Notiziario






Gli spazi verdi nelle domus pompeiane

Originariamente, nella società romana, le abitazioni potevano presentare uno spazio verde costituito da un modesto hortus, situato alle spalle del tablino e delimitato verso l’esterno da un alto muro perimetrale, utilizzato per la coltivazione di prodotti necessari al vitto giornaliero.  
In seguito l’hortus, per la sempre maggior influenza della cultura ellenistica legata al progressivo espandersi di Roma nel Mediterraneo occidentale ed orientale, perse l’iniziale valore utilitaristico per le esigenze quotidiane della famiglia trasformandosi, grazie alla coltivazione di arbusti e fiori a scopo  decorativo, in un’area verde che completava ed arricchiva esteticamente l’abitazione. Il cambiamento della destinazione di uso, da hortus a giardino, si lega anche ad un processo di dilatazione dello spazio verde che assume una forma rettangolare  delimitata, completamente o in parte a seconda del censo del proprietario, da un porticato colonnato (peristilio) su cui si aprivano gli ambienti di soggiorno e di rappresentanza.
Lo spiccato gusto decorativo della società vesuviana del I secolo d.C. è testimoniato dalla moda di arricchire gli spazi verdi delle case con elementi scultorei e con sofisticati ed articolati giochi d’acqua, sapientemente inseriti nella geometria delle aiuole, con una chiara ed evidente volontà di imitare nelle abitazioni urbane i parchi delle grandiose e lussuose ville suburbane che fin dall’epoca tardo repubblicana costituivano uno status symbol di ricchi e potenti.

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Il benessere animale e la qualità delle produzioni

I rapporti tra l’uomo e gli animali domestici si sono evoluti nel tempo dall’allevamento transumante all’estensivo, all’intensivo, all’industriale con o senza terra, divenendo nel tempo sempre più stretti e ponendo sempre maggiori problemi alle relazioni tra l’uomo e l’animale ed al loro reciproco benessere. Oggi, con le sempre maggiori esigenze di prodotti di origine animale, la domanda che ci dobbiamo porre è: sottomettiamo il benessere dell’animale a quello dell’uomo interessandoci solo alle sue capacità produttive quantitative e qualitative oppure pensiamo all’animale come essere vivente e anteponiamo il suo benessere alle nostre esigenze?
Il benessere è legato ai desideri - quello che si vorrebbe avere - o ai bisogni - quello che necessita -? Per l’uomo, il benessere è: libertà dai bisogni primari, dai disagi, dalle preoccupazioni e dalle guerre. L’ordine può cambiare secondo gli individui ed i compromessi sono possibili ma limitati soprattutto per la libertà dalla fame. L’uomo, come tutti gli animali, ricerca innanzitutto il proprio benessere: aumento delle risorse disponibili attraverso la maggior produzione e gli scambi o con l’emigrazione alla ricerca di maggiori risorse. Per l’animale il benessere coincide con l’assenza di condizioni sfavorevoli e la presenza di condizioni favorevoli ad un corretto rapporto con l’ambiente e con l’uomo. 
Secondo il Farm Animal Welfare Council (Regno Unito) le libertà fondamentali degli animali possono essere così riassunte: libertà dalla paura e dall’angoscia; dalla fame e dalla sete; dal disagio fisico; dai traumi e dalle malattie; dalla paura e dagli stress; dall’annullamento del comportamento normale della propria specie; dalla modifica permanente del genoma.

