Si è svolta questa mattina la cerimonia per l’Inaugurazione del 268° Anno Accademico dei Georgofili, trasmessa in diretta streaming sul sito dell’Accademia.
A
causa delle misure per contrastare la diffusione del coronavirus, non è
stato possibile, purtroppo, dare il benvenuto ai nuovi Accademici
consegnando loro i diplomi, nonché consegnare personalmente ai vincitori
i premi Antico Fattore e AgroInnovation Award. Saranno per questo
organizzati degli appositi eventi in seguito, quando la situazione
pandemica lo permetterà.
Dopo il saluto del Sindaco Dario Nardella, che è stato presente nella sede accademica durante la cerimonia, il Presidente dei Georgofili, Massimo Vincenzini,
ha svolto la sua relazione, sottolineando come l’Accademia, durante
l’anno trascorso, abbia continuato ininterrottamente la propria
attività, nonostante le oggettive difficoltà generate dallo scoppio
della pandemia. Sono state infatti tempestivamente adottate tecnologie
digitali per svolgere ‘da remoto’ convegni e giornate di studio e sono
state organizzate esposizioni virtuali, al posto delle consuete mostre
documentarie. Tra le iniziative che hanno caratterizzato la difficile
annata, il Prof. Vincenzini ha voluto porre in evidenza quella che nella
home page del sito istituzionale compare, fin dall’aprile 2020, sotto
una specifica area dal significativo titolo “L’Accademia per il post
COVID-19”. Con tale iniziativa, l’Accademia ha inteso avviare uno
specifico programma di divulgazione tecnico-scientifica e formazione rivolto primariamente agli agricoltori, fornendo loro strumenti di conoscenza utili per la ripresa socio-economica
che dovrebbe dar seguito alla difficile fase pandemica. I numerosi
contributi pubblicati (suddivisi nei vari settori agricoli: dalla
cerealicoltura alla viticoltura e alla orticoltura, dalla difesa delle
piante all'enologia, dalla meccanizzazione alle tecnologie alimentari,
ecc.) realizzati con il contributo di oltre 100 autori, hanno dimostrato
di avere incontrato l’interesse del mondo agroalimentare, con oltre
30.000 download a fine dicembre 2020. Il Presidente Vincenzini ha
sottolineato infine l’evidente ruolo da protagonista delle tecnologie digitali in agricoltura
, spiegando che il Consiglio Accademico ha per questo motivo istituito
un Comitato Consultivo sulla “Digitalizzazione in agricoltura”, che
affiancherà gli altri già esistenti.
La prolusione è stata poi svolta dall’Accademico Emerito Dario Casati sul tema: "Oltre la pandemia, quale futuro per l’agricoltura".
In uno dei più celebri ricettari del passato – siamo alla fine del XV secolo - Maestro Martino da Como, nel suo Libro de arte coquinaria
in una sua ricetta scrive “fate cocere per spatio de doi paternostri”. L’uso delle preghiere per determinare il tempo di cottura è ancora in
voga prima dell’ultima Grande Guerra ...
Gli omega-3, come da tempo documenta la scienza dell'alimentazione, sono
un importante alleato della nostra salute. Questi acidi grassi
polinsaturi permettono il mantenimento di alcune funzioni metaboliche e
la risoluzione di processi infiammatori di varia natura. L'organismo
umano ne sintetizza in minima parte: per questo per soddisfarne il
fabbisogno occorre un'alimentazione che contenga, ad esempio, il pesce
o, più in generale, i prodotti ittici.
Nuove acquisizioni in questo campo vengono da uno studio sulla pelle della trota iridea, pubblicato su Waste and Biomass Valorization
dal gruppo di ricerca di Acquacoltura del Dipartimento di Scienze e
Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (Dagri)
dell’Università di Firenze, in collaborazione con l’Università di Udine
[“Rainbow Trout (Oncorhynchus mykiss) Skin as Potential n-3 Fatty Acid Source” https://doi.org/10.1007/s12649-021-01384-3
].
