Negli ultimi anni il ruolo delle foreste e del settore forestale è stato significativamente riconosciuto sotto il profilo politico a livello globale, come recentemente ribadito al G20 di Roma e alla COP26 di Glasgow: i risultati di questi incontri possono essere considerati come positivi o insufficienti, a seconda delle aspettative e delle azioni concrete intraprese o previste, ma rimane il fatto che le foreste sono sempre più al centro del dibattito e dell’attenzione mondiale.
Tra le più recenti iniziative c’è, a livello europeo, la Strategia Forestale 2030 e, a livello nazionale, i decreti attuativi del Testo Unico Forestale (d.lgs. 34/2018) in tema di: formazione professionale e albo degli operatori forestali, esenzioni dagli obblighi di compensazione forestale e sulle aree ex agricole, viabilità forestale, pianificazione forestale, boschi vetusti. A breve avremo anche la pubblicazione del decreto riguardante la Strategia Forestale Nazionale, per la cui attuazione l’ultima legge di bilancio dello Stato, approvata a fine dicembre, ha istituito un fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 e di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2032.
Nella seduta del 2 dicembre 2021 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno approvato il Regolamento 2021/2117, che ha modificato il vecchio Regolamento 1308/2013 relativo ai prodotti vitivinicoli, in cui si stabiliva che la “denominazione di origine” serve a designare un vino ottenuto “da varietà di viti appartenenti alla Vitis vinifera”. La nuova disposizione comunitaria stabilisce ora che la “denominazione di origine” serve a designare un vino ottenuto “da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis”.
Sotto il profilo normativo, le conseguenze in Italia della modifica del Regolamento Ue dovrebbero essere la abrogazione del D. L. 61/2010 e della legge 238/2016, secondo cui i vitigni da incrocio tra la Vitis vinifera ed altre specie di vite possono essere utilizzati solo per la produzione di vini da tavola e di vini a denominazione geografica tipica (Igt). Scomparirebbe quindi la discriminante che ha finora limitato l’impiego enologico di tali vitigni, e per quelli già iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite dovrebbe essere cancellata la annotazione “uve non utilizzabili per i vini a denominazione di origine”.
Il nuovo Regolamento Ue è certamente in linea con il principio della sostenibilità ambientale voluto dalla Pac, ed ha lo scopo di consentire ai produttori un più ampio utilizzo delle varietà di viti incrociate con la vinifera, che presentano una maggiore resistenza alle malattie. E’ quindi opportuno chiedersi quale sarà l’impatto di questa liberalizzazione sulla sostenibilità della viticoltura italiana nel suo complesso, tenendo conto anche delle esperienze che l’Italia ha già fatto e sta facendo con i vitigni ibridi di nuova generazione nelle aree che producono vini da tavola e Igt.
Il tema della transizione ecologica (e cioè il passaggio da un sistema di approvvigionamento energetico basato sui combustibili fossili ad uno strutturato su fonti rinnovabili) è questione di grande attualità ed attenzione mediatica.
Sull’argomento è però opportuno riflettere sul fatto che tale transizione, oltre a comportare pesanti conseguenze di tipo socio-economico (ad esempio conversione delle fabbriche di motori endotermici per il settore automobilistico, adeguamento delle reti infrastrutturali di fornitura di energia elettrica), avrà significative conseguenze sul paesaggio e sulle aree “naturali” ed agricole.
I primi lavori sulle piante Bioindicatrici risalgono a circa 100 anni fa in Francia, dove l’argomento era addirittura disciplina scolastica. In generale, tutte le piante spontanee possono dare interessanti indicazioni sugli aspetti pedoclimatici e agrocolturali riferiti a una determinata coltura e per uno specifico territorio. Lo studio scientifico, ossia mediante l’utilizzo della fitosociologia e della fitoecologia, delle piante bioindicatrici, abbinato anche ad altre tecniche di indagine (analisi fisico chimiche di laboratorio, “prova della vanga”, ecc.) può diventare un utile mezzo diagnostico per l’agricoltore e il tecnico, che avranno a disposizione un “metodo biologico” atto anche a verificare gli effetti positivi o negativi di determinate pratiche agrarie.