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Piante officinali ed aromi nella storia dei popoli

In passato con il termine “farmaco” si intendeva tutto ciò che fosse in grado di far guarire; potevano essere sostanze vegetali, animali, minerali o scongiuri, formule magiche, amuleti, ecc., l’essenziale era sfuggire alla morte. Questo portò alla nascita di numerose pratiche fantasiose che solo oggi possono dirsi quasi del tutto abbandonate. A proposito dei vegetali molto nota è la teoria delle “segnature”, che legava l’efficacia medicamentosa della pianta alla sua forma esteriore; Hepatica nobilis(FOTO), perché ha le foglie lobate con la pagina inferiore rosso vinaccia, si pensava fosse utile per curare il fegato, e così via. Naturalmente nell’ambito di queste congerie di multiformi credenze ed informazioni la “ragione”, man mano, riusciva a comprendere ciò che oggettivamente poteva essere di utilità al malato.
Nel mondo mediterraneo le più antiche informazioni sull’uso di piante come farmaci sono legate agli Egizi, ma anche presso le genti del Tigri e dell’Eufrate, gli Indiani ed i popoli  dell’estremo oriente è ben documentato l’uso delle erbe officinali.
Nell’antichità classica è in Grecia che prende forma l’arte del guarire; Ippocrate (V sec. a.C.) ne fu il principale artefice. Dal mondo greco l’impiego delle specie vegetali nella terapia passò a quello romano, dove l’erboristeria era ritenuta una scienza. Dioscoride (I sec. d.C.) nella sua “materia medica” tratta ben 600 semplici diversi, per lo più di natura vegetale.

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Il sostegno dei redditi nella Legge agraria degli USA

L’Agricultural Act of 2014, approvato a inizio anno, costituisce la legge fondamentale di indirizzo e sostegno dell’agricoltura degli USA. Resterà in vigore fino al 2018 o fino a quando non sarà adottata una nuova legge.

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I formaggi siciliani di tradizione

I formaggi tipici di tradizione sono ottenuti seguendo tecniche di caseificazione, tramandate nei secoli da generazione in generazione nell’effettivo rispetto delle produzioni naturali strettamente connesse al territorio di origine.

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Le piante officinali e aromatiche

Le piante medicinali e aromatiche hanno da sempre svolto un ruolo di primaria importanza nelle medicine tradizionali e nell’alimentazione di tutti i popoli. 
Il termine piante officinali deriva da una tradizione storica del nostro paese e fa riferimento all’“officina o opificina”, con il significato di “laboratorio”, dove le piante venivano sottoposte a varie lavorazioni in modo da renderle utilizzabili per scopi diversi. Con questa dizione in pratica si intende un insieme di specie vegetali molto eterogeneo, che comprende, in base alle principali destinazioni d’uso, le piante medicinali, aromatiche e da profumo, ai sensi della legge n.99 del 6 gennaio 1931 tuttora vigente. Recentemente il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha promosso e pubblicato, anche in accordo con il Ministero della Salute,  un piano di settore sulla filiera delle piante officinali (2014-2016) e istituito un tavolo tecnico permanente con l’intenzione di promuovere e valorizzare la crescita e lo sviluppo di questo settore, un tempo considerato di nicchia. Di particolare interesse è infatti l’impiego delle piante officinali nel settore degli integratori alimentari, i cosiddetti Botanicals, per gli effetti di tipo fisiologico che manifestano.

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PIT toscano: ragione e buon senso

Gli indirizzi politico-economici della UE e del Governo Renzi puntano concordemente sulla crescita, attraverso lo sviluppo delle imprese produttive capaci di innovarsi e rendersi più competitive sui mercati. Anche il Governatore della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha espresso giustamente l’intento di concentrare le risorse disponibili per l’agricoltura sulle imprese dinamiche capaci di innovare processi e prodotti. Tutti sembrerebbero essere quindi concordi su questi indirizzi, ma il ponderoso testo del PIT, usando una pretestuosa interpretazione del “Codice Urbani” e ritenendo doverosa una insostenibile tutela del paesaggio agricolo, ha mostrato di perseguire intenti che produrrebbero effetti opposti. 
Le numerose e giuste reazioni avviate dagli imprenditori del settore vitivinicolo in realtà rispecchiano una protesta di tutto il mondo agricolo contro l’imposizione di ulteriori vincoli, controlli e autorizzazioni che, oltre a comportare un deleterio incremento di burocrazia, sprechi di tempo e costi, rendono più fertili i substrati sui quali prosperano clientelismi e corruzione. 
Nel settore agricolo, al PIT basterebbero poche pagine per esprimere le linee guida di interventi regionali tesi ad assicurare il rispetto di pochi punti essenziali e condivisi, quali:
- un’attenta conservazione di quanto ormai rimane della SAU (superficie agricola utilizzabile);
- suggerire e assecondare sviluppi strutturali dei territori, ma nel totale rispetto delle libere scelte delle imprese, salvo casi eccezionali, evidenziati e vagliati singolarmente. 

