Notiziario



Le vendite di antibiotici per uso veterinario stanno calando significativamente

Un recente rapporto dell’EMA (European Medicines Agency) informa di un significativo declino nella vendita di antibiotici per uso veterinario in tutta Europa, negli ultimi dieci anni. A questo proposito, Ivo Claassen, direttore della Divisione Farmaci per uso veterinario dell’EMA, osserva che le linee guida europee e nazionali delle campagne che promuovono l’uso prudente di antibiotici negli animali stanno avendo effetti positivi e rappresentano la strada giusta per combattere la resistenza microbica acquisita agli antibiotici.

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Pensieri per il futuro prossimo venturo: serve un nuovo approccio “verde”

Lo scorso anno scrissi questo articolo che oggi rivedo completamente alla luce di quanto è accaduto nel 2020.
Gli ultimi anni sono stati e sono tuttora pieni di notizie allarmanti sul clima. Già nel 2018 il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ci aveva detto che abbiamo una decina di anni per dimezzare le emissioni di carbonio ed evitare cambiamenti climatici catastrofici. Nonostante gli allarmi lanciati a più riprese, le emissioni di carbonio sono di nuovo nella direzione sbagliata, dopo alcuni anni di livellamento. Neanche la crisi globale determinata dal COVID-19 ha, se non invertito, almeno rallentato la tendenza.

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Un valido libro sulla canapa

Anche nel vasto campo della pubblicistica concernente gli aspetti più diversi dell'attività agricola si annoverano autori di vario talento e impegno. Facendo attenzione alle varie iniziative editoriali si riscontrano differenze di stile, di scrupolosità, di rigore tecnico-scientifico, di attenzione alla forma divulgativa, di sensibilità agli aspetti storici o, viceversa, di esclusiva proiezione verso il futuro, tanto per citare alcune prerogative apprezzabili. Sono disponibili per la nostra lettura molti validi libri; è comunque raro reperire un testo che abbia saputo rispondere a gran parte delle esigenze sopra elencate.
Un libro che riassume, a mio parere, le diverse caratteristiche ricordate e altre, non menzionate, ma analogamente rilevanti, è  "La Canapa. Miglioramento genetico, sostenibilità, utilizzi, normativa di riferimento" curato, per i tipi di Edagricole, da parte di Paolo Ranalli (v. Georgofili Info, http://www.georgofili.info/contenuti/la-canapa-miglioramento-genetico-sostenibilit-utilizzi-normativa-di-riferimento/15342).
Ranalli, oltre a scrivere 4 importanti articoli dei 15 che compongono il testo, è stato anche l'ideatore e l'organizzatore del medesimo, lasciando che vari collaboratori si assumessero l'onere di descrivere le parti di loro competenza. Viene offerto, in tal modo, un volume completo sull'argomento.

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Cavitazione, embolia, tillosi nelle piante agrarie e forestali: cause, conseguenze e possibili rimedi

Secondo Carbonneau (2007), il flusso della linfa grezza è, in linea generale, estremamente sensibile alle variazioni brusche della pressione intravascolare conseguente ad un aumento della richiesta idrica atmosferica; ciò può provocare la formazione di bolle di aria nei vasi dello xilema (cavitazione). La rottura della corrente linfatica, causata da queste bolle, può causare il blocco completo della circolazione (embolia). Temperature elevate e bassa igrometria conducono ad un incremento dell’evapotraspirazione con conseguente depressione del sistema circolatorio e formazione di tille.

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Gli insetti nella Divina Commedia

La Divina Commedia, è popolata da personaggi reali e mitologici sui quali Dante esprime, o sottintende, giudizi di assoluzione o di condanna, assegnando loro una determinata collocazione. In tale contesto i numerosi riferimenti agli animali assumono, soprattutto, la forma della similitudine, e sono la testimonianza delle conoscenze zoologiche del Poeta. Numerosi sono gli uccelli, i rettili, i pesci e gli artropodi; fra quest’ultimi oltre allo scorpion, cui somiglia la coda di Gerione, sono citati alcuni insetti: api, farfalle, formiche, locuste lucciole, mosche, mosconi, pulci, tafani, vermi, vespe e zanzare.