Il settore delle macchine agricole ha avuto nel corso di questi due anni un incremento sorprendente nelle vendite di macchine ed attrezzature sempre più dotate di dispositivi di controllo e quindi appartenenti alla categoria oggi denominata 4.0.
In effetti, l’innovazione tecnologica indotta da oltre 20 anni di ricerche nel campo della agricoltura di precisione sta finalmente raggiungendo livelli di “maturità tecnologica” (si faccia riferimento al TRL Technological Readiness Level) che ne consente l’impiego proficuo in una impresa agraria adeguata ai tempi odierni.
La transizione digitale, ecologica e generazionale rappresenta ormai la prossima svolta anche nelle imprese agrarie ed utilizzo tale termine “impresa” proprio per sottolineare il passaggio epocale dall’azienda dedicata solo alle pratiche convenzionali ad una attività articolata, orientata al mercato, sensibile nell’operare in accordo con gli obiettivi di ecocompatibilità, di rispetto dei consumatori e consapevole delle nuove difficoltà derivanti dai cambiamenti climatici.
La tecnologia nelle sue caratteristiche abilitanti è in grado di dare agli operatori conoscenze e capacità di gestione aumentate per monitorare, valutare, decidere, attuare in maniera puntuale le migliori scelte e pratiche. Tutto ciò d’altronde non può essere demandato al semplice acquisto di una macchina o dispositivo 4.0 ma deve rappresentare una, seppur graduale e progressiva, trasformazione aziendale nell’adeguamento di strutture e infrastrutture e nell’aggiornamento del capitale umano aziendale, dei protocolli operativi, dei rapporti con i soggetti esterni di supporto alla digitalizzazione ed alle nuove tecnologie da introdurre.
Professoressa Parisi, sulla base delle proiezioni di crescita della popolazione, la FAO ha stimato che fino al 2030 saranno richiesti ogni anno almeno 40 milioni di tonnellate aggiuntive di prodotti ittici per mantenere l’attuale consumo pro capite annuo mondiale, eppure l'acquacoltura è una disciplina piuttosto recente: quando si è diffusa?
La forma moderna dell’acquacoltura, nei Paesi occidentali, è iniziata intorno agli anni ’70 del secolo scorso, anche se forme di acquacoltura molto semplici, spesso limitate ad una semplice stabulazione degli animali di origine selvatica, risale ad epoche ben più lontane.
Che tipo di impatto ha sull'ambiente l'acquacoltura intensiva?
L’acquacoltura è in tutto e per tutto un’attività zootecnica, quindi l’acquacoltura intensiva potrebbe essere responsabile di varie tipologie di impatti. A cominciare da quello prodotto sulla qualità dell’acqua, che in acquacoltura è oggetto di elevata attenzione dal momento che i pesci, soprattutto delle specie allevate nel mondo occidentale, sono molto sensibili alla qualità dell’acqua in cui vivono. Gli allevamenti a terra della tipologia flow‐through prevedono il ricambio dell’acqua contenuta all’interno delle vasche, la cui entità tiene conto della biomassa presente, così da garantire adeguati livelli di ossigeno e da contenere la presenza dei cataboliti azotati. Le acque reflue dagli impianti di allevamento devono subire adeguati trattamenti, nel rispetto delle normative, prima di essere reimmesse nei corpi idrici naturali. In questo modo si contiene il rischio di eutrofizzazione delle acque naturali e si riduce significativamente l’impatto ambientale associato agli allevamenti a terra. Un altro aspetto da considerare, dal punto di vista della sostenibilità dell’acquacoltura, è la tipologia di ingredienti che si utilizzano nelle formulazioni mangimistiche. Le specie allevate in Italia e in Europa sono per lo più carnivore, con fabbisogni proteici particolarmente elevati. Un tempo i mangimi utilizzati in acquacoltura erano formulati utilizzando fonti proteiche e lipidiche di origine marina, cioè farine e oli di pesce. La condizione di sovrasfruttamento di molti degli stock ittici selvatici e lo sviluppo che ha avuto negli ultimi decenni l’acquacoltura, che manterrà il suo trend in crescita anche nei decenni futuri, non consentono più di fare affidamento su questa tipologia di ingredienti. Di conseguenza, ormai da decenni si stanno utilizzando fonti proteiche e lipidiche alternative.
