Secondo Carbonneau (2007), il flusso della linfa grezza è, in linea
generale, estremamente sensibile alle variazioni brusche della pressione
intravascolare conseguente ad un aumento della richiesta idrica
atmosferica; ciò può provocare la formazione di bolle di aria nei vasi
dello xilema (cavitazione). La rottura della corrente linfatica, causata
da queste bolle, può causare il blocco completo della circolazione
(embolia). Temperature elevate e bassa igrometria conducono ad un
incremento dell’evapotraspirazione con conseguente depressione del
sistema circolatorio e formazione di tille.
La Divina Commedia, è popolata da personaggi reali e mitologici
sui quali Dante esprime, o sottintende, giudizi di assoluzione o di
condanna, assegnando loro una determinata collocazione. In tale contesto
i numerosi riferimenti agli animali assumono, soprattutto, la forma
della similitudine, e sono la testimonianza delle conoscenze zoologiche
del Poeta. Numerosi sono gli uccelli, i rettili, i pesci e gli
artropodi; fra quest’ultimi oltre allo scorpion, cui somiglia la
coda di Gerione, sono citati alcuni insetti: api, farfalle, formiche,
locuste lucciole, mosche, mosconi, pulci, tafani, vermi, vespe e
zanzare.
È noto che il Ginkgo può essere utilissimo per i problemi al sistema
circolatorio, per controllare il peso corporeo e per i problemi legati
alla concentrazione, avendo effetti positivi sulla memoria e
sull'apprendimento.
Meno noti sono invece i meccanismi che rendono
questa specie così longeva. L'invecchiamento è, infatti, una proprietà
universale degli organismi multicellulari. Sebbene alcune specie di
alberi possano vivere per secoli o millenni, i meccanismi molecolari e
metabolici alla base della loro longevità non sono chiari.
Un lavoro
pubblicato lo scorso gennaio e rimbalzato anche dalla stampa nazionale,
ha identificato il “segreto” del ginkgo che gli permette di vivere per
più di 1.000 anni. Lo studio ha evidenziato che l'albero produce
sostanze chimiche protettive che gli conferiscono resistenza alle
malattie e tolleranza alla siccità. E, a differenza di molte altre
piante, i suoi geni non sono programmati per innescare un declino
inesorabile dopo che ha raggiunto la maturità.
Il ginkgo è una pianta
relativamente comune nei parchi e nei giardini di tutto il mondo ma,
nonostante la sua elevatissima resilienza, è sull'orlo dell'estinzione
in natura a causa del disboscamento delle popolazioni spontanee
confinate sul monte Xitianmu nello Zhejiang, in Cina.
I due gruppi di
ricercatori, negli Stati Uniti e in Cina, hanno studiato alberi di
ginkgo di età compresa tra 15 e 667 anni, estraendo gli anelli degli
alberi e analizzando cellule, corteccia, foglie e semi e hanno mostrato
che alberi giovani e vecchi producono sostanze chimiche protettive per
combattere lo stress causato da agenti patogeni o da fattori abiotici
come la siccità.
“Un pane nella composizione del quale entri zucchero, droghe, burro,
latte, uova, frutti preparati, e simili cose che lo rendono dolce, o
molto saporito, non è praticato che per delizia, tornagusto, e lusso,
essendo in primo luogo troppo dispendioso per farne un uso continovo;
secondariamente mangiandolo solo, e mangiandone a sazietà, non
riuscirebbe sano, ma incomoderebbe, e sturberebbe lo stomaco”.
Con
queste parole Saverio Manetti apriva una lunga enucleazione delle
varietà del cosiddetto “pane composto”, che costituisce materia
dell’Articolo VI del suo corposo trattato Delle specie diverse di frumento e di pane siccome della panizzazione (1765).
Prossimi
alle festività natalizie gli scaffali dei negozi e supermercati
abbondano di leccornie e dolci, molti dei quali tipici di questo periodo
e di antica storia; anche Manetti ne trattava, soffermandosi in
particolare sugli ingredienti necessari alla loro preparazione: uova,
birra, burro, latte, zucchero, scorze di cedri e agrumi canditi, “le
droghe tutte ma particolarmente il pepe, la cannella, e la noce
moscada”, uve passe, croco, semi di coriandolo, carvì, comino,
finocchio, uva fresca, fichi secchi, mandorle, nocciuole, pistacchi,
noci.