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Il ginko non invecchia ... e non fa invecchiare

È noto che il Ginkgo può essere utilissimo per i problemi al sistema circolatorio, per controllare il peso corporeo e per i problemi legati alla concentrazione, avendo effetti positivi sulla memoria e sull'apprendimento.
Meno noti sono invece i meccanismi che rendono questa specie così longeva. L'invecchiamento è, infatti, una proprietà universale degli organismi multicellulari. Sebbene alcune specie di alberi possano vivere per secoli o millenni, i meccanismi molecolari e metabolici alla base della loro longevità non sono chiari.
Un lavoro pubblicato lo scorso gennaio e rimbalzato anche dalla stampa nazionale, ha identificato il “segreto” del ginkgo che gli permette di vivere per più di 1.000 anni. Lo studio ha evidenziato che l'albero produce sostanze chimiche protettive che gli conferiscono resistenza alle malattie e tolleranza alla siccità. E, a differenza di molte altre piante, i suoi geni non sono programmati per innescare un declino inesorabile dopo che ha raggiunto la maturità.
Il ginkgo è una pianta relativamente comune nei parchi e nei giardini di tutto il mondo ma, nonostante la sua elevatissima resilienza, è sull'orlo dell'estinzione in natura a causa del disboscamento delle popolazioni spontanee confinate sul monte Xitianmu nello Zhejiang, in Cina.
I due gruppi di ricercatori, negli Stati Uniti e in Cina, hanno studiato alberi di ginkgo di età compresa tra 15 e 667 anni, estraendo gli anelli degli alberi e analizzando cellule, corteccia, foglie e semi e hanno mostrato che alberi giovani e vecchi producono sostanze chimiche protettive per combattere lo stress causato da agenti patogeni o da fattori abiotici come la siccità.

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Pane composto "per tornagusto e delizia"

“Un pane nella composizione del quale entri zucchero, droghe, burro, latte, uova, frutti preparati, e simili cose che lo rendono dolce, o molto saporito, non è praticato che per delizia, tornagusto, e lusso, essendo in primo luogo troppo dispendioso per farne un uso continovo; secondariamente mangiandolo solo, e mangiandone a sazietà, non riuscirebbe sano, ma incomoderebbe, e sturberebbe lo stomaco”.
Con queste parole Saverio Manetti apriva una lunga enucleazione delle varietà del cosiddetto “pane composto”, che costituisce materia dell’Articolo VI del suo corposo trattato Delle specie diverse di frumento e di pane siccome della panizzazione (1765).
Prossimi alle festività natalizie gli scaffali dei negozi e supermercati abbondano di leccornie e dolci, molti dei quali tipici di questo periodo e di antica storia; anche Manetti ne trattava, soffermandosi in particolare sugli ingredienti necessari alla loro preparazione: uova, birra, burro, latte, zucchero, scorze di cedri e agrumi canditi, “le droghe tutte ma particolarmente il pepe, la cannella, e la noce moscada”, uve passe, croco, semi di coriandolo, carvì, comino, finocchio, uva fresca, fichi secchi, mandorle, nocciuole, pistacchi, noci.
“Molte di queste insieme unite, e diversamente per la dose combinate, entrano in quella sorte di pane che da noi si chiama Pane impepato”: ottimo quello prodotto a Siena, ma altrettanto noto per la sua bontà quello di Buonconvento: “un tal pane è di gusto squisito, ma caloroso assai a motivo delle molte droghe che si fanno entrare nella sua pasta”.
Se ne produceva “del simile” anche a Firenze, ma di qualità assai inferiore a quello di Siena e del suo territorio; tre le qualità, annotava Manetti: la sopraffina, la mezzana e l’inferiore. La prima, chiamata pane aromatico o pane di spezierie, oltre a prevedere ingredienti di miglior qualità, veniva impastata con zucchero bollito e chiarito e coperta con una pasta di marzapane “in varie fogge lavorata” e ghiacciata con zucchero. La mezzana era lavorata “più dozzinalmente” e nella sua preparazione entravano ingredienti non molto scelti, impastati semplicemente con miele, farina, uve passe e droghe. Infine l’inferiore: “l’inferiore … non ha per il solito nel suo impasto che pepe, noci, fichi secchi, e farina di grano, lasciatovi tutto o in gran parte il tritello, e impastato con miele, e questo … si dice in Firenze Pan forte.