Si è spento lo scorso 19 gennaio L’Accademico Emerito Prof. Piero Luigi Pisani Barbacciani. Il Prof. Pisani Barbacciani conseguì la laurea in scienze agrarie con il massimo dei voti e la lode e con l’assegnazione del “Premio Iginio Moretti” per il migliore laureato dell’anno accademico 1955-56. Fu poi Assistente volontario presso l’Istituto di Coltivazioni arboree dell’Università di Firenze e Borsista del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Dal 1961 svolse la propria attività come assistente di ruolo presso l’omonimo Istituto della Università di Bologna. Nel 1964 conseguì la Libera Docenza e, nello stesso anno, vinse il concorso per Professore di ruolo. Dal 1966 ottenne la cattedra di Coltivazioni Arboree dell’Università di Padova che diresse fino al 1979, anno in cui si trasferì presso il Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura dell’Università di Firenze. Direttore della “Rivista dell’Ortoflorofrutticoltura italiana” dal 1984 al 1987 e della rivista “Advances in Horticultural Sciences” dal 1987 al 1999, ha diretto anche il “Notiziario di Ortoflorofrutticoltura”, il periodico “Olivicoltura-Elaiotecnica – Olio di Oliva” dell’Accademia Nazionale dell’Olivo, nonché gli “Atti dell’Accademia Italiana della vite e del vino”. È stato membro attivo di diverse Accademie e ha pubblicato oltre 220 lavori collaborando a enciclopedie, trattati scientifici, collane tecniche nonché a periodici culturali.
Tutti lo ricordano con profondo affetto, stima e gratitudine per l’impegno profuso in diversi atenei universitari ai quali ha dedicato tutto il suo impegno professionale e umano, senza mai risparmiarsi e, come diceva lui, “senza guardare l’orologio”.
Ha saputo trasmettere agli allievi dei diversi Atenei in cui ha prestato servizio la sua passione, la sua rigorosità e il senso del dovere verso la formazione degli studenti e la ricerca in Università. E a queste passioni totalizzanti ed esclusive ha dedicato tutto sé stesso, senza risparmiarsi, agendo sempre per il bene dell’Istituzione pubblica.
In alimentazione umana le radici, foglie e fiori sono le parti di cicoria più popolari per applicazioni culinarie e industriali. L'uso della radice di cicoria come sostituto del caffè risale al XVI secolo, è attribuita al giardiniere reale Timme di Tubinga e in Italia la radice della cicoria, tostata per preparare un infuso terapeutico, sembra sia stata proposta per la prima volta dal Prospero Alpini (1553 – 1617), continuando fino al XVIII secolo con particolare vigore presso le popolazioni più povere e in Europa durante le ultime due Guerre Mondiali.
Un lavoro pubblicato all’inizio del 2022 (Enhancing the sustainability of Mediterranean olive groves through adaptation measures to climate change using modelling and response surfaces- Lorite I.J., Cabezas J.M., Ruiz-Ramos M., del a Rosa R., Soriano M.A., Leon L, Santos C., Gabaldon-Leal C; Agricultural and Forest Meteorology, 313,2022) ha come oggetto lo studio delle potenziali vulnerabilità dei sistemi olivicoli mediterranei ad eccessi di calore e stress idrico durante stadi fenologici critici e a problemi di fioritura conseguenti a ridotti accumuli di freddo, cercando vie di adattamento e di supporto alla sostenibilità.
Qualche mese fa Filippo Roda pubblicò un articolo sul Sole24ore nel quale analizzava i motivi che stanno spingendo i costi delle materie prime e, di conseguenza, delle produzioni, a livelli quasi insostenibili.