“Molte di queste insieme unite, e diversamente per la dose combinate, entrano in quella sorte di pane che da noi si chiama Pane impepato”:
ottimo quello prodotto a Siena, ma altrettanto noto per la sua bontà
quello di Buonconvento: “un tal pane è di gusto squisito, ma caloroso
assai a motivo delle molte droghe che si fanno entrare nella sua pasta”.
Se ne produceva “del simile” anche a Firenze, ma di qualità assai
inferiore a quello di Siena e del suo territorio; tre le qualità,
annotava Manetti: la sopraffina, la mezzana e l’inferiore. La prima,
chiamata pane aromatico o pane di spezierie, oltre a
prevedere ingredienti di miglior qualità, veniva impastata con zucchero
bollito e chiarito e coperta con una pasta di marzapane “in varie fogge
lavorata” e ghiacciata con zucchero. La mezzana era lavorata “più
dozzinalmente” e nella sua preparazione entravano ingredienti non molto
scelti, impastati semplicemente con miele, farina, uve passe e droghe.
Infine l’inferiore: “l’inferiore … non ha per il solito nel suo impasto
che pepe, noci, fichi secchi, e farina di grano, lasciatovi tutto o in
gran parte il tritello, e impastato con miele, e questo … si dice in
Firenze Pan forte.
Lo scorso 10 novembre, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo
hanno raggiunto un accordo politico sul prossimo quadro finanziario
dell’UE per il periodo 2021-2027 (il bilancio dell’Unione) e sul fondo
speciale per rispondere alla crisi economica dovuta alla pandemia del
Covid-19. L’accordo politico sui testi giuridici è stato
raggiunto, ma tutto questo pacchetto legislativo e le risorse
finanziarie, dipendono dall’approvazione finale del Parlamento
europeo e del Consiglio europeo. Quello che poteva sembrare un
passaggio istituzionale pro-forma, rischia invece un blocco a causa del
veto di Polonia e Ungheria che rifiutano che i fondi UE siano
condizionati dal rispettoo dello Stato di diritto. Sono in corso
negoziati per superare questo impasse procedurale che mette a
repentaglio una vera occasione di rilancio dell’UE e di ripresa
post-crisi Covid-19
In cosa consiste questo accordo
Il
fondo denominato NextGenerationEU è uno strumento dotato di 750
miliardi di euro, tra prestiti e sovvenzioni, destinato a stimolare la
ripresa e a riparare i danni economici e sociali causati dalla
pandemia. Il suo fulcro è costituito da 672,5 miliardi di
euro in prestiti e sovvenzioni disponibili per sostenere le riforme e
gli investimen: intrapresi dai Paesi dell'UE. NextGenerationEU opererà
inoltre apportando fondi aggiuntivi ad altri programmi o fondi europei
come Horizon 2020, InvestEU, Just Transition Fund (JTF) ed il Fondo per
lo sviluppo rurale (FEASR).
Per l’agricoltura
NextGenerationEU prevede di destinare globalmente per le misure
di sviluppo rurale un supplemento di 8,07 miliardi di euro. Il
Parlamento europeo e la Presidenza tedesca hanno modificato
l’iniziale proposta della Commissione, innanzitutto anticipando la
disponibilità delle risorse già al 2021, vista l’urgenza di contrastare
la crisi, e poi aggiungendo dei criteri di condizionalità per spendere
questi fondi supplementari.
Si prevede che circa il 30% degli 8,07
miliardi di euro di aiuti saranno disponibili già nel 2021, e il
restante 70% lo sarà nel 2022. Per una ripresa economica solida e con
un respiro di lungo periodo, è stato previsto nei testi di regolamento
che almeno il 55% di queste risorse sia destinato ad
investimenti di sostenibilità e di digitalizzazione delle aziende
agricole. Più specificatamente saranno privilegiati quegli
investimenti che mireranno all’ottimizzazione degli input per
un’agricoltura intelligente e di precisione, che favoriranno la
digitalizzazione e la modernizzazione dei macchinari e delle
attrezzature di produzione.
Inoltre, si darà risalto alle energie
rinnovabili come il biometano e allo sviluppo e sostegno di filiere
corte e sostenibili. Anche i giovani agricoltori potranno beneficiare di
questa importante parte di risorse supplementari.
