Si è svolto recentemente (18 aprile 2013) un convegno presso l’ISTAT a Roma, sul tema L’agricoltura che cambia: una lettura dei dati del Censimento.
Lo sforzo statistico che ogni 10 anni fotografa il settore, si confronta con un ambito – l’agricoltura italiana – decisamente eterogeneo, date le interrelazioni con tutti i localismi possibili. La ricchezza potenziale del settore è infatti connessa a questa variabilità. Una delle conclusioni del Convegno è stata proprio che non esiste un’agricoltura unica e univocamente rappresentabile; viceversa ne esistono tante, ciascuna con propri modelli di riferimento e con impostazioni e orientamenti propri.
Un’altra considerazione ha riguardato la montagna: dove interessata dall’agricoltura (il 22% della SAU italiana è in montagna, il 44% in collina) pare ridurre le differenze fra Nord/Centro/Sud/Isole dei parametri quali produzioni standard, ore lavorative, reddito netto, differenze che possono invece dispiegarsi e amplificarsi in pianura: prevale cioè la limitazione, o comunque la caratterizzazione, montana.
Erano già note le tendenze fra il 2000 e il 2010 alla riduzione delle aziende (-32%), e la conseguente crescita della SAU aziendale media ( 44%), anche in funzione di un maggior ricorso all’affitto dei terreni (dal 20% al 30% della SAU in 10 anni).
Soprattutto, ha impegnato un certo spazio nel Convegno la multifunzionalità dell’agricoltura: il termine nacque nel 1992 a Rio de Janeiro nella Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente & Sviluppo (come biodiversità, del resto), e l’OCSE codificò nel 1998 il concetto secondo due requisiti: capacità di produzione di beni e servizi secondari, materiali e/o immateriali; natura di esternalità o bene pubblico di alcuni di quelli immateriali. La stessa PAC da anni ormai tende ad integrare anche i beni e i servizi non produttivi, e non è una novità per nessuno di come l’agricoltura sia a cavallo di produzione & ambiente.
Sempre presso ISTAT è allo studio l’elaborazione di un indice sintetico proprio della multifunzionalità agricola basato su 5 pilastri: tutela paesaggio, protezione territorio, ambiente, diversificazione attività, produzioni di qualità. In questo senso, la diversificazione delle attività – classico strumento interpretativo delle scienze economiche - è stata oggetto di uno specifico focus: se considerata infatti come sottoinsieme della multifunzionalità, o anzi come accezione reddituale della stessa, rivela una galassia di attività riconducibili alle 2 macro-aree dell’ approfondimento (deepening) di produzioni ordinarie, oppure dell’espansione (broadening) verso nuove attività. Fra le attività “diversificate” più praticate ci sono il contoterzismo (quasi 20.000 aziende in Italia) e l’agriturismo (19.000). Per inciso, risultano 6.000 aziende che hanno diversificato con la selvicoltura.
Quanto ha attecchito la diversificazione presso le aziende agricole? In misura molto diversa da regione a regione: rispetto al totale regionale, l’1,6% in Puglia, il 10% in Toscana, il 20% in Trentino-Alto Adige. Secondo il database RICA comunque la diversificazione non pesa più del 6,6% della PLV nazionale. Inoltre, e purtroppo, le aziende che hanno diversificato non presentano indici statistici migliori – nel loro insieme – delle altre.