L’analisi si può applicare, seppur con i dovuti distinguo, al vivaismo pistoiese che ha visto, come riporta Confagricoltura, un incremento dei costi di produzione nel 2021 superiore al 20%, rispetto al 2020, mentre l'aumento previsto per il 2022 è del 30-35% sul 2021. L’impennata del costo del gas, utilizzato nel processo di produzione dei fertilizzanti, ha fatto schizzare verso l’alto i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 950 euro a tonnellata, il fosfato biammonico più che raddoppiato da 350 a 850 euro a tonnellata, mentre prodotti di estrazione come il perfosfato minerale registrano aumenti di oltre +65% (Fonte Coldiretti, gennaio 2022).
Professore Moio, tra le sfide della viticoltura mondiale, il riscaldamento climatico è una delle principali perché ha impatto diretto sulla vite e sul vino. Come pensa di affrontarla l’OIV?
L’attenzione all’ambiente è una richiesta che viene da tutti i 48 stati membri. Il tema, già fa parte del piano strategico 2020-2024, ma il percorso lo abbiamo iniziato nel 2004 con la prima risoluzione sulla viticoltura sostenibile. Nello specifico, è già operativo il gruppo di esperti Enviro (Sviluppo sostenibile e cambio climatico) presieduto dal prof. Hans Schultz, presidente dell’Università Hochschule di Geisenheim, che se ne sta occupando in modo interdisciplinare (con esperti di clima, suoli, viticoltura, enologia, patologia vegetali, ecc.) per elaborare un approccio completo e coerente. L'ultima risoluzione approvata (OIV-VITI 640-2020) sui criteri e sulle metodologie di valutazione dell’impronta ambientale complessiva della produzione vitivinicola, è un primo risultato del lavoro del gruppo Enviro che fornisce a tutti gli stati membri degli strumenti comuni per analizzare e intervenire sulla propria realtà. Oggi se non coinvolgiamo in un confronto a tutto campo esperti con competenze diverse, non ne usciamo. Il futuro è questo, ma i tempi di transizione sono lunghi per questo bisogna avere le idee molto chiare e confrontarsi continuamente in modo da non commettere errori che potrebbero ancora di più allungare i tempi necessari ad operare un cambiamento radicale.
Che cosa si sta facendo in viticoltura per ottenere una produzione più sostenibile?
Un’azione prioritaria è quella di favorire la filiera vitivinicola nel percorso di innovazione dei processi di produzione, utilizzando al meglio i nuovi strumenti tecnologici e digitali. Il transito verso la digitalizzazione è fondamentale. Oltre agli aspetti produttivi legati, ad esempio, ai calcoli previsionali sul clima, per una viticoltura sempre più di precisione, la digitalizzazione è importante anche per favorire gli scambi internazionali del vino.
La tempesta Vaia dell’ottobre 2018 oltre a causare danni ad abitazioni
ed infrastrutture ha rappresentato un evento devastante di grande
impatto diretto su molte formazioni di Abete rosso dell’arco alpino
centro orientale, con ricadute sui patrimoni arborei delle Regioni
Friuli Venezia. Giulia, Veneto e Lombardia e delle province autonome di
Bolzano e Trento. Basti pensare al riguardo ai più di 4 milioni di mc di
legname abbattuto in 24 ore nella sola Provincia di Trento, ai 780.000
mc del Friuli Venezia Giulia ed ai 2.700.000 mc del Veneto.
La grande
quantità di schianti e la conseguente diffusa presenza di piante
atterrate o stroncate idonee a sostenere forti incrementi demografici di
insetti che si sviluppano negli strati sottocorticali, in grado
colonizzare non solo piante morte di recente o fortemente debilitate ma
anche di riversarsi su piante sane, ha indotto le autorità e le comunità
presenti nei territori forestali colpiti ad attivarsi prontamente con
impegnativi piani di esbosco, non solo per recuperare quanto possibile
del materiale legnoso a terra e ma anche per evitare pericolosi
incrementi massali delle popolazioni di questi artropodi e in
particolare del Coleottero Scolitide noto con il nome comune di Bostrico
tipografo dell’abete rosso (Ips typographus L.).
A causa dei
danni che può provocare, il Bostrico tipografo è considerato uno degli
insetti di interesse forestale più importanti in Europa per il suo ruolo
nella dinamica degli ecosistemi forestali e il temibile impatto delle
sue gradazioni capaci di determinare morie su estese superfici boschive.