L’Euforbiacea Euphorbia milii è un arbusto spinoso sempreverde,
originario del Madagascar che, nell’Italia meridionale, da tempo
immemorabile è apprezzato come pianta ornamentale da giardino e da
interno. Il nome comune di "Corona di Cristo", fa riferimento alla
presenza di spine, che possono raggiungere i 5 cm, e di brattee fiorali
di colore rosso che evocano le gocce di sangue. Recentemente, su piante di E. milii, coltivate in vaso, nel centro urbano di Catania, è stata riscontrata la presenza di tre polifaghe specie di Diaspini: Chrysomphalus dictyospermi, C. aonidum ed Hemiberlesia cyanophylli.
Come avviene per molte piante, la drupa è un buon cibo per diversi
animali attratti anche dal colore, che si nutrono della parte esterna e
che con processi digestivi liberano i semi che sono eliminati con le
feci e deposti in luoghi lontani favorendo la disseminazione della
pianta. Da qui una simbiosi vantaggiosa tra pianta e animale.
Tra i molti animali che si nutrono delle bacche del caffè vi sono gli zibetti dell’Indonesia (Paradoxurus hermaphroditus)
simili a un gatto o a una civetta, gli uccelli erbivori o Jacu,
originari del Sud America e diffusi nello stato brasiliano di Espírito
Santo, presenti nelle piantagioni di caffè all'ombra di alberi ad alto
fusto e che si ciba dei frutti di caffè maturi, gli elefanti della
Thailandia e è noto che questi animali con le feci eliminano i chicchi
del caffè nei quali gli enzimi digestivi modificano la struttura delle
proteine dei chicchi rimuovendo parte dell'acidità e rendendo l’infuso
di caffè più liscio e quindi di maggior valore. Recentemente a questi
animali si sono aggiunte talune specie di formiche. Dai chicchi di caffè
mangiati dagli animali e poi espulsi con le loro feci si ottengono
caffè di particolare pregio.
La produzione 2020 di olio d’oliva italiano potrebbe attestarsi, secondo
le prime stime, sulle 235.000 tonnellate, circa il 36% in meno rispetto
all’annata 2019. Il Meridione sembra avere le maggiori decurtazioni
produttive con un -51% in Puglia. L’andamento negativo viene genericamente riferito all’alternanza di
produzione. Nell'olivo, la differenza di resa tra gli anni "di carica" e
quelli “di scarica" può raggiungere anche 20 t ha −1 (Lavee 2007).
Sembra
interessante, però, analizzare le possibili interazioni tra il
fabbisogno in ore di freddo e le rese produttive, anche alla luce delle
frequenti “bizzarrie” climatiche.
Il concetto di sostenibilità risale agli anni settanta del secolo
scorso quando il MIT di Boston condusse uno studio relativo ai fattori
critici che avrebbero condizionato l’evoluzione della società, dal
titolo ”I limiti dello sviluppo”(1972). La prima definizione
universalmente accettata di sviluppo sostenibile è del 1987, fornita
dalla Commissione Bruntland (Commissione per l’Ambiente e lo Sviluppo
dell’ONU), che recita: “Sviluppo sostenibile è quello sviluppo che
soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle
generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. Recentemente le
Nazioni Unite hanno ridefinito lo sviluppo sostenibile nell’antropocene
come: “ Sviluppo che incontra le necessità dal presente mentre
salvaguarda il sistema di supporto della vita sulla terra, dal quale
dipende il benessere della generazione presente e delle future”. La
definizione di sviluppo sostenibile testè indicata è il risultato
dell’interazione tra aspetti sociali, economici e ambientali. Sono 6 i
grandi obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development
Goals – SDGs) da raggiungersi entro il 2030, e precisamente:
• Supportare il benessere e l’occupazione
• Perseguire la sicurezza alimentare (nel senso di disponibilità di cibo per tutti) in modo sostenibile
• Perseguire la sicurezza idrica (nel senso di accesso all’acqua per tutti) in modo sostenibile
• Utilizzare fonti energetiche pulite a livello globale
• Favorire ecosistemi salubri e produttivi
• Favorire la governance di società sostenibili
Questi
elementi in pratica coniugano le necessità della società con quelle
del nostro pianeta; si tratta di azioni dettate dalla coscienza della
comunità internazionale di porre argine ai mali del pianeta e dei suoi
abitanti. Questi obiettivi sono propri anche della sfera religiosa,
basti pensare alla recente enciclica “Laudato Si’ “ (2015) di Papa
Francesco che inserisce però la tematica in una più ampia prospettiva di
cambiamento delle strutture economiche vigenti, di cui si è discusso
anche nel recente evento “The Economy of Francesco” (19-21 novembre
u.s.).