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Un invadente xilofago

Nell’ultimo quinquennio sono progressivamente aumentate, in Sicilia, le segnalazioni di danni a piante arboree causati dal Coleottero BostrichideApate monachus Fabr. La specie, ampiamente diffusa nell’Africa sud-sahariana, è stata introdotta nel Bacino mediterraneo, in alcune aree asiatiche e dell’oceano indiano; inoltre è nota per i danni arrecati a piante di Melia in Eritrea e a Cuba, nonché a piante di Tamarix in Israele. In Italia è segnalata in Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna; in quest’ultima isola, dove ha causato frequenti danni su albicocco, agrumi, vite, pesco, melo, pero ed eucalipto, è stata oggetto di studi fin dalla metà del secolo scorso. In Sicilia orientale è stata rilevata la presenza di gallerie e di adulti su piante di olivo, agrumi, mandorlo e vite in precarie condizioni vegetative. Le femmine del coleottero ovidepongono su essenze spontanee della macchia mediterranea (mirto, lentisco, erica, cisto, ecc.) a spese delle quali le larve, di norma, completano lo sviluppo 32-36 mesi; tuttavia, in condizioni ottimali (vegetazione spontanea percorsa da incendi, notevole disponibilità di legno morto, elevate temperature e siccità nel periodo primaverile-estivo) lo stadio pupale può essere raggiunto anche in 2-4 mesi. Sulle piante ospiti spontanee le infestazioni larvali passano di norma inosservate.

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Potenzialità di riduzione di gas serra dalle risaie

E’ ormai evidente che una reale protezione dell’ambiente si attua a partire da una corretta gestione del suolo. E’ altrettanto noto che una delle emergenze ambientali è rappresentata dall’aumento della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera e, quindi, anche l’agricoltura è chiamata a contribuire al contenimento di tali emissioni. I principali gas ad effetto serra emessi dagli ecosistemi agricoli sono l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), che contribuiscono rispettivamente per il 60, 15 e il 5 %, al riscaldamento globale. 
Fra le attività agricole, la coltivazione del riso è causa del 18 % delle emissioni antropogeniche di CH4, prodotto in condizioni di sommersione dalla decomposizione anaerobica della sostanza organica ad opera di microorganismi metanogeni. Recenti studi, tendenti anche a mettere a punto una metodologia per la misura di tali emissioni basata su un protocollo internazionale proposto dall’Università di Davis (California, USA) che prevede il campionamento periodico dei flussi in pieno campo mediante camere chiuse e la successiva analisi gascomatografica, hanno evidenziato che differenti pratiche di gestione idrica dei campi coltivati a riso possono portare a forti differenze nella quantità e nella qualità delle emissioni gassose. 