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Fondo NextGenerationEU: 8 miliardi di euro in più per lo sviluppo rurale nel 2021-2022

Lo scorso 10 novembre, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo politico sul prossimo quadro finanziario dell’UE per il periodo 2021-2027 (il bilancio dell’Unione) e sul fondo speciale per rispondere alla crisi economica dovuta alla pandemia del  Covid-19.  L’accordo  politico  sui  testi  giuridici  è  stato  raggiunto,  ma  tutto  questo pacchetto  legislativo  e  le  risorse finanziarie,  dipendono  dall’approvazione finale  del Parlamento  europeo  e  del  Consiglio  europeo.  Quello  che  poteva  sembrare  un  passaggio istituzionale pro-forma, rischia invece un blocco a causa del veto di Polonia e Ungheria che rifiutano che i fondi UE siano condizionati dal rispettoo dello Stato di diritto. Sono   in corso negoziati per superare questo impasse procedurale che mette a repentaglio una vera occasione di rilancio dell’UE e di ripresa post-crisi Covid-19

In cosa consiste questo accordo
Il fondo denominato NextGenerationEU è uno strumento dotato di 750 miliardi di euro, tra prestiti e sovvenzioni, destinato a stimolare la ripresa e a riparare i danni economici e sociali causati  dalla  pandemia.  Il  suo  fulcro  è  costituito  da  672,5  miliardi  di  euro  in  prestiti e sovvenzioni disponibili per sostenere le riforme e gli investimen: intrapresi dai Paesi dell'UE. NextGenerationEU opererà inoltre apportando fondi aggiuntivi ad altri programmi o fondi europei come Horizon 2020, InvestEU, Just Transition Fund (JTF) ed il Fondo per lo sviluppo rurale (FEASR).

Per  l’agricoltura  NextGenerationEU  prevede  di  destinare  globalmente  per  le  misure  di sviluppo  rurale  un  supplemento  di  8,07  miliardi  di  euro.  Il  Parlamento  europeo  e  la Presidenza  tedesca  hanno    modificato  l’iniziale  proposta  della  Commissione,  innanzitutto anticipando la disponibilità delle risorse già al 2021, vista l’urgenza di contrastare la crisi, e poi aggiungendo dei criteri di condizionalità  per spendere questi fondi supplementari.
Si prevede che circa il 30% degli 8,07 miliardi di euro di aiuti saranno disponibili già nel 2021, e il restante 70% lo sarà nel 2022. Per una ripresa economica  solida e con un respiro di lungo periodo, è stato previsto nei testi di  regolamento  che  almeno  il  55%  di  queste  risorse  sia  destinato  ad  investimenti di sostenibilità  e  di  digitalizzazione  delle  aziende  agricole.  Più  specificatamente  saranno privilegiati quegli investimenti che mireranno all’ottimizzazione degli input per un’agricoltura  intelligente  e  di  precisione,  che  favoriranno  la  digitalizzazione  e  la  modernizzazione  dei macchinari e delle attrezzature di produzione.
Inoltre, si darà risalto alle energie rinnovabili come il biometano e allo sviluppo e sostegno di filiere corte e sostenibili. Anche i giovani agricoltori potranno beneficiare di questa importante parte di risorse supplementari.

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I Diaspini della “Corona di Cristo”: Euphorbia milii

L’Euforbiacea Euphorbia milii è un arbusto spinoso sempreverde, originario del Madagascar che, nell’Italia meridionale, da tempo immemorabile è apprezzato come pianta ornamentale da giardino e da interno. Il nome comune di "Corona di Cristo", fa riferimento alla presenza di spine, che possono raggiungere i 5 cm, e di brattee fiorali di colore rosso che evocano le gocce di sangue. Recentemente, su piante di E. milii, coltivate in vaso, nel centro urbano di Catania, è stata riscontrata la presenza di tre polifaghe specie di Diaspini: Chrysomphalus dictyospermi, C. aonidum ed Hemiberlesia cyanophylli.