Quindi tutte le attività umane potrebbero trarre vantaggio
dall’approccio sostenibile che, declinato a livello di singola impresa,
dovrebbe consentire uno sviluppo armonico della componente economica,
ambientale e sociale. L’obiettivo comunque è che, pur partendo dal
particolare, si arrivi a un territorio sostenibile sempre più ampio, e
che il concetto di sostenibilità possa in futuro diventare un
prerequisito di qualsiasi attività produttiva.
Fin dall’antichità, le api mellifere, per la loro organizzazione e
laboriosità, hanno destato l’interesse di naturalisti, di sacerdoti, di
politici e, soprattutto, di artisti, dei quali sono state fonte
d’ispirazione per la creazione di opere d’arte figurativa, di saggistica
e di poesia, nonché di opere cinematografiche e teatrali. La maggior
parte delle rappresentazioni teatrali, nelle quali sono presenti le api,
si rivolge a un pubblico di giovani, in grado di recepire messaggi
semplici ma efficaci.
Nel testo teatrale “Il Mistero delle api scomparse”, le fate,
preoccupate dell’improvvisa moria di api chiedono aiuto ai bambini di
tutto il mondo i quali rivolgono l’appello agli adulti, spiegando loro
che le api stanno morendo e che, senza l’impollinazione, tutta l'umanità
è a rischio. Ma non venendo ascoltati, mettono in atto "lo sciopero
delle caramelle", che metterà in crisi le industrie dolciarie. Per
scongiurare la quale i maggiori capi di stato si riuniscono per
discutere della situazione e trovare una soluzione all'improvvisa
scomparsa delle api. La decisione è presa: incentivare l'agricoltura
biologica evitando i pesticidi dannosi. In breve tempo le api ritornano e
con loro i colori, i germogli, le piante, i pollini.
La nota dal titolo “La risposta di Carni Sostenibili a quanto sostenuto
da Greenpeace”, pubblicata sul notiziario della nostra Accademia del 4
novembre scorso, dal titolo “No, agricoltura e allevamenti non consumano un’Italia e mezza all’anno” ,
oltre a sollecitare l’irritazione del collega Giuseppe Pulina, mi ha
indotto ad alcune considerazioni che mi permetto di fare qui di seguito.
Partiamo
dai bollettini FAO del 2006 e del 2019, secondo i quali il contributo
dell’agricoltura alla produzione di CO2 sarebbe del 18%. Già da questo
dato consegue logicamente che l’82% proviene da altre fonti.
La scorsa estate, la Commissione europea ha lanciato l’iniziativa sullo
sviluppo a lungo termine delle aree rurali che, perlomeno in Italia, non
risulta aver suscitato il dibattito che merita. L’idea di rilanciare il
territorio rurale è stata formulata autorevolmente dalla Presidente Von
der Leyen, la quale, nel suo documento strategico intitolato
“Orientamenti politici per la prossima Commissione Europea 2019-2024”,
si è così espressa: “Le zone rurali sono il tessuto della nostra società
e il cuore pulsante della nostra economia. La varietà di paesaggi,
cultura e patrimonio è uno dei principali e più notevoli tratti
distintivi dell’Europa. Queste regioni sono una parte fondamentale della
nostra identità e del nostro potenziale economico. Avremo a cuore le
zone rurali, le tuteleremo e investiremo nel loro futuro”.
La
Presidente è stata di parola ed ha avviato un percorso che è iniziato il
22 luglio scorso con la pubblicazione di una Roadmap, con la quale è
stata fornita una informativa della iniziativa e dei fondamentali
passaggi che la compongono.
Successivamente, all’inizio di settembre,
è stata avviata una consultazione pubblica a livello europeo, con la
quale si è inteso richiedere ai cittadini, ai portatori di interesse,
agli organismi e istituzioni interessate, di rispondere a un corposo
questionario, da consegnare entro il 30 novembre 2020.
