I fabbisogni energetici associati alla cottura dei cibi possono rappresentare una quota preponderante dell’energia utilizzata nel ciclo di vita dalla culla alla tomba di diversi alimenti e bevande, come nel caso di prodotti vegetali con un grado di lavorazione medio-basso, pasta secca o caffè; inoltre, variano anche significativamente a seconda del metodo e del sistema di cottura selezionato e si riducono all’aumentare del numero di porzioni cotte. Nell’ambito dei cosiddetti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) su salute (SDG 3) ed energia (SDG 7) previsti dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, numerose iniziative sono state attivate per promuovere l’impiego di tecnologie di cottura più pulite ed efficienti.
Nelle regioni italiane le notevoli differenze in termini di condizioni climatiche e di management, e quindi di alimentazione animale, stabulazione e gestione dell'accoppiamento, potrebbero aver contribuito a plasmare il corredo genetico delle razze caprine allevate in sistemi estensivi. Le diverse pratiche gestionali potrebbero aver modellamento diversamente il genoma delle razze caprine autoctone, in termini di consanguineità e di regioni selezionate o “firme di selezione”, e quindi aver determinato le differenze tra le popolazioni del nord e del sud Italia.
E’ stato da poco pubblicato uno studio internazionale, ripreso da Nature con un articolo dal titolo “Come la Xylella è arrivata in Puglia”, che riporta evidenze significativamente più solide di quelle note fino ad ora sull’origine dell’epidemia che il batterio Xylella fastidiosa sta causando in Puglia, dove il patogeno si è adattato ed ha già sterminato milioni di ulivi. Intervistiamo il dott. Donato Boscia, accademico dei Georgofili, uno degli autori di questo studio.
Dottor Boscia, lei è un ricercatore del Cnr-Ipsp di Bari e studia da anni il fenomeno della Xylella. Ci può intanto ricordare da quanto tempo questo batterio esiste in Italia, come si è diffuso anche in Europa e come danneggia gli olivi?
Il batterio è stato identificato, per la prima volta, nell’ottobre del 2013, quando analisi molecolari eseguite nei nostri laboratori su piante sintomatiche di olivo, ma anche di mandorlo ed oleandro prelevati nei pressi di Gallipoli, in provincia di Lecce, rivelarono la presenza di infezioni di Xylella fastidiosa. In realtà, come emerso dallo studio da poco pubblicato, la prima introduzione del batterio era avvenuta già qualche anno prima, probabilmente nel 2008, e per tale ragione nel 2013 aveva già invaso una porzione significativa di territorio, circa 8.000 ettari in base alle stime dell’epoca del servizio fitosanitario.
Dottor Marchionne, Lei ha alle spalle molti anni di esperienza nella conduzione di aziende molto importanti, quali pensa possano essere le mosse strategiche prioritarie per rilanciare l’agricoltura, in particolare quella toscana, dopo la crisi della pandemia?
La pandemia ha avuto un effetto dirompente su molti ambiti, non solo sanitario e di sicurezza pubblica, ma ha costretto aziende cittadini e istituzioni a interrogarsi anche sul tipo di sviluppo economico e sociale del pianeta. In mezzo a una situazione drammatica, volendo guardare al futuro, questi due lunghi anni verranno ricordati anche come acceleratori di sviluppo di concetti chiave: interdipendenza, sostenibilità e mobilità, riportando l’agricoltura al centro dello sviluppo dopo averla sempre considerata la cenerentola o settore meno avanzato rispetto all’industria e ai servizi.
La Toscana può avere un ruolo fondamentale nello sviluppo moderno dell’agricoltura italiana se riesce a valorizzare i propri assets già esistenti quali la varietà e qualità colturale, la coesistenza di aziende moderne e piccole realtà di nicchia in settori sia di alto che di basso valore aggiunto e la presenza di importanti università e istituzioni pubbliche che abbiano la capacità di dialogare tutte tra loro. Ha tutta le potenzialità per diventare un modello da seguire su base nazionale ma occorre una pianificazione strategica per ogni filiera agricola. C’è invece l’abitudine di affrontare il singolo problema day by day del trovare la soluzione o il singolo finanziamento per la singola crisi senza curarne la causa in maniera strutturale.
L’errore che si fa spesso è considerare l’agricoltura come un tutt'uno quando le problematiche, a seconda delle filiere, sono totalmente diverse e da approfondire singolarmente valutando sempre i trade-off e cercando di pianificare di più. Tanto più che le filiere “agricole” negli ultimi 30 anni sono aumentate e sono sempre più complesse da gestire (vedi ad esempio il mondo delle energie rinnovabili e la bioeconomia).
Per ultimo, ma fondamentale, occorre creare un piano di formazione per gli agricoltori e le aziende agricole per lo sviluppo dell’agricoltura di precisione e per tutte le moderne applicazioni il cui suo vero obiettivo non è quello di produrre meno ma con più qualità, come a volte sento purtroppo dire, ma produrre di più, con più qualità e sprecando meno risorse.
Ripeto, la Toscana può diventare un laboratorio virtuoso, di convivenza e sviluppo tra filiere agricole complementari e applicazione di tecnologie nuove in agricoltura.
Il Presidente dell’Accademia dei Georgofili è stato invitato a partecipare al convegno per il trentennale della DIA – Direzione Investigativa Antimafia – che si è svolto in Palazzo Vecchio lo scorso 21 marzo 2022.
Il titolo dell’incontro era “Cultura e Sport per il Contrasto alle Mafie”.
Riportiamo qui il testo della relazione svolta dal Prof. Massimo Vincenzini.
Desidero innanzi tutto ringraziare la Direzione della DIA ed in particolare il dott. Francesco Nannucci, capo del Centro DIA di Firenze, per avermi invitato a dare testimonianza di come l’Accademia dei Georgofili abbia prima subito e poi reagito al tragico evento del 1993.
