Delle circa 20.000 specie di orchidee, afferenti a quasi 800 generi
diversi, diffuse dai tropici all’artico, circa 200 sono presenti in
Italia. Nei prati e nelle radure soleggiate, le Ofridi, attirano
l’attenzione per la bellezza delle forme e dei colori dei fiori che,
nonostante non producano nettare, vengono visitati da determinati
insetti, dalla cui attività dipende l’impollinazione incrociata.
Prendendo atto delle criticità nella difesa delle piante emerse talvolta
anche in modo drammatico nel corso di due decenni di applicazione del
mercato unico, l’Unione Europea ha intrapreso una profonda revisione
normativa del regime fitosanitario comunitario, che ha portato
all’adozione di due nuovi regolamenti di base, il Reg. (UE) 2016/2031
relativo alle misure di protezione contro i parassiti delle piante e il
Reg. (UE) 2017/625 sui controlli e altre attività ufficiali, con
l'obiettivo di contrastare l'ingresso e la diffusione di organismi e
microrganismi nocivi per la salute delle piante, le produzioni vegetali,
gli ecosistemi forestali, gli impianti di arboricultura da legno, il
verde urbano e periurbano, gli ambienti naturali e più in generale il
patrimonio di biodiversità dell'Unione.
Il nuovo regime, completato
da più di 30 regolamenti esecutivi già adottati, pur mantenendo le
architetture di base preesistenti, ha modificato profondamente le
modalità di intervento sulle emergenze fitosanitarie mediante
l’elaborazione di specifici Piani di emergenza, il rafforzamento dei
controlli alle importazioni, l'individuazione di una rete
laboratoristica per la diagnosi, la modifica della struttura del
passaporto delle piante, ma, soprattutto, attraverso una maggiore
responsabilità a carico di tutti gli operatori professionali, in
un’ottica di tracciabilità delle produzioni e rintracciabilità degli
eventuali problemi fitosanitari.
Se da una parte agli operatori
professionali è richiesta una maggiore responsabilità sui materiali
vegetali prodotti e una migliore organizzazione delle proprie strutture,
dall’altra le autorità competenti per i controlli dovranno dotarsi di
strutture conformi ai requisiti fissati e di risorse umane e finanziare
adeguate a garantire un intervento proattivo sugli organismi nocivi
delle piante.
La cerimonia per l’Inaugurazione del 268° Anno Accademico dei Georgofili
si svolgerà in modalità telematica il prossimo Mercoledì 21 aprile 2021
e potrà essere seguita in diretta streaming sul nostro sito, a partire dalle ore 10.30.
A
causa della pandemia da Covid-19 e delle misure messe in atto per
contrastare la diffusione del virus, infatti, per il secondo anno
consecutivo, non potremo incontrarci nel Salone dei Cinquecento in
Palazzo Vecchio a Firenze, sede che tradizionalmente ha ospitato questa
importante cerimonia.
Dopo i saluti del Sindaco Dario Nardella e la relazione del Presidente, Massimo Vincenzini, la prolusione sarà svolta dall’Accademico Emerito Dario Casati su "Oltre la pandemia, quale futuro per l’agricoltura".
Non
sarà possibile, quindi, dare il benvenuto ai nuovi Accademici, consegnando loro di persona i diplomi, ed anche la
consegna dei consueti Premi, Antico Fattore e AgroInnovation Award,
subirà un cambiamento di programma, non avvenendo più a chiusura della
cerimonia inaugurale, ma in eventi successivi, appositamente organizzati
ma ancora da definire, quando la situazione pandemica lo permetterà.
L'inaugurazione
del 268° Anno Accademico vuole essere più che mai una conferma del
fatto che l’Accademia è presente, vitale ed operativa, e guarda al
futuro con il ragionevole ottimismo di chi ha una incrollabile fiducia
nella Scienza e nel suo metodo.
Deve, tuttavia, essere sottolineato
che, durante gli ultimi terribili mesi, l'Accademia dei Georgofili,
nello spirito del suo secolare motto "Prosperitati Publicae Augendae",
non ha mai interrotto la propria attività, ma ha, anzi, moltiplicato i
propri sforzi a supporto dell'agricoltura e degli agricoltori,
articolando le sue azioni per individuare e diffondere gli strumenti più
adeguati per quella ripresa economica che dovrà porre rimedio ai danni
materiali patiti dalla società per la persistente pandemia.