Nel contempo,
sono stati programmati tre eventi pubblici dove l’argomento è stato
affrontato e descritto. Sono stati inoltre organizzati dei gruppi
tematici all’interno della rete europea sullo sviluppo rurale.
I
prossimi appuntamenti in ordine cronologico sono una conferenza
programmata per il mese di marzo 2021, nel corso della quale, si
ritiene, possano essere illustrati e discussi i risultati della
consultazione pubblica e la conclusione di alcuni lavori preparatori
affidati a strutture interne ed esterne all’Unione europea (analisi di
scenario e previsionali ed altri lavori analitici).
Infine, a
coronare questa prima fase preparatoria, ci sarà la pubblicazione di una
Comunicazione della Commissione europea sulla visione a lungo termine
per le zone rurali, programmata per il secondo trimestre del prossimo
anno.
La Comunicazione è uno strumento di fondamentale importanza
nell’ambito del cosiddetto “diritto d’iniziativa” della Commissione
europea. Lo si è visto di recente con il Green Deal, il Farm to Fork e
la Strategia della biodiversità. Con tale documento ufficiale inizia un
processo politico che sfocia in atti legislativi ed in decisioni
operative destinate ad incidere sui cittadini, le imprese, le
Istituzioni e le organizzazioni private.
Questo è ciò che emerge da una ricerca pubblicata lo scorso anno su Scientific Reports.
Forse sembrerà banale questa affermazione, ma la ricerca ha bisogno di
prove sperimentali ripetibili e non può basarsi sulla semplice
percezione personale ed è sciocco dire: “ah beh, hanno scoperto l’acqua
calda” oppure “io l’ho sempre saputo”. La ricerca mira a estendere e
approfondire le conoscenze in modo sistematico, svolta con intendimenti e
metodi scientifici, anche quando non si applica alle “Scienze
propriamente dette”. Per cui anche la “scoperta dell’acqua calda” ha una
sua spiegazione scientifica: grazie alla ricerca di qualche secolo fa,
sappiamo che l’acqua si scalda perché, se posta a diretto contatto con
una fiamma, agitandola, esponendola ai raggi del sole oppure facendoci
passare la corrente, aumenta il movimento delle molecole che la
compongono che si spostano e cominciano a scorrere le une sulle altre e
determinano il riscaldamento.
Un numero crescente di prove
epidemiologiche indica che una maggiore esposizione o il contatto con
ambienti naturali (come parchi, boschi e spiagge) è associata a un
miglior stato di salute e un maggior benessere, almeno tra le
popolazioni urbanizzate e ad alto reddito. Pur se la quantità e la
qualità delle prove può essere variabile, vivere in aree urbane con una
dotazione elevata di aree verdi è quasi sempre associato a minori
probabilità di malattie cardiovascolari, obesità, diabete,
ospedalizzazione per asma, disagio mentale e, in ultima analisi,
mortalità tra gli adulti e minori rischi di obesità e miopia nei
bambini.
Tuttavia, la quantità di spazio verde nel proprio quartiere
(ad esempio, la percentuale di verde in un raggio di 1 km dalla casa), o
la distanza della propria casa dallo spazio verde o dal parco più
vicino accessibile pubblicamente è solo un modo per valutare il livello
di esposizione alla natura. Un'alternativa è misurare la quantità di
tempo che le persone effettivamente trascorrono all'aperto in ambienti
naturali, a volte denominata esposizione "diretta”. Entrambi gli
approcci sono potenzialmente informativi e si completano l’un l’altro.
La
vicinanza della propria abitazione ad aree naturali o ad aree verdi può
essere correlata a fattori di promozione della salute come il ridotto
inquinamento atmosferico e acustico (sebbene le relazioni siano
complesse); e può anche fornire un'esposizione "indiretta" tramite la
visione di ambienti “verdi” da casa. La vicinanza residenziale è
generalmente correlata positivamente anche all'esposizione "diretta";
cioè le persone nei quartieri con più spazi verdi generalmente
dichiarano di visitarli più spesso rispetto alle persone per le quali
questo accesso non è diretto.
La sulla (Sulla coronaria) è una Fabaceae originaria del Bacino
del Mediterraneo, nota per la sua ampia adattabilità a vari stress
ambientali e la sua capacità di prosperare senza sintomi di clorosi in
terreni aridi e alcalini fino a pH 9,6. Una caratteristica morfologica del suo apparato radicale, unica e poco
conosciuta, è la produzione di “pale o palette”, radici laterali
modificate che acquisiscono una forma curva e appiattita.
