Le recenti discussioni sull’uso di vaccini e farmaci ritenuti non sufficientemente noti se non sperimentali, dando invece una più o meno completa fiducia a trattamenti naturali, dimenticano quanto vi sia ancora da conoscere e pieni di misteri siano i salicilati, una categoria di farmaci largamente usati nei vegetali, negli animali e soprattutto nell’uomo dove sono anche presenti nella sua alimentazione, argomento in parte considerato in precedenza (G. Ballarini - Salicilati in tavola – Georgofili INFO 06 luglio 2016 - https://www.georgofili.info/contenuti/risultato/2802).
Le piante ricche di salicilati sono state utilizzate per scopi medicinali per millenni anche da altre culture antiche, tra cui babilonesi, assiri, cinesi e dagli indigeni del Nuovo Mondo e già nel IV secolo a. C., gli estratti di foglie e corteccia di salice sono prescritti da Ippocrate per alleviare la febbre e il dolore del parto. Le piante ricche di salicilato sono studiate clinicamente a metà del 1700 dal reverendo Edward Stone, nel 1828 Johann Buchner purifica il principio attivo della corteccia di salice e lo chiama salicina, nel 1874 viene prodotto l’acido salicilico sintetico e Felix Hoffmann della Bayer and Company sintetizza l'acido acetilsalicilico che nel 1897 è commercializzato con il nome di con il nome di aspirina, divenendo uno dei farmaci più utilizzati al mondo.
Sul numero del 3 dicembre ultimo scorso di All about Feed è comparso un articolo sulle prospettive future della coltivazione della soia nel mondo, dal titolo “The soybean situation: 2021 and beyond”.
L’argomento è estremamente interessante e preoccupante e vale la pena di essere commentato sul nostro notiziario “Georgofili Info”, non solo perché riguarda il futuro di un prodotto agricolo importante, quanto perché la coltivazione della soia è strettamente connessa al problema del riscaldamento globale e della sostenibilità ambientale. Tutto ciò sia a causa della deforestazione condotta per “liberare” dalla foresta vaste aree da destinare alla coltivazione di soia, sia perché questa deve essere poi trasportata dai luoghi di produzione in tutto il mondo e non certo “a chilometro zero”.
L’Accademia dei Georgofili non è nuova a segnalare il problema: solo il 20 maggio scorso ha dedicato all’argomento una giornata webinar dal titolo “Alimenti proteici in alimentazione animale, problemi connessi con la coltivazione della soia”, cui ha partecipato anche un funzionario del governo brasiliano.
All about Feed ci segnala che la produzione globale di soia è più che raddoppiata dal 2000, per il 70% su terreni di nuova utilizzazione.
La sola Cina ha aumentato le proprie importazioni di soia del 2000% dal 2000. A causa delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti, da cui importa parte della soia, la Cina si sta rivolgendo sempre di più al Sud America, in cui, di conseguenza, aumenta lo scempio insostenibile della deforestazione selvaggia.
Per quanto riguarda il resto del mondo, l’Europa è la seconda per quantità di soia importata, seguita dai Paesi del Sud-Est asiatico, dalla Turchia e dalla Russia.
In Europa la produzione locale di soia sta aumentando. Il fabbisogno di soia del continente, escluso il Regno Unito, è stimato in circa 28-29 milioni dio tonnellate l’anno, ma la produzione europea è attualmente di soli 10 milioni di tonnellate. Il resto si importa dal Brasile, Argentina, Nord America e Paraguay e continueremo verosimilmente a farlo, con tutti i problemi connessi.
Professore Tagliavini che cosa è AISSA e che ruolo ha?
AISSA (https://www.aissa.it), attiva dal 1999, riunisce le 22 società scientifiche agrarie che si occupano di agricoltura, foreste e alimenti. Gli associati, alcune migliaia, sono la quasi totalità dei professori e ricercatori universitari attivi nei Dipartimenti di Agraria, e moltissimi ricercatori di Enti pubblici (es. CREA e CNR) o privati. AISSA promuove iniziative di coordinamento scientifico tra le società scientifiche, per valorizzare la pluralità di competenze che consentono di affrontare problemi complessi come quelli dell’agricoltura italiana. Il ruolo di AISSA come interlocutore nei confronti delle Istituzioni è cresciuto nel tempo grazie ad una serie di prese di posizione e pareri, iniziative editoriali, interventi su quotidiani, attività convegnistiche e partecipazione in commissioni e gruppi di lavoro.
