Le polemiche intorno alle strategie politiche dell’agricoltura biologica mantengono vivo l’interesse dei Social e della stampa specializzata, anche a causa del tentativo di “estensione del biodinamico al biologico”.
Come è ben noto l’UE sosterrà il biologico, come obiettivo primario della strategia “Farm to Fork”, che mira entro dieci anni a far crescere le coltivazioni biologiche dall’attuale 8% della superficie agraria europea al 25% previsto nel 2030 (l’Italia è attestata ora al 15,8%). Si vuole così assecondare una tendenza dei mercati che vedono crescere, in generale, la domanda e il valore dei prodotti biologici e con ciò si vogliono premiare la tutela della biodiversità, le misure agro-climatiche in difesa dell’ambiente, gli investimenti degli agricoltori che hanno scelto questa nuova frontiera di agricoltura “amica della terra”. Non bisogna dimenticare che, così operando, si esclude dai benefici del biologico gran parte delle produzioni specialistiche del Made in Italy, in particolare il settore dell’ortofruttiviticoltura che segue i disciplinari della “produzione integrata”, nell’ecosostenibilità, in continua evoluzione per le innovazioni tecnologiche, recepite a garanzia del sistema.
L’equivoco comunicativo
Queste forti e motivate aspettative sul biologico hanno però creato un certo disorientamento fra gli operatori, mentre altre polemiche sono state conseguenti alla votazione della Commissione Agricoltura del Senato per l’inserimento nel DL in preparazione del biodinamico alla pari del biologico e quindi titolato a godere dei sostegni che l’UE elargirà alle produzioni biologiche.
Ma chiariamo subito che sono due problemi diversi, il primo riguarda il biologico ed è di carattere scientifico-tecnologico-organizzativo, il secondo (relativo al biodinamico) invece è di natura essenzialmente commerciale.
La Rivista di Frutticoltura, recentemente, con gli speciali “Produzioni sostenibili” n. 2/2020 e 2/2021, è intervenuta facendo chiarezza in proposito, per riportare le suddette tematiche ad una corretta comprensione.
Criticità della difesa biologica
Opinioni note. Le misure offerte finora e prospettate in futuro dai PSR regionali sono state ritenute insufficienti dalle associazioni dei coltivatori (es. Federbio) al fine di poter aumentare le superfici – come vorrebbe l’UE – tanto più che per alcune produzioni l’offerta europea supera già la domanda di mercato, come sta avvenendo per le mele biologiche. La qualità dei prodotti biologici deve in ogni caso essere salvaguardata e non scendere al livello di “brutto e cattivo ma sano” (logica improponibile). Occorre dunque rivedere ed aggiornare scientificamente le basi teoriche dei disciplinari di coltivazione (soprattutto nel settore biologico della difesa e della protezione da malattie ed avversità). Sembra ragionevole la richiesta pervenuta da più parti di andare verso sistemi innovativi di prevenzione e difesa dai patogeni promuovendo anzitutto la ricerca sulla genetica delle resistenze e adattabilità alle avversità (“attributi di resilienza”, come li definisce il Governo) e per dare spazio alle novità che posseggono queste specificità. Altra proposta è quella di valutare, senza preconcetti ideologici, benefici e rischi dell’introduzione delle nuove biotecnologie (tipico esempio di attualità il genoma editing, TEA, NBT e NGT) che, non essendo equiparabili agli OGM, potrebbero rivelarsi arma di salvezza per risolvere non pochi e gravi casi di insufficiente capacità protettiva da parte dei presidi sanitari autorizzati dal biologico, come si constata per varie colture frutticole di pianura. Se è consentita un’autocitazione, chi scrive è convinto da molti anni che il biologico, prima o poi, dovrà venire a patti con le innovazioni biotecnologiche quando, almeno teoricamente, queste possono garantire ad un tempo protezione da avversità, salubrità e qualità del prodotto, molto più di qualsiasi prodotto surrettizio, chimico o naturale.
Rendere efficienti e praticabili le agrotecniche del biologico
I prodotti biologici, per evitare il rischio di perdere il plusvalore che ne ha favorito finora l’affermazione, e di scendere a livello di commodity, dovrebbero uscire dall’indifferenziato, per esprimere distintività, anche territoriale, di processo, e di origine anche genetica (ci dovrà essere tracciabilità completa).
Un attento operatore come Fabrizio Piva, responsabile di uno degli enti più importanti che curano la certificazione del biologico (i cui oneri sono peraltro contestati da una parte delle associazioni produttori), ha scritto che il DDL sul biologico da poco approvato dalla Commissione Agricoltura del Senato, “rischia di nascere vecchio”, perché aumenterebbe “balzelli e burocrazia per un sistema produttivo già abbondantemente oggetto di controllo garantito” mentre “avrebbe bisogno di maggiore conoscenza per aumentare rese commerciali e qualità, e rendersi sostenibile anche sul piano sociale, oltre che ambientale”. In definitiva, secondo Piva, bisogna perciò aspettare e “ridefinire il DL sul biologico alla luce del nuovo quadro comunitario” (Cfr. F. Piva. Il biologico rallenta. Pesano le molteplici incertezze normative”. Riv. di Frutticoltura, n. 2, 2021. 10-19).
La questione del biodinamico
Infine, cerchiamo di riportare il problema del biodinamico alla normalità dei fatti. È comprensibile che una piccola e rumorosa frazione di coltivatori del biologico, attratti dal viatico commerciale dell’etichetta “biodinamico”, vogliano sfruttare la possibilità di legittimare la loro scelta all’interno del DL biologico, per essere inclusi domani fra i beneficiari. Ma l’Unione Europea non ha finora riconosciuto tale equiparazione perché, come recitano le storiche regole di Steiner dell’agricoltura biodinamica, gli strumenti, gli scopi, la filosofia alla base di questo antico paradigma esoterico non solo è fuori tempo, ma risulta razionalmente assurda; non credo che le regole del codice biodinamico trovino oggi seguaci ortodossi e adepti fra i coltivatori. Nel campo della frutticoltura, ad esempio, alcune APO-OP (fra queste Apofruit di Cesena, portatrice del famoso marchio Alma Verde-Bio), dopo oltre vent’anni di esperienza nel biologico, hanno scelto fra le pratiche ammesse dal proprio disciplinare di produzione alcune di quelle adottate dal biodinamico, al fine di migliorare la fertilità dei suoli, di alzare il contenuto di sostanza organica, di avere un minore consumo di acqua, di utilizzare sovesci con specie biologicamente antagoniste e al fine di produrre frutta secondo standard qualitativi di mercato.
Queste opzioni, quindi, sono senz’altro catalogabili fra quelle “sostenibili” e compatibili con gli indirizzi ecologici ed economici dell’agroecosistema convalidato, dei distretti biologici. Occorre inoltre tenere conto della necessità di appurare se questi indirizzi tecnici settoriali rientreranno nella idoneità alla “decarbonizzazione” (carbon foot print) voluta dalle nuove strategie della “Farm to Fork”, citata in apertura. La richiesta, in definitiva, dei coltivatori “biodinamici” si identifica di fatto in una diversa etichettatura dei loro prodotti all’interno del segmento biologico cui già afferiscono. Tutto ciò, è evidente, per poter vendere i prodotti ad un prezzo superiore a quello dei medesimi se fossero soltanto biologici.
Per concludere, ci auguriamo che la “caccia ai sussidi” dei coltivatori biodinamici, si avvalga di misure e mezzi di comunicazione politicamente corretti, senza generare equivoci.