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Uomini e animali che amano il caffè

Come avviene per molte piante, la drupa è un buon cibo per diversi animali attratti anche dal colore, che si nutrono della parte esterna e che con processi digestivi liberano i semi che sono eliminati con le feci e deposti in luoghi lontani favorendo la disseminazione della pianta. Da qui una simbiosi vantaggiosa tra pianta e animale.
Tra i molti animali che si nutrono delle bacche del caffè vi sono gli zibetti dell’Indonesia (Paradoxurus hermaphroditus) simili a un gatto o a una civetta, gli uccelli erbivori o Jacu, originari del Sud America e diffusi nello stato brasiliano di Espírito Santo, presenti nelle piantagioni di caffè all'ombra di alberi ad alto fusto e che si ciba dei frutti di caffè maturi, gli elefanti della Thailandia e è noto che questi animali con le feci eliminano i chicchi del caffè nei quali gli enzimi digestivi modificano la struttura delle proteine dei chicchi rimuovendo parte dell'acidità e rendendo l’infuso di caffè più liscio e quindi di maggior valore. Recentemente a questi animali si sono aggiunte talune specie di formiche. Dai chicchi di caffè mangiati dagli animali e poi espulsi con le loro feci si ottengono caffè di particolare pregio.

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2020, annata di bassa produzione di olive al Centro-Sud Italia: dipende dal clima?

La produzione 2020 di olio d’oliva italiano potrebbe attestarsi, secondo le prime stime, sulle 235.000 tonnellate, circa il 36% in meno rispetto all’annata 2019. Il Meridione sembra avere le maggiori decurtazioni produttive con un -51% in Puglia. L’andamento negativo viene genericamente riferito all’alternanza di produzione. Nell'olivo, la differenza di resa tra gli anni "di carica" e quelli “di scarica" può raggiungere anche 20 t ha −1 (Lavee 2007).
Sembra interessante, però,  analizzare le possibili interazioni tra il fabbisogno in ore di freddo e le rese  produttive, anche alla luce delle frequenti “bizzarrie” climatiche.

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Pronto il sistema unificato di certificazione della sostenibilità della filiera vitivinicola

Il concetto di sostenibilità risale   agli anni settanta del secolo scorso quando il MIT  di Boston condusse uno studio relativo ai fattori critici che avrebbero condizionato  l’evoluzione della società, dal titolo ”I limiti dello sviluppo”(1972). La prima definizione universalmente accettata di sviluppo sostenibile è del 1987, fornita dalla Commissione Bruntland (Commissione per l’Ambiente e lo Sviluppo dell’ONU), che recita: “Sviluppo sostenibile è quello sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Recentemente le Nazioni Unite hanno ridefinito lo sviluppo sostenibile nell’antropocene  come: “ Sviluppo che incontra le necessità dal presente mentre salvaguarda il sistema di supporto della vita sulla terra, dal quale dipende il benessere della generazione presente e delle future”.  La definizione di sviluppo sostenibile testè indicata è il risultato dell’interazione tra aspetti sociali, economici e ambientali. Sono 6 i grandi   obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) da raggiungersi entro il 2030, e precisamente:
    • Supportare il benessere e l’occupazione
    • Perseguire la sicurezza alimentare (nel senso di disponibilità di cibo per tutti)   in modo sostenibile
    • Perseguire la sicurezza idrica (nel senso di accesso all’acqua per tutti) in modo sostenibile
    • Utilizzare fonti energetiche pulite a livello globale
    • Favorire ecosistemi salubri e produttivi
    • Favorire la governance di società sostenibili

Questi elementi in pratica coniugano  le necessità della società con quelle del nostro pianeta; si tratta di  azioni  dettate dalla  coscienza della comunità internazionale  di porre argine ai mali del pianeta e dei suoi abitanti. Questi obiettivi sono propri anche della sfera religiosa, basti pensare  alla recente enciclica “Laudato Si’ “ (2015) di Papa Francesco che inserisce però la tematica in una più ampia prospettiva di cambiamento delle strutture economiche vigenti, di cui si è discusso anche nel recente evento “The Economy of Francesco” (19-21 novembre u.s.).  
Quindi tutte le attività umane potrebbero trarre vantaggio dall’approccio sostenibile  che, declinato a livello di singola impresa, dovrebbe consentire uno sviluppo armonico della componente economica, ambientale e  sociale.  L’obiettivo comunque è che, pur partendo dal particolare, si arrivi a un territorio sostenibile sempre più ampio, e che il concetto di sostenibilità  possa in futuro diventare un prerequisito  di qualsiasi attività produttiva.