Nel solo periodo compreso tra il 1940 e il 1951 uno dei più estesi
focolai d’infestazione registrati nel nostro continente ha provocato in
Europa centrale l’abbattimento di piante per un totale di 30 milioni di
mc, con 100.00 ha completamente devastati nel solo nord-est della
Polonia.
La birra è la bevanda alcolica maggiormente consumata a livello globale (circa 1,91 miliardi di hL nel 2019), con un mercato globale pari a 623,2 miliardi di $ USA nel 2020. In Italia la produzione complessiva di birra è stata di circa 15,8 milioni di hL nel 2020, di cui circa il 71% prodotta da soli cinque grandi player, come Heineken Italia, Birra Peroni, Anheuser-Busch InBev, Birra Castello e Carlsberg Italia. Nel 2020, 756 birrifici artigianali hanno prodotto 361.000 hL di birra, ossia il 3,1% della produzione di birra italiana. La birra lager è la tipologia di birra più diffusa, rappresentando l'84,2% del consumo complessivo di birra, seguita dalle birre speciali (14,5%) e da quelle a bassa o analcolica (1,3%). Il formato di confezionamento della birra è dominato dalle bottiglie di vetro (80,8%), seguito dai fusti in acciaio (11,7%) e infine dalle lattine di alluminio (7,5%). La maggior parte dei consumatori acquista birra in bottiglie di vetro (di cui il 73,0% a perdere ed il 7,8% a rendere) o lattine di Al, mentre la birra confezionata in fusti d'acciaio è principalmente per uso commerciale.
Mentha pulegium L., nota come mentastro o menta romana, è una emicriptofita scaposa, diffusa in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo e ampiamente distribuita su tutto il territorio italiano, dove cresce generalmente su terreni umidi, da 0 a 1200 m. Il nome del genere deriva dal nome greco 'Mínthe', ninfa che abitava il regno di Ade, mentre l’epiteto specifico deriva dal latino ‘pulex’, in relazione al suo antico uso di repellente contro insetti nocivi.
Professoressa, ci può aggiornare sull’impatto del cambiamento climatico sulla nostra società?
Possiamo
prendere spunto dai 17 obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo
Sostenibile, il programma d’azione per le persone, il pianeta e la
prosperità sottoscritto nel 2015 dai quasi 200 Paesi membri dell’ONU.
Essi sono “Obiettivi comuni”, vale a dire che riguardano tutti i Paesi e
tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato
indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada
della sostenibilità. Ebbene, è facile dimostrare che ben oltre la metà
di questi temi presentano interazioni importanti con il cambiamento
climatico. E, ovviamente prescindendo dal Goal 13 (“Climate action”)
totalmente dedicato a tale problema, sfide quali il contrasto alla
povertà e alla fame, il perseguimento di salute e benessere, la qualità
dell’ambiente e delle forme di vita terrestri e marine, la sostenibilità
delle aree urbane, la giustizia sociale, si trovano a confrontarsi
quotidianamente con le problematiche connesse proprio con i mutamenti
climatici in atto. La temperatura è un fattore fondamentale nel
condizionare le funzioni biologiche, dalle più semplici, come una
attività enzimatica, alle più complesse, come quelle relative a un
ecosistema. Al variare dei parametri termici si innescano modificazioni
che comportano lo stabilirsi di nuovi equilibri biologici, migrazioni di
popolazioni, riassortimento di biocenosi. Particolarmente delicato è il
rapporto tra piante e organismi nocivi: assistiamo con frequenza sempre
maggiore a preoccupanti recrudescenze di malattie note da tempo ma
sinora poco importanti. Il clima è in costante divenire, ma mai nella
storia dell’umanità l’azione antropica ha introdotto fattori di
pressione con velocità e intensità paragonabili a quelli ai quali stiamo
assistendo, per non parlare dei modelli predittivi, di cui la comunità
scientifica sta discutendo da tempo. Si tratta di un fenomeno epocale, a
cui nessun essere vivente ha mai assistito prima, che rischia di
sconvolgere il nostro ordine naturale, politico e sociale. Interi
capitoli dei nostri libri di testo dovranno ben presto essere riscritti
per aggiornarli ai nuovi scenari. Non è un caso che questi argomenti si
trovino ai primi posti dell’agenda politica di tutti i governi;
purtroppo, però, anche in questo caso, … tra il dire e il fare…
L'anno vecchio a Marradi non è finito bene, perché dopo Natale la proprietà della Ortofrutticola del Mugello (Italcanditi), ha comunicato a tutte le lavoratrici, che sono tante e lavoratori, l'intenzione di trasferire la lavorazione delle Castagne e dei Marroni nel bergamasco, chiudendo e trasferendo i mezzi di lavoro in Lombardia.