AISSA valorizza le migliori tesi di dottorato in ambito agrario, tramite i premi dedicati alla memoria del prof. Michele Stanca, già presidente e presidente onorario AISSA. Lo spirito di AISSA è presente anche nei giovani ricercatori, che organizzano i convegni AISSA#under40, in cui vengono incubate idee grazie alle interazioni tra i giovani afferenti alle diverse discipline agrarie.
Quali attività ha portato avanti nel passato e quali si prospettano nel prossimo futuro?
Negli ultimi anni, AISSA ha promosso un’approfondita analisi della sostenibilità dell’agricoltura italiana, soffermandosi in particolare sull’importanza di conciliare l’intensificazione colturale e l’innovazione, da un lato, con il raggiungimento di elevati standard di sostenibilità ambientale, dall’altro. Abbiamo prodotto il volume “Intensificazione sostenibile: strumento per lo sviluppo dell’agricoltura Italiana” e Il volume n. 1 dei “Quaderni di AISSA” in cui vengono esaminate le buone pratiche di intensificazione attuabili nell’ambito dei sistemi agroalimentari “Olivo ed Olio”, “Foresta e Legno”, “Cereali e Trasformati” e “Produzione Ovino-Caprina”. Entrambi i volumi sono scaricabili gratuitamente dal sito di AISSA.
AISSA, tramite l’attività del suo consiglio di presidenza che include i professori Alberto Alma, Luca Cocolin, Giuseppe Corti, Marco Marchetti e Davide Viaggi, monitora e interviene per la parte di sua competenza nel dibattito nazionale sui diversi aspetti che riguardano la ricerca scientifica in ambito agrario, dalle priorità della ricerca, ai finanziamenti, alla valutazione della produttività scientifica e del suo impatto. Alcune di queste attività vengono condotte insieme alla Conferenza per Didattica AGRARIA. Recentemente abbiamo prodotto un documento su “Uso degli indicatori e dei relativi valori-soglia nell’ambito della ASN: effetti virtuosi e criticità”, inviato al CUN e diffuso capillarmente nelle sedi universitarie, e co-organizzato un convegno in cui è stata presentata un’analisi degli effetti sulle Scienze Agrarie, a dieci anni dalla riforma dell’Università (L. 240/2010).
Nel prossimo futuro, verrà diffusa la “Visione di AISSA sulle priorità di ricerca in ambito agro-food” frutto di un lavoro collegiale, in cui sono stati sviluppati i contenuti della “Lettera aperta di AISSA alla Ministra Senatrice Teresa Bellanova”, pubblicata su IlSole24ore nel 2020.
Tra gli obiettivi perseguiti dall’Italia per arrivare alla transizione energetica assume un ruolo rilevante l’accelerazione del percorso di decarbonizzazione, cioè il processo di riduzione del rapporto carbonio-idrogeno nelle fonti energetiche. Questo è quello che prevede il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima in Italia, un piano che illustra una vera e propria trasformazione dell’economia, nella quale la decarbonizzazione e l’uso razionale ed equo delle risorse naturali sono sia obiettivi sia strumenti per un’economia più rispettosa delle persone e dell’ambiente.
L’azienda energetica Fri-El Green House, che produce pomodori idroponici
a marchio H2Orto, per un’agricoltura a impatto zero o quasi, ha fatto
di questi obiettivi nazionali la sua missione personale già nel 2016,
anno di realizzazione della prima serra idroponica.