Soia sì, ma sostenibile: in Italia, già da anni, la filiera di questa
proteoleaginosa, essenziale per il nostro agroalimentare, si è
sviluppata con un approccio decisamente “green”, ben prima che si
cominciasse a parlare di economia circolare e di impatto ambientale
delle coltivazioni. L’intero settore dei semi oleosi ha intrapreso
questa strada con grande convinzione ed in modo quasi pioneristico,
tracciando così quella che, giustamente, viene definita “la via italiana
alla soia sostenibile”.
La scelta si è basata su un dato, troppo
spesso sottaciuto dai media e dagli addetti ai lavori: l’Italia è il
maggior produttore europeo di soia, con oltre 1 milione di tonnellate di
semi all’anno. Tuttavia il primato non la mette al riparo dal problema
del deficit proteico, che consiste nell’insufficiente quantitativo di
proteine rispetto al fabbisogno del settore agricolo, in particolare
della zootecnia, e dell’industria alimentare. La stessa soia italiana
riesce a coprire soltanto il 50% della domanda nazionale.
La
questione coinvolge tutta l’Europa e, nonostante l’aumento delle
superfici, è destinata ad aggravarsi con la crescita della popolazione
mondiale, stimata in 8,5 miliardi per il 2030. Di semi di soia non si
può fare a meno, poiché hanno un notevole contenuto proteico ed una
quota importante di aminoacidi come la lisina. Per tali caratteristiche
la farina di soia è considerata dagli addetti ai lavori il legume per
eccellenza nell’alimentazione animale. In tal senso, il comparto dei
mangimi ha aderito nel 2015 alle Linee guida della UE per garantire
l’approvvigionamento sostenibile. Inoltre, i semi di soia sono
protagonisti di una riscoperta nell’ambito dell’alimentazione
salutistica.
In questo scenario il consumatore esige grande
trasparenza e chiede maggiori informazioni sulle materie prime, la loro
origine e lavorazione. Guarda con attenzione al regime dietetico e alla
sostenibilità dei prodotti, perché il cibo è ormai diventato il
“riflesso” della nostra etica personale. Due tendenze che riguardano
tutto l’universo dell’agroalimentare ma che, nel settore dei semi
oleosi, assumono particolare importanza.
Già da qualche tempo la stampa internazionale specializzata indica
all’attenzione degli specialisti del settore mangimistico le farine di
insetti come ingrediente alimentare proteico alternativo alla soia.
La Direzione Generale Ambiente della Commissione europea ha lanciato un
questionario pubblico per raccogliere pareri sulla nuova strategia
tematica sul suolo che dovrà essere emanata il prossimo anno.
Per compilare il questionario, anche in italiano, c’è tempo fino al 28 aprile p.v. presso https://ec.europa.eu/environment/news/commission-consults-new-eu-soil-strategy-2021-02-02_it
Gli interventi dei Professori Luigi Costato e Giuseppe Bertoni (Georgofili INFO 31 marzo e 7 aprile 2021),
per molti aspetti condivisibili, meritano due chiarimenti sui problemi
peraltro complessi e connessi alle prospettive di arrivare ad una
riduzione degli allevamenti per diminuire la produzione di metano e CO2,
sostituendo la carne con prodotti di laboratorio contenenti proteine da
cellule animali coltivate, le cosiddette “bistecche sintetiche”.