Così all'improvviso una delle più grandi fabbriche di Castagne e Marroni e l'unica realtà occupazionale di grande rilievo del territorio chiuderebbe i battenti. Molto discutibile questo comportamento, anche perché il bilancio produttivo è stato più che positivo, si legge nella stampa accreditata. I bravi lavoratori della "Fabbrica dei Marroni di Marradi" stanno presidiando lo stabilimento affiancati dai castanicoltori Marradesi, i quali hanno bloccato gli ingressi dall’ esterno con dei trattori. A loro, naturalmente, si è unito l’intero paese, giacché l’eventuale chiusura della fabbrica rappresenterebbe un colpo mortale all’ economia dell’intero territorio.
La notizia sta facendo il giro del mondo perché il "Marron Buono di Marradi", che rappresenta l'ecotipo di maggiore risalto per l'"IGP Marrone del Mugello", è largamente conosciuto per le sue peculiari caratteristiche di elevata qualità e salubrità.
E allora perché la proprietà vuole chiudere e trasferire la produzione del trasformato nel bergamasco?
Tutta la popolazione di Marradi, con in testa il Sindaco, la Giunta comunale e il Consiglio, si è mobilitata per impedire che la "Fabbrica dei Marroni" subisca questo tragico affronto.
Il presidio deve garantire che da lì non esca neppure un bullone e tutte
le forze politiche, amministrative, sindacali ed ecclesiastiche,
locali, regionali, nazionali ed europee, hanno manifestato un chiaro
disappunto per questa incomprensibile decisione della Italcanditi di
Bergamo. Molte organizzazioni sono venute a Marradi per dare coraggio e
speranza ai circa 100 addetti al buon funzionamento dello stabilimento. A
questi si sono uniti personaggi famosi che amano il nostro paese e i
prodotti tipici, la gastronomia, il bellissimo paesaggio, con tanti
castagneti maestosi, storici e culturali.
Tutti insieme dobbiamo
fare opera di convincimento verso la nuova proprietà di riprendere in
tempi brevi le lavorazioni del nostro prodotto di grande eccellenza; Il
“Marron Buono di Marradi", che rappresenta la materia prima in assoluto
per la nostra "Fabbrica dei Marroni".
Per queste significative considerazioni è sacrosanto diritto delle
Maestranze, la lavorazione dei Marroni a Marradi, non solo deve
proseguire in loco, ma deve essere incrementata con nuove linee di
prodotti trasformati.
L’Unione Europea delle Accademie Agricole (UEAA), attraverso un gruppo di lavoro ha formulato e trasmesso alla Commissione dell’UE alcune raccomandazioni per la revisione della normativa, attualmente in vigore, sul Genome editing. L’Italia aderisce all’UEAA attraverso l’Accademia dei Georgofili con la quale mantiene stretti rapporti, anche in collegamento con UNASA (Unione Nazionale delle Accademie per le Scienze Applicate allo Sviluppo dell'Agricoltura).
Le gru a cavo forestali rappresentano uno strumento fondamentale per le utilizzazioni forestali in aree montane, garantendo lo svolgimento delle operazioni su terreni acclivi e non trafficabili da mezzi terrestri. L’impiego di queste macchine è diffuso lungo l’arco alpino europeo, in particolare in Italia, Francia, Austria, Svizzera e Germania, e - con svariati adattamenti - nel contesto extraeuropeo, tra cui le aree montane della costa pacifica degli Stati Uniti e del Canada, della Nuova Zelanda e del Giappone. In tempi recenti, l’approfondimento del concetto di sostenibilità delle utilizzazioni forestali ha evidenziato la necessità di porre particolare attenzione alla salute e alla sicurezza degli addetti ai lavori.