Diversi studi riportano che le applicazioni fogliari ripetute di prodotti
commerciali a base di idrolizzati proteici di origine animale possono
causare fitotossicità e rallentamenti della crescita delle piante;
nessuna fitotossicità e riduzione della crescita sono state osservate,
in genere, nelle piante dopo applicazioni fogliari di amminoacidi di
origine vegetale.
Anche in Sardegna gli alberi di leccio (Quercus ilex L.), sia nel
verde pubblico che privato, sono oggetto di attacchi fungini che
producono cancri corticali e decadimento strutturale del fusto che, nei
casi più gravi, possono essere accompagnati da pericolosi schianti. Al
fine di contribuire ad approfondire e contrastare questa importante
problematica, uno studio fortemente innovativo è stato recentemente
pubblicato sulla rivista Applied Sciences (Puxeddu, M.; Cuccuru, F.; Fais, S.; Casula, G., Bianchi, M.G., 2021. 3D Imaging of CRP and Ultrasonic Tomography to Detect Decay in a Living Adult Holm Oak (Quercus ilex L.) in Sardinia (Italy). Appl.Sci. 2021,11, 1199) https://doi.org/10.3390/app11031199).
La vita dell’uomo è stata caratterizzata dalla sua costante ricerca di
cibo, sino a quando la scoperta dell’agricoltura gli ha fornito gli
strumenti per soddisfare questa primaria esigenza.
Malgrado ciò sia
accaduto più di diecimila anni fa, ancor oggi quasi un miliardo di umani
patiscono la fame, le vicende del clima sembrano non offrire loro
soluzioni semplici e a portata di mano. Eppure anche gli imperi
antichissimi (Sumeri, Accadi, Faraoni, Romani e Cinesi) adottarono,
ciascuno con tecniche diverse, politiche che consentissero ai sudditi
rispettivi di sfamarsi, specie se abitanti nelle città.
Molto di
recente, grazie allo sviluppo della rapidità delle comunicazioni anche
nel campo delle merci, si sono stipulati accordi multilaterali
(Marrakech 1994) per liberalizzare la circolazione delle merci, ridurre i
dazi in modo da favorire lo sviluppo della “specializzazione” della
produzione dei vari prodotti in certe parti del mondo (mascherine in
Cina, cellulari in USA e in Corea, automobili in Germania ecc.).
Ma
le recenti vicende del Covid 19 hanno dimostrato che, malgrado trattati
multilaterali, contratti, impegni fra privati e fra governi, nella crisi
si può bloccare la circolazione di prodotti ritenuti essenziali, come
le mascherine e i reagenti per tamponi. E questo rischio potrebbe dare
origine anche a crisi alimentari in paesi industrializzati ricchi che
hanno rinunciato ad una agricoltura che garantisca l’autosufficienza
alimentare.
La globalizzazione è apportatrice, certamente, di
vantaggi, anche se il suo governo richiederebbe un approccio diverso:
infatti, se nell’XIX secolo aveva un senso uno stato come l’Italia, la
Francia e persino il Portogallo e Malta, dato che i collegamenti avevano
un raggio efficiente di scarsa postata, oggi la terra si è, di fatto,
rimpicciolita e i problemi che la interessano sono globali non solo dal
punto di vista commerciale ma, cosa ancora più importante, ma da quello
climatico, alimentare e sanitario, come l’attuale situazione sta a
dimostrare.
Un virus può mettere in ginocchio l’intera umanità, i
cambiamenti climatici stanno già mostrando effetti devastanti mentre una
crisi alimentare, che è già presente a un settimo degli umani potrebbe
ampliarsi in modo sorprendente a causa del peggiorare degli affetti
climatici.
Occorre, dunque, un sistema di governance di questi eventi che coinvolga tutti gli stati del mondo, o almeno i principali.
Fra i provvedimenti che sarebbe opportuno considerare ve ne sono alcuni
fondamentali, che coinvolgono l’agricoltura, destinata probabilmente ad
una cambio importante di scopo rispetto a quello che l’ha originata.
