Misurare il tempo significa per noi, gli umani, affidarci all’alternarsi delle ore di buio o di luce e, quindi al moto di rotazione della terra e al cosiddetto ‘giorno solare’, che dura mediamente 24 ore, con leggerissimi mutamenti legati all’orbita della terra nel suo moto ellittico di rivoluzione terrestre intorno al sole, che ha una durata pari a 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 49 secondi. Gli uomini hanno creato un sistema comune per mettere ordine nel tempo e per costruire una cronologia. Quello strumento è il calendario che si basa su unità di tempo e lo suddivide. Il calendario non è solo una sorta di misura, di ordine del tempo, ma è una storia, contiene ricorrenze religiose e laiche, contiene la storia di Paesi, uomini e di santi. Il calendario è legato al sole o alla luna, o ad ambedue, e tutte le grandi civiltà, da quella egizia a quella persiana, all’ebraica, alla cristiana, alla cinese e all’indiana, ne hanno sviluppato uno, distinguendolo in mesi, settimane, giorni.
Un lavoro straordinario sviluppato dalle migliori menti dell’umanità, nella consapevolezza del legame profondo tra la nostra terra e l’universo intero e, quindi, tra le nostre vite e l’infinito.
E le piante, cosa fanno? Sono forse elementi passivi del tempo? Lo misurano? Ne hanno contezza?
E le loro vite sono scandite da una sorta di determinato orologio interno che ne definisce la durata, la vita media?
E soprattutto, sono gli anni, i mesi, i giorni, le ore, i minuti, i secondi l’unità di misura del tempo delle piante?
Non è fantasia immaginare una relazione tra la vita delle piante e le fasi lunari. Nella pratica boschiva si discute dell’influenza della fase lunare sulla qualità del legno e, d’altra parte, le fasi lunisolari influenzano fenomeni come le maree e non sorprende che le differenze gravitazionali influenzino la vita delle piante. L’agricoltura biodinamica ne fa un postulato, ma non esistono evidenze scientifiche e, d’altra parte, non è neanche semplice studiare questi fenomeni, nel tempo e nello spazio.
L’uomo studia da sempre le relazioni tra tempo, inteso come cronologia, e vita delle piante. È quello che si fa in campi di studio come l’ecofisiologia e la fenologia entrambi finalizzati a studiare le manifestazioni stagionali di alcuni fenomeni della vita vegetale, come la fioritura, la maturazione dei frutti, il germogliamento primaverile.
Quello che è certo è che le piante hanno una straordinaria capacità di ‘leggere’ il tempo e certamente le specie perenni, gli alberi lo ‘scrivono’ nel divenire del loro accrescimento annuale. I dendrocronologi, ad esempio, sono in grado non solo di identificare l’età di una pianta dai suoi anelli di crescita, ma anche di capire se, quando e che intensità di stress abbiano influito sulla vita di un singolo individuo.
Come fanno le piante a sincronizzare le fioriture? Gli spettacoli di natura offerti dalle fioriture dei ciliegi in Giappone, dai papaveri in California, dal prato polifita dell’altopiano di Castelluccio di Norcia non sono certo frutto del caso, come non lo è la fioritura del bambù cinese, o l’anno cosiddetto di ‘pasciona’, quello in cui le conifere producono la più grande quantità di polline e di fiori femminili e, ancora, la magia della fioritura del deserto dell’Atacama, in Cile.
Noi li chiamiamo, ‘miracoli’ di natura, ma in effetti le piante hanno una conoscenza del tempo forse ancora più raffinata della nostra.
Ma andiamo con ordine.
Le piante, gli alberi, sono gli esseri viventi più longevi della terra. Le conifere hanno il record con i 5000 anni del Pinus longaeva delle White Mountains californiane, ma singoli individui come cipressi, castagni e, in Italia l’olivo e l’oleastro raggiungono i 2500-3000 anni. Ma c’è anche, sempre in California, la Quercus palmeri, la cui vita è stimata in 13.000 anni, un’epoca più antica di quella della domesticazione di molte specie attualmente coltivate. Addirittura antecedente allo stesso inizio dell’agricoltura nel pianeta.
Ci sono specie come le specie appartenenti alle Pteridophyta, le felci, che risalgono al Devoniano inferiore, 400 milioni di anni fa e altre come le Cycadacee che risalgono al Carbonifero, 280 milioni di anni fa, coeve dei dinosauri. Son tra le specie che hanno dato origine alla vita del pianeta come la conosciamo oggi, quella che deriva dalla ‘catastrofe dell’ossigeno’ e cioè dall’avvento della fotosintesi e, di conseguenza, dalla presenza, prima di allora minima, di ossigeno nell’atmosfera.
Per non parlare dei semi, strutture viventi meravigliose che dilatano la vita di una specie nel tempo. Gli esempi sono infiniti, basta per tutti ricordare il caso dei semi delle palme da dattero ritrovati a Massada e dei semi di Silene stenophylla, ritrovati in Siberia. I primi, risalenti al tempo di Erode il Grande, sono stati ritrovati nel 1963 e hanno dato vita a nuovi individui, i secondi, risalgono a 32 mila anni fa le piante e hanno dato vita a nuove piantine che hanno prodotto nuovi semi.