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POLITICA AGRARIA CERCASI

A fine luglio l’invio a Bruxelles del documento dell’Italia sulle scelte nazionali per l’applicazione della nuova Pac in vigore fino al 2020 ha concluso una fase caratterizzata da discussioni a non finire fra i diversi protagonisti  di ciò che resta della politica agricola italiana. Ora si attendono le parti applicative su cui si sono riaperte le antiche divisioni, ma bisogna fare in fretta, perché mentre a Roma si discute, in tutte le nostre campagne incombono scelte necessariamente legate alla nuova Pac in vigore dal 1° gennaio 2015.
Fra le novità della riforma spicca la facoltà concessa agli stati membri di una certa dose di autonomia su alcuni aspetti applicativi. Questa concessione, che non è la rinazionalizzazione della Pac, non certifica la maturità della Pac, ma è la drammatica prova che l’ampliamento del numero degli stati membri sta conducendo alla paralisi anche la più antica e avanzata politica comune europea. La delega è una deludente ammissione di impotenza. Va in scena  per quella agricola quello che è il dramma di tutte le politiche europee, a partire dalla più rilevante quella economica e monetaria rappresentata dall’euro: il conflitto sempre più acuto fra gli interessi nazionali e quelli sovranazionali
Con la Pac siamo alla quinta tappa, non l’ultima, di un percorso iniziato da 22 anni per passare dal modello della fine degli anni ’50 a quello degli anni’90 che nasce già vecchio perché, di fatto, tiene solo parzialmente conto dei cambiamenti dello scenario agricolo mondiale.

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Malattia del Pinot grigio

Una nuova malattia della vite, denominata provvisoriamente “malattia del Pinot grigio”, è stata recentemente portata all’attenzione del mondo scientifico e degli operatori del settore. 

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Giù le mani dall’agricoltura

Il  piano paesaggistico della Toscana è ormai pronto, dopo un lungo travaglio, e proprio domani scade il termine ultimo per le osservazioni. E’ un documento di 3mila pagine in cui si raccomanda di conservare le antiche colture e, soprattutto, non provvedere  a nuovi sbancamenti per vigneti. La Regione si sente in dovere di intervenire per il fatto che sostiene economicamente l’agricoltura e quindi giudica necessario fornire delle indicazioni. E tuttavia, quel piano solleva molte perplessità anche all’interno della Giunta regionale, senza parlare delle dure critiche mosse da associazioni di coltivatori di opposte sponde politiche e anche da sindaci e assessori. Ma quello che a noi interessa è il giudizio degli storici e di coloro che hanno fatto dell’agricoltura una materia di studio e di ricerca. Ebbene, tutti loro si ribellano all’idea che l’agricoltura debba essere studiata a tavolino non con lo scopo di produrre e dare lavoro, ma piuttosto gradevolezze estetiche, trasformando i contadini in giardinieri. Senza agricoltura non si mangia, dicono chiaro e tondo. E dunque “lasciateci lavorare”, specie in questo periodo di crisi. E non dimentichiamo, soprattutto, che le colline fiorentine, così come le senesi, sono così belle perché abitate e trasformate nei secoli dall’uomo e non certo per  loro “natura”.

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La degenerazione della PAC e la crisi dell’agricoltura europea

All’epoca della stesura del Trattato istitutivo della Comunità economica europea si ritenne opportuno riservare un trattamento differenziato al settore primario rispetto a quello secondario e terziario; infatti, per questi ultimi la previsione era sostanzialmente solo quella di garantire la libera concorrenza e di impedire la creazione di monopoli e di posizioni dominanti che abusassero dei loro vantaggi, nel settore agricolo si stabilì che non  si potessero lasciare dipendere dal libero gioco del mercato i redditi gli agricoltori, numerosi e deboli, oltre che produttori di beni assoggettati al così detto “doppio rischio”, cioè del mercato e del clima.
A causa di tale convinzione il titolo sull’agricoltura del Trattato di Roma fu formulato prevedendo interventi al fine di “incrementare la produttività  dell’agricoltura”, “assicurare così un tenore di vita equo alla popolazione agricola”, “stabilizzare i mercati”, “garantire la sicurezza degli approvvigionamenti” e  “assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori” (art. 39 del Trattato CEE). In definitiva, si convenne sull’idea che il settore primario fosse, come ancora è, diverso dagli altri settori produttivi.