Occorrerà
arrivare ad una riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la
produzione di metano e co2, alla sostituzione della carne con prodotti
di laboratorio contenenti altre proteine derivate probabilmente da
molecole di carne che non hanno mai vissuto in una stalla, ad una
massiccia rivalutazione dei boschi e della loro coltivazione in zone
aride, in zone artiche o in altissima montagna per incarcerare co2, allo
sviluppo di coltivazioni erbacee modificate per produrre non solo
carboidrati, ma anche vitamine e proteine; insomma, ci dobbiamo avviare
verso una nuova rivoluzione agricola dove allo scopo ambientalistico si
affiancherà anche lo scopo produttivistico: l’uomo non abbatterà più
alberi per estendere le superfici coltivate e destinate a pascoli, ma
incentiverà l’arboricoltura e alcune coltivazioni erbacee, ridurrà
drasticamente l’allevamento di animali dando origine ad una nuova
agricoltura, più efficace dal punto di vista ambientale ma anche meglio
adatta alla coincidenza del settore primario con la sopravvivenza del
genere umano, tentando di diminuite la sua invasività e di ricostruire
un pianeta capace di sopportare la nostra pressante presenza.
“Il Nocciolo - Impianto e gestione delle coltivazioni da frutto” di Moreno Moraldi, è qui scaricabile per il lettori di Georgofili INFO
I legumi sono considerati un'alternativa vegetale ai prodotti carnei
grazie al loro profilo nutrizionale, i bassi costi di coltivazione ed il
ridotto impatto ambientale. Nonostante il loro relativamente alto
contenuto proteico, la qualità nutrizionale risente della carenza di
aminoacidi solforati e della presenza di fattori anti-nutrizionali,
quali acido fitico, polifenoli e α-galattosidi (che causano flatulenza).
Questi composti subiscono una parziale degradazione a seguito del
processo di maltazione, che consta in genere di tre diverse fasi:
macerazione, germinazione ed essiccazione.
L’attenzione nei riguardi delle attività zootecniche responsabili,
secondo alcuni, di più della metà delle emissioni totali di gas serra in
atmosfera, si è riaccesa recentemente, tanto da indurre il Comitato
Consultivo “Allevamenti e Prodotti Animali” della nostra Accademia dei
Georgofili a pubblicare un deciso commento sulla “newsletter” del 17
marzo scorso dal titolo “Improvvisazioni, falsità e clamori giornalistici sugli allevamenti e sui prodotti di origine animale. La necessità di un dialogo su vere basi scientifiche”.
Nel
commento si ribadisce che i dati ufficiali, anche della FAO (2019),
attribuiscono alla zootecnia non più del 14% della “colpa” globale
dell’inquinamento, per cui sarebbe opportuno guardare,
contemporaneamente, anche in altre direzioni, ad esempio ai trasporti
terrestri ed aerei, alle attività industriali non rispettose delle
norme, alle centrali elettriche a carbone o all’eccessivo dispendio
energetico per la climatizzazione degli ambienti pubblici, commerciali e
domestici.
Comunque, se vogliamo fare qualcosa per mitigare i guai
connessi agli allevamenti animali, ben vengano le proposte innovative e
non solo le critiche.
I due problemi che sembrano pesare di più in
questo momento sono l’allevamento dei ruminanti, che utilizzano
l’energia della fibra alimentare con emissione di metano, e l’impiego
praticamente esclusivo della soia come ingrediente proteico dei mangimi
un po’ di tutti gli animali allevati. Entrambe le attività spingono alla
criminale pratica della deforestazione di vaste zone con conseguenze
disastrose sulla “purificazione” dell’atmosfera dalla CO2 per
fotosintesi, la salvaguardia delle biodiversità e delle popolazioni
locali. Per non parlare della necessità di trasporti da un continente
all’altro, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di ulteriore
inquinamento da gas serra.
Cosa possiamo fare? Ad alcuni è venuto
spontaneo proporre di divenire tutti vegani o, almeno, vegetariani,
magari eliminando dalla faccia della terra i ruminanti, dimenticando, ad
esempio, che la sola risicoltura contribuisce per l’11% della
produzione globale di metano. Il problema nel problema è che non è
possibile: non disponiamo di sufficienti aree coltivabili, non coperte
da foreste, adeguate a garantire a tutti i quasi otto miliardi di
abitanti di questo pianeta gli alimenti necessari a sostenere i
fabbisogni nutritivi, specialmente proteici, minerali, lipidici (omega
tre) e vitaminici (vitamina B12), dei bambini in special modo.
