“Sangorache” è il marchio denominativo recentemente registrato dall’Università di Firenze per identificare la prima bevanda a base di amaranto coltivato in Italia, utilizzando una varietà di questo pseudocereale selezionata dall'Ateneo fiorentino come risultato di una sperimentazione promossa dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI). Ne parliamo con il Prof. Paolo Casini, impegnato da anni in questa ricerca.
Professore, innanzi tutto, ci ricorda che cos'è l'amaranto?
L'amaranto, con le sue diverse specie, è originario del Messico e delle zone andine dell'America del Sud. Estesamente coltivato principalmente per scopi alimentari fino all'arrivo dei Conquistadores, per secoli la sua coltivazione è stata vietata da quest'ultimi poiché legata ad alcuni riti pagani; con i semi si facevano figure antropomorfe che poi venivano consumate in occasioni rituali. Le indiscusse proprietà alimentari di questa pianta sono state riscoperte negli anni Settanta dello scorso secolo contribuendo al crescente interesse per questo pseudocereale nel settore alimentare e della ricerca anche ai fini di una sua proficua coltivazione al di fuori delle aree di origine. Le utilizzazioni dell'amaranto sono moltissime. Le principali caratteristiche di questa specie sono l’elevato contenuto di proteine (13-21%), di lisina e di calcio, oltre a essere caratterizzata dall’assenza di glutine e quindi idoneo all’alimentazione dei celiaci. Le proteine, con una digeribilità vicina al 90%, costituiscono un altro degli elementi caratterizzanti. Infatti, oltre alla già citata ricchezza in lisina, i semi di amaranto costituiscono una preziosa fonte di triptofano ed in genere di aminoacidi solforati.
I semi contengono in media 6-8% di lipidi. Una delle caratteristiche più importanti dell’olio di amaranto è il suo elevato contenuto di squalene (4-8%), un triterpene, composto strutturalmente molto simile al β-carotene, metabolita intermedio nella sintesi del colesterolo. Si tratta quindi di un’importante fonte di questa sostanza superiore a quella contenuta in altri vegetali come la crusca di riso, il germe di grano e l’olio di oliva. Recenti studi hanno messo in evidenza come lo squalene possa rientrare nella composizione di farmaci per la riduzione del colesterolo ematico. Quest’ultima proprietà, unita a quella antiossidante dei tocoferoli, composti generalmente indicati come vitamina E, viene sfruttata dall’industria cosmetica soprattutto nel settore della cura della pelle e dei capelli e, più genericamente, nei formulati anallergici. Le proprietà riconosciute sono attribuite all’elevato potere antiossidante “anti invecchiamento”.
L’amaranto, oltre a costituire la base di un gran numero di preparazioni alimentari, viene impiegato soprattutto utilizzando i semi soffiati per la formulazione di barrette, snack vari, muesli, granola, estrusi e, ridotti in farina, nell’ambito della pasticceria secca o fresca. Altra particolare utilizzazione sia nel settore non alimentare che alimentare, è quella dell’impiego dell’amido, caratterizzato da granuli molto piccoli (in media inferiori a 1 μm) in confronto a quelli del riso (3-8 μm), del frumento (3-34 μm) e del mais (5-25 μm) e di forma poliedrica. A causa delle loro dimensioni, e quindi della grande superficie specifica (rapporto superficie sviluppata/volume) per unità di peso, le particelle di amido di amaranto possiedono un’elevata capacità di assorbimento e possono essere utilizzate come base per aerosol anallergici e anche come sostituto del talco in cosmesi. Inoltre, questo tipo di amido, riduce la temperatura di gelatinizzazione e la resistività. L’insieme di queste caratteristiche conferiscono all’amido di amaranto ottime proprietà gelatinizzanti ed una buona stabilità congelamento/scongelamento molto apprezzata nell’industria alimentare ultimamente anche orientata per quella degli animali domestici.
L’assenza del glutine nei semi di amaranto e l’elevata digeribilità, ne consiglia l’impiego nell'alimentazione delle persone affette non solo da celiachia ma anche da problemi digestivi e intestinali, e utile nei bambini in fase di svezzamento, di convalescenti e di anziani; sono inoltre stati rilevati benefici nelle persone affette da artrite, diabete, gotta e reumatismi, oltre che nelle donne in gravidanza.
Qualche cenno merita anche l’amaranto da ortaggio consumato alla stessa stregua degli spinaci. Ha un valore alimentare molto alto per la ricchezza di proteine, vitamina C, carotene ed elementi minerali. Il consumo deve prevedere però l’allontanamento dell’acqua di cottura ricca di ossalati e di nitrati.