Come molti sicuramente ricorderanno, a circa l’una della notte del 27 maggio 1993, un furgone carico di esplosivo fu fatto esplodere sotto la sede dell’Accademia, all’angolo tra via Lambertesca e Via dei Georgofili. La cruda cronaca delle conseguenze di quell’atto scellerato ci parla di cinque vittime, quarantuno feriti e di gravissimi danni agli edifici e al patrimonio artistico, librario ed archivistico, subiti principalmente dall’Accademia e dalla contigua Galleria degli Uffizi.
Per trasmettere più compiutamente quanto accadde quella notte, ritengo opportuno riproporre alcune delle toccanti ed efficaci frasi che il Prof. Franco Scaramuzzi, a quel tempo Presidente dell’Accademia, mise a verbale in occasione del Consiglio Accademico tenutosi quattro giorni dopo presso la Facoltà di Agraria:
E’ stata una tragedia. Ve la voglio raccontare un po’ come l’abbiamo vissuta; è forse il modo più efficace per rendervi partecipi del nostro stato d’animo ……..
….. Sono arrivato in P.zza Signoria alle una e quarantacinque circa; Polizia e Carabinieri impedivano di andare oltre. Vi erano molte ambulanze, auto dei Vigili del Fuoco e delle Forze dell’Ordine…….. Il Questore e l’Assessore comunale Giani mi hanno personalmente accompagnato da via Lambertesca a via dei Georgofili. In quell’angolo, in terra, un lago di acqua, macerie, fango. La Torre dei Pulci era squarciata per tutta la sua altezza ed a terra un cumulo di macerie raggiungeva quasi il primo piano. Sulle macerie i Vigili del Fuoco con gli idranti cercavano di spegnere le fiamme che uscivano dalle finestre del palazzo di fronte.
Ho chiesto subito delle persone; mi è stato detto che vi erano molti feriti già trasportati in vari ospedali. Ho chiesto dell’Angela e della Sua famiglia. Nessuno immaginava che nell’Accademia, all’ultimo piano della Torre dei Pulci, vivesse la famiglia del custode……Si sono cercate le liste dei feriti: si sono controllate tutte quelle che arrivavano, via via, dai vari ospedali. Nulla.
E’ partito l’allarme: sotto le macerie potrebbero trovarsi delle persone. ……
Ero sconvolto. Qui interrompo il mio il mio racconto, almeno in questa forma, anche perché mi è troppo penoso. Ricorderò solo che le ricerche sono durate ore.
La prima ad essere ritrovata è stata la più piccina (Caterina), verso le quattro, ……. aveva appena cinquanta giorni, era stata battezzata la domenica precedente. …… Poi la più grande delle due figliole, Nadia (di nove anni), poi Angela (la custode dell’Accademia), poi il marito (Fabrizio Nencioni, vigile urbano). La tragedia era completa……più tardi è stato trovato un altro corpo in un’abitazione di fronte: uno studente che stava per laurearsi in architettura (Dario Capolicchio, di ventidue anni); ……
Così mi si è presentata la tragedia umana, ……..Vi descriverò ora il disastro delle cose, così come l’ho visto da quella notte.
Professore Giuntoli, Lei è Presidente di un’antica istituzione fiorentina, nata proprio dall’Accademia dei Georgofili. Ci spiega la vostra attività, che cosa si è mantenuto e che cosa è cambiato evolvendosi, in tutti questi anni?
La nostra attività è cambiata nel senso che si è adeguata ai mezzi ed ai tempi più efficienti della società contemporanea, ma la passione ed i valori sono rimasti gli stessi. Ad esempio, oltre alle nostre mostre ed alla formazione tradizionale si sono affiancati i corsi in remoto che possono essere seguiti comodamente anche da casa ma consigliamo sempre di venire in campo a fare esperienza pratica. Crediamo infatti che la nostra associazione, una delle più antiche del mondo, debba promuovere la cultura e la passione per la cura delle piante e del giardino come attività che sono intrinsecamente parte della storia e della natura umana. Abbiamo d’altra parte sperimentato tutti, durante il lockdown dovuto alla pandemia, quale fosse il bisogno di avere a che fare con la Natura, chiunque ha potuto si è messo a coltivare qualsiasi cosa, fosse anche un pomodoro in vaso della terrazza, proprio perché questo aspetto è parte di noi e della nostra anima.
In quella che sembra purtroppo essere solo una pausa nelle alterne fasi della pandemia la ripresa economica iniziata nell’ultimo trimestre del 2020 e proseguita con un buon andamento sino ad oggi, ha prodotto risultati importanti, come la risalita del Pil dell’Italia nel 2021 del 6,6%. Un risultato importante, forse di proporzioni inaspettate, realizzato con le sole condizioni esistenti nel nostro sistema economico, prima cioè che i massicci interventi previsti dal Pnrr avessero potuto iniziare a produrre effetti. Nell’insieme degli elementi positivi, tuttavia, è emersa con forte risalto anche la ripresa dell’inflazione, non solo in Italia, ma in tutte le economie avanzate che hanno trainato la ripresa stessa. Il tasso di inflazione nel 2021 si è collocato negli Usa al +7%, in Europa oltre il +5% ed in Italia a +3,9%. Ma già a gennaio e, nelle previsioni a febbraio, sale a +5%. Alla base di questa dinamica si colloca la crescita dei prezzi dei prodotti energetici che sale da +29,1% di dicembre a +38,6% di gennaio, in particolare per i prodotti regolamentati (rispettivamente a +41,9% e a +93,5%) mentre si ferma a +22%/23% per gli energetici non regolamentati, seguiti dagli alimentari lavorati (al +2,0% e +2,4%) e a quelli non lavorati (a +3,6% ed a +5,4%). L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rimane stabile a +1,5%. Il quadro complessivo fa riemergere l’incubo dell’inflazione anche se ha origini concentrate in alcuni settori e legate in gran parte alla immediatezza della ripresa che ha prodotto squilibri nei rapporti domanda/offerta, aggravate dalle difficoltà della ripartenza provocate da colli di bottiglia e interruzioni nelle catene produttive che sono spiegabili e dovrebbero essere riassorbite.