I consumi in questo secondo atto della pandemia non stanno andando bene.
Frustrazione, rabbia, sgomento, disillusione e portafogli sempre più
vuoti dei consumatori fanno prevedere consumi sempre più ridotti e
comunque concentrati nella fascia di primo prezzo dei prodotti.
Sarà
un caso, ma in questi giorni sta esplodendo la guerra dei prezzi e delle
promozioni nelle catene della Distribuzione moderna, con molte
iniziative ‘sottocosto’.
Esaù vende la sua progenitura per una zuppa di lenticchie narra la
Bibbia, di polta e cioè zuppe e non pane vivono per molti secoli gli
antichi romani afferma Plinio il Vecchio, le zuppe sono il cibo dei laboratores
medievali, nel Rinascimento le zuppe accolgono i nuovi cibi americani
come i fagioli e le patate, Francesco I di Francia fatto prigioniero a
Pavia da una contadina è rifocillato con una zuppa che diviene celebre
come zuppa alla pavese e nell’Ottocento nella pasticceria italiana non
manca la zuppa inglese. Infinite sono le zuppe nella cucina contadina
che la donna di casa prepara raccogliendo dall’orto, dai campi e dalle
boscaglie ogni tipo di verdure, quindi un piatto stagionale e a
chilometro zero come la ribollita, il cui nome deriva dal fatto che le
contadine toscane ne cucinano una gran quantità, soprattutto il venerdì
essendo piatto magro, che poi è ribollito in padella nei giorni
successivi o, come avviene in altre regioni, è trasformato in polpette
vegetali fritte nello strutto.
Nel corso dei tempi, la cucina
popolare inventa ogni sorta di zuppe di verdure e legumi e diverse
qualità di ortaggi dando origine alle zuppe alla certosina, contadina o
alla paesana, di fagioli, piselli, fave, ceci, lenticchie ecc. e nei
paesi di mare non mancano zuppe con aggiunta di vongole, alla marinara o
di pesce che nelle varie regioni hanno i nomi di boiabessa, brodetto,
buridda, cacciucco ecc. Zuppe non mancano in altri paesi mediterranei (sopa in spagnolo, soupe in francese, suppe
in tedesco) o la ratatouille francese e sono presenti nei paesi
asiatici. Tutte le zuppe sono mangiate in una ciotola o in tazza usando
il cucchiaio e nel passato hanno dato origine a proverbî popolari come
quello che "chi vuol far l’altrui mestiere fa la zuppa nel paniere".
Nella
grande famiglie delle zuppe, odiernamente si tende a distinguere i
minestroni e le vellutate, il primo per un maggiore numero di verdure,
le seconde sono passati di verdura dalla consistenza cremosa, inoltre le
zuppe a base di verdura sono consistenti, non contengono pasta e sono
anche accompagnate con fette di pane, mentre le minestre sono più
liquide, hanno più brodo e comprendono anche pasta o cereali.
Le zuppe della cucina popolare tradizionale da mangiare in una tazza o
ciotola sembravano scomparse ma da una decina di anni sono in forte
ripresa anche per merito delle zuppe fresche diverse dal minestrone in
lattina, che hanno una scadenza ravvicinata, vanno conservate in
frigorifero, sono costituite da ingredienti semplici, hanno un
trattamento termico e sono spesso proposte anche in versione biologica.
In Italia il mercato delle zuppe fresche ha un fatturato che supera i
190 milioni di Euro con una crescita di oltre venti milioni di Euro
nell’ultimo anno e queste preparazioni rappresentano più della metà dei
primi piatti pronti all’interno dei punti di vendita della distribuzione
moderna italiana. Questi incrementi sono dovuti una diversificata
varietà di condizioni: da una parte sono particolarmente gradite dalle
persone anziane e da un’altra parte la diversità di composizioni e
gusti, per cui non si può dire che “è la solita zuppa”, conquista nuovi
consumatori di ogni età, anche i giovani che non conoscevano le zuppe e
la loro presentazione in tazze o ciotole.
Tra gli argomenti da discutere proposti dalla FAO, in occasione della
recente Giornata mondiale dell’Alimentazione, c’era quello della scelta
dei prodotti di stagione; semplice a dirsi un po’ più complesso a farsi.
