Notiziario







Nuove malattie e nuovi insetti vettori in Italia

Nel corso del convegno ‘Vettori di malattie e mutamenti climatici’ tenutosi recentemente a Torino è emerso che, a partire dagli ultimi anni del secolo scorso, focolai di pericolose malattie da importazione dell’uomo e degli animali si sono manifestati in Italia e altri Paesi europei. Sono stati citati i casi di infezione da virus agenti di febbri perniciose quali West Nile Fever (WNF) negli equini (dal 1998) e nell’uomo (2008-2012), ‘Chikungunya’ (dal 2010), ‘Dengue’, anche nella forma emorragica, e  ‘Blue tongue’ o febbre catarrina ovina,  che nel 2001 ha fatto registrare circa 90.000 focolai con oltre due milioni di capi morti o abbattuti per contenere l’epidemia. La frequenza delle infezioni da WNF, causa di una malattia neuro invasiva dell’uomo, è in forte ascesa in quattro Regioni: Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Basilicata e Sardegna.

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Governance e valorizzazione delle aree rurali

I “Distretti in agricoltura” - macro-categoria che raccoglie Distretti rurali, agroalimentari di qualità, agroindustriali, sistemi produttivi e distretti produttivi - sono uno strumento di gestione dei territori rurali in grado di promuovere uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale nel contesto dell'applicazione della PAC e di altre politiche europee?
Se si, quale forma di organizzazione e gestione debbono o possono assumere (governance) per evitare di divenire un livello istituzionale e burocratico  aggiuntivo ai  numerosi già esistenti?
Questi sono i quesiti ai quali una giornata di studio, che si è svolta all’Accademia dei Georgofili lo scorso 11 gennaio 2013,  ha inteso dare risposte sulla base dei risultati di due ricerche (svolte sotto il coordinamento del Prof A. Pacciani, Presidente del laboratorio GAIA dell'Accademia dei Georgofili), ancora in fase di approfondimento: una sull'analisi di alcune significative esperienze italiane e di altri paesi europei (Francia, Spagna, Belgio e Lussemburgo), presentata nella mattinata con il coordinamento dell’ Accademico Michele Pasca Raymondo, e l'altra, di carattere più metodologico, presentata nel pomeriggio, i cui risultati sono contenuti nel volume della Dr.ssa Daniela Toccaceli “Dai distretti alle reti? I distretti in agricoltura nell'interpretazione delle Regioni e le prospettive verso il 2020”, Rete Rurale Nazionale (reperibile on-line nel sito www.reterurale.it).

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“Sikitita”, nuova varietà per oliveti superintensivi

Il primo oliveto superintensivo (con più di 1500 alberi/ha), realizzato con filari in controspalliere che si vanno oggi affermando e diffondendo, è stato piantato nel nord della Spagna nel 1994. La precoce entrata in piena produzione a partire dal terzo anno, la raccolta integralmente meccanica e continuativa con vendemmiatrici scavallatrici, le eccellenti condizioni dei frutti trasferibili immediatamente al frantoio, i molto ridotti costi di produzione sono i principali elementi che hanno determinato il successo di questi impianti. Dopo la Spagna, si sono diffusi in tutto il mondo ed in particolare in nuovi Paesi olivicoli. Oggi si stima che la superficie mondiale già investita con questi oliveti superintensivi superi i 100.000 ha, la metà dei quali sono in Spagna.
Inizialmente si è utilizzata la varietà spagnola “Arbequina”. Il suo ridotto vigore, la precocità di inizio della produzione, la buona resa ed apprezzata qualità dell’olio (dolce, fruttato e poco piccante) contribuirono al successo. La foto 1 corrisponde ad un oliveto di tre anni di “Arbequina” piantato nella zona di Granada nel 2004. Non tutte le varietà tradizionali si adattano al nuovo sistema di allevamento. Oggi le varietà più usate sono l’“Arbosana” e la “Koroneiki”, oltre all’“Arbequina”.

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Ruolo dei boschi in Italia

In Italia, come conseguenza del ritiro delle attività agricole, la superficie forestale si è estesa passando dal 21% del 1947 all’attuale 31% della superficie nazionale. Si tratta di un ampio rimboschimento naturale che è stato pagato con una riduzione della produzione agricola interna e con il parziale abbandono del presidio umano sul territorio; con tutte le implicazioni, anche strategiche, che ne derivano. Questi elementi di costo, tuttavia, sono compensati dalla speranza in un’intensificazione dei benefici pubblici del bosco.  
Tra le esternalità forestali, fa ancora molta presa sul pubblico la protezione contro le frane e, soprattutto, contro le alluvioni. Tuttavia, al quasi raddoppio della superficie forestale in Italia non sembra corrispondere un’attenuazione significativa di tali eventi catastrofici e luttuosi. 