Lo scoppio violento del conflitto Russia/Ucraina ha sconvolto ogni previsione, sia per gli inevitabili problemi di approvvigionamento sia per le possibili ripercussioni dei meccanismi innescati dalle sanzioni applicate alla Russia e alle conseguenti ritorsioni. La localizzazione del conflitto fa sì che i prodotti più colpiti siano quelli energetici e in particolare il gas e il petrolio russi e i prodotti agricoli, cereali e oleaginose, dell’Ucraina.
Le sanzioni colpiscono nel caso dell’interscambio Russia/Italia proprio gli approvvigionamenti energetici. Noi importiamo dalla Russia il 42% del gas e circa il 35% del petrolio che usiamo, dunque il nostro Paese rischia, più di altri, una grave crisi energetica e un crescente costo delle materie prime anche agricole.
In seguito al crescente aumento del numero e dell’intensità degli eventi meteorici estremi, la presenza diffusa di alberi stressati, lesionati, defogliati o sradicati induce un forte incremento demografico delle popolazioni di insetti in grado di svilupparsi negli strati sottocorticali della pianta ospite. Tra questi, il Coleottero Scolitide noto con il nome comune di Bostrico tipografo (Ips typographus L.), a causa degli ingenti danni che può provocare alle foreste di abete rosso, rappresenta la più importante specie fitofaga forestale in Europa.
La tragedia della pandemia da Covid-19 e le conseguenti restrizioni agli spostamenti delle persone, ma anche i forti aumenti dei noli dei trasporti a livello mondiale, in questa fase di ripresa economica, hanno modificato in modo sostanziale le priorità e i modelli di sviluppo, ponendo una riflessione sulla globalizzazione delle produzioni e dei consumi. Il recente conflitto armato nel cuore dell’Europa, oltre all’inaccettabile carico di morte e dolori per le popolazioni, pone inoltre ulteriori riflessioni anche per il nostro Paese sui flussi di importazione dei cereali e altri prodotti agricoli confermando la necessità di un uso razionale di tutte le nostre superfici ad uso agro-zootecnico in base alle vocazioni dei territori. Questo scenario che tende a modificarsi rispetto al passato, aggravato dalle fortissime tensioni internazionali dovute alla guerra, accresce il ruolo del mondo rurale, ponendolo al centro di un nuovo modello di sviluppo. I periodi di lockdown dovuti alla pandemia hanno mostrato come le aree marginali, quelle collinari, quelle montane, i borghi rurali, sono improvvisamente diventati attrattivi come luoghi dove vivere in forte connessione con filiere produttive locali, spesso di qualità. In particolare nel 2021, inoltre, le restrizioni agli spostamenti per le vacanze, hanno favorito una crescita significativa dell’agriturismo fornendo alle nostre aziende agricole una integrazione al reddito. Non tratterò il fondamentale aspetto tuttavia della necessaria presenza di infrastrutture e servizi per favorire questa politica di presidio territoriale nelle aree rurali del nostro Paese, ma mi soffermerò su qualche considerazione sulle potenzialità dell’agricoltura e dell’allevamento con particolare riferimento alla realtà della Regione Toscana.
Le politiche regionali delle Toscana hanno da sempre prestato attenzione anche all’agricoltura meno intensiva, al rispetto dell’ambiente e del paesaggio e ai valori culturali rurali che si legano al vasto patrimonio della agrobiodiversità e dei prodotti agroalimentari tradizionali che sono tutelati e promossi da specifiche legislazioni regionali e nazionali. Il cuore rurale della Toscana, fatto di produzioni di qualità, di una superficie condotta ad agricoltura biologica di oltre il 30% della SAU, di allevamenti bradi e semibradi e di foreste, è esso stesso componente essenziale del paesaggio unico e della qualità di vita che il brand Toscana suscita nel mondo. Questa agricoltura, che potremmo definire di territorio, in quanto legata ai valori e alla cultura locale, non sarà probabilmente in grado di rispondere da sola alla forte crescita globale di prodotti alimentari, ma potrà essere una linea differenziale di sviluppo, che oltre all’aspetto produttivo di alta qualità, potrà contribuire al presidio del territorio specialmente nelle aree interne e impervie con tutta la conseguenza ricaduta positiva.
Uno studio del 2019 della Lancaster University e della Durham University ha rilevato che l’esercito americano è “uno dei maggiori inquinatori climatici della storia”, riferendo che utilizza più combustibili fossili liquidi ed emette più CO2e (equivalente di anidride carbonica). Lo studio ha aggiunto che se le forze armate statunitensi fossero un paese, sarebbe il numero 47 nell’elenco delle principali nazioni che emettono gas serra, in base al consumo di carburante. Secondo il Conflict and Environment Observatory (CEOBS), un’organizzazione che mira a educare il pubblico sulle conseguenze ambientali e umanitarie dei militari, uno dei principali motori dell’uso dell’energia militare è l’uso del carburante. Ciò include l’energia utilizzata nelle basi militari, nonché il carburante utilizzato per alimentare le attrezzature militari e le navi da trasporto.
C’è, quindi, un altro aspetto che dobbiamo considerare, che è stato sottolineato da Gianni Del Vecchio sull’Huffington Post qualche giorno fa e sul quale anche l’ex segretario di Stato americano John Kerry ha richiamato l’attenzione in un’intervista della scorsa settimana, cioè che, oltre alle “massicce conseguenze sulle emissioni” della guerra russa contro l’Ucraina, c’è il concreto rischio che essa sia una distrazione dal lavoro sui cambiamenti climatici e che ne rallenti fortemente l’azione.