Le piante misurano il tempo e lo ‘sentono’ attraverso le foglie e le gemme, veri sensori capaci di reagire alla diversa lunghezza delle ore di luce e di buio, attraverso quel sistema straordinario che è il fitocromo, che presiede, tra le altre cose, al fotoperiodismo delle piante. Alla sensibilità, elevatissima, alla luce, si accoppia quella alle temperature e alle condizioni idriche del sistema suolo-pianta-atmosfera. Una complessità di informazioni che farebbe invidia ai migliori calcolatori, consente, per esempio, alle piante caducifoglie di decidere quando perdere le foglie in autunno e quando iniziare germogliamento e fioritura in primavera. È la ‘dormienza’ delle gemme’ che rimangono in uno stato di mancanza di crescita apparente quado la serie di informazioni che viene dal ciclo delle temperature e dalla luce non da la risposta giusta.
Non sono i giorni a misurare il tempo per la maturazione del frutto, come nove mesi lo sono per la gravidanza di una donna, ma sono le ore di caldo utile che si accumulano, nel tempo. Le chiamiamo ‘Growing Degree Hours’ come quelle utili a ‘capire’ il freddo le chiamiamo ‘Chilling hours o Chilling units’. Sono le temperature utili alle piante per soddisfare i loro fenomeni di crescita e di sviluppo. Ad ogni temperatura corrisponde una frazione di tempo e quella ottimale, corrisponde a un ora di tempo. Più basse o più alte le temperature valgono una frazione sempre più ridotta di tempo, fino a non contare nulla o a essere, addirittura, controproducenti. Ecco perché, con il caldo, purché sia quello giusto, maturano prima i frutti e con il freddo, invece, ritardano. Se, poi, le temperature sono troppo late o troppo fredde, la stessa fotosintesi si blocca e, nei casi più gravi, gli organi che la presiedono si logorano fino a distruggersi.
Ma c’è ancora un altro orologio interno che regola, per esempio, l’evoluzione delle gemme verso la produzione di frutti. È il plastocrono, ovvero il tempo che decorre tra la formazione di due bozze fogliari successive, che varia da pochi giorni fino a un anno e che, per esempio, nel melo determina lo sviluppo delle gemme a fiore.
In altri casi, è la carenza di acqua, associata alle alte temperature e alle giornate lunghe, a mandare le piante a riposo, facendole vegetare in inverno. È questo l’orologio delle specie mediterranee per eccellenza, come viburno, corbezzolo, erica. Ed è tutto finalizzato a garantire che il seme sia pronto a cadere quando migliori sono le condizioni per germinare, nei miti e piovosi inverni mediterranei, piuttosto che nelle lunghe, calde e siccitose estati.
Così le piante rispondono con precisione all’evoluzione delle stagioni, riuscendo a tollerare i freddi invernali e le siccità estive, a fiorire e a riprodursi quando le condizioni lo consentono.
Le specie che vivono nel tropico equatoriale, invece, hanno meno stimoli ambientali, perché la durate del giorno e della notte è equivalente, l’escursione termica mensile è minore di quella tra il giorno e la notte e la piovosità è talmente elevata da non costituire mai un limite. La loro crescita è continua e ininterrotta e dettata solo dai diversi equilibri di luce e di acqua che esistono tra le diverse fasce di vegetazione. Non c’è traccia apparente della misura del tempo, in queste condizioni.
È il tempo che passa, l’età delle piante?
Per le piante annuali, è facile, vivono per produrre semi e una volta fatto, l’individuo muore e la specie segue il suo corso. Per le perenni, è più complesso. Le piante non sono ‘individui’ come li immaginiamo, ma sono una comunità di organi che possono avere completa indipendenza l’uno dall’altro. Nelle piante, anche le più vecchie, c’è sempre una parte giovanissima, una gemma, che sia dormiente o latente o, addirittura, un complesso gemmario che, nel bisogno si ri-organizza per dar luogo a nuove gemme. Sono quelle che chiamiamo gemme avventizie, vere costruttrici di futuro, dopo eventi apparentemente imprevedibili, ma che quelle specie conoscono, come incendi, fratture da venti, fulmini, etc. germoglio. Questo è il miracolo. Il meristema. Una ricetta per l’eternità. In una pianta convivono parti morte o vecchissime e parti che non hanno che pochi giorni di vita. È il cambio il tessuto sottile che riproduce ogni anno il tessuto vascolare e nutre l’intero individuo o la parte di esso che vive e si rinnova.
La chioma scompare? Le radici possono garantire un’altra chioma, un’altra vita. Succede a molte specie dopo gli incendi o dopo un fulmine o qualsiasi cosa che colpisca la chioma, ma non le radici.
Il cambiamento climatico ha già e avrà in futuro un enorme impatto sul mondo vegetale. L’uomo studia da decenni gli effetti dell’aumento di anidride carbonica in atmosfera e dell’incremento medio delle temperature su singole specie e su interi sistemi vegetazionali. Si tratta di mutamenti e di risposte complesse che possono ricondursi a profondi cambiamenti negli areali di distribuzione delle singole specie e in nuovi equilibri tra specie diverse. Quello che è certo è che il sistema vegetale si adatterà ed è molto probabile che lo faccia molto meglio della nostra specie.
La pianta muore quando si conclude la sua capacità di operare quell’incredibile fonte di vita che è la fotosintesi, la vera creatrice quotidiana della nostra atmosfera, dell’aria che respiriamo, e quando non ha più energia, riserve, per far crescere i suoi organi. Allora, sono le radici a deperire per prime, determinando una progressiva morte della chioma e, infine, dell’intero organismo. Non è l’età che l’invecchia, è la cura del mondo in cui vive che determina la vita di una pianta.
Ci rifletta chi, parlando di ‘vita vegetale’, immagina a una sorte di morte apparente, senza funzioni attive. È un colossale errore. La verità è che nelle funzioni vitali gli esseri umani dipendono interamente dal mondo vegetale che, al contrario, può farne, come avvenuto per diverse centinaia di milioni di anni, assolutamente a meno.