Per la prima volta è stata dimostrata la capacità di produrre acido linoleico coniugato (CLA) da parte di alcuni ceppi di lieviti panari. Questa è una preziosa proprietà, dato che il nostro organismo non è in grado di produrre CLA, un acido grasso polinsaturo essenziale per la nostra salute, che ha attività anticarcinogeniche, antiinfiammatorie e ipocolesterolemiche. Tali ceppi selezionati si sono rivelati anche degli efficienti produttori di acido propionico, un acido grasso a catena corta, che mostra proprietà immunomodulatorie, antimicrobiche e ipocolesterolemiche, nonché dell’enzima fitasi, che aumenta la disponibilità di alcuni minerali fondamentali per la nostra salute.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Foods ed è stato svolto nell’ambito del progetto nazionale “Processing for healthy cereal foods”, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, con l’Università di Pisa come capofila che ha coordinato il lavoro di scienziati appartenenti a sette università e a un Istituto del CNR. Lo scopo del progetto era quello di sviluppare un sistema modello per produrre diversi tipi di pane ad elevato valore salutistico per la catena alimentare italiana.
La ricerca è iniziata dalla caratterizzazione in vitro di oltre 130 ceppi di lievito, isolati da prodotti fermentati a base di cereali, per la loro attività fitasica. Tale attività è capace di conferire agli impasti e al pane un valore nutrizionale più elevato. Infatti, i cereali integrali rappresentano una buona fonte di minerali, tra cui calcio, ferro e zinco, che però sono poco biodisponibili, perché legati ai fitati, cioè alle molecole di mio-inositolo esafosfato, che formano con essi complessi insolubili, impedendone l’assorbimento. Gli enzimi chiamati fitasi, che gli esseri umani non sono in grado di produrre, sono capaci di defosforilare i fitati e aumentare così la biodisponibilità di tali minerali. Molti dei ceppi di lievito selezionati hanno mostrato di possedere un’alta capacità fitasica, che li rende oggetto di ulteriori studi finalizzati al loro utilizzo per combattere deficienze di minerali, soprattutto nei paesi poveri, dove le carenze di ferro e zinco rappresentano un problema nutrizionale comune, specie in donne e bambini. Una successiva selezione, effettuata in vivo negli impasti, ha permesso di individuare, tra i ceppi con alta attività fitasica, quelli con alta capacità lievitante, essenziale per la produzione di impasti panari. Poiché i ceppi selezionati appartenevano alla specie Saccharomyces cerevisiae, si sono mostrati adattissimi alla panificazione.
Tra i composti bioattivi testati, rivestono una grande importanza gli acidi grassi a catena corta (SCFA), come acido acetico, propionico e butirrico, che, oltre alle già citate proprietà nutraceutiche, influenzano l’aroma del pane e inibiscono la crescita di microrganismi contaminanti in vari alimenti fermentati. Alcuni dei nostri ceppi di lievito hanno prodotto negli impasti alti livelli di acido propionico, composto che usualmente si accumula nel colon, al termine della fermentazione di carboidrati e fibre da parte del microbiota intestinale, e che esercita azione immunosoppressiva e regola la sintesi di grassi e colesterolo nel fegato.
I vini a Denominazione di Origine Controllata, Denominazione di Origine Controllata e Garantita (vini a Denominazione di Origine Protetta, secondo la normativa comunitaria) e ad Indicazione Geografica Tipica (Indicazione Geografica Protetta, secondo la normativa comunitaria) devono essere prodotti rispettando le rigide regole stabilite da specifici disciplinari di produzione. Attraverso tali atti, oltre alla denominazione protetta, vengono disciplinate tutte le procedure produttive (vitigni ammessi, rese di campo e di trasformazione, pratiche enologiche, zona di produzione, tipologia di impianti, pratiche agronomiche) e commerciali (recipienti ammessi e tipologie di chiusura degli stessi, norme di etichettatura, caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche). Il riconoscimento di una denominazione, e l’approvazione del relativo disciplinare di produzione, avviene attraverso una procedura nazionale, gestita da Regioni e Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ed una comunitaria che si conclude con l’iscrizione delle DOP e IGP nell’apposito Registro comunitario, a seguito della quale viene assicurata a tali denominazioni la protezione nell’ambito dell’Unione europea ed a livello internazionale.