La guerra è sempre sbagliata e lo è ancor di più quando rischia di farci fare grandi passi indietro nella lotta al cambiamento climatico. Anche se abbiamo compiuto incredibili progressi per quanto riguarda la tecnologia che collega tra loro persone provenienti da tutti gli angoli della terra e la globalizzazione ci ha avvicinati costantemente gli uni agli altri, dobbiamo unire le persone e non dividerle, perché ciò promuove la comprensione e vengono generati nuovi pensieri e idee. Quando ci avviciniamo l’uno all’altro ci avviciniamo anche a nuove soluzioni. I sogni sono ciò che guida e motiva tutti noi. I sogni sono la ragione per cui milioni di ragazzi manifestano per un futuro più sostenibile e per un mondo senza guerre. Dobbiamo usare i nostri sogni come guida e questi sogni devono essere trasformati in progetti concreti per creare insieme un futuro sostenibile per tutti. E la guerra uccide anche i sogni.
Una delle priorità della ricerca sulla sostenibilità delle produzioni riguarda la ricerca di strategie complementari o alternative alla difesa dai patogeni. Una review pubblicata alla fine del 2021 (Pest and disease management by red light – Gallè A., Czekus Z., Toth L., Galgozy, L., Poor P., Plant Cell Environment, 44,2021) ha messo in luce interessanti aspetti legati all’uso della luce rossa come segnale in grado di attivare meccanismi di difesa. La radiazione, componente dinamica del sistema terrestre, è percepita da piante e da microrganismi tramite diversi fotorecettori. Vie complesse di trasduzione del segnale, come fotosintesi e ritmo circadiano, ad esempio, mediano molte delle risposte molecolari, biochimiche e fisiologiche, così come la presenza - o la assenza - durata, qualità spettrale, intensità della radiazione.
Le ultime stagioni estive sono state sempre caratterizzate dal medesimo problema: quello della carenza idrica nei nostri campi. Ogni singolo agricoltore, in questo contesto, può assumere, contemporaneamente, il ruolo di “vittima” o “artefice”.
Se l’acqua è un bene prezioso e non bisogna sprecarla, questo vale anche per quella che viene giù dal cielo e finisce/non finisce nei nostri appezzamenti coltivati.
Senza entrare nelle solite discussioni sul cattivo uso/abuso civile e industriale, sarà invece molto più interessante riprendere i nostri libri di agronomia per cercare di capire come tesaurizzare l’acqua piovana nei campi, sia durante la stagione estiva che autunno-invernale.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta un'opportunità di sviluppo, investimenti e riforme per l’accesso ai fondi del Next Generation European Union (NGEU), attraverso un programma che prevede investimenti e riforme per accelerare, tra le altre aree di intervento, la tradizione ecologia e digitale. In tale contesto, l’Italia è la prima beneficiaria dei due principali strumenti del NGEU: il dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF), che garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro da impiegare nel periodo 2021-20226 e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori d’Europa (REACT-EU). Il PNRR, piano preparato dall'Italia per rilanciarne l'economia dopo la pandemia di COVID-19, prevede gli investimenti per il periodo 2021-2026 e si prefigge come principale obiettivo il rilancio della struttura economico-sociale italiana specialmente per quanto attiene a tre priorità trasversali condivise a livello europeo: digitalizzazione ed innovazione, transizione ecologica ed inclusione sociale.
Il PNRR si sviluppa lungo 16 Componenti che riflettono riforme e priorità di investimento in un determinato settore di intervento, a loro volta vengono raggruppate in 6 Missioni. La Missione 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, derivante dallo European Green Deal e dal doppio obiettivo dell’Ue di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55% entro il 2030, è volta a realizzare la transizione verde ed ecologica della società e dell’economia, intesa come fattore in grado di accrescere la competitività del nostro sistema produttivo. La Missione in questione si articola in 4 Componenti e prevede lo stanziamento di 59,47 miliardi dei complessivi 191,5 miliardi di euro del RRF. Alla Componente 1 della Misura 2 “Economia circolare e agricoltura sostenibile” (M2C1) sono stati assegnati 5,27 miliardi allo scopo di perseguire tre principali obiettivi, tra cui rileva, in particolar modo, lo sviluppo di una filiera agroalimentare sostenibile in un’ottica di miglioramento delle prestazioni ambientali ed incremento della competitività delle aziende agricole, in linea con la strategia europea “From Farm to Fork”.
All’atto pratico tali indirizzi programmatici richiedono idonei strumenti normativi atti a perseguire su scala nazionale (e non locali) gli obbiettivi anzidetti. In questa prospettiva, i contratti di filiera, istituiti dall’art. 66 della l. n. 289 del 27.12.2002, la cui disciplina è stata successivamente più volte modificata e, la cui disciplina si rinviene da ultimo nel d.m. MiPAAF 8 gennaio 2016, sono finalizzati a favorire l’integrazione delle imprese, la valorizzazione delle produzioni e, più in generale, il sostegno al settore agroalimentare, rientrano nel perimetro della Misura 2, Componente 1 del PNRR.
In dettaglio, i contratti di filiera si configurano quali strumenti per perseguire relazioni a livello orizzontali e verticale attraverso la collaborazione ed integrazione fra diversi soggetti della filiera operanti in territori multiregionali, nonché in un medesimo comparto produttivo. Quest’ultimi si aggregano nella prospettiva di perseguire un progetto in comune, nel pieno rispetto delle norme antitrust applicabili in agricoltura, e dell’autonomia contrattuale, migliorando in tal modo la distribuzione del valore lungo la filiera e superando i regionalismi. Attraverso questi accordi si persegue un obbiettivo comune all’intera filiera ove ciascun partecipante contribuisce con la propria attività, con conseguenze sul piano della responsabilità in caso di inadempimento di una di queste.