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Palma nana morta per attacco di Punteruolo rosso. Un presepe significativamente allestito nello stipite scavato dal parassita.

Il Punteruolo rosso  delle palme, presente in Italia da circa un decennio, è ormai diffuso in quasi tutte le regioni dove ha causato la morte di migliaia Palme delle Canarie. Sporadicamente l’insetto infesta anche altre specie esotiche di palme coltivate e particolarmente gravi sono gli attacchi all’endemica Palma nana, della quale colonizza gli stipiti di piante annose in condizioni naturali (Riserva dello Zingaro) ovvero di quelle coltivate in aree urbane.
Una Chamaerops humilis, messa a dimora un decennio addietro in una aiuola spartitraffico del centro urbano di Catania, nello scorso mese di marzo ha manifestato i primi sintomi dell’attacco del Punteruolo ed è morta nel successivo mese di settembre. Lo stipite, scavato da decine di larve che vi hanno completato lo sviluppo, ha dato lo spunto per la realizzazione di un tradizionale presepe con una inusuale capanna.

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NATALE 2012 - Dai Georgofili a tutti i georgofili

A tutti coloro
     che amano la natura e sono spinti dalla curiosità di approfondirne le   conoscenze scientifiche;
    che hanno a cuore la razionale gestione delle fonti produttive rinnovabili della biosfera, cioè l’agricoltura;
   che si preoccupano di garantire la futura sicurezza alimentare dell’umanità, la tutela dell’atmosfera e dell’aria che respiriamo, la difesa del suolo coltivabile, il controllo dei dissesti idrogeologici, le nuove fonti energetiche, ecc., riconoscendo la portata globale di queste problematiche e adoperandosi per far comprendere la centralità strategica che vi riveste l’agricoltura;
   che cercano spiragli di ottimismo scrutando orizzonti più ampi e più avanzati.

A tutti costoro che quindi meritano, di fatto, l’aggettivo di georgofili (“amanti della terra”) desidero esprimere a nome dell’Accademia dei Georgofili viva solidarietà e sentiti auguri.
   Ci attende un anno impegnativo, il 260°, che sarà ufficialmente inaugurato il 16 aprile 2013 a Firenze, in Palazzo Vecchio. Fin da ora prego tutti i georgofili ed i loro Amici di memorizzare quella data e fare il possibile per trovarsi insieme in occasione del nostro più significativo incontro annuale.
    Grazie.
                                            Franco Scaramuzzi

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Simbionti, una risorsa per il benessere delle piante e degli animali

La maggior parte di piante e animali ha sviluppato, nel corso della propria storia evolutiva, delle relazioni simbiotiche con microrganismi. La salute, e spesso la stessa sopravvivenza degli organismi superiori che ospitano simbionti microbici sono fortemente influenzate dalla composizione e dall’attività degli organismi che compongono il loro microbiota

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Importanza dell’epigenetica in campo agrario

Nel campo del miglioramento genetico delle piante agrarie, incluso l’uso degli OGM, importanti prospettive per aumentare la produzione alimentare, oggi sempre più pressante, è offerta dall’epigenetica, branca della biologia molecolare.

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I fitofagi del nocciolo in Sicilia

In Sicilia i noccioleti occupano una superficie di circa 12.000 ha, diffusi nelle province di Messina (circa 10.000 ha) e di Catania (circa 1.200 ha). In tali agroecosistemi sono presenti numerose specie di artropodi fitofagi alcune delle quali possono richiedere specifiche misure di controllo demografico.
In particolare l’acaro Eriofide Phytocoptella avellanae Nal., è il fitofago più diffuso e dannoso ad alcune varietà, soprattutto nelle zone umide e nei giovani impianti, nei quali si rendono spesso necessari specifici interventi acaricidi. Altri fitofagi di interesse fitoiatrico sono alcuni emitteri Eterotteri tra i quali maggiormente diffusi in Sicilia sono le Cimici nocciolaie Gonocerus acuteangulatus (Goeze) e Palomena prasina L.
Il ricorso a reiterati interventi con insetticidi a largo spettro di azione per il controllo di tali fitomizi, che causano l’aborto traumatico o il cimiciato delle nocciole, può determinare alterazioni biocenotiche che favoriscono la pullulazione di fìtofagi di secondaria importanza, quali la cocciniglia Parthenolecanium corni Bouché.

