine asiatica, sono ottimi volatori e spesso raggiungono e si insediano, più o meno stabilmente, in Nord Africa e nell’Europa meridionale e Centrale. In Italia è stata segnalata in tutte le regioni.

Leggi


Il nome del salame

“Sono stato un salame, quella persona è un salame, avere due fette di salame in tasca, fare il salame per non pagare dazio, salame in barca” e molte altre frasi, un tempo frequenti oggi forse più rare, attribuiscono al salame un senso di persona stupida, uno stolto o uno che fa lo stupido e danno quindi un significato spregiativo a un cibo che è invece buono, apprezzato e desiderabile. Tutto deriva da un cambiamento di uso di un temine che fino al XVIII secolo e oltre identifica il pesce salato e quindi il salame o salamen è il baccalà che identifica ancora oggi una persona inespressiva da qui il detto di “essere un baccalà”.  La parola salume deriva dal latino tardo antico salumen per indicare l’impiego del sale per conservare gli alimenti. Inizialmente e nel basso Medioevo, almeno per quanto ne sappiamo, il termine salamen indica i più diffusi alimenti conservati con il sale, i pesci e in particolare quello che ora è chiamato o baccalà o anche erroneamente stoccafisso. Non solo, ma il pesce salato, fino al Quattrocento, è venduto nelle botteghe dei Lardaroli, insieme alla carne e ai salumi.

Leggi


Subsidenza: una minaccia al suolo e una sfida globale

Oltre la metà della popolazione del mondiale vive in aree urbane e ormai la qualità dei suoli urbani e la gestione delle loro funzioni ecosistemiche è riconosciuta di primaria importanza dalla scienza del suolo (Calzolari et al., 2020). Molta parte delle aree urbanizzate più densamente popolate e coltivate è posta nelle aree costiere, spesso in prossimità dei delta fluviali. Basti pensare ad Alessandria d’Egitto nel delta del Nilo, New Orleans nel delta del Mississippi, Calcutta nel delta del Gange, Bangkok nel delta del Chao Phraya o Shanghai, nella regione del delta dello Yangtze. Con terreni fertili e un facile accesso alla costa, i delta sono punti critici della produzione alimentare. Il delta del Mekong in Vietnam da solo fornisce quasi il 20% del riso mondiale (Dunn e Darby, 2019). Queste aree sono tra le più dinamiche del mondo e assistono ad un tumultuoso incremento demografico e di sfruttamento del suolo. Ma molti dei delta del mondo stanno ora affrontando una crisi esistenziale. I delta stessi stanno affondando mentre il livello relativo del mare sta aumentando molto velocemente.
I delta sono costruiti dai sedimenti che vengono trasportati a valle dai fiumi e alla fine si depositano dove il fiume incontra il mare. Quando questi sedimenti si compattano sotto il loro peso, i delta affondano naturalmente. Dove lasciato indisturbato, l'apporto di nuovi sedimenti fluviali può compensare il cedimento e aiutare a mantenere la superficie del delta sopra il livello del mare. Ma la realtà è che assistiamo ad una subsidenza accellerata in molte delle aree deltizie. I risultati di uno studio condotto dall'Università di Padova e dagli Istituti per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi) e di geoscienze e georisorse (Cnr-Igg) del Consiglio nazionale delle ricerche evidenziano che la subsidenza è un fenomeno globale che può causare impatti ambientali, sociali ed economici rilevanti. Le potenziali aree di subsidenza coinvolgono 1,2 miliardi di persone e il 21% delle principali città del mondo, con l'86% della popolazione esposta che vive in Asia (Herrera-García et al., 2021). Una subsidenza accelerata si sta verificando in diverse regioni del mondo, tra cui Iran, Messico e Indonesia dove, a Jakarta, l'impatto è così grave che il governo sta progettando di spostare la capitale nell'isola del Borneo.