"Multidisciplinarietà, internazionalizzazione, educazione e formazione, rapporto con il mondo delle imprese e della produzione, queste sono le linee guida che la Società di Fitochimica si è data per il futuro. La mia attività di Presidente è quindi quella di promuovere la società in tutti questi ambiti, contribuendo alla crescita sia del numero dei soci che della attività promosse, che vanno dall’organizzazione di congressi, prima nazionali ora sempre più internazionali (ICEMAP- International Conference of Edible, Medicinal and Aromatic Plants, che nel 2022 sarà alla terza edizione), alla Scuola di Fitochimica, dedicata alla formazione di studenti e giovani ricercatori su argomenti che di volta in volta approfondiscono grandi famiglie di piante, oppure piante di rilevanza medicinale/salutistica o specifiche classi di composti fitochimici sempre con un approccio multidisciplinare."
Ogni intervento sull'agricoltura italiana non può prescindere dal quadro generale che l'Unione Europea fa di questa attività. All'interno della programmazione delle attività produttive prevista sino al 2050 e denominata Green Deal (chiamato anche Patto Verde europeo), si riservano attenzioni particolari allo specifico settore agricolo tramite la codificazione di una serie di obiettivi contenuti in due documenti strategici: Farm to Fork e Biodiversity.
L'impegno è notevole perché le previsioni dell'incremento demografico dell'intero pianeta sono state, già da qualche anno, corrette al rialzo, prevedendo per la metà del secolo il raggiungimento -impressionante- di 10 miliardi di abitanti. Tale incremento ha fatto scattare le previsioni delle necessità globali dei prodotti alimentari, tanto è vero che la FAO ritiene indispensabile un incremento di produzione agricola di circa il 70%.
Anche l'ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) ha fatto varie previsioni; una tra queste colpisce la nostra attenzione: la riduzione della superficie coltivabile, disponibile per ogni abitante del pianeta, che scenderà dagli 0,4 ettari del 1960 al valore di 0,1 ettaro previsto per il 2050.
I principi teorici dell'eco-sostenibilità sono messi continuamente in discussione da parte di esperti veri o improvvisati. Bisogna ottemperare alle richieste che vengono dall’Ue, dai Ministeri coinvolti, dalle Regioni. Una serie di interventi, per lo più indeterminati, è prevista dal piano europeo Pnrr (“Next Generation”); c’è anche la necessità di adeguare i disciplinari delle varie produzioni, integrata, biologica e convenzionale.
Dunque, non sarà facile, per le imprese, sapersi districare in una situazione complessa e critica come quella attuale, nemmeno per la ricerca pubblica, dovendo dare motivate indicazioni sul “da farsi” in campo, per corrispondere correttamente ai presupposti dell’agro-eco-sostenibilità. Bisogna anche premettere che questa parola è oggi largamente abusata dai mezzi di comunicazione. Infatti, molti spot pubblicitari e le strategie dei programmi di creazione di mezzi tecnici, servizi e beni di consumo si avvalgono della caratteristica dicitura di sostenibilità di processo, una forma di autoreferenzialità, magari con certificazione di garanzia, che vale quel che vale. Per la verità, mancano, in genere, condivisi e riconosciuti, i relativi parametri tecnici, quali, ad esempio, la quantità di CO2 emessa per il ciclo produttivo, l’input energetico o calorico assorbito, l’entità dei possibili effetti nocivi dovuti ad inquinamento o sprechi, il bilancio complessivo del rapporto costi/benefici fra i vari metodi a confronto, ecc.
Occorre affrontare uno dei problemi di maggiore impatto per la frutticoltura riguardante la fertilizzazione del suolo, con il supporto di uno studio approfondito sulle conoscenze fisiologiche e biochimiche dei rapporti fra N, biosfera e pianta: dall’assorbimento radicale al trasporto, al metabolismo e alla conversione dell’azoto da una forma ionica all’altra e, ovviamente, agli effetti sulla produttività degli alberi e sulla qualità dei frutti. Una sperimentazione svolta all’Università di Bologna e in centri di ricerca internazionali ha fatto emergere, nel confronto tra composti organici e minerali, maggiori benefici derivanti da concimazioni organiche rispetto a quelle minerali, almeno con riferimento al lungo periodo corrispondente alla durata del frutteto; benefici espressi, in particolare, da una migliore efficienza metabolica delle varie forme di azoto, da un maggiore sequestro di carbonio e, in definitiva, da una più rispondente eco-sostenibilità.
Continuano, a questo proposito, le diatribe sulla preferenza o, se vogliamo, sul primato delle coltivazioni integrate o biologiche oppure sulla valenza ecologica e la sostenibilità dell’una e dell’altra: la prima, che fronteggia e sostiene la stragrande maggioranza dei consumi alimentari (specialmente l’ortofrutta ) e la seconda che, pur conquistando crescenti fette di mercato, non sembra offrire la prospettiva di una futura prevalenza, nonostante gli incentivi economici e la possibilità di compensare i maggiori costi di produzione con più alti prezzi di mercato.
Come riporta un articolo di “Science” del 24 febbraio, il Prof. Mikhail Gelfand, biologo esperto in genomica comparativa la cui moglie è per metà ucraina, ha lanciato l’iniziativa di una lettera contro la guerra in Ucraina pubblicata su “TrV-Nauka”, un sito indipendente di news scientifiche, che è stata immediatamente sottoscritta da numerosi scienziati e giornalisti scientifici russi.
La lettera (qui in russo) è la seguente:
Noi, scienziati e giornalisti scientifici russi, dichiariamo una forte protesta contro le ostilità lanciate dalle forze armate del nostro Paese sul territorio dell'Ucraina. Questo passo fatale porta a enormi perdite umane e mina le basi del sistema consolidato di sicurezza internazionale. La responsabilità di scatenare una nuova guerra in Europa è interamente della Russia.
