Messaggio schematico, in pillole, ma forte, sulle ragioni che rendono impellente la necessità di invertire la rotta nella gestione del verde urbano nelle nostre città e portare questo tema alla ribalta dell’azione amministrativa.
Sul tema si registrano in generale, sui social e altrove, atteggiamenti diversi, ma tutti stigmatizzabili: indifferenza, talvolta condita da superficiale ironia, come se chi li scrive vivesse su una rampa di lancio pronto a salpare per altri pianeti, e ciò che accade in questo proiettato nel microcosmo delle nostre città non lo toccasse, o messianici messaggi filoambientalisti, che nascondono dietro una parvenza di green il grigio della filo cementificazione; oppure si identifica il verde urbano con qualche aiuola i cui fiori sono costantemente cambiati sulla base di canoni puramente estetici o con una visione ottocentesca dei nostri orti botanici museale mummificatoria che trascura la straordinaria valenza ecosistemica che lo connota.
È necessario andare oltre: si deve parlare di verde urbano, o meglio, della foresta urbana per usare un termine ormai consolidato nel linguaggio degli addetti ai lavori, solo sulla base di due elementi: conoscenza dei dati scientifici e conoscenza delle norme giuridiche, che esistono da tempo, e che disegnano i binari che guidano l’azione della pubblica amministrazione in questo settore, costruite sulla base di quei dati scientifici.
Partiamo dal dato scientifico.
La scienza da tempo, in modo compatto, univoco e consolidato, ha lanciato un messaggio forte, un grido d’allarme legato anche alle proiezioni sull’aumento della densità abitativa dei contesti urbani e periurbani: il consumo di suolo, la impermeabilizzazione del suolo, in ambito urbano e periurbano va fermato perché innesca nella città una escalation esponenziale di altre criticità di matrice ambientale, tutte strettamente interconnesse tra loro, nel senso che l’una genera e potenzia l’altra: perdita di stabilità idrogeologica, aumento del tasso di inquinamento, perdita o erosione di biodiversità, habitat e specie, con conseguenze devastanti, in un’ottica antropocentrica, in termini di perdita di servizi ecosistemici, incremento dei consumi energetici, artefici del fenomeno delle isole di calore che, a sua volta, potenzia il cambiamento climatico che poi si ripercuote negativamente su tutti questi fattori negativi fungendo all’interno della città da moltiplicatore di insostenibilità: questo gioco perverso di reciproci condizionamenti ha un’incidenza significativa e scientificamente acclarata sul benessere e sulla salute umana, come dimostrano i dati dell’ONU e dell’OMS, contribuendo ad incidere anche sulla diffusione e radicazione di nuove epidemie e pandemie.
È il paradigma del One Health, visione sincronica e circolare che lega indissolubilmente la tutela della salute del pianeta e quella dell’uomo, nell’emersione e nel rafforzamento delle rispettive criticità come nell’impatto positivo delle rispettive soluzioni.
Ed è ancora la scienza in modo compatto, univoco e consolidato, ad evidenziare il ruolo strategico che il potenziamento delle aree verdi all’interno delle città può giocare, attraverso la gamma di servizi ecosistemici ad esse connessi nella sfida a superare le defaillances climatico ambientali che affliggono i nostri centri urbani: riduzione dei consumi energetici e, a cascata attenuazione degli effetti deleteri dell’isola di calore, miglioramento della qualità dell’aria attraverso l’abbassamento dei livelli di inquinamento atmosferico, riduzione dei livelli di rumore, miglioramento del ciclo dell’acqua, stabilizzazione del suolo, conservazione e potenziamento della biodiversità, matrice, quest’ultima, di ulteriori effetti benefici a cascata sull’ecosistema urbano. Studi specifici hanno poi evidenziato l’impatto sulla salute umana indotto da questa gamma di effetti benefici del verde urbano: minor rischio di malattie cardiovascolari e di sindrome metabolica, consistente diminuzione del rischio di morte prematura, oltre alla riduzione dello stress ed al miglioramento del benessere psichico che deriva dal contatto con la natura.