Un
primo ordine di considerazioni è di tipo storico perché non è la prima
volta che si pensa di produrre alimenti “sintetici”. Il Milleottocento è
il secolo che vede la nascita e lo sviluppo della chimica, quando
Justus von Liebig (1803 – 1873) inventa l’estratto di carne e il
farmacista Hippolyte Mège-Mouriès nel 1869 presenta a Napoleone III la
margarina, e alla fine del secolo le previsioni sono che nessun oggetto
più pesante dell’aria avrebbe solcato i cieli, nessun messaggio si
sarebbe diffuso se non su dei fili e soprattutto che ci si sarebbe
alimentati con pillole prodotte dalla chimica, ma la chimica non riesce a
sostituire l’agrozootecnia. Il Millenovecento è il secolo che vede lo
sviluppo della microbiologia e soprattutto delle fermentazioni
microbiche su scala industriale per la produzione di antibiotici e altre
molecole, per cui non solo si prospettano, ma si iniziano a produrre
proteine microbiologiche destinate all’alimentazione e per combattere la
fame nel mondo, le Single Cell Protein (SCP). Le SCP sono
prodotte da batteri o da lieviti coltivati su substrati contenenti
metanolo derivato dal metano o paraffine d’origine petrolifera e non
hanno successo soprattutto perché non competitive con le proteine
prodotte dalle leguminose, soprattutto dalla soia, che in modo molto
economico, non inquinante e a costo energetico zero, sono capaci
d’utilizzare l’azoto atmosferico, quindi sul campo della sostenibilità
l’agrozootecnia vince su gli alimenti sintetici. Il Duemila è il secolo
della biologia cellulare e della coltivazione delle cellule animali per
scopi farmaco-sanitari e per questo non ci si deve stupire si presenti
la possibilità di produrre “bistecche sintetiche” con una nuova
prospettiva: non più per combattere la fame, perché queste bistecche
sono per i paesi ricchi, ma per contrastare il cambiamento climatico che
sarebbe causato dagli allevamenti animali causa di deforestazione,
inquinamento ambientale e produttori di gas serra. A parte il fatto che
anche nei paesi ricchi le proteine sintetiche sono destinate ai fast
food e i veri ricchi, come nel passato, vorranno mangiare alimenti
naturali, anzi sempre più naturali, un’ampia produzione di “bistecche
sintetiche” è sostenibile per essere una soluzione dell’inquinamento
ambientale e dei cambiamenti climatici, come vorrebbero alcuni e tra
questi Bill Gates?
Il cambiamento climatico sta portando con sé non solo estati più secche,
ma anche primavere più calde. Ciò fa sì che alberi e arbusti germoglino
prima, rendendoli vulnerabili al gelo tardivo.
Quello che tutti gli
anni gli agricoltori temono si è verificato. Lo scorso 8 aprile le
temperature in diverse zone d’Italia sono precipitate fino a raggiungere
valori che neanche durante l’inverno si erano raggiunti. Le gelate
tardive primaverili influenzano non solo la produzione, ma possono
indurre danni esiziali alle piante o, comunque, indebolirle e
predisporle agli attacchi di agenti secondari. Nonostante il loro
impatto ecologico ed economico sull'agricoltura e la silvicoltura, la
distribuzione geografica e l'impatto evolutivo di questi eventi di gelo
sono ancora poco conosciuti.
Un lavoro pubblicato lo scorso anno sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)
ha analizzato la frequenza delle gelate tardive tra il 1959 e il 2017 e
le strategie di tolleranza delle specie legnose dell'emisfero
settentrionale per dedurre gli adattamenti degli alberi, per ridurre al
minimo i danni da gelo alle piante e per prevedere la vulnerabilità
delle foreste causate dai cambiamenti in corso nelle frequenze dei
ritorni di freddo.
I valori dei caratteri sulla data di
germogliamento e sulla tolleranza al congelamento delle foglie
analizzati nella ricerca provenivano da circa 1.500 specie legnose
temperate e boreali coltivate nei giardini comuni. L’analisi ha
evidenziato che le aree in cui le gelate tardive sono comuni, come il
Nord America orientale, ospitano specie di alberi che germogliano più
tardivamente. Le aree in cui i ritorni di freddo sono più improbabili,
come le foreste di latifoglie e gli arbusti in Europa e in Asia,
ospitano invece specie arboree “opportuniste”, che reagiscono
rapidamente al riscaldamento delle temperature dell'aria.
Delle circa 20.000 specie di orchidee, afferenti a quasi 800 generi
diversi, diffuse dai tropici all’artico, circa 200 sono presenti in
Italia. Nei prati e nelle radure soleggiate, le Ofridi, attirano
l’attenzione per la bellezza delle forme e dei colori dei fiori che,
nonostante non producano nettare, vengono visitati da determinati
insetti, dalla cui attività dipende l’impollinazione incrociata.
In una immagine rinvenuta nella vasta
necropoli di Saqqara a trenta chilometri a sud della città moderna del
Cairo è stata trovata quella che si ritiene la prima immagine di una
bottarga, ovaia di pesce e in particolare del muggine o cefalo
conservata con il sale. Siamo nel periodo dell’Antico Regno (2700 – 2192
a. C.) e il bassorilievo rappresenta un uomo che tra le mani ha un
muggine, lo sta aprendo con un coltello e vicino ha due oggetti che
paiono sacche di uova di pesce.