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Alla ricerca di un nuovo dialogo tra città e campagna

“In epoca preindustriale tra città e campagna vi era continuità ecologica. I due diversi paesaggi si integravano armoniosamente. Questo fatto era la conseguenza della modesta dimensione territoriale e demografica dei centri urbani, della vicinanza dei campi coltivati e dei boschi alla città, della presenza all’interno dell’ambiente urbano di abbondanti spazi naturali . Una volta anche le maggiori città potevano essere attraversate a piedi; e l’aperta campagna che iniziava appena al di la delle mura, agevolmente raggiungibile d dal centro cittadino. La misura fisica delle città medioevali trovava il suo limite nella mobilità che le caratterizzava . Le città, dunque, beneficiavano dal punto di vista ecologico della influenza della campagna circostante e, inoltre, potevano contare sul patrimonio di verde produttivo e ornamentale che arricchiva il tessuto urbano” (V. Merlo, “Voglia di campagna, neoruralismo e città”, 2006).
Inoltre, nella situazione orografica italiana, numerosi sono i comuni di montagna e alta collina, nel passato isolati, a causa della mancanza di strade e della sola disponibilità di mulattiere e sentieri, impraticabili nella cattiva stagione. Per questo isolamento, costumanze, tradizioni, credenze, consuetudini alimentari si sono conservate a lungo, per l’assenza di facili comunicazioni, con centri abitati più sviluppati. Di conseguenza, la necessità dell’autosufficienza ha favorito un interessante sviluppo dell’artigianato locale, che ha impegnato risorse e mobilitato energie umane, ha inventato e realizzato processi produttivi nei mestieri più differenziati, in modo cosi capillare, tenace e persuasivo da spalmare profondamente l’intero territorio italiano, come è testimoniato dalla documentazione sul lavoro contadino, che a lungo ha rappresentato il vero concetto della multifunzionalità dell’agricoltura nel territorio. Purtroppo, con il continuo spopolamento della montagna, la testimonianza della civiltà contadina ha finito per scomparire.

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Le due culture

Viviamo un momento di fusioni di ambiti disciplinari, che ci costringe a ripercorrere all'indietro una lunga e tortuosa strada di divisioni delle discipline "madri". Le Università si ricorderanno certamente il periodo, protrattosi per molto, in cui il processo più evidente era stato quello della scomposizione di una disciplina in tutta una serie di sottoaree che, pur dotate di un loro contenuto, potevano avere un senso per specialisti, ma poco ne avevano ai fini formativi. Clamoroso fu l'ampliamento del ventaglio didattico in ogni Facoltà, quando una disciplina, tradizionalmente insegnata da un solo docente, fu talmente suddivisa da generare plurimi  corsi d'insegnamento; si disse che quelli che un tempo erano soltanto i capitoli di libri che affrontavano una materia in maniera assolutamente unitaria, erano assurti a rango di disciplina autonoma.
Questo processo ha finito per mostrare alcuni scompensi sul piano  formativo; anche l'area della formazione universitaria agraria è stata influenzata da questa "specializzazione" culturale che anziché sottolineare i grandi temi portava, inevitabilmente, a dare rilevanza ai  dettagli. Come spesso accade, oggi si sta riflettendo su questi atteggiamenti e si stanno facendo passi indietro, aiutati anche dalla minor disponibilità di risorse finanziarie che ha costretto tutte le Istituzioni -e quindi anche quelle universitarie- a rimodulare le loro attività.
Quindi alcune fusioni disciplinari ormai le vediamo come buona cosa ed anzi più adatte ad una pedagogia che privilegi la formazione al posto della più semplice informazione.