Non c'è una giustificazione razionale per questa guerra. I tentativi di usare la situazione nel Donbass come pretesto per lanciare un'operazione militare non ispirano alcuna fiducia. È chiaro che l'Ucraina non rappresenta una minaccia per la sicurezza del nostro Paese. La guerra contro di lei è ingiusta e francamente insensata.
L'Ucraina è stata e rimane un Paese a noi vicino. Molti di noi hanno parenti, amici e colleghi scientifici che vivono in Ucraina. I nostri padri, nonni e bisnonni hanno combattuto insieme contro il nazismo. Scatenare una guerra per il bene delle ambizioni geopolitiche dei vertici della Federazione Russa, spinti da dubbie fantasie storiografiche, è un cinico tradimento della loro memoria.
Rispettiamo la statualità ucraina, che si basa su istituzioni democratiche realmente funzionanti. Trattiamo la scelta europea dei nostri vicini con comprensione. Siamo convinti che tutti i problemi nelle relazioni tra i nostri paesi possano essere risolti pacificamente.
Dopo aver scatenato la guerra, la Russia si è condannata all'isolamento internazionale, alla posizione di paese paria. Ciò significa che noi scienziati non saremo più in grado di svolgere normalmente il nostro lavoro: del resto, condurre ricerca scientifica è impensabile senza la piena collaborazione con i colleghi di altri paesi. L'isolamento della Russia dal mondo significa un ulteriore degrado culturale e tecnologico del nostro Paese in totale assenza di prospettive positive. La guerra con l'Ucraina è un passo verso il nulla.
È amaro per noi rendersi conto che il nostro Paese, insieme ad altre repubbliche dell'ex Unione Sovietica, che hanno dato un contributo decisivo alla vittoria sul nazismo, è ora diventato l'istigatore di una nuova guerra nel continente europeo. Chiediamo l'arresto immediato di tutte le operazioni militari dirette contro l'Ucraina. Chiediamo il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale dello Stato ucraino. Chiediamo pace per i nostri paesi.
Le firme continuano ad arrivare, ne aggiungiamo il più possibile (ora ce ne sono più di 3000).
Presidente Salvadori, la Fondazione CR Firenze che lei presiede dall’estate del 2019, è sempre stata vicina all’Accademia dei Georgofili, una presenza che ha origini antiche vero ?
E’ proprio così. La nostra Fondazione prosegue infatti gli ideali e lo spirito dell’ Istituzione da cui siamo nati, quella Cassa di risparmio di Firenze che è stata istituita nel 1829 grazie alla volontà di 12 fiorentini illustri (tra i quali Cosimo Ridolfi, Gino Capponi e Piero Rinuccini), in buona parte membri dell'Accademia dei Georgofili, la più antica al mondo ad occuparsi dei temi legati all’agricoltura. Queste persone, sensibili allo sviluppo economico e sociale della città, decisero di fondare una banca in grado di consentire un aiuto economico sicuro anche alle classi meno agiate. Oggi noi proseguiamo questo percorso e siamo molto orgogliosi di poter mettere al servizio del territorio e dei suoi abitanti le nostre competenze e le nostre risorse. In questi ultimi anni abbiamo intensificato la collaborazione e il rapporto con l’Accademia perché questi temi hanno oggi, molto più che in passato, una particolare rilevanza.
La qualità del grano alla raccolta dipende principalmente dal suo contenuto proteico. La gestione ottimale della fertilizzazione azotata è essenziale per raggiungere questo obiettivo. Risultano fondamentali il numero degli apporti e i momenti di applicazione, le dosi, le forme chimiche del concime, ecc. È altresì importante il rispetto delle norme legislative (es. direttive nitrati) per ridurre il potenziale inquinamento delle acque.
In linea generale, il fabbisogno in azoto del cereale dipende dal livello produttivo prefissato, dalle condizioni pedoclimatiche e dalle diverse cultivar. Indipendentemente dal potenziale di rendimento, queste hanno fabbisogni azotati differenti.
L’impennata del prezzo dei concimi obbliga agricoltori e tecnici a valutare attentamente le possibili vie di “contrazione” delle dosi dei fertilizzanti. Ciò è possibile se al concetto “assoluto” di DOSE si legano importanti e basilari nozioni multidisciplinari di agronomia, coltivazioni, chimica agraria, “agricoltura di precisione”, ecc.
Manifestare nelle piazze non risolve assolutamente i problemi, a maggior ragione quando alcune materie prime (es. fosforo) sono “naturalmente” vicine all’esaurimento. Non si tratta, cioè, di “capricci” politici, ma di “fine” naturale di prodotti utilizzati, negli anni, in modo esagerato e non razionale.
È necessario applicare quei principii tecnico-scientifici che sappiamo e conosciamo bene ormai da anni, ma che sistematicamente ignoriamo tutte le volte che le cose “vanno bene” e i prezzi delle materie prime risultano ridotti, così da condurci all’uso/abuso dei mezzi di produzione senza effettivi ritorni economici e senza pensare a possibili periodi di “carestie”.
Importante, inoltre, non cadere nelle “false” credenze sulla concimazione, spesso “avallate” da tecnici poco aggiornati o restii ad accertare le novità/indicazioni provenienti dalla ricerca scientifica.
Da non dimenticare, poi, le normative/obblighi della Politica Agraria Comunitaria (PAC) relativamente agli avvicendamenti e rotazioni colturali. Le colture miglioratrici (Leguminose) sono la migliore “arma” preventiva contro il “caro concimi”.
In questo contesto sono proponibili alcune indicazioni operative per sfruttare al meglio l’efficacia/efficienza dei concimi azotati, così da poterne razionalizzarne l’uso e ridurne, possibilmente, le dosi.
Tutta la cosiddetta “ingredientistica innovativa” presenta aspetti non regolati, sui quali gli operatori si trovano privi di un quadro normativo di riferimento, sia europeo che nazionale. Ne deriva una scarsa propensione a utilizzarli e, soprattutto, a “fare business” in un segmento produttivo che potrebbe portare a miglioramenti qualitativi di importanti alimenti e interessanti opportunità di mercato, se regole più definite consentissero maggiore certezza di legalità.