Ritengo giusto dare atto al Prof. Costato per il richiamo, fatto su "Georgofili Info" del 31 marzo 2021 (http://www.georgofili.info/contenuti/lo-storico-problema-dellalimentazione-la-sicurezza-degli-approvvigionamenti-la-food-sovereignty-e-la/15528),
di quanto sia importante la produzione agricola in qualche modo
“autarchica” in tempi di certezze sempre più evanescenti, come il
COVID-19 sta insegnando. Interessante la “carrellata” storica a partire
dal tardo Paleolitico per arrivare ai giorni nostri con gli alti e bassi
della sicurezza alimentare (seguiti da conseguenze talora drammatiche
per le popolazioni italiane), alla cui origine ben diverse sono state le
motivazioni nel tempo. Un documento, quello del Prof. Costato, da
meditare soprattutto in tempi che si caratterizzano per una scarsa
attenzione alla disponibilità di cibo – quasi fosse un assunto -
preferendole altri aspetti ugualmente essenziali: qualità, ambiente,
benessere animale ecc., ma col rischio di perdere l’avverbio
“ugualmente” per diventare prioritari.
Per contro, della posizione
del Prof. Costato, 3 sono gli aspetti che suscitano in me una qualche
perplessità e che, in certa misura, sono interconnessi in quanto
convergono nel 3° di essi insito nella frase: “arrivare ad una
riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la produzione di
metano e CO2, alla sostituzione della carne con prodotti di laboratorio
contenenti altre proteine derivate probabilmente da molecole di carne
che non hanno mai vissuto in una stalla,…”.
I primi due aspetti
riguardano: i) la mancata segnalazione che, fra il 1500 e il 1800, la
rapida crescita della popolazione, e la necessità di coltivare a più non
posso, portò a contrarre lo spazio per gli animali allevati con una
serie di conseguenze di cui la minore altezza dei giovani è stato un
indice inequivocabile (seppure il meno grave); ii) parlare di surplus
nel caso dei prodotti alimentari provenienti dalle colonie del Regno
Unito e di altri Paesi coloniali, è un eufemismo giacché le popolazioni
locali di tali colonie non vivevano certo nell’abbondanza, specie per
gli alimenti di origine animale.
Tuttavia, di maggiore interesse per me è l’invito a questa “drastica riduzione” degli allevamenti che, anzitutto, non è chiaro se limitata all’Italia come sembra:
• In un Paese dove la zootecnia non è fra le massime espressioni dell’attività agricola;
• In un Paese dove l’Ispra (2020) parla di un 7% delle emissioni di CO2 dell’intero comparto agricolo;
• In un paese dove il consumo, specie di carni, supera di poco quei
minimi sotto i quali significherebbe rischio di malnutrizione, specie
per i giovani, le donne e gli anziani;
• In un Paese dove il
bosco sta tornando alla grande e per molte ragioni – non ultima quella
paesaggistica che vede gli animali selvatici e allevati in “pole
position” – per cui tale ritorno andrebbe visto entro forme
silvo-pastorali che accrescono l’effetto “sink” del carbonio.
Prendendo atto delle criticità nella difesa delle piante emerse talvolta
anche in modo drammatico nel corso di due decenni di applicazione del
mercato unico, l’Unione Europea ha intrapreso una profonda revisione
normativa del regime fitosanitario comunitario, che ha portato
all’adozione di due nuovi regolamenti di base, il Reg. (UE) 2016/2031
relativo alle misure di protezione contro i parassiti delle piante e il
Reg. (UE) 2017/625 sui controlli e altre attività ufficiali, con
l'obiettivo di contrastare l'ingresso e la diffusione di organismi e
microrganismi nocivi per la salute delle piante, le produzioni vegetali,
gli ecosistemi forestali, gli impianti di arboricultura da legno, il
verde urbano e periurbano, gli ambienti naturali e più in generale il
patrimonio di biodiversità dell'Unione.