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Consumo e tassazione dei terreni coltivati

Nel 1970, le terre coltivate (SAU) in Italia erano più di 18 milioni di ettari. Oggi si sono ridotte a meno di 13 milioni. Va aggiunta una ulteriore superficie di terreni agricoli, anche fertili, che gli agricoltori lasciano inutilizzati in quanto non riescono ad offrire redditi. D’altra parte, la nostra produzione agricola non è complessivamente sufficiente a soddisfare le esigenze nazionali ed il nostro Paese è sempre più costretto a colmare le carenze, con forti importazioni. Il Governo Monti ha recentemente approvato e poi già modificato un D.d.L. quadro per “frenare il consumo di terre coltivabili”. Ma non mancano ancora perplessità.
Come già dimostratosi con i criteri adottati per la conservazione del paesaggio agrario, non è né utile né possibile imporre agli agricoltori di coltivare i propri terreni anche quando non riescono più ad ottenerne un reddito. Prima di continuare sulla strada dei vincoli, occorrerebbe promuovere iniziative capaci di aiutare gli agricoltori a ridurre i costi e rendere remunerative le produzioni.
Un effetto del tutto opposto è stato invece determinato dagli attuali provvedimenti fiscali che hanno aggravato la situazione delle imprese agricole con la nuova imposizione patrimoniale IMU sui terreni e il contestuale aumento fiscale sui redditi, attraverso la rivalutazione del 15% dei parametri catastali, nonché con il divieto alle imprese agricole societarie di optare per una tassazione basata sui propri bilanci.

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Il rimboschimento naturale in Italia

In Italia, la Statistica Forestale del  1947 riportava  5.6 milioni di ettari  di boschi e ora (2005) l’Inventario Forestale  riporta  10,5 milioni di ettari.  La diversità di metodo rende impossibile seguire l’aumento delle singole coperture forestali e,  per seguire le cause del grande aumento bisogna andare per congetture.
Poco l’ effetto del rimboschimenti. Mettendo insieme le superfici attribuite alle specie esotiche e alle specie italiane presenti fuori dalle regioni di indigenato non si arriva a 400 mila ettari.  Forse c’è qualche cosa da aggiungere, ma certamente si è lontani da riempire  la differenza fra il 2005 e il 1947.  Per inciso,  la robinia, con 233 mila ettari, risulta la specie esotica  più diffusa in Italia, ma è anche noto che si tratta di una specie capace di diffusione spontanea.
L’effetto dell’espansione  spontanea  in campi o in castagneti da frutto in disuso è più evidente e suffragato anche da esempi macroscopici   come l’invasione  dell’acero montano e del frassino maggiore con altre  latifoglie  lungo le pendici marginali  delle Alpi e progresso del pino cembro nei pascoli abbandonati delle malghe.   Boschi di nuova formazione si individuano con sufficiente sicurezza  in tutti o quasi i 400 mila ettari che l’Inventario attribuisce agli arbusteti di clima temperato, a i betuleti, ecc.   I boschi del carpino nero,  ignorati dalla statistica del 1947, ora sarebbero  780 mila ettari, è facile, dunque che anche questa specie abbia conquistato  degli spazi.

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I terreni agricoli e l’IMU

Il particolare legame che unisce l’uomo alla terra fa sì che questa non possa considerarsi un bene come tutti gli altri e che ogni intervento che si attua sui rapporti che la riguardano susciti un interesse molto elevato. Fra le ragioni alla base di questa situazione si collocano l’irriproducibilità, e quindi la sua assoluta limitatezza, l’esclusività del possesso, la formazione del fenomeno della rendita sulla nuda terra, la  produzione di beni insostituibili nell’alimentazione. A ciò si aggiunge il fenomeno alla base delle teorie dei Fisiocrati e cioè che essa produce  ricchezza “nuova” dalle risorse naturali.  Nel momento in cui, sotto l’incalzare della crisi, il quadro normativo che la riguarda viene modificato, bisogna considerare che la terra nel mondo e in Italia ha sorretto l’aumento della popolazione e dei consumi, legato all’effetto demografico e all’effetto reddito.
Dopo la seconda guerra mondiale il tasso di crescita dei rendimenti produttivi ha superato quello dei consumi favorendo un miglioramento  dello stato alimentare del mondo grazie  agli incrementi di produttività  derivanti dallo sviluppo scientifico e tecnologico. Dai primi anni 2000 questo equilibrio sembra essersi guastato e la crisi ha accentuato questa realtà. La riduzione degli stock provocata dal rallentamento della produttività è stata esaltata dalla speculazione finanziaria che ha fatto crescere la volatilità e travolto la recente apertura dei mercati spingendo verso un ritorno al protezionismo e a politiche contraddittorie.
In Italia si assiste ad un aumento del carico fiscale sulla terra, in particolare attraverso l’Imu, come se fosse considerata esclusivamente sotto il profilo patrimoniale, trascurando gli investimenti incorporati in essa nei secoli e la finalizzazione produttiva. Allo stesso tempo la proposta di vincolare all’uso agricolo i terreni in base alla destinazione urbanistica, trascurando l’esatta coincidenza con l’uso produttivo, e di fatto impedendone la mobilità, rappresenta un intervento negativo e che costringe a mantenere a coltura le terre meno produttive oltre i limiti della convenienza economica. L’insieme di queste misure è contraddittorio, oltre che discutibile sotto molti aspetti. Un’analisi economica dell’aumento della tassazione indica che esso agisce incrementando i costi e quindi con un effetto di riduzione dell’offerta e di aumento dei prezzi, il contrario di ciò che servirebbe nell’attuale crisi, provocando altresì un allargamento del deficit della bilancia agricola e alimentare.