Negli ultimi trent'anni, a causa di pochi gradi di differenza della
temperatura stanno mutando le vite di specie animali selvatici, uccelli
che migrano prima, renne e caribù che si spostano quando non dovrebbero,
lupi e orsi che trasformano i loro comportamenti e molte specie animali
selvatiche stanno scomparendo, ma cosa avviene negli animali domestici
allevati dall’uomo e nelle loro produzioni a causa dei cambiamenti
climatici in corso e ancor più previsti? Quali le possibili prospettive
per i prodotti tipici dei quali l’Italia è ricca?
Quando si dice che
“Il clima è già cambiato” si elenca un susseguirsi di record che non
possono lasciare indifferenti per un’eccezionalità che è diventata la
norma con una tendenza in Italia alla tropicalizzazione del clima che si
manifesta con un’elevata frequenza di manifestazioni violente,
sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense e sbalzi termici,
aumento delle temperature massime, periodi anormalmente siccitosi o
piovosi con precipitazioni fuori dalla norma. I cambiamenti climatici
sono oggetto d’attenzione soprattutto per gli effetti che gli eventi
estremi hanno sui centri abitati, le strade e le altre strutture umane.
Molto meno il pubblico considera le correlazioni tra i cambiamenti
climatici e il sistema alimentare e quali sono le possibili vie per
affrontare la crisi climatica attraverso le pratiche eco-sostenibili da
adottare nell’intera catena alimentare.
Molte sono le specie vegetali
e animali che siamo abituati a vedere sulle nostre tavole e che da
alimenti comuni potrebbero divenire prodotti privilegiati perché più che
scomparire potrebbero subire gli effetti di uno spostamento di fascia
climatica della loro produzione. Ciò significa che quello che oggi si
coltiva, si alleva, si conserva a latitudini temperate, domani potrebbe
trovare terreno e clima più favorevoli in altre parti del mondo, che
così potrebbero trarre benefici economici dai cambiamenti climatici.
Senza dimenticare che alcune coltivazioni potrebbero trarre vantaggio da
un ulteriore aumento della concentrazione di anidride carbonica in
atmosfera.
Sempre disponibile ogni qual volta una ricerca aveva bisogno di
sperimentare nuove soluzioni per l’allevamento del bovino da carne, Borgioli è stato anche la testimonianza di quanto un allevatore possa
amare profondamente i suoi animali, cui era legatissimo e per i quali
non smetteva mai di cercare soluzioni tecniche che garantissero le
migliori condizioni di benessere, investendo sulle strutture e sui
sistemi di gestione.
Nel mondo regole di grammatica alimentare stabiliscono se il cibo deve essere mangiato seduti o in piedi, sul pavimento o attorno a un tavolo, con la forchetta o le bacchette o con le dita, in quale ordine ogni piatto deve essere servito, stabilendo quali cibi possono o non possono essere tra loro abbinati, quali sono più adatti al mattino, mezzogiorno, sera o notte.
Un articolo molto interessante a firma di Di Sacco et al., riguardo ai
progetti di riforestazione a livello mondiale, è stato da poco
pubblicato sulla rivista Global Change Biology. Non c’è
dubbio che questi rappresentino necessarie soluzioni urgenti al
cambiamento climatico globale e le ambiziose iniziative di impianti
massali di alberi, molte già in corso, mirano a sequestrare enormi
quantità di carbonio per compensare in parte le emissioni antropiche di
CO2, che sono una delle principali cause dell'aumento delle temperature
globali e sulle quali dovremmo agire nell’immediato. Tuttavia, come ho
più volte scritto,, l’impianto di alberi mal pianificato ed eseguito
potrebbe addirittura aumentare le emissioni di CO2 e avere impatti a
lungo termine e deleteri sulla biodiversità, sui paesaggi e sui mezzi di
sussistenza.
Nell’articolo vengono analizzati i principali rischi
ambientali della piantagione di alberi su larga scala e gli autori
propongono “10 regole d'oro”, basate su alcune delle più recenti
ricerche ecologiche, per implementare il ripristino dell'ecosistema
forestale che massimizzi i tassi sia di sequestro del carbonio sia di
recupero della biodiversità, migliorando al contempo i mezzi per il
mantenimento nelle condizioni necessarie di vita.