Un esempio è rappresentato dai cosiddetti “colouring foods”, ingredienti con proprietà coloranti, i quali non sono additivi ma in qualche misura ne condividono la funzione: «coloring food with foods». La tendenza è globale. Secondo lo US Institute of Food Technologists, oltreoceano «major food companies are removing synthetic color additives from their products and replacing them with natural colors to appeal to consumer demand» [N. H. Mermelstein, Coloring Foods and Beverages, in Food Technology Magazine, 1 January, 2016]. Gli USA rispondono a tale domanda del mercato (a) classificando tutte le sostanze aventi proprietà coloranti come “additivi” a prescindere dalla loro natura, origine e modalità di ottenimento; (b) prevedendo per quelle derivate da vegetali, animali o minerali una disciplina “semplificata” che, in luogo della “certificazione” della FDA richiede solo la loro conformità a specifiche generali stabilite dalla legge (Section 21, part 73, del Code of Federal Regulation). In sostanza, negli USA la disciplina degli ingredienti con proprietà coloranti è particolarmente rigorosa, ma anche ben definita, qualificandoli tutti come additivi ma con minori oneri per quelli di derivazione naturale.
L’approccio europeo è decisamente differente, e alquanto confuso.
E’ stata pubblicata il 9 febbraio 2022, in Gazzetta Ufficiale, la Strategia Forestale Nazionale (SFN),
promossa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
in concerto con i Ministeri della Transizione Ecologica, della Cultura,
dello Sviluppo Economico e della Conferenza Stato-Regioni, in
ottemperanza del Testo Unico in Materia di Foreste e Filiere Forestali
(D.lgs 34/2018).
Si tratta di un documento strategico di validità
ventennale, primo nel suo genere a livello italiano, e deve la sua
realizzazione al percorso iniziato nel 2017 con la nascita della
Direzione generale delle Foreste del Mipaaf e con l’emanazione nel 2018
del Testo unico delle foreste e filiere forestali ( D lgs 34 del 2018),
cui sono seguiti otto decreti Ministeriali di cui la Strategia
costituisce la cornice e l’asse portante. La Strategia si pone quale
strumento essenziale per delineare le politiche forestali nazionali nel
contesto di quelle europee e degli accordi internazionali ma anche come
vertice della “piramide” della pianificazione forestale, recentemente
innovata grazie al Decreto attuativo in materia, pubblicato nel dicembre
2021.
La Strategia dà inoltre attuazione a parte della Strategia
europea per la biodiversità 2030 e alla Strategia forestale 2030, come
previsto dal TUFF ed integra la Strategia nazionale per la bioeconomia
per la parte fondamentale legata al sistema foresta-legno.
Salem A. Waksman vinse il premio Nobel nel 1952 perché aveva scoperto la streptomicina, un antibiotico efficace contro la tubercolosi e prodotto da un microorganismo del suolo Streptomyces grisues. Tra gli scienziati del suolo, Waksman è conosciuto per i suoi studi di microbiologia e biochimica del suolo.
Perché è nata Agrinsieme e come si articola sul territorio? Come si svolge il suo lavoro?
Agrinsieme rappresenta le imprese aderenti a CIA, Confagricoltura, Copagri e Alleanza Cooperative Italiane – Settore Agroalimentare. Dalla sua costituzione, Agrinsieme ha avuto come obiettivo la dimensione territoriale dell’esperienza, tenendo conto dei diversi modelli e delle specificità delle singole aree.
Il Coordinamento integra diverse storie e patrimoni di valori che vengono esaltati in una sinergia fortemente orientata verso il futuro. Proprio per questo, Agrinsieme non annulla la storia delle singole organizzazioni, ma costituisce un valore aggiunto rispetto a ciò che ognuna realizza autonomamente.
Rappresentando i 2/3 dell’Agroalimentare italiano, Agrinsieme si impegna nella creazione di un sistema orientato al mercato, promuovendo politiche che rafforzano le imprese e favoriscono le integrazioni tra le varie componenti della filiera Agricola e Agroalimentare. Inoltre, crediamo nell’innovazione, nella ricerca e nelle giovani generazioni come legame tra la tradizione e il futuro.
La ripresa, finalmente, sembra essersi messa in movimento. I principali dati del 2021 mostrano che il Pil mondiale cresce così come avviene nelle principali economie avanzate. L’Italia appartiene al gruppo di testa, con incrementi davvero importanti del Pil salito del 6,5%, del saldo con l’estero in attivo record nonostante il peso delle importazioni e persino dell’occupazione che, per la prima volta, da tempo, cresce. Ma tutto ciò avviene in un contesto minato dall’imprevedibilità della pandemia e da una serie di incertezze sul futuro dell’economia.
La principale serie di dubbi è suscitata dall’impennata dell’inflazione. Se, entro certi limiti attorno al 2%, essa era attesa come effetto dell’accresciuta necessità di materie prime per la ripresa della produzione in tutti i settori, per scongiurare cioè il timore che ci si fermasse ad un semplice rimbalzo tecnico senza che si avviasse un nuovo ciclo di crescita, la dimensione degli incrementi induce a ritenere che un’inflazione più elevata, almeno per un certo periodo (un anno o due?) sia inevitabile.
Nel caso in cui questa tendenza fosse confermata bisogna disporre di strumenti di contrasto sul piano delle politiche monetarie ed economiche, tenendo conto che l’enorme massa del debito accumulato dagli Stati per fronteggiare i costi della pandemia diverrebbe insostenibile senza una poderosa ripresa economica.