E ora passiamo alla seconda chiave di lettura della foresta urbana: il diritto.
Qui sono inequivocabili due scelte di fondo forti e interconnesse, maturate sulla scia delle evidenze scientifiche, che mettono al centro dell’azione ambientale internazionale e dell’Unione Europea, finalizzata a realizzare una reale transizione ecologica della città: l’una, la lotta al consumo di suolo, fino al relativo azzeramento entro il 2050 internazionale; l’altra la costante attenzione a valorizzare il ruolo della città nella moderna dimensione dello sviluppo sostenibile dove come strumento cardine dei nuovi modelli di città sostenibili si enfatizza il potenziamento della foresta urbana e periurbana, di ecosistemi integri, infrastrutture verdi e soluzioni basate sulla natura, da integrare sistematicamente nella pianificazione urbana, così come nella progettazione degli edifici e delle loro pertinenze; dove particolare attenzione va riservata alla conservazione e all’ampliamento dei Siti Natura 2000 interamente o parzialmente ubicati in contesti urbani.
La direzione è questa e vi convergono tutta una serie di documenti sui quali si basa l’azione ambientale del futuro, basta prenderne atto e leggerli: Agenda 2030 dell’ONU, Green Deal Europeo, Strategia Europea sulla biodiversità, Strategia Forestale Europea, il decreto clima del 2019 e la relativa legge di conversione, il PNRR italiano, Strategia Nazionale sulla biodiversità 2030, Strategia forestale nazionale per il 2030, la Strategia Nazionale del verde urbano.
Ma cosa deve fare un’amministrazione comunale che voglia muoversi in questa direzione? Seguire le norme che le dicono chiaramente cosa fare, quali strumenti utilizzare, quali indicazioni seguire per una corretta pianificazione, progettazione, manutenzione, come prevenire e affrontare le criticità legate all’invecchiamento delle piante, andando oltre i limitati sia pur meritori confini degli antesignani strumenti del diritto urbanistico. Queste norme esistono già dal 2013, contenute nella legge 14 gennaio 2013, n. 10, che reca il titolo Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani n. 10, corredate nel 2018 dalle Linee guida per la gestione del verde pubblico, e dalla Strategia nazionale del verde pubblico redatte dal Comitato nazionale per il Verde pubblico creato da quella legge e composto da veri esperti della materia, incardinato presso il Ministero della Transizione Ecologica.
Tali disposizioni, in coerenza con indicatori di matrice internazionale, individuano e disciplinano dettagliatamente un pacchetto di strumenti configurandoli come la dotazione minima e imprescindibile di ogni Comune, indipendentemente dalle sue dimensioni e dalle risorse finanziarie, per garantire una proficua gestione del verde pubblico: la incentivazione di una adeguata formazione, a partire da quella scolastica e universitaria, e, sulla falsariga della precedente legge 29 gennaio 1992, n. 113, l’obbligo a carico dei Comuni con popolazione superiore a quindicimila abitanti, di porre simbolicamente a dimora un albero nel proprio territorio entro sei mesi dalla registrazione anagrafica di ogni neonato residente e di ciascun minore adottato; il Censimento del verde, che svolge un ruolo importante perché attraverso la individuazione e la classificazione degli alberi collocati in aree di proprietà pubblica nell’ambito del territorio del Comune rappresenta la base informativa sulla quale sviluppare politiche di promozione e valorizzazione del verde urbano, il Piano del Verde, parte integrante dello strumento urbanistico generale del Comune, considerato, nell’ottica della legge del 2013, strategico per la gestione e la pianificazione del verde urbano delle città; il Regolamento del Verde, il Bilancio Arboreo, che, ai sensi dell’art. 2 della stessa legge, ogni Sindaco ha l’obbligo di redigere e rendere noto due mesi prima della scadenza del suo mandato, e nel quale viene indicato il rapporto fra il numero degli alberi piantati in aree urbane di proprietà pubblica rispettivamente al principio e al termine del mandato stesso, e viene dato conto dello stato di consistenza e manutenzione delle aree verdi urbane di propria competenza.