L’urbanizzazione
massiccia che ha caratterizzato la società italiana nel secondo
dopoguerra, ha fatto sì che la grande maggioranza dei giovani di oggi
non conosca la campagna come luogo di produzione agricola e abbiano
un’idea vaga e confusa di come e quando i prodotti che trovano in
vendita e sulla tavola siano prodotti e raccolti nel nostro Paese anche
perché la maggior parte della frutta tradizionale italiana è in vendita
quasi tutto l’anno.
La realtà produttiva è enormemente cambiata
negli ultimi decenni e con essa il concetto di frutta di stagione. Le
ragioni di questi cambiamenti sono diverse: coltivazione in serra,
coltura protetta, coltura fuori suolo, miglioramento genetico,
globalizzazione dei commerci.
Le fragole , quando io ero un ragazzo,
erano il tipico frutto della primavera e nella mia Regione erano
chiamate con il nome dialettale di “magiostri”, per indicare la loro
raccolta nel mese di maggio; oggi le fragole si raccolgono 12 mesi
l’anno e sono sempre presenti sui banchi di vendita. Ciò è possibile
grazie alla coltivazione in serra, alla coltura protetta e alle
innovazioni di tecnica colturale, così come avviene anche per il lampone
e per i mirtilli.
A metà degli anni ’60 iniziarono le prime
esperienze di protezione dell’uva da tavola con film di polietilene per
anticipare il germogliamento e , di conseguenza, la maturazione, con
grandi vantaggi economici per i migliori prezzi spuntati sui mercati.
Insieme con l’anticipo, si osservò che l’uva, protetta dalla pioggia ,
era anche meno soggetta agli attacchi di muffa grigia e nacque l’idea di
proteggere le varietà tardive, Italia in primo luogo, per poter
posticipare la raccolta senza incorrere nei gravi danni da Botrytis
dovuti alle piogge autunnali. Oggi, in Italia, la quasi totalità
dell’uva da tavola è in coltura protetta ampliando il calendario di
raccolta di circa 3 mesi rispetto al pieno campo. La stessa tecnica per
anticipare la raccolta fu poi applicata al pesco e all’albicocco.
La filiera dei prodotti a base di legno rappresenta una delle più
rilevanti attività economiche del nostro Paese, con un fatturato annuo
di oltre 40 miliardi di euro. Essa, peraltro, risulta fortemente
dipendente dall’estero per l’approvvigionamento della materia prima, per
oltre due terzi derivante da importazioni. Ciò è causa di numerose
problematiche, quali la relativa fragilità dell’industria nazionale di
trasformazione, sempre più legata dalle scelte di mercato di Paesi
stranieri (wood insecurity), e il rischio di attività illegali di
importazione basate su prezzi più competitivi e sulla distribuzione di
materiale non gestito in termini di sostenibilità ambientale nelle zone
di origine.
In anni recenti abbiamo assistito ad un progressivo cambiamento
dell’atteggiamento dei consumatori nei confronti del cibo, che viene
maggiormente apprezzato quando può essere riferito a un territorio
particolare e a un modo di produzione specifico o tradizionale. E il
pane non fa eccezione. Abbiamo pani a denominazione di origine protetta
(DOP), come il pane di Altamura in Puglia, la pagnotta del Dittaino in
Sicilia, il pane Toscano, ma anche pani a indicazione geografica
protetta (IGP), come il Pane casareccio di Genzano nel Lazio e il Pane
di Matera in Basilicata. A livello regionale, solo in Toscana troviamo
ben 12 diversi pani denominati PAT (prodotti agroalimentari
tradizionali), dalla Bozza di Prato ai pani di Altopascio e di
Montegemoli, al pane di patate della Garfagnana. Tali pani sono spesso
prodotti utilizzando quello che viene definito “lievito madre” o
“impasto acido”, in inglese "sourdough", che è rappresentato da
complesse comunità di lieviti e batteri lattici che, insieme al tipo di
acqua e di farina, conferiscono al prodotto caratteristiche sensoriali e
nutritive uniche. I lieviti più frequentemente isolati dagli impasti
acidi sono rappresentati non solo da Saccharomyces cerevisiae, il lievito utilizzato a livello globale per la produzione di pane, ma anche da specie appartenenti ad altri generi, quali Kazachstania humilis, Wickerhamomyces anomalus, Torulaspora delbrueckii, Kazachstania exigua, Pichia kudriavzevii e Candida glabrata.
