L’esistenza su questo nostro martoriato pianeta non solo della specie homo sapiens, “sapiens” per modo di dire, ma di tutte le forme di vita, dipende dall’energia che il sole ci dispensa e che le piante utilizzano per abbattere la concentrazione di anidride carbonica, principale responsabile del fenomeno del riscaldamento globale.
Noi stiamo facendo di tutto per sovvertire gli equilibri naturali che regolano i rapporti fra i vari elementi di questi equilibri. Siamo riusciti con successo a far innalzare la temperatura globale ambientale attraverso la smodata emissione dei gas serra, della CO2 in particolare, per non parlare del metano e del protossido d’azoto. E continuiamo a produrre energia elettrica in impianti alimentati con combustibili fossili, ad usare veicoli con motori a combustione interna di idrocarburi per spostamenti spesso non necessari, come accompagnare i figli a scuola in Suv.
Le piante fanno quello che possono per rimediare a questo scempio, utilizzando l’energia solare per la fotosintesi clorofilliana che, attraverso l’acquisto di idrogeno, porta all’organicazione della CO2 nella forma di carboidrati, cardine dell’alimentazione. E l’uomo che cosa fa? Sta procedendo alla deforestazione selvaggia in vaste zone del pianeta, non solo per abbattimento delle piante, ma anche con incendi dolosi, tanto da produrre ancor più gas serra.
Attribuire la colpa di quel che succede in maniera settoriale a questa o quella attività dell’uomo è diventato uno sport largamente praticato. Ma, senza una visione d’insieme, non si va da nessuna parte. Siamo già quasi otto miliardi e la popolazione mondiale continua, inevitabilmente, ad aumentare e con essa i suoi fabbisogni alimentari.
Ecco che, sempre più spesso, dal mondo scientifico e tecnico arrivano nuove proposte per alleviare almeno il problema delle carenze e della cattiva distribuzione geografica degli alimenti.
Ci giunge notizia di un progetto che stanno portando avanti alcuni ricercatori della Norwegian University of Life Sciences, di Ås (Oslo) riguardo ad un nuovo metodo che impiega batteri denitrificanti, capaci di organicare la CO2 utilizzando per il salto energetico a carboidrati non l’energia solare, ma quella ottenuta dalla denitrificazione batterica dei nitrati. La ricercatrice Linda Bergaust è la responsabile del progetto, ideato dai professori Lars Bakken e Svein Jarle Horn.
Che alcuni batteri anaerobi possano “respirare” i nitrati invece dell’ossigeno non è una novità, tuttavia la notizia è che si sta studiando di sfruttare questa peculiarità metabolica per produrre sostanze organiche da impiegare come alimenti per uso umano e animale, farmaci, plastiche biodegradabili.
La denitrificazione è un processo sostenuto da alcuni batteri anaerobi facoltativi e consiste in più tappe che vedono la riduzione dell’azoto nitrico con numero di ossidazione = +5 fino ad azoto elementare, con numero di ossidazione = 0:
NO3- → NO2- → NO → N2O → N2
Questa serie di reazioni porta alla liberazione di una quantità di energia paragonabile a quella liberata nella respirazione cellulare che vede l’ossigeno come agente ossidante del glucosio, energia che può essere utilizzata per le sintesi di nuovi prodotti.
Per il momento speriamo nel successo del progetto.