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Imbarazzante e inusuale quesito entomologico

Fin da tempi remoti l’uomo ha trovato in vari organismi animali, e in particolare negli insetti, dei formidabili competitori nella conquista di risorse alimentari e per contrastarli, in mancanza di adeguate conoscenze e di validi mezzi di lotta, ricorreva a pratiche magiche o invocava la protezione divina. Nelle religioni politeiste molte divinità assicuravano la protezione contro tali ricorrenti calamità. Il dio Mardok, adorato da Assiri e Babilonesi, era rappresentato sotto forma di mosca o di cavalletta (due dei principali flagelli dell’epoca). L’amuleto del dio Horus proteggeva gli Egizi  da tutti i leoni del deserto, tutti i coccodrilli del fiume, tutti i vermi sia quelli che mordono, sia quelli che pungono. Più “concretamente” alcuni esperti dell’epoca consigliavano di usare il grasso di uccelli insettivori per proteggersi da mosche e vespe. I Greci adoravano Apollo Sminteo (distruttore di roditori) e Parnopio; a quest’ultimo il grande Fidia eresse, a sue spese, una statua di bronzo in ringraziamento dei miracoli compiuti contro le invasioni di locuste. 

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Innovazioni nell’architettura delle trattrici agricole

L’architettura delle trattrici agricole risale agli anni ’20, gli albori della meccanizzazione agricola, ed è rimasta sostanzialmente inalterata.
In pratica la trattrice agricola è un triciclo che appoggia sulle 2 ruote posteriori e sulla cerniera anteriore. La trave è ottenuta dal blocco motore, dalla scatola della trasmissione e del differenziale. E’ sicuramente robusta grazie alle dimensioni generose dei componenti e ha assolto finora egregiamente alle esigenze del sistema agricolo e a quelle costruttive e di economicità dei costruttori.
Rare sono e sono state le eccezioni a questo schema: alcune macchine specifiche per la foraggicoltura alpina (Aebi, Reform … ma già quest’ultima nel momento in cui decide di realizzare macchine più versatili, adatte per l’intero ventaglio delle operazioni agricole, passa allo schema tradizionale). Lo stesso percorso venne seguito da Pavesi, genio della meccanica agraria, che dopo aver realizzato nel 1916 le P2 e P4 a telaio snodato e ruote isodiametriche, pietra miliare dell’ingegneria agraria, poi riprese dai costruttori americani negli anni ’70, nel progettare i trattorini Motomeccanica Balilla, opta per la soluzione a trave longitudinale appoggiata su 3 punti.

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La Qualità attraverso la filiera alimentare per la garanzia della sicurezza e della soddisfazione del consumatore.

Parlare di Qualità alimentare al giorno d’oggi è quanto mai attuale, anche se, essendo un tema molto ampio, si rischia di generalizzarlo e quindi banalizzarlo.
Studiosi e ricercatori hanno classificato numerosi tipi di Qualità, ma l’ISO (International Standard Organization) ne ha classificati 5: Percepita, Progettata, Realizzata, Attesa e Comparata.
La Qualità e la Sicurezza Alimentare sono spesso visti come dei prerequisiti scontati.
In un mondo che va verso la globalizzazione da un lato e dall’altro deve affrontare ricorrenti crisi economiche, è necessario invece porre la massima attenzione per  garantire e assicurare i consumatori offrendo loro prodotti sicuri, buoni  e sostenibili.
Le aziende alimentari devono ogni giorno fronteggiare e gestire attraverso tutta la filiera alimentare, rischi che vengono  prevenuti, gestiti, minimizzati e annullati solo grazie ai più severi e rigorosi  controlli che vengono poi certificati da enti di terza parte.

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Scelte “politiche” e finanziamenti per la ricerca

A volte i problemi non derivano da mancanza di soldi, ma da scelte sbagliate sulla loro utilizzazione.

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Il pecorino Toscano e Sardo, due esperienze a confronto

Gli studi condotti sugli animali e sull’uomo hanno dimostrato che il consumo costante dei pecorini toscano e sardo ottenuti da pecore al pascolo provoca una significativa riduzione della colesterolemia e un abbassamento di importanti fattori pro-infiammatori. 