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Le api danno spettacolo in teatro

Fin dall’antichità, le api mellifere, per la loro organizzazione e laboriosità, hanno destato l’interesse di naturalisti, di sacerdoti, di politici e, soprattutto, di artisti, dei quali sono state fonte d’ispirazione per la creazione di opere d’arte figurativa, di saggistica e di poesia, nonché di opere cinematografiche e teatrali. La maggior parte delle rappresentazioni teatrali, nelle quali sono presenti le api, si rivolge a un pubblico di giovani, in grado di recepire messaggi semplici ma efficaci.
Nel testo teatrale “Il Mistero delle api scomparse”, le fate, preoccupate dell’improvvisa moria di api chiedono aiuto ai bambini di tutto il mondo i quali rivolgono l’appello agli adulti, spiegando loro che le api stanno morendo e che, senza l’impollinazione, tutta l'umanità è a rischio. Ma non venendo ascoltati, mettono in atto "lo sciopero delle caramelle", che metterà in crisi le industrie dolciarie. Per scongiurare la quale i maggiori capi di stato si riuniscono  per discutere della situazione e trovare una soluzione all'improvvisa scomparsa delle api. La decisione è presa: incentivare l'agricoltura biologica evitando i pesticidi dannosi. In breve tempo le api ritornano e con loro i colori, i germogli, le piante, i pollini.

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Quanto pesa il contributo delle attività zootecniche al riscaldamento globale?

La nota dal titolo “La risposta di Carni Sostenibili a quanto sostenuto da Greenpeace”, pubblicata sul notiziario della nostra Accademia del 4 novembre scorso, dal titolo “No, agricoltura e allevamenti non consumano un’Italia e mezza all’anno” , oltre a sollecitare l’irritazione del collega Giuseppe Pulina, mi ha indotto ad alcune considerazioni che mi permetto di fare qui di seguito.
Partiamo dai bollettini FAO del 2006 e del 2019, secondo i quali il contributo dell’agricoltura alla produzione di CO2 sarebbe del 18%. Già da questo dato consegue logicamente che l’82% proviene da altre fonti.

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Anche l’Italia ha bisogno di una visione a lungo termine per le aree rurali

La scorsa estate, la Commissione europea ha lanciato l’iniziativa sullo sviluppo a lungo termine delle aree rurali che, perlomeno in Italia, non risulta aver suscitato il dibattito che merita. L’idea di rilanciare il territorio rurale è stata formulata autorevolmente dalla Presidente Von der Leyen, la quale, nel suo documento strategico intitolato “Orientamenti politici per la prossima Commissione Europea 2019-2024”, si è così espressa: “Le zone rurali sono il tessuto della nostra società e il cuore pulsante della nostra economia. La varietà di paesaggi, cultura e patrimonio è uno dei principali e più notevoli tratti distintivi dell’Europa. Queste regioni sono una parte fondamentale della nostra identità e del nostro potenziale economico. Avremo a cuore le zone rurali, le tuteleremo e investiremo nel loro futuro”.
La Presidente è stata di parola ed ha avviato un percorso che è iniziato il 22 luglio scorso con la pubblicazione di una Roadmap, con la quale è stata fornita una informativa della iniziativa e dei fondamentali passaggi che la compongono.
Successivamente, all’inizio di settembre, è stata avviata una consultazione pubblica a livello europeo, con la quale si è inteso richiedere ai cittadini, ai portatori di interesse, agli organismi e istituzioni interessate, di rispondere a un corposo questionario, da consegnare entro il 30 novembre 2020.
Nel contempo, sono stati programmati tre eventi pubblici dove l’argomento è stato affrontato e descritto. Sono stati inoltre organizzati dei gruppi tematici all’interno della rete europea sullo sviluppo rurale.
I prossimi appuntamenti in ordine cronologico sono una conferenza programmata per il mese di marzo 2021, nel corso della quale, si ritiene, possano essere illustrati e discussi i risultati della consultazione pubblica e la conclusione di alcuni lavori preparatori affidati a strutture interne ed esterne all’Unione europea (analisi di scenario e previsionali ed altri lavori analitici).
Infine, a coronare questa prima fase preparatoria, ci sarà la pubblicazione di una Comunicazione della Commissione europea sulla visione a lungo termine per le zone rurali, programmata per il secondo trimestre del prossimo anno.
La Comunicazione è uno strumento di fondamentale importanza nell’ambito del cosiddetto “diritto d’iniziativa” della Commissione europea. Lo si è visto di recente con il Green Deal, il Farm to Fork e la Strategia della biodiversità. Con tale documento ufficiale inizia un processo politico che sfocia in atti legislativi ed in decisioni operative destinate ad incidere sui cittadini, le imprese, le Istituzioni e le organizzazioni private. 