Il nuovo regime, completato
da più di 30 regolamenti esecutivi già adottati, pur mantenendo le
architetture di base preesistenti, ha modificato profondamente le
modalità di intervento sulle emergenze fitosanitarie mediante
l’elaborazione di specifici Piani di emergenza, il rafforzamento dei
controlli alle importazioni, l'individuazione di una rete
laboratoristica per la diagnosi, la modifica della struttura del
passaporto delle piante, ma, soprattutto, attraverso una maggiore
responsabilità a carico di tutti gli operatori professionali, in
un’ottica di tracciabilità delle produzioni e rintracciabilità degli
eventuali problemi fitosanitari.
Se da una parte agli operatori
professionali è richiesta una maggiore responsabilità sui materiali
vegetali prodotti e una migliore organizzazione delle proprie strutture,
dall’altra le autorità competenti per i controlli dovranno dotarsi di
strutture conformi ai requisiti fissati e di risorse umane e finanziare
adeguate a garantire un intervento proattivo sugli organismi nocivi
delle piante.
La cerimonia per l’Inaugurazione del 268° Anno Accademico dei Georgofili
si svolgerà in modalità telematica il prossimo Mercoledì 21 aprile 2021
e potrà essere seguita in diretta streaming sul nostro sito, a partire dalle ore 10.30.
A
causa della pandemia da Covid-19 e delle misure messe in atto per
contrastare la diffusione del virus, infatti, per il secondo anno
consecutivo, non potremo incontrarci nel Salone dei Cinquecento in
Palazzo Vecchio a Firenze, sede che tradizionalmente ha ospitato questa
importante cerimonia.
Dopo i saluti del Sindaco Dario Nardella e la relazione del Presidente, Massimo Vincenzini, la prolusione sarà svolta dall’Accademico Emerito Dario Casati su "Oltre la pandemia, quale futuro per l’agricoltura".
Non
sarà possibile, quindi, dare il benvenuto ai nuovi Accademici, consegnando loro di persona i diplomi, ed anche la
consegna dei consueti Premi, Antico Fattore e AgroInnovation Award,
subirà un cambiamento di programma, non avvenendo più a chiusura della
cerimonia inaugurale, ma in eventi successivi, appositamente organizzati
ma ancora da definire, quando la situazione pandemica lo permetterà.
L'inaugurazione
del 268° Anno Accademico vuole essere più che mai una conferma del
fatto che l’Accademia è presente, vitale ed operativa, e guarda al
futuro con il ragionevole ottimismo di chi ha una incrollabile fiducia
nella Scienza e nel suo metodo.
Deve, tuttavia, essere sottolineato
che, durante gli ultimi terribili mesi, l'Accademia dei Georgofili,
nello spirito del suo secolare motto "Prosperitati Publicae Augendae",
non ha mai interrotto la propria attività, ma ha, anzi, moltiplicato i
propri sforzi a supporto dell'agricoltura e degli agricoltori,
articolando le sue azioni per individuare e diffondere gli strumenti più
adeguati per quella ripresa economica che dovrà porre rimedio ai danni
materiali patiti dalla società per la persistente pandemia.
Diversi studi riportano che le applicazioni fogliari ripetute di prodotti
commerciali a base di idrolizzati proteici di origine animale possono
causare fitotossicità e rallentamenti della crescita delle piante;
nessuna fitotossicità e riduzione della crescita sono state osservate,
in genere, nelle piante dopo applicazioni fogliari di amminoacidi di
origine vegetale.
Anche in Sardegna gli alberi di leccio (Quercus ilex L.), sia nel
verde pubblico che privato, sono oggetto di attacchi fungini che
producono cancri corticali e decadimento strutturale del fusto che, nei
casi più gravi, possono essere accompagnati da pericolosi schianti. Al
fine di contribuire ad approfondire e contrastare questa importante
problematica, uno studio fortemente innovativo è stato recentemente
pubblicato sulla rivista Applied Sciences (Puxeddu, M.; Cuccuru, F.; Fais, S.; Casula, G., Bianchi, M.G., 2021. 3D Imaging of CRP and Ultrasonic Tomography to Detect Decay in a Living Adult Holm Oak (Quercus ilex L.) in Sardinia (Italy). Appl.Sci. 2021,11, 1199) https://doi.org/10.3390/app11031199).