Leggi


Epidemie per tutti gli ospiti: il 2020 e l’Anno della Salute delle Piante

Alla fine di un anno, spesso si tende per lo più a guardare avanti, con richieste, auguri e speranze in un futuro migliore, seguendo inconsapevolmente una sorta di rito tradizionale e scaramantico. E non c’è dubbio che il 2020 non appena concluso ci abbia offerto un ottimo motivo, stavolta razionalmente consapevole, per proseguire tale tradizione. Quando lo sguardo dovesse volgersi indietro, il 2020 è stato e sempre rimarrà nei vissuti della maggior parte delle persone come l’anno della pandemia COVID-19, causata dall’ormai conosciutissimo coronavirus SARS-CoV-2.
Anche a causa di questo evento pandemico, ma non solo, pochi tra i non addetti ai lavori hanno avuto l’opportunità di sapere che il 2020 era stato proclamato “Anno internazionale della salute delle piante” dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Solo pochissimi eventi tra quelli previsti ed organizzati hanno avuto regolare svolgimento, la maggior parte è stata condotta in remoto così come posticipata al 2021 od addirittura al 2022. Il 2020 doveva essere l’occasione per sensibilizzare a livello globale governi e singoli cittadini sul ruolo fondamentale che le piante da sempre giocano sui nostri destini, che va oltre l’indispensabile elemento del fornire cibo ed altre importanti materie prime, e che può essere anche motore di un modello innovativo e sostenibile di sviluppo economico. Ovvero il 2020 era l’occasione per la presa di coscienza a livello globale sul contributo che ognuno, anche come singoli individui, dovrebbe dare per preservare e garantire la salute delle piante e sul perché. Ma forse l’occasione non è persa. Anzi, riguardando con sguardo lucido gli eventi che hanno condotto alla pandemia COVID-19, i meccanismi biologici e le interazioni tra i suoi vari “attori”, dal virus agli ospiti ed i suoi serbatoi, per arrivare alle condizioni ambientali in senso lato nelle quali si è sviluppata, è addirittura possibile che possa avere reso governi e società civile più ricettivi a pochi semplici concetti e relazioni che sono comuni a tutte le epidemie, indipendentemente dall’ospite, sia questo umano, animale o vegetale. Non vi è dubbio che “prevenzione” sia tra questi, così come del fatto che la sfida imposta dal prevenire la diffusione di malattie infettive e lo scoppio di epidemie sia sempre più ardua. I cambiamenti globali ai quali abbiamo contribuito e che da qualche tempo stiamo vivendo, non solo quello climatico ma anche la globalizzazione dei commerci e l’estrema rapidità di movimento di umani e merci a livello mondiale, promuovono e favoriscono l’arrivo, lo stabilirsi e la ricomparsa di patogeni altrimenti non presenti in certe aree o che si credevano sconfitti. E questi sono i primi elementi essenziali ed ideali per l’innesco di un’epidemia, anche in ambito vegetale.

Leggi









Il metano ti dà una mano

“Il metano ti dà una mano” era lo slogan pubblicitario di qualche tempo fa, che ci invitava a consumare il metano come fonte energetica, in quanto il meno inquinante fra i combustibili fossili e non fossili. Ma c’è chi, oggi, punta l’indice contro il metano se prodotto dall’apparato digerente degli animali erbivori a partire dalla componente alimentare fibrosa o prodotto dalle fermentazioni vegetali nelle acque delle coltivazioni del riso e rilasciato in atmosfera. Onestamente, il contributo alla diminuzione della concentrazione di gas serra in atmosfera che può venire dalla regolamentazione delle attività agricole appare modesto rispetto a quanto si possa ottenere ponendo un freno all’uso di combustibili fossili nelle centrali elettriche, nella climatizzazione degli ambienti e nei trasporti terrestri ed aerei.

Leggi


TUFF e pianificazione forestale

Il d.lgs. 3 aprile 2018, n. 34 (testo unico in materia di foreste e filiere forestali, TUFF) costituisce la legge quadro di indirizzo e coordinamento in materia di gestione del bosco, le cui finalità sono volte a: “migliorare il potenziale protettivo e produttivo delle risorse forestali del Paese e lo sviluppo delle filiere locali a esso collegate, valorizzando il ruolo fondamentale della selvicoltura e ponendo l’interesse pubblico come limite all’interesse privato”.

Leggi


Arrivederci, non addio, Gran Bretagna

Dal 23 giugno 2016, il giorno del referendum sull’uscita della Gran Bretagna (UK) dall’Ue, al 31 dicembre 2020 sono trascorsi quattro anni  e mezzo. Tanto è stato necessario perché si potesse giungere ad un accordo sulle regole che governeranno d’ora in poi i rapporti fra le Parti.
La separazione è avvenuta in due tempi: a fine 2019, con la firma di un Trattato internazionale che definisce le modalità dell’uscita dell’UK dall’Ue e, a fine 2020, con un Accordo commerciale e di cooperazione  entrato in vigore il 1° gennaio 2021 in via provvisoria, in attesa delle necessarie ratifiche. L’Accordo regola tutti gli aspetti concreti della separazione ed è costituito da un volume di oltre 1200 pagine.
Per arrivare alla conclusione le Parti hanno compiuto un defatigante lavoro che, ancora ai primi di dicembre, sembrava sul punto di naufragare per alcune “divergenze significative”che sembravano insanabili. I punti aperti erano tre: le condizioni per una competizione leale negli scambi fra le Parti, le modalità per dirimere contrasti che sorgessero fra di esse e le regole per i diritti di pesca. Come in ogni trattativa, fino all’ultimo il risultato è rimasto in sospeso e ha richiesto passaggi clamorosi come i decisivi contatti diretti fra il premier inglese Boris Johnson e la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’Accordo è stato raggiunto con una volata finale alla vigilia di Natale: il Parlamento inglese l’ha approvato il 27 dicembre, quello europeo il 29 e il Consiglio dei Ministri Ue il 31.
Nonostante i sussulti finali, le questioni in discussione ai primi di dicembre lasciavano intendere che il traguardo fosse in vista. Considerando che l’interscambio totale  fra UK e Ue vale circa 660 miliardi di euro all’anno e i diritti di pesca in acque inglesi 650 milioni, si comprende come non potesse essere un ostacolo insormontabile.