Le riflessioni non mancano e ad esse se ne affiancano altre, in particolare quelle relative alle politiche di “transizione” che l’Ue e gli altri principali Paesi stanno lanciando per accompagnare la crescita e favorire la formazione di un nuovo ciclo economico espansivo per i prossimi decenni sino al 2050. Da noi queste sono contenute negli strumenti come il Pnrr che puntano in particolare sulla transizione digitale, su quella energetica e, per quanto riguarda l’agricoltura, su quella Green. A parte l’osservazione, pedante, che il concetto di transizione prevede di conoscere bene le condizioni da cui si parte e, soprattutto, quelle a cui si vuole arrivare, non è chiaro quali significati concreti vengano attribuiti ad esse e quali conseguenze dirette ed indirette abbiano. Se pensiamo ad esempio a quella energetica ci rendiamo conto che essa è frenata dall’impennata inflativa specie dei prezzi del petrolio e del gas e resa difficile dalla carenza di fonti energetiche continuative e gestibili. Il rallentamento dell’economia fra fine 2021 e inizi 2022 è dovuto all’effetto prezzi (inflazione da costi) ma non solo. I colli di bottiglia, la mancanza di materie prime, semilavorati e prodotti finiti che blocca la catena produttiva, esalta la frenata. Se da un lato non abbiamo previsto nella misura giusta il tasso di inflazione, dall’altro abbiamo sottovalutato questi elementi che pure erano noti e considerati, forse con eccessiva frettolosità.
Professore La Marca, che cosa è attualmente previsto dalla Direttiva europea che tutela i lupi e come potrebbe essere modificata per tutelare anche gli allevatori europei?
In Italia il lupo per secoli è stato considerato un animale nocivo e per questo è stato oggetto di lotta con ogni mezzo: dalla braccata, alla cattura con trappole, all’adescamento con bocconi o con intere carcasse di animali avvelenati. Con l’approvazione del cosiddetto “decreto Natali”, del 23 luglio del 1971, il lupo è stato depennato dall’elenco delle specie nocive e inserito in quello delle specie protette. In quell’epoca in Italia si stimava che la popolazione di questo predatore, fosse ridotta a circa un centinaio di esemplari concentrati in Abruzzo e in Calabria, mentre in tutte le altre regioni si considerava eradicato. In definitiva il lupo si è salvato nei distretti zootecnici montani dell’Italia centrale e meridionale, grazie alla presenza della pastorizia.
Il primo atto di tutela del lupo, nato sotto l’egida del Consiglio d’Europa, è la Convenzione di Berna del 19/9/1979 e recepita dall’Italia con L. 5 agosto 1981, n. 503. In questo modo il lupo viene inserito nell’allegato II ("specie strettamente protette"), per cui viene stabilita una protezione speciale e se ne proibisce specificamente la cattura, l’uccisione, la detenzione ed il commercio.
Successivamente, la tutela del lupo è stata sancita dalla Direttiva Habitat (92/43/CEE ), recepita dall’Italia con DPR dell’8 settembre 1997, n. 357, la quale inserisce il lupo negli allegati B ("specie la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione") e D ("specie prioritaria, di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa"). L'art. 12 della direttiva europea stabilisce il regime di rigida tutela della specie con il divieto di qualsiasi forma di cattura e di uccisione deliberata nell'ambiente naturale. L'art. 16 della direttiva stabilisce che, ai fini della prevenzione di danni gravi all'allevamento, alla fauna, nell'interesse della sanità e sicurezza pubblica, è prevista la possibilità di deroga ai divieti di abbattimento e cattura del lupo. In Italia il DPR 357 del 1997, che recepisce la direttiva Habitat, prevede l'attuazione della deroga dietro autorizzazione del Ministero, sentito il parere dell'Infs (oggi Ispra), a condizione che non esistano altre condizioni praticabili e che la deroga non pregiudichi lo stato di conservazione sufficiente delle popolazioni di lupo.
Anche la Convenzione di Washington, rivolta al commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione (CITES: Washington, 1973), recepita in Italia con legge 19 dicembre 1975, n. 874, riguarda particolari misure di tutela del lupo in quanto “specie potenzialmente minacciata".
Bisogna rilevare che si è trattato di atti appropriati e tempestivi per salvare una specie seriamente minacciata di estinzione.
Perché si dice che il lupo "torna" in Europa, dove è stato negli ultimi anni?
L’espansione della specie è avvenuta sia in conseguenza del regime di tutela della specie, sia per il verificarsi di condizioni favorevoli alla diffusione del lupo in termini di disponibilità di ampi spazi conseguenti all’esodo delle popolazioni dalle campagne e all’istituzione di aree protette, sia per l’incremento di risorse trofiche allocate prevalentemente nella fauna ungulata selvatica, in particolare nella diffusione del cinghiale sull’intero territorio nazionale e del capriolo e del cervo in diverse Regioni italiane. Nel contempo però, con l’incremento della popolazione del predatore, sono gradualmente aumentati i casi di predazione tra gli animali in produzione zootecnica.
In Europa esistono deroghe allo stretto regime di protezione: gli abbattimenti sono stati consentiti per alcune zone della Spagna e della Grecia in cui era documentata l’eccessiva presenza del lupo; risulta che in Francia, a seguito di pesanti predazioni di pecore, gli abbattimenti autorizzati riguardino circa il 19% della popolazione, e anche in Germania recentemente è stato autorizzato qualche abbattimento. In tutti i casi sopra riportati evidentemente è risultato che non esistevano altre condizioni praticabili e che la deroga non pregiudicava lo stato di” conservazione sufficiente” delle popolazioni di lupo. Allora andrebbe chiesto alle singole Regioni e all’ISPRA se esistono specifiche richieste di gestione del lupo e in questo caso sarebbe oltremodo interessante conoscere il contenuto dei pareri. Nel caso invece manchino richieste in questo senso c’è da ritenere che il problema non sia tale da richiedere un intervento in deroga, oppure che il lupo non sia ancora in condizioni di ” conservazione sufficiente “.