L’incontro tra cinema e agricoltura non è immediato. Le cineprese delle origini (1895) privilegiano le vie cittadine, i luoghi esotici, gli avvenimenti di attualità (inaugurazioni, terremoti, funerali, incidenti vari, ecc.). Fino al 1914 poche le tracce di quella che in realtà era l’attività principale del mondo di allora. Tra le eccezioni italiane due filmati della Cines girati nel 1906 da F. Alberini, La merca del bestiame nell’agro romano e il Mercato dei Cocomeri (Roma). Nel 1908 la casa di produzione Ambrosio realizza il più peculiare Coltivazione e raccolta del riso. Un filone vivace è quello riguardante le industrie agroalimentari, come L’industria dei pomidori (1908) dedicato alla lavorazione della passata e chiuso da un’inquadratura colorata a mano con la preparazione in una cucina della pasta con la salsa. Altro argomento di grande espansione è quello delle sagre: tra i più noti Il Polentone a Pont Canavese (1909/1910) di Giovanni Vitrotti.
Dopo la prima guerra mondiale, si afferma l’idea di utilizzare il cinema per diffondere le nuove tecniche e l’uso delle macchine per i lavori agricoli. In Unione Sovietica tale pratica è affidata a registi del calibro di Ejsenštejn e Dovženko, che ai contenuti associano linguaggi cinematografici sperimentali, realizzando capolavori della storia del cinema come Staroe i novoe (Il vecchio e il nuovo, 1929) e Zemlja (La terra, 1930)
In Francia il progetto è sistematico e più modesto: non si tratta di grandi produzioni, né di fiction, ma di brevi documentari, diretti da Jean Bénoit-Lévy e prodotti dai ministeri della Salute, dell’Agricoltura e dell’Insegnamento professionale. Il corpus dei filmati rivela oggi stile e grande capacità didattica.
In Italia dal 1925 il regime delega ai cinegiornali e ai documentari dell’Istituto Luce la comunicazione e la divulgazione in ambito agricolo. Anche qui non mancano le dimostrazioni dei metodi di coltivazione. Tuttavia retorica e propaganda dominano. L’agricoltura è l’attività economica più importante del tempo. Allo sviluppo industriale, il fascismo preferisce la riorganizzazione del sistema agricolo e lancia nel 1925 la “battaglia del grano” per rendere l’Italia indipendente dalle importazioni. Benito Mussolini diviene protagonista di cinegiornali dove, a dorso nudo, miete e batte il grano. L’interesse si incentra anche sui frutteti, le produzioni orticole, gli oliveti e le vigne, senza mai dimenticare il problema dell’introduzione delle macchine agricole.
È a tutti noto che il fascismo delle origini era arrivato al potere grazie al fondamentale appoggio degli agrari dell’Italia settentrionale. Di qui l’attenzione al mondo agricolo anche del cinema di finzione, soprattutto grazie ad Alessandro Blasetti, con i film Sole (1929), sulla bonifica pontina, e Terra madre (1931), dove la contrapposizione città-campagna/male-bene si esplicita nelle vicende sentimentali ed economiche di un giovane proprietario terriero. Il linguaggio di Blasetti riecheggia i sovietici, il Murnau di Aurora (1929), un certo cinema statunitense, in una originale ibridazione che diventa simbolo di un nuovo stile italiano, in alcuni punti preannuncio del neorealismo.
La nuova corrente del dopoguerra alla campagna preferirà, come sottolinea acutamente Lizzani, “la grande periferia urbana”. Tuttavia i grandi cambiamenti riguardanti il mondo agricolo (riforma agraria, cooperativismo e fine della mezzadria) trovano riflesso in alcune opere come Caccia tragica (1947) di Giuseppe De Santis, che poi si ispira al duro lavoro delle mondine per Riso amaro (1949). La fine della mezzadria nel 2018 sarà al centro di Lazzaro felice di Alice Rohrwacher.
Negli anni Settanta inizia il recupero delle radici contadine con Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci e L'albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi.
Negli ultimi decenni l’agricoltura è raccontata con fini e tematiche del tutto differenti: se in Francia il cinema “agricole” conquista il boxoffice, con storie di ritorni alla terra e protagoniste femminili (Nel nome della terra del 2019 in un mese ha un milione di spettatori), negli USA prevale il cinema di denuncia, come Food Inc. (2008), sconvolgente indagine sugli allevamenti intensivi. Una sezione a parte riguarda i film sul vino, da Mondovino (2003) a Sideways (2004), dalla contestazione alla esaltazione della Napa Valley.
Due film di fantascienza sembrano delineare due opposte visioni della funzione attuale dell’agricoltura. Interstellar (2014) di Nolan non lascia speranze: nel 2067 una carestia globale costringe i terrestri ad abbandonare il pianeta. Le livide sequenze dei campi coltivati sono coinvolgenti e, forse, predittive.
Sopravvissuto - The Martian (2015) di Ridley Scott, ci mostra al contrario la pratica agricola come speranza e impulso di riscossa. Il protagonista, ingegnere e botanico, solo su Marte, riesce a coltivare delle patate che gli consentiranno di sopravvivere. Quale sarà il nostro futuro?