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Stare almeno 2 ore alla settimana nella natura migliora la salute


Questo è ciò che emerge da una ricerca pubblicata lo scorso anno su Scientific Reports. Forse sembrerà banale questa affermazione, ma la ricerca ha bisogno di prove sperimentali ripetibili e non può basarsi sulla semplice percezione personale ed è sciocco dire: “ah beh, hanno scoperto l’acqua calda” oppure “io l’ho sempre saputo”. La ricerca mira a estendere e approfondire le conoscenze in modo sistematico, svolta con intendimenti e metodi scientifici, anche quando non si applica alle “Scienze propriamente dette”. Per cui anche la “scoperta dell’acqua calda” ha una sua spiegazione scientifica: grazie alla ricerca di qualche secolo fa, sappiamo che l’acqua si scalda perché, se posta a diretto contatto con una fiamma, agitandola, esponendola ai raggi del sole oppure facendoci passare la corrente, aumenta il movimento delle molecole che la compongono che si spostano e cominciano a scorrere le une sulle altre e determinano il riscaldamento.
Un numero crescente di prove epidemiologiche indica che una maggiore esposizione o il contatto con ambienti naturali (come parchi, boschi e spiagge) è associata a un miglior stato di salute e un maggior benessere, almeno tra le popolazioni urbanizzate e ad alto reddito. Pur se la quantità e la qualità delle prove può essere variabile, vivere in aree urbane con una dotazione elevata di aree verdi è quasi sempre associato a minori probabilità di malattie cardiovascolari, obesità, diabete, ospedalizzazione per asma, disagio mentale e, in ultima analisi, mortalità tra gli adulti e minori rischi di obesità e miopia nei bambini.
Tuttavia, la quantità di spazio verde nel proprio quartiere (ad esempio, la percentuale di verde in un raggio di 1 km dalla casa), o la distanza della propria casa dallo spazio verde o dal parco più vicino accessibile pubblicamente è solo un modo per valutare il livello di esposizione alla natura. Un'alternativa è misurare la quantità di tempo che le persone effettivamente trascorrono all'aperto in ambienti naturali, a volte denominata esposizione "diretta”. Entrambi gli approcci sono potenzialmente informativi e si completano l’un l’altro.
La vicinanza della propria abitazione ad aree naturali o ad aree verdi può essere correlata a fattori di promozione della salute come il ridotto inquinamento atmosferico e acustico (sebbene le relazioni siano complesse); e può anche fornire un'esposizione "indiretta" tramite la visione di ambienti “verdi” da casa. La vicinanza residenziale è generalmente correlata positivamente anche all'esposizione "diretta"; cioè le persone nei quartieri con più spazi verdi generalmente dichiarano di visitarli più spesso rispetto alle persone per le quali questo accesso non è diretto.

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Le “palette” della sulla, da curiosità botanica a potenziale utilizzo agronomico

La sulla (Sulla coronaria) è una Fabaceae originaria del Bacino del Mediterraneo, nota per la sua ampia adattabilità a vari stress ambientali e la sua capacità di prosperare senza sintomi di clorosi  in terreni aridi e alcalini fino a pH 9,6. Una caratteristica morfologica del suo apparato radicale, unica e poco conosciuta, è la produzione di “pale o palette”, radici laterali modificate che acquisiscono una forma curva e appiattita.

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Allarme rosso per il vino. E per l’ortofrutta no?

I consumi in questo secondo atto della pandemia non stanno andando bene. Frustrazione, rabbia, sgomento, disillusione e portafogli sempre più vuoti dei consumatori fanno prevedere consumi sempre più ridotti e comunque concentrati nella fascia di primo prezzo dei prodotti.
Sarà un caso, ma in questi giorni sta esplodendo la guerra dei prezzi e delle promozioni nelle catene della Distribuzione moderna, con molte iniziative ‘sottocosto’.