Leggi


Genome editing: un nuovo modo di approcciare l’argomento

Il genome editing, che potremmo tradurre, in ambito agrario, con tecnologia per l’evoluzione assistita (TEA) è una tecnica rivoluzionaria che permette di agire a livello del DNA  facendogli  esprimere delle nuove funzioni ritenute positive per l’uomo, per un animale, per una pianta, per un microorganismo. Nel regno vegetale questa tecnica ha permesso di ottenere piante di interesse agrario, che resistono a malattie, siccità, ecc., ma questa nuova biotecnologia  non è ammessa ovunque. Nell’UE per esempio  il genome editing è assimilato (vedi decisione della Corte di Giustizia europea del 25 luglio 2018) a quelle tecniche con le quali si ottengono gli organismi geneticamente modificati (OGM), che sono di fatto proibiti alla coltivazione. Da un punto di vista scientifico l’ equiparazione tra  genome editing e OGM non è corretta;  gli organismi pubblici, nazionali ed europei però stanno cambiando idea e probabilmente sarà possibile anche in Europa poter sperimentare in campo, e poi coltivare, piante (la vite per esempio) che siano state rese più resistenti a vari fattori di stress biotico  e abiotico: questo nuovo individuo, nel caso della vite, sarà considerato (probabilmente) un clone di quel vitigno, per cui la piattaforma ampelografica di una certa denominazione non cambierà; questo intervento infatti  simula quanto la natura fa normalmente in pieno campo da millenni e che viene valorizzato mediante la selezione clonale.  Il cambio di visione della Commissione europea (da ostile a positiva) è riscontrabile anche dal fatto che il genome editing è stato inserito nella strategia “From Farm to Fork” come strumento  per realizzare gli obiettivi di sostenibilità tracciati dal Green Deal. Le prospettive sono quindi positive, ma per renderle concrete  e utili i paradigmi scientifici da soli non bastano; bisogna infatti  che queste nuove tecnologie si sviluppino all’interno di  una “governance” condivisa (a livello internazionale) non solo dalla comunità scientifica, ma anche dalla società, perché solo così l’innovazione porterà vantaggi a tutti gli attori delle varie  filiere agroalimentari, dai produttori ai  consumatori.

Leggi








Un dittero predatore dell’Afide dei cedri

In alcune località delle pendici orientali dell’Etna, le favorevoli condizioni climatiche, riducendo la mortalità invernale delle uova, hanno creato i presupposti per le attuali pullulazioni del pernicioso afide Cinara cedri, che forma dense colonie a manicotto sui rami di 1-5 cm delle pinacee Cedrus atlantica, C. deodora e C. libani.  La presenza dell’afide è denunziata dall’abbondante melata, che in parte cade al suolo, sulla quale si insedia la fumaggine; la melata attrae numerose specie di formiche che proteggono l’afide dai predatori.

Leggi



Cucina, la scoperta dell’acqua calda

Il detto “scoprire l’acqua calda” indica qualcosa di scontato e indirettamente sottintende che un’altra scoperta, quella del fuoco, sia stata più importante per l’umanità, ma tutto questo è messo in dubbio dalle ricerche di Ainara Sistiaga e collaboratori secondo la quale gli ominidi che hanno preceduto la nostra specie, circa un milione e settecentomila anni fa, avrebbero potuto utilizzare le acque calde di sorgenti termali per modificare gli alimenti, quindi cucinare (Sistiaga A., Husain F., Uribelarrea D., Martín-Perea D. M. et alii - Microbial biomarkers reveal a hydrothermally active landscape at Olduvai Gorge at the dawn of the Acheulean, 1.7 Ma – PNAS, October 6, 2020, 117 (40) 24720-24728). In base a queste ricerche è oggi messa in dubbio l’idea che la cucina sia iniziata quando l’uomo impara a cuocere la carne e i vegetali sul fuoco e la conoscenza e l’uso dell’acqua calda geotermica in cucina avrebbe quindi preceduto il fuoco nell’evoluzione umana. Ancora oggi una cucina geotermica è tradizionale in Islanda dove queste acque calde sono molto diffuse, anche i Maori della Nuova Zelanda da tempo immemorabile utilizzano le acque di sorgenti geotermiche per cucinare la carne e nelle Azzorre vi è uno stufato di cozido riscaldato con acque vulcaniche. Ovviamente non è possibile stabilire come questo sia avvenuto e ad opera di chi, ma non è da escludere che la prima cottura di un cibo in un’acqua calda termale sia stato eseguito da una giovane femmina di ominide. Un’ipotesi fantascientifica? Non tanto dopo le scoperte che all’inizio degli anni cinquanta sono state fatte sulle scimmie dell’isola di Koshima.