Così come l’iscrizione di nuove denominazioni, anche le modifiche ai disciplinari di produzione già esistenti seguono specifiche procedure che possono essere gestite a livello nazionale (nel caso di modifiche ordinarie) oppure possono necessitare di valutazioni in sede di Unione Europea.
Il giorno 3 novembre scorso ha avuto il via libera da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano lo schema di DM relativo alla procedura nazionale per la presentazione e l’esame delle domande di protezione delle DOP, IGP e Menzioni Tradizionali dei vini, nonché per le domande di modifica dei disciplinari.
Analogamente a quanto già da molto tempo avviene per gli altri prodotti DOP e IGP dell’agro-alimentare, a decorrere dal 1° agosto 2009, anche per le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche dei vini, la competenza giuridico-normativa primaria in materia di protezione è in capo all’Unione europea, fatta salva la competenza normativa sussidiaria degli Stati membri per gli aspetti procedurali in questione, nonché per la gestione produttiva e dei controlli delle DOP e IGP dei vini.
La ripresa è appena iniziata e muove i primi passi, ma il suo futuro rimane imperscrutabile, gravato da una pesante ipoteca: l’imprevedibilità della crisi sanitaria. Mentre la quarta ondata colpisce il mondo, in particolare le economie avanzate che trainano la ripresa, appare una nuova temibile variante sconosciuta e non sarà l’ultima.
Intanto si fa strada la certezza che la ripresa non avrà un andamento lineare e progressivo, ma dovrà fare i conti con una serie di fenomeni che, forse con un eccesso di ottimismo, si riteneva potessero trovare composizione man mano che l’economia cresceva. In particolare si scontra con: a) l’impatto dei danni inferti al sistema economico durante i mesi della pandemia; b) l’inflazione in agguato che con la ripresa acquista vigore.
Il problema richiede una riprogettazione dell’intera filiera dei consumi ed un cambio di mentalità dei consumatori. Innanzitutto, dobbiamo rompere l’abitudine alla plastica. Per esempio, usare una borsa di stoffa per trasportare la propria spesa evita che tanti sacchetti di plastica siano gettati negli oceani e nelle discariche. Per il 2025 tutti gli Stati aderenti all’Unione europea dovranno interrompere definitivamente la vendita di alcuni prodotti plastici monouso.
Non troppi anni addietro, era il 2014, il compianto Presidente Emerito dell’Accademia dei Georgofili, prof. Franco Scaramuzzi, concludeva una giornata di studio dell’Accademia dedicata al tema dei danni da fauna selvatica in agricoltura evidenziandone la loro “insostenibilità”. Tali danni non erano nel suo pensiero “sostenibili” perché la soluzione al problema era nella legge, ossia il contenimento delle specie per perseguire il loro equilibrio sul territorio come auspicato dal legislatore. La linearità del premisero e la correttezza del metodo di analisi del Maestro si scontravano (e, purtroppo, tutt’ora si scontrano) con la miopia del legislatore. Come in altri casi, prontamente evocati, l’esigenza fortemente proclamata dagli agricoltori rimaneva (e rimane) non ascoltata. A distanza di anni, i danni si susseguono, le criticità sono aumentate, e l’agricoltore rimane privo di una concreta tutela dei propri diritti.
In termini generali, va detto che la questione non è di pronta soluzione ove si consideri l’eterogeneità dei danni, le specie che li causano e il loro regime di tutele differenziate. Sul piano prettamente giuridico occorre considerare che l’evento dannoso causato dalla fauna selvatica, come tutti gli eventi naturali, investe i profili della responsabilità e della risarcibilità del pregiudizio patito dall’imprenditore per ristorare i costi e le perdite generate, alcuni dei quali sono assolutamente non prevedibili e si manifestano in modo violento e catastrofale e altri, pur prevedibili, si verificano in modo ripetuto al punto da terminare l’emergere di danni altrettanto ingenti alle produzioni agricole. Tutti questi eventi, in quanto determinati da fattori ingovernabili da parte dell’uomo, o perché imprevedibili o perché insormontabili, possono produrre modifiche nell’ecosistema e interferenze nelle attività antropiche determinando un pregiudizio che si manifesta non solo nella perdita della produzione o di singoli beni aziendali, ma ancor più per l’effetto che tali eventi possono determinare sul mercato ove opera abitualmente l’agricoltore.