Quanto e dove viene coltivato l'amaranto in Italia? Esistono già impieghi di questo prodotto nell'industria agroalimentare? Quali?
La coltivazione dell'amaranto in Italia è stata tentata più volte tuttavia, è stato soltanto a seguito di una maggiore attenzione per le "nuove specie", tra le quali la quinoa ha fatto sicuramente da traino, che le ricerche sono progredite iniziando soprattutto dall'individuazione delle specie più adattabili al nostro ambiente. In tal senso, Amaranthus cruentus, A. hybridus e A. hypochondriacus sembrano quelle più promettenti. Tuttavia, dalle nostre esperienze condotte in Toscana, grazie alla collaborazione con la Tenuta di Ces (Arezzo) di Terre Regioni Toscane, la prima specie è senza dubbio la più adattabile e proprio su questa si è concentrato il nostro lavoro di selezione di due varietà: una a seme chiaro, attualmente in corso di valutazione da parte del CPVO - Community Plant Variety Office (application number 20200084284) per il rilascio della privativa col nome provvisorio DAGRI-6161, ed un'altra a seme nero (UNIFI-BlackRed) oggetto della nostra attenzione per la produzione della birra artigianale.
Non esistono statistiche ufficiali circa la coltivazione dell'amaranto in Italia; si stima che la coltura specializzata sia diffusa su qualche decina di ettari utilizzando al momento varietà di diversa origine.
Nell'industria agroalimentare a livello mondiale, come detto, esistono da tempo impieghi dell'amaranto e la situazione italiana, se pur lentamente, sta riflettendo questa tendenza; oltre il suo impiego come seme tal quale, l'amaranto si trova come componente di alcuni prodotti dolciari, preparati per vegani (utilizzando i semi soffiati) ed alcune bevande fino a poco tempo fa identificate come "latte vegetale".
E' corretto definirlo super food?
Sì è corretto. Soprattutto insieme alla quinoa, l'amaranto possiede caratteristiche funzionali (nutraceutiche) che consentono di includerlo in questo tipo di alimenti.
Ci può descrivere che tipo di bevanda sarà la "Sangorache"?
La "Sangorache" è una birra artigianale messa a punto nell'ambito di una collaborazione tra il mio Dipartimento (DAGRI) ed il Birrificio del Forte di Pietrasanta. L'idea è nata valutando la particolare composizione dei semi della UNIFI-BackRed particolarmente ricchi di polifenoli e considerando che in Europa non esistevano birre a base di amaranto coltivato nel nostro Continente, ma solo utilizzando prodotto importato prevalentemente dal Messico, India o Cina. Così, l'idea di poter dar vita ad un prodotto di qualità a filiera corta utilizzando una specie esotica fino a questo momento non coltivata in Italia ci ha spinto a proseguire nell'intento. Nel 2021 le prove di fermentazione in piccola scala e nel 2022 ecco la prima produzione commerciale che presenteremo ufficialmente il 7 giugno prossimo presso la Tenuta di Cesa (Marciano della Chiana, Arezzo).
L'amaranto è una coltura sostenibile, nei tre aspetti ambientale, economico e sociale?
Ormai, dopo molti anni di sperimentazione anche pieno campo, possiamo affermare che, almeno utilizzando le nostre varietà, la coltura di amaranto è pienamente sostenibile. Ha modeste esigenze nutrizionali, ha una certa tolleranza alla siccità e costringe a non utilizzare erbicidi per il controllo delle infestanti poiché al momento nessun principio attivo è stato registrato in Unione Europea per questo scopo. Sempre relativamente alle nostre esperienze condotte presso la Tenuta di Cesa, la tecnica colturale che abbiamo messo a punto (epoca, densità e modalità di semina, controllo meccanico delle infestanti, modalità di raccolta) e le rese medie di pieno campo (1,4-2,0 t ha) consentono a questa coltura di risultare economicamente valida. Aggiungerei anche "agronomicamente", poiché si può considerare a tutti gli effetti l'amaranto una specie da rinnovo a semina primaverile-estiva (fine aprile-primi di maggio in Italia Centrale). Questa caratteristica, unitamente anche alla quinoa (semina di fine inverno) direi che è molto importante, soprattutto nel settore dell'agricoltura biologica, dove la necessità di seguire razionali avvicendamenti spinge alla costante ricerca di idonee colture da rinnovo che siano però economicamente sostenibili.