Leggi


Pensieri per il futuro prossimo venturo (parte II): un Green New Deal sarà un buon affare!

Coloro che sostengono che il costo delle azioni per contrastare gli effetti del cambiamento climatico è troppo elevato probabilmente non conoscono o non vogliono conoscere il reale bilancio economico delle operazioni. Guardano al costo presente e non guardano all’enorme guadagno futuro. Un rapporto recente dell'Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che "l'onere sulla salute delle fonti energetiche inquinanti è ormai così alto che il passaggio a scelte più pulite e più sostenibili per l'approvvigionamento energetico, dei trasporti e sistemi alimentari è efficace e sostenibile di per sé stesso."
Non dobbiamo dunque scegliere tra il presente e il futuro. I giusti investimenti nell'azione per il clima possono migliorare la salute pubblica, creare posti di lavoro e migliorare la qualità della vita nelle nostre città oggi. Ma per rendere reali questi benefici, dovremo pensare e agire in modo diverso.
In primo luogo, per ottenere il massimo beneficio dagli investimenti sul clima, le risorse e l'autorità decisionale devono fluire verso le aree e le persone che sono maggiormente a rischio climatico. Queste comunità "di prima linea", che sono state spesso escluse dalle precedenti realizzazioni di infrastrutture, meritano una prima e ultima parola nel plasmare il loro futuro. E al fine di raggiungere gli obiettivi climatici, virtualmente ogni casa, quartiere e azienda dovrà essere aggiornato e connesso alla nuova infrastruttura. I leader locali responsabilizzati saranno fondamentali per conseguire tale obiettivo.

Leggi






La scelta dell’albero di Natale

Ogni anno a Natale si ripropone il consueto dibattito sull’impatto ambientale dell’albero di Natale naturale o artificiale e su quale sia la scelta più responsabile in termini ambientali e sociali. Tale dibattito vede argomentazioni razionali sia da un lato che dall’altro.
Di seguito si elencano alcune argomentazioni favorevoli all’albero di Natale naturale:
    • Non è prelevato in foresta, ma viene coltivato in terreni montani marginali che in caso contrario sarebbero semplicemente abbandonati. L’acquisto di un albero di Natale naturale non ha dunque nessun impatto sulle dinamiche delle foreste.
    • E’ una coltura che prevede pochi interventi in campo, poche concimazioni, pochi trattamenti. E’ dunque una coltivazione molto semplice che usa poca energia e che ha basso impatto sull’ambiente.
    • Viene coltivato in zone relativamente vicine alle zone di commercializzazione.
    • La coltivazione viene praticata, spesso assieme ad altre colture come patate e mele, da piccole aziende che sono un patrimonio importante per l’economia delle zone montane. Queste coltivazioni forniscono un’importante fonte di reddito in zone con continua tendenza allo spopolamento.
    • L’albero naturale, come tutti gli esseri viventi, è composto in gran parte da carbonio. Tale carbonio deriva dalla fissazione dell’anidride carbonica atmosferica attraverso la fotosintesi clorofilliana e per questo si chiama biogenico. Il carbonio biogenico, è considerato neutrale nell’ambito delle emissioni di carbonio perché proveniente dall’atmosfera e non da altri serbatoi (ad esempio il sottosuolo come nel caso dei prodotti petroliferi).
Alcune argomentazioni sfavorevoli all’albero di Natale naturale sono:
    • Essendo un essere vivente è complesso tenerlo in vita per riutilizzarlo, soprattutto in un contesto urbano con clima relativamente caldo.
L’albero di Natale artificiale invece ha un profilo completamente diverso che comunque presenta le seguenti argomentazioni a favore:
    • E’ estremamente facile da riutilizzare e può essere conservato anche per molti anni.
A queste argomentazioni favorevoli si oppongono tuttavia alcune argomentazioni sfavorevoli.
    • E prevalentemente fatto in acciaio e PVC (o altre materie plastiche) che derivano da processi estrattivi e lavorazioni industriali con elevato impatto sull’ambiente (materie prime non rinnovabili).
    • Viene fabbricato in contesti industriali esteri e poi trasportato presso la rete di distribuzione e vendita.

Al fine di valutare tutti questi aspetti in maniera scientifica e poter dunque paragonare gli impatti ambientali dell’uno o dell’altro, presso l’Università di Firenze è in corso una ricerca di analisi del ciclo di vita dell’albero naturale e artificiale.

Leggi