Il tema evidenzia non solo la complessità fenomenologica del danno da fauna selvatica in agricoltura, ma ancor più la difficoltà a definire un regime di tutela del soggetto danneggiato che, per l’impianto normativo vigente, dettato dalla l. 157/92, resta ancora limitato. La disciplina trova il sistema di gestone del rischio al suo interno ove si consideri la forte correlazione tra prevenzione e ristoro del danno, ove la regola è rappresentata dagli atti di prevenzione da parte della Pubblica Amministrazione per perseguire la densità ottimale delle specie sul territorio; il ristoro del danno dovrebbe trovare luogo in via residuale. Questa prospettiva non può non essere perseguita. D’altronde, la stabilizzazione dei redditi degli agricoltori si attua anche con misure concrete di gestione del rischio da perseguire con interventi ex ante volti a contenere le specie sul territorio in ragione di un giusto equilibrio. Va detto che il regime giuridico vigente determina una protezione assai esigua per l’agricoltore, e soprattutto non più adeguata in ragione dei molti fattori che sono alla base dell’aumento della pressione faunistica che espongono l’agricoltore a danni che si riflettono sull’impresa e quindi sulla sua presenza sul mercato.
Nel corso degli ultimi decenni i cambiamenti climatici hanno determinato
a livello globale un forte impatto sia sugli ecosistemi sia sui sistemi
agro-zootecnici. Lo studio dell’adattamento delle risorse genetiche
animali alle condizioni climatiche ed ambientali che cambiano è stato
l’oggetto di numerosi progetti nazionali ed internazionali, cui molti
ricercatori e ricercatrici italiane hanno partecipato in questi anni. A
questo proposito, si presenta il recente lavoro pubblicato sulla
prestigiosa rivista Frontiers in Genetics dal titolo: “The climatic and genetic heritage of Italian goat breeds with genomic SNP data” https://www.nature.com/articles/s41598-021-89900-2Il progetto di ricerca che ha generato i risultati pubblicati, è nato nell’ambito della iniziativa Italian Goat Consortium (IGC), coordinata dalla Prof.ssa Paola Crepaldi dell’Università degli Studi di Milano e vede la partecipazione di ricercatori appartenenti a numerose Università e Centri di ricerca italiani che si sono uniti condividendo campioni biologici, informazioni, tecnologie e competenze, allo scopo di analizzare il genoma delle razze caprine italiane e di colmare una lacuna di finanziamenti su di una specie così importante per molte aree rurali e montane del paese.
Lo studio pubblicato ha analizzato il ricco panorama della biodiversità caprina, mediante l’utilizzo di marcatori genomici SNPs, mettendoli in relazione con numerose variabili climatiche e valutando l’evoluzione climatica attesa nelle diverse aree di allevamento prevista nei prossimi 70 anni.
La ricerca, che ha indagato più di 1000 animali appartenenti a 33 razze/popolazioni allevate in Italia, ha portato a confermare l’esistenza di similitudini e differenze legate alla conformazione geografica del paesaggio italiano ed influenzate dalla situazione geopolitica precedente l’unità d’Italia. Sono emersi gruppi di razze che presentano aplotipi SNPs condivisi e gruppi che hanno subito un più marcato isolamento e deriva genetica. Inoltre è stato possibile identificare genotipi legati ad alcune variabili climatiche che caratterizzano i diversi areali di allevamento. Infine, sono state svolte analisi di previsione sulle frequenze genotipiche di SNPs attese ed associate a regioni genomiche ospitanti geni candidati coinvolti nell’adattamento al clima.
Il Parlamento europeo ha approvato ieri, 23 novembre 2021, con oltre il 65 per cento di sì, i tre regolamenti - piani strategici, orizzontale e organizzazione comune dei mercati - sulla base dei quali è strutturata la nuova Pac che entrerà in vigore il primo gennaio 2023. I regolamenti orizzontale e l'OCM hanno superato il 70 per cento di sì. I testi approvati verranno validati definitivamente dal consiglio europeo nei primi giorni di dicembre, per poi essere pubblicati sulla gazzetta ufficiale dell'Unione entro la fine del 2022.