Le 10 regole sono le seguenti: (1) Proteggere prima la foresta
esistente; (2) Lavorare insieme (coinvolgendo tutte le parti
interessate) (PERCHE' PIANTARE); (3) Puntare a massimizzare il recupero
della biodiversità per raggiungere molteplici obiettivi; (4) Selezionare
le aree appropriate per il recupero delle foreste; (5) Utilizzare la
rigenerazione naturale ove possibile (DOVE PIANTARE); (6) Selezionare le
specie per massimizzare la biodiversità (COSA PIANTARE); (7) Utilizzare
materiale vegetale resiliente (con variabilità genetica e provenienza
appropriate); (8) Pianificare in anticipo le infrastrutture necessarie,
la capacità e la fornitura del materiale per la piantagione (semi,
piantine forestali, ecc.); (9) Imparare facendo (learn by doing)
utilizzando un approccio di gestione adattivo (COME PIANTARE); e (10)
“Make it pay” garantendo cioè la sostenibilità economica del progetto.
Gli allevamenti e i prodotti di origine animale salgono periodicamente
all’onore delle cronache, non tanto per sottolineare il loro significato
socio-economico in ogni parte del mondo, ma perché su di essi vengono
riversate opinioni allarmistiche, riguardanti presunti catastrofici
impatti sull’ambiente e sulla salute umana.
Il Comitato Consultivo
dell’Accademia dei Georgofili per gli “allevamenti e i prodotti
animali”, in rappresentanza di una comunità scientifica molto ampia, che
conta in Italia centinaia di ricercatori operanti nei settori del
miglioramento genetico, della nutrizione e alimentazione animale, della
qualità dei prodotti e delle tecniche di allevamento, esprime una forte
preoccupazione per la diffusione di informazioni che non poggiano su
rigorose basi scientifiche e che diffondono dati molto lontani dal vero.
Gli
effetti di tali iniziative giornalistiche e propagandistiche, non
disgiunte talvolta da dichiarazioni di esponenti politici, possono
provocare un clima di smarrimento e di preoccupazione sul mondo dei
consumatori, senza che tutto ciò abbia un reale fondamento.
Ancora
più preoccupante è il possibile effetto delle campagne denigratorie nei
confronti dell’intero sistema delle produzioni animali che caratterizza
il nostro paese e dell’industria alimentare ad esso collegata che, come è
noto, rappresenta un valore straordinario del “made in Italy” e
contribuisce in maniera determinante a definire larga parte del
paesaggio italiano, un patrimonio nazionale riconosciuto anche dalla
costituzione. Tale preoccupazione si estende anche alle centinaia di
migliaia di lavoratori che sono all’interno del sistema delle produzioni
animali e vedono minacciato il futuro del loro lavoro da campagne
denigratorie dettate da logiche per loro incomprensibili perché lontane
dalla realtà dei fatti.
Uno dei più comuni elementi di quella che
potremmo definire “non corretta informazione” è rappresentato dal
contributo alla produzione di gas serra degli allevamenti e al loro
conseguente impatto ambientale. Quando viene riportato che la produzione
della carne pesa per il 20% delle emissioni totali di CO2, si diffonde
una informazione totalmente sbagliata, poiché questo dato non è
riscontrabile né all’interno delle statistiche della FAO (http://www.fao.org/faostat/en), né in quelle dell’Unione Europea (https://www.eea.europa.eu//publications/european-union-greenhouse-gas-inventory-2020), né in quelle dell’ISPRA (https://www.isprambiente.gov.it/it).
Sulle pratiche sleali arriva l’intesa tra la Distribuzione moderna (DM) e
il mondo agricolo, dopo quella tra DM e industria del Largo Consumo
(Federalimentare, Centromarca ecc). L’intesa di adesso integra e
completa doverosamente quella dello scorso novembre , perché senza i
produttori non si va da nessuna parte. Giustamente ADM, ANCC-Coop,
ANCD-Conad e Federdistribuzione sottolineano che “bisogna lavorare in
un’ottica di sistema su temi comuni per costruire rapporti di filiera
più trasparenti ed equi, a beneficio dei consumatori”.