1.- La Direttiva UE e l’attuazione in Italia
Il 17 aprile 2019 il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno approvato la Direttiva (UE) 2019/633 sulle Pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare.
Si tratta di una disciplina originale ed innovativa, sia per la base giuridica adottata (l’art. 43.2. sul perseguimento degli obiettivi della politica comune dell'agricoltura e della pesca), sia per l’ambito di applicazione (le relazioni tra acquirenti e fornitori lungo la filiera agricola e alimentare), sia per i soggetti interessati, sia per la dimensione globale della disciplina (che espressamente investe anche soggetti aventi stabilimento o sede al di fuori del territorio dell’Unione Europea).
Il legislatore italiano, con la legge di Delegazione europea del 2019 e 2020 (L. 22 aprile 2021, n. 53, art. 7), ha delegato il Governo ad intervenire sul tema, adottando un Decreto legislativo per il recepimento della richiamata Direttiva. La delega contiene importanti innovazioni rispetto al vigente quadro disciplinare nazionale, fra l’altro individuando l’ ICQRF quale Autorità nazionale di contrasto, laddove l’art. 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, assegnava la competenza in materia all’AGCM.
Il 30 novembre 2021, infine, è stato pubblicato sulla G.U. n. 285 il Decreto legislativo di attuazione, n. 198 dell’8 novembre 2021, entrato in vigore il 15 dicembre 2021.
La nuova regolazione delle pratiche commerciali sleali conferma il Diritto agroalimentare come Diritto di filiera, che muove dall’agricoltura quale oggetto e presupposto necessario di una disciplina, che è insieme unitaria e fortemente innovativa, e si applica tanto ai prodotti alimentari ottenuti per trasformazione di prodotti agricoli, che ai prodotti agricoli non aventi destinazione alimentare.
La Gdo vuole mantenere i prezzi stabili. Ma in una filiera così corta come l’ortofrutta se la Gdo non incrementa i prezzi e il consumatore non si fa carico di una parte del maggior costo, chi paga questa operazione?
Senza un aumento dei prezzi al consumo – per compensare l’aumento esorbitante dei costi - un buon numero di imprese medio-piccole del fresco/freschissimo andranno in malora. Ed è inutile, quasi patetico, appellarsi alla responsabilità dei consumatori: quelli comprano dove più gli conviene, certo con attenzione al benessere e alla sostenibilità, ma anche al portafogli. Quindi aspettiamoci un boom degli hard e soft discount con conseguente incremento dell’import di tantissimi prodotti. Va bene così?
La famiglia delle Lamiaceae, cui appartengono piante aromatiche presenti in numerosi ecosistemi naturali, comprende oltre duecento generi e diverse migliaia di specie, molte delle quali possiedono molecole bioattive nelle loro parti aeree, soprattutto foglie e fiori, utilizzate da decenni in campo alimentare, cosmetico, farmaceutico e medico. In particolare, oli essenziali ed estratti idroalcolici sono ampiamente utilizzati per la loro spiccata azione antibatterica, antimicotica, antiossidante, antivirale, grazie alla presenza di complesse miscele di composti alifatici, aromatici e terpenici, che svolgono un importante ruolo nell'interazione pianta-pianta e nell'attrazione degli impollinatori. Considerando l’attività antimicrobica (e insetto-repellenza), la ridotta tossicità e l’eco-compatibilità, estratti da piante aromatiche sono utilizzati in agricoltura, conservazione degli alimenti, industrie del legno. Proprio la sicurezza ambientale di questi prodotti naturali è una delle ragioni per la loro produzione in grandi quantità e l’ampia applicazione in cosmetici, industrie mediche e, recentemente, nella conservazione sostenibile dei beni culturali.