"La politica agricola comune che oggi presentiamo ai cittadini europei e che accompagnerà i nostri agricoltori dal 2023 al 2027, è frutto di un negoziato durato tre anni, e rappresenta un equilibrio ambizioso tra i tre livelli di sostenibilità - economica, sociale e ambientale - del nostro sistema agricolo", ha dichiarato Paolo De Castro, coordinatore del gruppo S&D alla Commissione agricoltura del Parlamento europeo e accademico dei Georgofili, al termine delle votazioni sulla riforma della Pac 2023-2027, approvata oggi in plenaria. "Senza la spinta del Parlamento, punti qualificanti di questo accordo non avrebbero mai visto la luce. A partire dal risultato storico sul fronte dei diritti dei lavoratori: per la prima volta, abbiamo inserito infatti un sistema di condizionalità che eviterà che fondi pubblici finiscano nelle tasche di chi non rispetta i diritti dei lavoratori, ponendo fine alla concorrenza sleale di quegli imprenditori che lucrano a discapito della tutela dei diritti dei lavoratori. Vogliamo un'agricoltura ancora più forte e competitiva capace di garantire la sicurezza alimentare dei nostri cittadini. Per questo, il sostegno al reddito rimarrà un elemento essenziale, accompagnato da misure rafforzate di gestione dei rischi, e da maggiori fondi per il supporto dei giovani agricoltori e per gli aiuti accoppiati ai prodotti in situazioni di mercato meno favorevoli, come pomodoro, barbabietole o riso. In più, coltivazioni emblematiche del made in Italy, dall'ortofrutta, al vino, all'olivo di oliva, continueranno a essere supportate tramite interventi settoriali ad hoc. Senza dimenticare il sistema delle indicazioni geografiche e dei consorzi di tutela, che potranno finalmente gestire l'offerta di prodotto e meglio rispondere alle fluttuazioni di mercato", ha sottolineato.
"Questa riforma – ha commentato De Castro - determinerà anche il contributo fondamentale della Pac e dei nostri agricoltori al raggiungimento degli obiettivi che l'unione si è posta con il Green Deal, destinando almeno un quarto degli aiuti diretti agli eco-schemi e almeno il 35% dei fondi per lo sviluppo rurale a misure ad alto valore ambientale. Ma per vincere le sfide ambientali e sociali che ci attendono, sarà necessaria quella conoscenza delle dinamiche territoriali che caratterizza le nostre amministrazioni regionali: proprio per questo abbiamo voluto salvaguardare il loro ruolo, rendendole protagoniste nella redazione dei piani strategici nazionali". "Sono serviti anni di negoziato ma ne è valsa la pena per una futura politica agricola forte e davvero comune, più equa e più sostenibile", ha concluso.
Fonte: notiziario Agrapress, 23/11/2021
La Giornata di Studio sui Distretti del Cibo del 18 novembre ha analizzato in profondità la loro mission come strumenti di politica di sviluppo rurale ed ha evidenziato con puntualità i passi ancora da compiere per potenziarli, attraverso la ricerca dell’Osservatorio Nazionale istituito dal Centro Studi GAIA.
Ma quale importanza rivestono questi distretti per il cittadino-consumatore?
Poiché stiamo parlando di politiche incentivanti, dunque di contributi pubblici, la domanda è più che doverosa e la risposta deve essere puntuale.