La vita dell’uomo è stata caratterizzata dalla sua costante ricerca di
cibo, sino a quando la scoperta dell’agricoltura gli ha fornito gli
strumenti per soddisfare questa primaria esigenza.
Malgrado ciò sia
accaduto più di diecimila anni fa, ancor oggi quasi un miliardo di umani
patiscono la fame, le vicende del clima sembrano non offrire loro
soluzioni semplici e a portata di mano. Eppure anche gli imperi
antichissimi (Sumeri, Accadi, Faraoni, Romani e Cinesi) adottarono,
ciascuno con tecniche diverse, politiche che consentissero ai sudditi
rispettivi di sfamarsi, specie se abitanti nelle città.
Molto di
recente, grazie allo sviluppo della rapidità delle comunicazioni anche
nel campo delle merci, si sono stipulati accordi multilaterali
(Marrakech 1994) per liberalizzare la circolazione delle merci, ridurre i
dazi in modo da favorire lo sviluppo della “specializzazione” della
produzione dei vari prodotti in certe parti del mondo (mascherine in
Cina, cellulari in USA e in Corea, automobili in Germania ecc.).
Ma
le recenti vicende del Covid 19 hanno dimostrato che, malgrado trattati
multilaterali, contratti, impegni fra privati e fra governi, nella crisi
si può bloccare la circolazione di prodotti ritenuti essenziali, come
le mascherine e i reagenti per tamponi. E questo rischio potrebbe dare
origine anche a crisi alimentari in paesi industrializzati ricchi che
hanno rinunciato ad una agricoltura che garantisca l’autosufficienza
alimentare.
La globalizzazione è apportatrice, certamente, di
vantaggi, anche se il suo governo richiederebbe un approccio diverso:
infatti, se nell’XIX secolo aveva un senso uno stato come l’Italia, la
Francia e persino il Portogallo e Malta, dato che i collegamenti avevano
un raggio efficiente di scarsa postata, oggi la terra si è, di fatto,
rimpicciolita e i problemi che la interessano sono globali non solo dal
punto di vista commerciale ma, cosa ancora più importante, ma da quello
climatico, alimentare e sanitario, come l’attuale situazione sta a
dimostrare.
Un virus può mettere in ginocchio l’intera umanità, i
cambiamenti climatici stanno già mostrando effetti devastanti mentre una
crisi alimentare, che è già presente a un settimo degli umani potrebbe
ampliarsi in modo sorprendente a causa del peggiorare degli affetti
climatici.
Occorre, dunque, un sistema di governance di questi eventi che coinvolga tutti gli stati del mondo, o almeno i principali.
Fra i provvedimenti che sarebbe opportuno considerare ve ne sono alcuni
fondamentali, che coinvolgono l’agricoltura, destinata probabilmente ad
una cambio importante di scopo rispetto a quello che l’ha originata.
Occorrerà
arrivare ad una riduzione drastica degli allevamenti per diminuire la
produzione di metano e co2, alla sostituzione della carne con prodotti
di laboratorio contenenti altre proteine derivate probabilmente da
molecole di carne che non hanno mai vissuto in una stalla, ad una
massiccia rivalutazione dei boschi e della loro coltivazione in zone
aride, in zone artiche o in altissima montagna per incarcerare co2, allo
sviluppo di coltivazioni erbacee modificate per produrre non solo
carboidrati, ma anche vitamine e proteine; insomma, ci dobbiamo avviare
verso una nuova rivoluzione agricola dove allo scopo ambientalistico si
affiancherà anche lo scopo produttivistico: l’uomo non abbatterà più
alberi per estendere le superfici coltivate e destinate a pascoli, ma
incentiverà l’arboricoltura e alcune coltivazioni erbacee, ridurrà
drasticamente l’allevamento di animali dando origine ad una nuova
agricoltura, più efficace dal punto di vista ambientale ma anche meglio
adatta alla coincidenza del settore primario con la sopravvivenza del
genere umano, tentando di diminuite la sua invasività e di ricostruire
un pianeta capace di sopportare la nostra pressante presenza.