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Il carbone è ancora una fonte energetica essenziale per il futuro ma un pericolo per l’ambiente e la salute

La prospettiva di ulteriore crescita deve preoccupare, in quanto non va dimenticato che, oggi, dal consumo di carbone deriva oltre il 44% delle emissioni totali di gas serra. Oltre agli effetti sul cambiamento climatico, l’inquinamento atmosferico, secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità  (Oms), provoca ogni anno nel mondo la morte di sette milioni di persone. C’è quindi da augurarsi che a guidare le scelte energetiche dei singoli paesi non sia la sola ragione economica. Scelte che dovrebbero portare, non solo al divieto di costruire nuove centrali a carbone, ma anche allo spegnimento di quelle ritenute pericolose per la salute e per l’ ambiente.
In proposito, si richiama ciò che è avvenuto a Savona, dove il gip, nel marzo di quest’anno, ha disposto il sequestro della centrale elettrica a carbone Tirreno Power di Vado Ligure (foto), in attività da 30 anni. Il gip ha richiesto lo spegnimento delle due unità alimentate a carbone, ciascuna da 330 MW di potenza, con un’ordinanza che fa riferimento al nesso di casualità tra le emissioni, le morti e le patologie. Tale nesso è negato dall’azienda che sostiene la tesi della mancanza di prove. Per contro, Amministratori locali e Comitati di cittadini, da anni denunciano l’inquinamento provocato dalla centrale e le sue ricadute nefaste sulla salute dei cittadini.

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L'urbanistica, la pianificazione e il paesaggio agrario

L’ Accademia dei Georgofili ha aperto un serio dibattito sul paesaggio “toscano”, sui problemi della sua conservazione e sulla libera imprenditorialità della olivicoltura e della viticoltura. Meritoriamente, da anni ha promosso incontri di studio specialistici sul problema, ponendo a confronto gli addetti ai lavori e i tecnici preposti alla redazione dei “piani strutturali” e dei “regolamenti urbanistici”. 
Per avvicinarci responsabilmente al problema, tenendo lontano approssimazione professionale ed emotività, credo che occorra riandare alla radice del contendere. Radice che, purtroppo, si è dimenticato, sta anche nella querelle sul distinguo disciplinare (e ideologico) tra urbanistica e pianificazione urbanistica. Già alla fine degli anni Settanta, nelle facoltà di architettura, si profilò e poi si determinò un allontanamento dall'insegnamento dell'urbanistica quale disciplina che studiava la formazione, la trasformazione e il funzionamento dei centri abitati, proponendone il rinnovamento e la crescita. La progressiva politicizzazione della materia – propria di quegli anni – introdusse la pianificazione, come “centralizzazione delle scelte strategiche del sistema economico”; concetto traslato, tout court, al territorio, da cui la “pianificazione territoriale” di cui si caratterizza l'ultimo PIT (Piano di indirizzo territoriale) della Toscana, di cui si discute in questi giorni.

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Utilità di coesione e partecipazione nella governance territoriale

Il massimo sarebbe arrivare a forme moderne di governance territoriale, dove le decisioni maturano in un contesto decisionale allargato e consapevole, senza per questo che siano disconosciute le sedi istituzionali deputate. Il “trucco” starebbe nella forza della coesione che sottende alle decisioni prese e agli indirizzi imboccati.

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La grande guerra e l’agricoltura

Si moltiplicano le manifestazioni – trasmissioni radiofoniche e televisive, articoli sui quotidiani, visite commemorative, ecc – in occasione del centenario dell’inizio della grande guerra, in cui l’Italia nel 1914 non era ancora entrata.
L’attenzione va, giustamente, agli aspetti militari, ai caduti, agli atti di eroismo, alla politica, ai rapporti tra stati, ecc. Assente è stato finora l’aspetto agricolo ed alimentare.