La ripresa economica in movimento a partire dai Paesi ad economia avanzata mette a segno incrementi di crescita che a ottobre sono superiori alle previsioni di luglio e che fanno sperare in un risultato su base annua ancora migliore. L’economia globale alla fine del 2021 è prevista in crescita del 5,9% rispetto al 2020 e nel 2022 dovrebbe salire del 4,9%. Quella Italiana, secondo il documento programmatico di bilancio, segnerà un incremento superiore al previsto 6% che dovrebbe portarla almeno al 6,2%. Ci si chiede con speranza e con ansia se davvero tutto stia riprendendo e per quanto tempo i ritmi del 2021 potranno continuare. I segnali sono spesso contrastanti e andrebbero considerati con grande ponderazione e in un quadro complessivo vasto. È l’esperienza stessa del mondo al tempo della pandemia a suggerire una condotta cauta. Nella trepidazione del momento non dobbiamo dimenticare che la pandemia è stata contenuta, ma non è finita né domata. Da ciò nascono dubbi e problemi.
Il mondo della scienza non è mai stato un mondo femminile, ancora oggi si stenta a raggiungere la parità di genere, immaginiamoci che cosa significasse essere una donna scienziata nel XVIII secolo.
E' stato infatti quasi per caso, analizzando i registri manoscritti degli accademici corrispondenti dalla fondazione dell'Accademia dei Georgofili nel 1753 al 1764, che i due curatori di questa mostra - Davide Fiorino e Daniele Vergari - si sono imbattuti in nomi di donne presenti tra i soci, le quali tuttavia non erano mai state presentate ufficialmente dalla storiografia. Donne che, pur avendo dato contributi importanti al mondo della scienza del loro tempo, sono state relegate ai margini di una comunità, che nemmeno permetteva loro l'accesso agli studi superiori e pertanto erano costrette a muoversi da autodidatte in un mondo che le discriminava a priori.
E' nata così la mostra "Riconoscere il merito, superare i pregiudizi: scienziate ai Georgofili (1753-1911)", on-line sul sito dell'Accademia dei Georgofili.
La prima scienziata presentata è la Marchesa Teresa Paveri Invrea, la cui elezione risale al 1812 ed è autrice di un volume, pubblicato anonimo (la discriminazione da parte degli uomini andava di pari passo ad un forte condizionamento sociale che generava ritrosia nelle stesse accademiche a presentare pubblicamente il proprio lavoro), sul procedimento chimico per ottenere zucchero dall'uva, in un momento storico nel quale lo zucchero era un prodotto scarsamente disponibile a causa delle politiche commerciali del regime napoleonico.
La seconda figura femminile ammessa come accademica dei Georgofili, di cui si parla nella mostra, è una botanica: Elisabetta Fiorini, piuttosto nota nel mondo scientifico del XIX secolo, soprattutto per lo studio delle piante Crittogame e per un'opera sulla biodiversità vegetale presente al Colosseo.
Mentre si avvicina il centenario di Anbi, l’Associazione nazionale dei Consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue, previsto nel 2022, proprio i Consorzi di Bonifica si stanno confrontando con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un’occasione, quella rappresentata dai fondi messi a disposizione dall’Unione europea, sulla quale abbiamo fatto il punto con il presidente di Anbi Toscana, Marco Bottino.
Presidente Bottino, tra un anno l’Anbi festeggerà i suoi 100 anni. Cosa rappresentano oggi i Consorzi per il Paese?
Negli anni il ruolo dei Consorzi di Bonifica a livello nazionale e locale si è evoluto moltissimo. Oggi l’attività dei Consorzi non è più ‘solo’ quella di enti deputati al lavoro di regimazione delle acque per la tutela del territorio, che pur rimane un aspetto fondante del nostro operato, ma abbraccia sempre più la riqualificazione, la tutela dell’ambiente, il sostegno all’agricoltura. Basti pensare che il piano di Anbi nazionale per il 2021 è quello di realizzare il Piano Invasi multifunzionale, per iniziare a utilizzare le acque reflue trattate per il cibo e per valorizzare le imprese agroalimentari, a beneficio di cittadini, imprese e dell’ambiente. Ma tanto si sta investendo anche per efficientare l’uso della risorsa irrigua.
Sono stati inseriti progetti irrigui anche nel Pnrr?