Sono circa due anni che il fronte di avanzamento dell’epidemia scoperta nel 2013 non subisce grandi avanzamenti, con il limite della zona indenne ormai giunto a sud della provincia di Bari, a Alberobello, Locorotondo, Monopoli e Polignano. Ciò significa che si mantengono le posizioni di un’invisibile linea Maginot con cui si prova a contrastare, o meglio contenere, il batterio ed i suoi vettori. In un tratteggio chiaroscuro, è forse questa la migliore notizia, frutto soprattutto di una migliore organizzazione e una più tempestiva applicazione degli interventi di contrasto, in primis la rapida eliminazione delle fonti d’inoculo intercettate con i monitoraggi annuali, anch’essi migliorati sia in termini di procedure di campionamento (oggi su avanzati modelli statistici sviluppati da EFSA) che di tecniche analitiche molecolari. L’accresciuta capacità di sorveglianza ed intervento tempestivo del Servizio fitosanitario regionale ha consentito di neutralizzare un pericolosissimo nuovo focolaio puntiforme in un vivaio di Canosa, purtuttavia i numeri dei focolai individuati con il monitoraggio 2020 e 2021 spaventano, facendo ormai quasi disperare per le sorti della Piana degli ulivi monumentali, uno dei paesaggi agrari più antichi al mondo.
Nonostante l’avvento della pandemia di coronavirus abbia fatto ulteriormente scemare l’attenzione mediatica su questo disastro economico/ecologico in fieri, gli ultimi due anni sono stati costellati da tante novità, non ancora la necessaria svolta nella lotta al batterio ma certamente segnali positivi in questa direzione. Dal punto di vista gestionale/amministrativo si deve apprezzare un’inedita determinazione, fino al limite del coraggio, del nuovo Assessore all’agricoltura Donato Pentassuglia, il quale, affiancato da un nuovo qualificato Dirigente di esperienza all’Osservatorio fitosanitario e avvalendosi di un Comitato Tecnico Scientifico composto da ricercatori esperti su Xylella, ha preso le distanze e denunciato il negazionismo e l’anti-scienza che anni addietro avevano lanciato accuse e scatenato indagini infondate nei confronti di chi combatteva il batterio, ma soprattutto ha voluto innovare la strategia del piano d’Azione 2021 nel senso della PREVENZIONE, estendendo l’obbligo della lotta meccanica agli stadi giovanili del vettore su tutto il territorio regionale.
Professoressa Gentile, ci spiega l'importanza di questa scoperta?
La possibilità di decifrare il codice genetico di una specie e quindi di poter individuare i geni che sono responsabili di specifici caratteri, rappresenta uno strumento di grande importanza per il raggiungimento di obiettivi di miglioramento genetico in tempi brevi e con una maggiore precisione rispetto a quanto può essere conseguito attraverso programmi di incrocio e selezione che, soprattutto per le piante arboree, sono particolarmente lunghi.
Nel caso poi specifico del limone, il risultato raggiunto è assai importante. Per prima cosa, consentitemi di dire che è un risultato italiano per una coltura che rappresenta certamente il Made in Italy. Molte altre specie agrumicole, quali arancio dolce, mandarino, pummelo sono state sequenziate da istituzioni spagnole, americane, cinesi.
E’ importante inoltre sottolineare che i programmi di miglioramento genetico del limone sono stati incentrati, sin dalla comparsa per la prima volta del malsecco, grave tracheomicosi causata dal fungo Plenodomus tracheiphilus, oltre 100 anni fa, all’individuazione/costituzione di una varietà che associasse a buone caratteristiche agronomiche anche la resistenza alla malattia nei confronti della quale le pratiche agronomiche e gli interventi di lotta non risultano particolarmente efficaci.
Riteniamo che la conoscenza del genoma del limone ci aiuterà nell’individuazione, nell’ambito del germoplasma limonicolo disponibile nonché in popolazioni appositamente costituite tra genotipi dotati di un comportamento diversificato nei confronti del patogeno e già fenotipizzate, di caratteri di tolleranza alla malattia consentendoci di ottenere nuove varietà di limone di pregio e resistenti al patogeno.
Perché proprio il "femminello siracusano"?
E’ una cultivar di grande pregio, ha ottime caratteristiche di qualità dei frutti ed è quella maggiormente coltivata nel territorio siciliano.