Linee guida e Strategia offrono alle amministrazioni comunali i criteri e le linee guida per la realizzazione cinture verdi intorno alla città, e di filari alberati lungo le strade, per consentire un adeguamento dell'edilizia e delle infrastrutture pubbliche e scolastiche che garantisca la riqualificazione degli edifici, in coerenza con le previsioni della stessa legge 10/2013, anche attraverso il rinverdimento delle pareti e dei lastrici solari, la creazione di giardini e orti e il miglioramento degli spazi; indicano le azioni da porre in essere a garanzia della sicurezza delle alberate stradali e dei singoli alberi messi a dimora in giardini e aree pubbliche, sollecitano l’adozione di misure per la formazione del personale e ad elaborare capitolati finalizzati alla migliore utilizzazione e manutenzione delle aree medesime; oltre che per la promozione di interventi volti a favorire i giardini storici monumenti naturali di grande valore estetico, storico e culturale, parte integrante dell’identità del territorio dove sono stati realizzati, bene culturale di particolare delicatezza e complessità, in ragione della materia viva di cui è costituito, ma, al contempo componente fondamentale sotto il profilo ambientale del verde urbano.
Criteri e linee guida che intendono promuovere la diffusione di foreste urbane e periurbane coerenti con le caratteristiche ambientali, storico- culturali e paesaggistiche dei luoghi, nell’ottica di indirizzare le amministrazioni pubbliche, ad adottare modelli di pianificazione territoriale sostenibile e di progettazione urbana coerenti con gli obiettivi della Strategia, mirati a potenziare gli spazi riservati al sistema forestale urbano, passando da metri quadrati ad ettari e riducendo l’impermeabilizzazione degli spazi urbani, de-asfaltando tutte le aree in grado di tornare permeabili.
Fermo restando che ogni Piano del verde comunale, nell’ottica della Strategia, dovrà conservare la propria individualità, declinando le indicazioni in essa contenute in funzione delle proprie specificità e in una logica bottom up, che coinvolga cioè la più ampia partecipazione dei cittadini.
Alla luce dei dati scientifici e del diritto non è assolutamente accettabile assistere a alla realizzazione, a spese dei cittadini, di impianti di alberi non supportati da un adeguato impianto di irrigazione, la cui assenza li condanna ad un rapido disseccamento; è inaccettabile e va contro ogni logica e alle linee di indirizzo della politica ambientale internazionale, europea e nazionale, distruggere un parco periurbano, polmone verde di un quartiere già pesantemente cementificato, al taglio nello stesso di alberi maturi, erogatori di servizi ecosistemici non certo paragonabili a quelli che pochi stentati alberelli neonati possono offrire, con ricadute deleterie sulla salute dell’ambiente, dell’aria, del welfare fisico e psichico degli abitanti di quel quartiere. Il tutto operato contro la volontà dei cittadini della zona, violando quel sacrosanto principio di partecipazione che, come abbiamo visto, è il filo conduttore della normativa multilivello in materia di verde urbano.
È improcrastinabile cambiare la rotta nella pianificazione e gestione del verde pubblico nelle nostre città, inserirle adeguatamente tra le priorità delle amministrazioni comunali, riscattarle da ruoli ancillari assolutamente fuori tempo nei quali sono state relegate, trarre spunto da esempi illuminati di altre realtà urbane, privilegiare consolidate e testate professionalità da coinvolgere alle quali affidare ruoli operativi, diffondere tra i cittadini la cultura del verde che è poi specchio di cultura dell’ambiente, in quell’ottica di sviluppo sostenibile che ci conduce a guardare, a progettare, a prenderci cura nell’interesse della nostra generazione di cittadini ma anche di coloro che dopo di noi vivranno nelle nostre città. È questa, d’altra parte, l’attenzione allo sviluppo sostenibile il messaggio forte lanciato dalle recenti modifiche all’art. 9 della nostra Costituzione.