Le diverse specie e i diversi ceppi all’interno di ciascuna specie di
lievito possiedono varie caratteristiche metaboliche che conferiscono
particolari proprietà al pane prodotto: alcuni sono capaci di
sintetizzare amminoacidi essenziali e vitamine, come tiamina, vitamina E
e folati, altri producono esopolisaccaridi prebiotici e composti
bioattivi come polifenoli, acidi organici ed enzimi. Tale biodiversità
metabolica è stata oggetto di ricerche condotte nei laboratori di
Microbiologia Agraria dell’Università di Pisa, al fine di individuare i
lieviti più efficienti dal punto di vista funzionale, per la produzione
di pane ad alto valore salutistico. 139 lieviti, isolati da vari tipi di
cibi e bevande fermentati, sono stati caratterizzati e selezionati
sulla base delle loro proprietà protecnologiche, funzionali e
molecolari, attraverso screening in vitro e in vivo. Una prima selezione
ha permesso di individuare 39 lieviti con elevata attività
antiossidante e una notevole capacità di degradare i fitati, composti
antinutrizionali contenuti nelle farine, rendendo così disponibili
preziosi elementi minerali come calcio, ferro, zinco e magnesio.
Nel complesso scenario dei cambiamenti climatici in atto a livello
globale il progetto di ricerca EWA-BELT, finanziato dal programma
Europeo Horizon 2020, raccoglie la sfida di realizzare una “cintura”
africana interregionale in grado di promuovere l’intensificazione
agricola sostenibile e lo scambio di buone pratiche tra diversi contesti
dell'Africa orientale e occidentale.
Il progetto, promosso e
coordinato dal centro interdipartimentale Nucleo di Ricerca sulla
Desertificazione (NRD) dell’Università degli Studi di Sassari, vede
partecipe un ampio partenariato che coinvolge diverse Università,
Istituti di Ricerca, ONG e società private con sede in vari paesi
europei (Italia, Regno Unito, Francia, Grecia) e africani (Etiopia,
Kenya, Tanzania, Ghana, Burkina Faso, Sierra Leone).
Nei quattro
anni di durata complessiva del progetto, iniziato ufficialmente il primo
ottobre 2020, EWA-BELT si propone di affrontare un ampio spettro di
problematiche legate alla sicurezza e qualità alimentare, come ad
esempio la scarsa produttività delle colture, l’alimentazione e il
benessere animale, la scarsa disponibilità di colture e varietà adatte
ad ambienti di coltivazione di tipo intensivo, le perdite in pre- e
post-raccolta, lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali
(erosione e perdita della fertilità dei suoli, pascolamento eccessivo,
degrado della qualità dell'acqua, etc.), le difficoltà di collegamento
tra produzione e mercato e la scarsa connessione tra ricerca e
agricoltura.
EWA-BELT si prefigge, inoltre, di promuovere un
approccio responsabile e pro-attivo delle comunità e delle istituzioni
locali rispetto alla sostenibilità dell'uso delle risorse naturali
attraverso lo sviluppo di strategie di rafforzamento delle competenze,
l'adozione di un approccio partecipativo multi-attore e il
consolidamento della cooperazione transfrontaliera tenendo in
particolare conto delle tematiche relative alla parità di genere.
Nelle
diverse aree agro-climatiche distribuite tra i paesi dell’Africa
dell’Est (Etiopia, Kenya e Tanzania) e dell’Ovest (Burkina Faso, Ghana e
Sierra Leone) saranno individuati 38 casi studio in cui le attività di
ricerca saranno guidate da un approccio gender-sensitive di tipo partecipativo e integrato, realizzato tramite la costituzione di Farmers’ Field Research Units
(FFRUs). Le FFRUs saranno concepite come uno spazio di dialogo e di
interazione i fra diversi attori (agricoltori, ricercatori e altri
portatori di interesse) in cui saranno promosse e realizzate, oltre alle
attività di ricerca e innovazione, attività di disseminazione dei
risultati e di capacity-building (workshop, visite sul campo
etc.). Verrà, dunque, posta la massima attenzione all’inclusione e alla
cooperazione tra partner, portatori di interesse e istituzioni locali,
così da garantire piena efficacia del progetto e sostenibilità nel lungo
periodo.