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Il ritorno delle zuppe in tazza

Esaù vende la sua progenitura per una zuppa di lenticchie narra la Bibbia, di polta e cioè zuppe e non pane vivono per molti secoli gli antichi romani afferma Plinio il Vecchio, le zuppe sono il cibo dei laboratores medievali, nel Rinascimento le zuppe accolgono i nuovi cibi americani come i fagioli e le patate, Francesco I di Francia fatto prigioniero a Pavia da una contadina è rifocillato con una zuppa che diviene celebre come zuppa alla pavese e nell’Ottocento nella pasticceria italiana non manca la zuppa inglese. Infinite sono le zuppe nella cucina contadina che la donna di casa prepara raccogliendo dall’orto, dai campi e dalle boscaglie ogni tipo di verdure, quindi un piatto stagionale e a chilometro zero come la ribollita, il cui nome deriva dal fatto che le contadine toscane ne cucinano una gran quantità, soprattutto il venerdì essendo piatto magro, che poi è ribollito in padella nei giorni successivi o, come avviene in altre regioni, è trasformato in polpette vegetali fritte nello strutto.
Nel corso dei tempi, la cucina popolare inventa ogni sorta di zuppe di verdure e legumi e diverse qualità di ortaggi dando origine alle zuppe alla certosina, contadina o alla paesana, di fagioli, piselli, fave, ceci, lenticchie ecc. e nei paesi di mare non mancano zuppe con aggiunta di vongole, alla marinara o di pesce che nelle varie regioni hanno i nomi di boiabessa, brodetto, buridda, cacciucco ecc. Zuppe non mancano in altri paesi mediterranei (sopa in spagnolo, soupe in francese, suppe in tedesco) o la ratatouille francese e sono presenti nei paesi asiatici. Tutte le zuppe sono mangiate in una ciotola o in tazza usando il cucchiaio e nel passato hanno dato origine a proverbî popolari come quello che "chi vuol far l’altrui mestiere fa la zuppa nel paniere".
Nella grande famiglie delle zuppe, odiernamente si tende a distinguere i minestroni e le vellutate, il primo per un maggiore numero di verdure, le seconde sono passati di verdura dalla consistenza cremosa, inoltre le zuppe a base di verdura sono consistenti, non contengono pasta e sono anche accompagnate con fette di pane, mentre le minestre sono più liquide, hanno più brodo e comprendono anche pasta o cereali.
Le zuppe della cucina popolare tradizionale da mangiare in una tazza o ciotola sembravano scomparse ma da una decina di anni sono in forte ripresa anche per merito delle zuppe fresche diverse dal minestrone in lattina, che hanno una scadenza ravvicinata, vanno conservate in frigorifero, sono costituite da ingredienti semplici, hanno un trattamento termico e sono spesso proposte anche in versione biologica. In Italia il mercato delle zuppe fresche ha un fatturato che supera i 190 milioni di Euro con una crescita di oltre venti milioni di Euro nell’ultimo anno e queste preparazioni rappresentano più della metà dei primi piatti pronti all’interno dei punti di vendita della distribuzione moderna italiana. Questi incrementi sono dovuti una diversificata varietà di condizioni: da una parte sono particolarmente gradite dalle persone anziane e da un’altra parte la diversità di composizioni e gusti, per cui non si può dire che “è la solita zuppa”, conquista nuovi consumatori di ogni età, anche i giovani che non conoscevano le zuppe e la loro presentazione in tazze o ciotole.

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Quali sono i prodotti frutticoli di stagione?