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Lotta contro le tignole delle derrate alimentari senza insetticidi chimici

La produzione delle materie prime agricole è stata già da tempo interessata da un processo di evoluzione che ha consentito l’applicazione su larga scala di metodiche ecocompatibili.
Analogamente ci si deve attendere che il processo di conservazione e trasformazione post raccolta avvenga con gli stessi criteri.
La necessità di questa impostazione è chiaramente emersa in occasione del IX Simposio su “La difesa antiparassitaria nelle industrie alimentari e la protezione degli alimenti” che si è svolto a Piacenza presso l’Università Cattolica nel settembre u.s.
Contributi che rispecchiano l’esigenza di un approccio ecologico alla produzione delle derrate e la trasformazione di materie prime nel post raccolta, sono stati presentati in diverse sessioni.
Un lavoro che scaturisce da esperienze pluriennali ed affronta la sostenibilità sia ambientale, sia sociale nel comparto agroalimentare, con riferimenti anche agli standard ISO attualmente già disponibili.
La sessione “Ricerche di nuovi mezzi chimici” si inserisce in un settore molto delicato della protezione degli alimenti, quello dell’utilizzo di prodotti antiparassitari che sempre più tendono ad essere rispettosi dell’ambiente e soprattutto ad essere tali da ridurre al minimo i rischi che comportano alla salute del consumatore.
Un approccio molto interessante è quello che studia l’utilizzo di prodotti naturali. Al simposio sono state presentate ricerche che hanno verificato l’efficacia dell’attività insetticida di estratti di piante come Scrophularia canina (FOTO). I risultati sono considerati molto promettenti.

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I Cinesi possono, gli Italiani no

La vicenda del Made in Italy o, meglio, del Made in Veneto, nel Lazio o in Molise, e l’atteggiamento della Commissione dell’Unione europea
richiedono qualche parola di commento e, se lo si consente, un
suggerimento, tanto più credibile perché proviene da chi ha da sempre
sostenuto che non è ragionevole, al di là delle DOP, IGP e dei tanti altri
segni distintivi riconosciuti dal diritto dell’UE, creare nuove indicazioni
d’origine; ed in linea astratta sono ancora convinto che questa sia la
soluzione giusta.
Ma il mondo non finisce ai confini europei, né l’Unione ha la forza
giuridica – e certo neppure quella diplomatica, per tacer d’altro – per far valere le sue ragioni; e così si assiste a un pullulare di marchi,
marchietti, bandierine tricolori, paesaggi napoletani e millanta altri segni
distintivi utilizzati da cinesi, nordcoreani, giapponesi, thailandesi e così
via – sono compresi anche, ed in prima linea, gli statunitensi – che
lasciano credere ai consumatori di tutto il mondo che comprando quei
prodotti, si mangi e beva “italiano”, ma anche si vesta e si usino auto
“italiane” grazie allo sfoggio, addirittura, di nomi propri di persona italiani
applicati ad una berlina prodotta in estremo oriente.
Se in questo ultimo caso il richiamo è subdolo, ma non completo, dato che la casa produttrice dell’autoveicolo è palesemente orientale – si sfrutta solo la nomea che Ferrari, Lamborghini, Alfa Romeo hanno o hanno avuto nel mondo – nel caso dei cibi l’inganno è molto più efficace, poiché la somma delle informazioni fornite in etichetta lasciano credere una origine che non c’è, o, quanto meno, richiamano uno stile di vita che è italiano anche grazie ai suoi alimenti, ma che italiano non è.

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