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Il Caciocavallo

Il Caciocavallo, prodotto in gran parte dell’Italia Meridionale, è un formaggio di grande pregio che alcuni gourmand ritengono tra i migliori d’Italia. Ha antiche tradizioni nelle regioni del Regno delle Due Sicilie ciascuna delle quali oggi lo reclama come suo; lo stretto legame con le risorse ambientali dei paesaggi nei quali è realizzato costituisce parte integrante della qualità percepita (soggettiva). Gli aromi e i sapori variano con il territorio e le tipologie rispecchiano le tradizioni dell’area di provenienza; il Caciocavallo podolico in Puglia e Basilicata, ilCaciocavallo Ragusano e quello di Godrano in Sicilia, ilCaciocavallo Silano in Calabria e Campania, il Caciocavallo di Agnone nel Molise. L’origine è attribuita a pastori mongoli che lo preparavano con latte di cavalla, ma il nome ha derivazioni incerte; per taluni origina dal kashcavaal degli slavi, ma è più plausibile l’ipotesi che lo collega all’usanza di legare due forme del formaggio ed appenderle "a cavallo" di una trave. Anche la lavorazione ha la sua parte: più bravo il casaro, più buono è il caciocavallo.
E’ ottenuto con il latte dei bovini autoctoni allevati in condizioni e con tecnologie vicine alla condizione naturale (a sistema estensivo); riconosciuto DOP nel 1996, è poco usato in cucina, ma è eccellente a tavola a fine pasto o per antipasti ed aperitivi, mitigandone la forza con miele o marmellate. Il sapore, delicato nel fresco, più intenso e piccante nello stagionato, deriva dalle essenze del pascolo trasferite nel latte, ma anche dal caglio conservato con bucce di aranci o limoni. 

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Libero accesso al DNA del riso: un aiuto per sfamare il mondo

Lo scorso 25 maggio era la giornata mondiale degli “affamati”, quasi un miliardo di persone che ancora oggi non dispongono di cibo in quantità e qualità sufficiente. È proprio in questo giorno che sono state rese disponibili le sequenze di DNA di circa 3000 varietà diverse di riso, provenienti da 89 Stati diversi.
Il progetto che ha portato questo risultato si chiama “3000 Rice Genome” ed è il frutto della collaborazione di importanti accademie e istituti del Sud-Est asiatico come l’Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso (IRRI), che conserva i semi di tutte le linee sequenziate. Questo sforzo immenso, finanziato dal Ministero di scienza e tecnologia cinese e della Fondazione di Bill Gates, ha permesso di individuare più di 18 milioni di polimorfismi, ovvero piccolissime differenze genetiche, ai quali potrebbero corrispondere delle caratteristiche interessanti. 
L’obiettivo dell’iniziativa, infatti, è quella di utilizzare ogni informazione ricavata dalla genetica per migliorare pratiche agricole e colture come il riso, alimento principale di circa metà della popolazione mondiale.
Il primo sequenziamento del riso è stato a metà degli anni 2000, ma pochi sono stati i miglioramenti delle tecniche agricole e delle varietà di riso perché molti geni interessanti sono presenti solo in alcune varietà tradizionali e un singolo genoma non permette di trovare tutta la diversità genetica del riso. 
La recente scoperta è invece di importanza fondamentale se si ricorda che, dato l’incessante aumento della popolazione e il cambiamento climatico, sarà necessario un aumento di produzione di circa il 25% da qui al 2030, selezionando e creando piante che possano resistere alla siccità. Una delle chiavi per affrontare queste sfide è scoprire quale parte di DNA permetterebbe alla pianta di sopravvivere alle alte temperature. L'accesso ai dati di 3.000 genomi aumenterà enormemente le potenzialità dei programmi di miglioramento delle piante per superare gli ostacoli per l’umanità nel prossimo futuro. 

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Meccanizzazione agricola e gestione sostenibile del suolo

E’ ormai noto che la degradazione del suolo è da imputare per lo più a un uso non corretto dello stesso e a pratiche agricole non sempre sostenibili. Il compattamento del suolo, ad esempio, è ritenuto il principale processo di degradazione di un’area di 33 milioni di ha in Europa, nella quale il 32% e il 18% dei suoli sono ritenuti, rispettivamente, altamente e moderatamente vulnerabili. Purtroppo, a causa dell’uso di macchinari sempre più potenti e pesanti, il compattamento del suolo sembra destinato ad aumentare e, di conseguenza, i processi erosivi. 