Tra gli argomenti da discutere proposti dalla FAO, in occasione della recente Giornata mondiale dell’Alimentazione, c’era quello della scelta dei prodotti di stagione; semplice a dirsi un po’ più complesso a farsi.
L’urbanizzazione massiccia che ha caratterizzato la società italiana nel secondo dopoguerra, ha fatto sì che la grande maggioranza dei giovani di oggi non conosca la campagna come luogo di produzione agricola  e abbiano un’idea vaga e confusa di come e quando i prodotti che trovano in vendita e sulla tavola siano prodotti e raccolti nel nostro Paese anche perché la maggior parte della frutta tradizionale italiana è in vendita quasi tutto l’anno.
La realtà produttiva è enormemente cambiata negli ultimi decenni e con essa il concetto di frutta di stagione. Le ragioni di questi cambiamenti sono diverse: coltivazione in serra,  coltura protetta, coltura fuori suolo,  miglioramento genetico,  globalizzazione dei commerci.
Le fragole , quando io ero un ragazzo, erano il tipico frutto della primavera e nella mia Regione erano chiamate con il nome dialettale di “magiostri”, per indicare la loro raccolta nel mese di maggio; oggi le fragole si raccolgono 12 mesi l’anno e sono sempre presenti sui banchi di vendita. Ciò è possibile grazie alla coltivazione in serra, alla coltura protetta e alle innovazioni di tecnica colturale, così come avviene anche per il lampone e per i mirtilli.
A metà degli anni ’60 iniziarono le prime esperienze di protezione dell’uva da tavola con film di polietilene per anticipare il germogliamento e , di conseguenza, la maturazione, con grandi vantaggi economici per i migliori prezzi spuntati sui mercati. Insieme con l’anticipo, si osservò che l’uva, protetta dalla pioggia , era anche meno soggetta agli attacchi di muffa grigia e nacque l’idea di proteggere le varietà tardive, Italia in primo luogo,  per poter posticipare la raccolta senza incorrere nei gravi danni da Botrytis dovuti alle piogge autunnali. Oggi, in Italia, la quasi totalità dell’uva da tavola è  in coltura protetta ampliando il calendario di raccolta di circa 3 mesi rispetto al pieno campo.  La stessa tecnica per anticipare la raccolta fu poi applicata al pesco e all’albicocco.

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Verso un’agricoltura sostenibile in Africa: nasce EWA-BELT

Nel complesso scenario dei cambiamenti climatici in atto a livello globale il progetto di ricerca EWA-BELT, finanziato dal programma Europeo Horizon 2020, raccoglie la sfida di realizzare una “cintura” africana interregionale in grado di promuovere l’intensificazione agricola sostenibile e lo scambio di buone pratiche tra diversi contesti dell'Africa orientale e occidentale.
Il progetto, promosso e coordinato dal centro interdipartimentale Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione (NRD) dell’Università degli Studi di Sassari, vede partecipe un ampio partenariato che coinvolge diverse Università, Istituti di Ricerca, ONG e società private con sede in vari paesi europei (Italia, Regno Unito, Francia, Grecia) e africani (Etiopia, Kenya, Tanzania, Ghana, Burkina Faso, Sierra Leone).
Nei quattro anni di durata complessiva del progetto, iniziato ufficialmente il primo ottobre 2020, EWA-BELT si propone di affrontare un ampio spettro di problematiche legate alla sicurezza e qualità alimentare, come ad esempio la scarsa produttività delle colture, l’alimentazione e il benessere animale, la scarsa disponibilità di colture e varietà adatte ad ambienti di coltivazione di tipo intensivo, le perdite in pre- e post-raccolta, lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali (erosione e perdita della fertilità dei suoli, pascolamento eccessivo, degrado della qualità dell'acqua, etc.), le difficoltà di collegamento tra produzione e mercato e la scarsa connessione tra ricerca e agricoltura.
EWA-BELT si prefigge, inoltre, di promuovere un approccio responsabile e pro-attivo delle comunità e delle istituzioni locali rispetto alla sostenibilità dell'uso delle risorse naturali attraverso lo sviluppo di strategie di rafforzamento delle competenze, l'adozione di un approccio partecipativo multi-attore e il consolidamento della cooperazione transfrontaliera tenendo in particolare conto delle tematiche relative alla parità di genere.
Nelle diverse aree agro-climatiche distribuite tra i paesi dell’Africa dell’Est (Etiopia, Kenya e Tanzania) e dell’Ovest (Burkina Faso, Ghana e Sierra Leone) saranno individuati 38 casi studio in cui le attività di ricerca saranno guidate da un approccio gender-sensitive di tipo partecipativo e integrato, realizzato tramite la costituzione di Farmers’ Field Research Units (FFRUs). Le FFRUs saranno concepite come uno spazio di dialogo e di interazione i fra diversi attori (agricoltori, ricercatori e altri portatori di interesse) in cui saranno promosse e realizzate, oltre alle attività di ricerca e innovazione, attività di disseminazione dei risultati e di capacity-building (workshop, visite sul campo etc.). Verrà, dunque, posta la massima attenzione all’inclusione e alla cooperazione tra partner, portatori di interesse e istituzioni locali, così da garantire piena efficacia del progetto e sostenibilità nel lungo periodo.

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