Le api mellifere sono apprezzate soprattutto per il miele e per gli altri prodotti (cera, polline, propoli e veleno) che l’uomo ricava dalla loro attività, mentre ben più importante per l’agricoltura e per l’ambiente è la loro funzione pronuba.
Innumerevoli studi hanno messo in evidenza le caratteristiche più significative della loro organizzazione sociale e i meccanismi di conservazione dell’ambiente interno al nido, a fronte delle variazioni esterne. Le loro attività sociali sono regolate da sofisticati sistemi di comunicazione e di integrazione sia di tipo chimico, mediati da feromoni, sia di tipo simbolico, come il linguaggio della danza. Il premio Nobel Karl von Frisch ha evidenziato che le api operaie non sono prevalentemente dedite al lavoro mentre il suo allievo Martin Lindauer, nel 1952, ha affermato che “l’ape spende nel riposo gran parte del suo tempo”; tuttavia egli scrive “se qualcuno crede che per questo dobbiamo rivedere le nostre opinioni sulla laboriosità delle api, si sbaglia in quanto fra le api anche la pigrizia ricopre un’importante funzione sociale. Le api che oziano nell’alveare fanno parte delle squadre di riserva e vengono impiegate nei momenti critici come manodopera disponibile a tutto a secondo delle necessità della famiglia e in particolare per la regolazione della temperatura del nido e la raccolta dell’alimento”.
Nell’alveare, in condizioni normali (con una popolazione costituita da 30-80.000 operaie, una regina e qualche migliaio di fuchi), la divisione del lavoro non è rigida. In generale le operaie, che sono femmine sterili, seguono un loro schema che può essere riordinato entro ampi limiti; ogni individuo, nel suo tempo libero, può compiere qualsiasi lavoro se se ne presenta l’occasione ed è proprio grazie a questa intercambiabilità dei ruoli che la vita sociale si sviluppa così armoniosamente.
Nell’alveare non esistono ordini che vengono trasmessi da un’ape all’altra: ciascuna operaia raccoglie da sola le informazioni sulle necessità immediate della famiglia compiendo continui giri di perlustrazione durante i quali capta i messaggi chimici inviati dalla regina, dalle sorelle e dalle larve. L’ape ispeziona le celle per accertarsi che siano pulite e pronte per la deposizione delle uova; controlla le scorte di alimento delle larve. Inoltre cerca e rimuove eventuali rifiuti negli angoli e nelle pareti di giunzione delle celle e verifica l’esigenza di costruire o di riparare i favi.
Nei giorni successivi allo sfarfallamento, l’ape operaia rimane nell’alveare e si dedica prevalentemente alla pulizia; successivamente, in relazione allo sviluppo delle ghiandole sopracerebrali (che secernono la pappa reale) e delle addominali (che secernono la cera), provvede alla nutrizione della regina e delle larve nonché alla costruzione dei favi; parallelamente assolve agli obblighi di difesa dell’alveare.
Dal 21 giorno, fino alla morte, diviene raccoglitrice e si dedica prevalentemente al prelievo di nettare, polline, propoli e acqua disponibili nel territorio circostante l’alveare per un raggio medio di circa 1-2 chilometri.
Nei periodi freddi dell’anno le raccoglitrici restano più tempo a riposo entro l’alveare e, di conseguenza, la loro vita può prolungarsi per più mesi; mentre, nei periodi primaverile e autunnale, di più intensa attività di raccolta, esse vivono in media 20 giorni.
La regina, che dopo i voli di inseminazione, resta entro l’alveare, può vivere fino a 5 anni durante i quali viene accudita dalle operaie figlie. Essa mantiene tale stato dominante solo se è in grado di deporre le uova necessarie allo sviluppo della famiglia (fino a 3.000 al giorno) e di secernere i feromoni con i quali determina le vicende riproduttive dell’alveare, inibendo lo sviluppo ovarico delle operaie e impedendo loro di allevare altre regine.
Foto: Ape operaia su fiore di Callistemon