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L'Africa e la corsa alla terra: lo statu quo è inaccettabile

La "gold rush" ottocentesca sembra oggi sostituita da una febbrile ricerca di terre da mettere a coltivazione che pervade varie aree del mondo, ma in particolare il continente africano. E' questo l'argomento al quale il numero di Luglio di National Geographic Italia, ha riservato un lungo servizio nell'ambito della serie, già precedentemente ricordata in queste News, dedicata al Futuro del cibo; servizio più lungo dei precedenti e con la solita eccezionale documentazione fotografica. L'Africa è a un punto di svolta e la rivista analizza in particolare il caso del Mozambico, dove alcune grandi compagnie, con la compiacenza dei governi, favorirebbero forti investimenti stranieri a discapito degli agricoltori locali. Tutto ciò viene vissuto come un momento decisivo dell'agricoltura globale, ovvero la trasformazione dell'Africa subsahariana, da area marginale a nuova terra promessa. D'altra parte l'Africa è ancora una delle poche aree del pianeta dove vi sono milioni di ettari di terra pressoché incolta e grande disponibilità di acqua; ma in quel continente una "rivoluzione verde" non è mai avvenuta e quindi le rese unitarie sono ancora fortemente al di sotto delle medie mondiali. I guai endemici dell'Africa, a lungo rappresentati da assenza o quasi di infrastrutture, da mercati molto deboli, da governi instabili, guerre continue, mancato accesso al credito, si sono solo recentemente attenuati e ora, sia la Banca Mondiale sia vari paesi hanno cominciato a investire in agricoltura. D'altra parte sarà proprio qui che si realizzerà nei prossimi 40 anni quel salto demografico che porterà la popolazione dell'Africa subsahariana a oltre due miliardi di persone dal miliardo attuale, contribuendo così massicciamente al problema dell'alimentazione globale. La rivista affronta il problema di chi sarà il soggetto primo di questa rinascita agricola: i piccoli agricoltori o le multinazionali. In altre parole, se lo sviluppo di questo continente ha bisogno di enormi capitali privati, non si configurerà un nuovo "imperialismo agricolo"? Molti esperti di sviluppo agricolo ritengono che adeguate infrastrutture e tecnologie potrebbero aiutare molto il continente solo in caso in cui si arrivi a una stretta collaborazione tra i grandi progetti e i piccoli coltivatori. Focalizzando sul Mozambico, J.K. Bourne, autore del servizio, mette in risalto che l'accordo raggiunto dal governo di quel paese, con Brasile e Giappone, prevede la coltivazione industriale di soia su 14 milioni di ettari (ricordiamo che tale superficie è superiore a quella che l'intera Italia destina alle coltivazioni). A fronte di questi accordi, vi sono iniziative che rappresentano un' alternativa alla produzione su vasta scala, tramite la consegna, a ciascun contadino, di 5 ettari di soia in modo da consentire loro di non perdere la terra e guadagnare a sufficienza; i contadini ricevono anche periodiche visite da parte di tecnici per i vari aspetti agronomici e gestionali. Continuando in queste esemplificazioni, l'articolo ricorda anche il bananeto impiantato nei dintorni di Maputo, che ha ormai raggiunto i 1400 ettari di superfice ed è di un solo proprietario. Ma ciò che colpisce di più è la fine del servizio: dove dopo aver ripetuto che gli esperti FAO ritengono indispensabile l'immissione massiccia di capitali privati e tecnologie per riuscire a dare cibo ai due miliardi di persone in più che nel 2050 si aggiungeranno agli attuali, si dà voce a contadini africani in evidente condizione di povertà, che praticano ancora un' agricoltura primordiale, per sapere se accetterebbero di lavorare in una grande fattoria. 

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