Lo scorso 30 settembre il Mipaaf ha approvato una serie di progetti sui quali si sta procedendo. Dovrebbero essere chiusi a breve anche i due bandi Fsc 2020 che saranno particolarmente importanti per il Sud. In totale, in Italia, sono 129 i progetti messi a punto dai Consorzi di bonifica per 1 miliardo e 680 milioni di euro, a fronte di 520 milioni di euro di nuove risorse disponibili sul Pnrr. Il tutto a dimostrazione che i Consorzi di bonifica sono in grado di offrire al Paese un patrimonio concreto di progetti utili a cittadini, territori e imprese capace di rispettare le tempistiche del Pnrr.
Dopo una presenza di circa settanta anni e soprattutto per la sua
diffusione in tutto il Mediterraneo, il granchio blu è da considerare
ancora un alieno, o piuttosto un immigrato che si è adattato al nostro
ambiente e soprattutto usarlo in cucina?
Nell’immaginario comune, tutto ciò che viene proposto come “nuovo” incuriosisce e stimola l’interesse a provare. Tutto
questo è valido per i diversi settori della società, senza tralasciare
il mondo dell’agricoltura. Ricercatori, tecnici e agricoltori sono
sempre più affascinati dal mondo degli “stimolanti”, spesso con
aspettative che, in molti casi, vengono “letteralmente” deluse.
Sicuramente
le conoscenze del sistema ormonale delle piante hanno aperto grandi
strade per il miglioramento quali-quantitativo delle produzioni
agricole, ma rimangono, a parere di chi scrive, “semplici” nozioni di
fisiologia vegetale, come quelle relative alla fotosintesi
clorofilliana, che vengono tuttora disattese e inapplicate nei campi.
Una precisa caratteristica dell’allevamento di tutti gli animali
domestici è quella del controllo più o meno completo del momento
riproduttivo da parte dell’uomo. E infatti, se non fosse così, sarebbe
in opera la sola selezione naturale, come avviene per tutte le specie
selvatiche, e non la selezione artificiale operata appunto
dall’allevatore che sceglie i padri e le madri delle future generazioni
secondo criteri di utilità economica. Sebbene in forma non così
stringente come in altre specie, tipicamente i bovini, anche le api
sottostanno a questa regola. L’apicoltore più esperto esercita la sua
azione selettiva soprattutto scegliendo le future regine a partire dalle
migliori colonie. In questo modo sceglie le madri delle sue future api,
ma lascia alla libera fecondazione naturale la scelta dei padri. Una
regina vergine che parte per il suo volo nuziale si accoppia, appunto in
volo, con 10 – 18 fuchi che possono provenire anche da molti chilometri
di distanza. La mancanza di un controllo riproduttivo sul lato paterno,
come è stato discusso in diversi recenti lavori scientifici,
costituisce però un grave ostacolo ad un reale progresso genetico in
questa specie ed espone anche le varietà locali a fenomeni di
“inquinamento genetico” qualora alcuni fuchi provengono da regine non
autoctone.
Il controllo della riproduzione nelle api può essere
realizzato solo in due modi: utilizzando l’inseminazione strumentale
(IS), oppure designando delle aree vincolate in cui i fuchi presenti
provengano da precise e selezionate colonie.
L’IS è pratica
abbastanza conosciuta e diffusa anche se richiede capacità tecniche,
strumenti e nozioni non alla portata di tutti. È necessario poi avere le
vergini pronte all’inseminazione contemporaneamente ai fuchi maturi da
prelevare dalle colonie prescelte. Richiede la capacità di produrre
vergini in un numero che giustifichi l’impegno, a partire da apposite
colonie orfane che ne allevino in gran numero. È necessario un piccolo
laboratorio in cui le condizioni di lavoro siano agevoli e l’igiene sia
rigorosamente mantenuta. Tutto fattibile, ma certamente impegnativo.
Uno dei numerosi fitofagi di secondario interesse applicato per l’Olivo è il Curculionide Stereonychus fraxini (De Geer, 1775) che, solo occasionalmente, si riscontra negli oliveti e quasi sempre sulle foglie e sugli apici vegetativi dei polloni basali. Segnalato nelle principali aree del Bacino mediterraneo è frequente sulle Oleacee Fraxinus excelsior e F. ornus, considerate principali piante ospiti del Curculionide