Sono trascorsi ormai cinque anni da quando i territori montani delle regioni dell’Italia nord-orientale furono interessati dalla tempesta Vaia che dal 27 al 30 ottobre 2018 li investì con la forza di un uragano. E in effetti Vaia è stato un evento meteorologico classificato come “Medicane” ossia “Mediterranean hurricane”, un uragano sviluppatosi nel bacino del Mediterraneo, ma con tutte le caratteristiche proprie di un uragano tropicale.
Gli effetti per i territori montani furono devastanti: a una prima fase con precipitazioni piovose di elevata intensità fece seguito una seconda fase, anch’essa con precipitazioni piovose sostenute, ma caratterizzata da venti ad alta velocità (prossime a 200 km/h) con prevalente direzione SE, in grado quindi di penetrare nelle valli alpine senza trovare alcun ostacolo.
Se le intense precipitazioni piovose innescarono fenomeni di erosione idrica e di trasporto solido che crearono pesanti danni a persone, edifici e infrastrutture (strade, ponti, linee elettriche e telefoniche, acquedotti, funivie) il forte vento fu la causa prevalente dei danni arrecati ai boschi, con l’atterramento e il danneggiamento di 16 milioni di alberi corrispondenti a quasi 9 milioni di metri cubi di legname.
Naturalmente l’atterramento e il danneggiamento degli alberi costituiscono il danno primario al quale va a sommarsi il danno secondario rappresentato da: alberi inclinati e quindi da abbattere, riduzione della produzione degli alberi rimasti apparentemente intatti (riduzione degli accrescimenti dovuti all’indebolimento dell’apparato radicale stressato dal vento), alterazioni delle condizioni della vegetazione, riduzione dell’erogazione di servizi eco-sistemici (sequestro di CO2), aumento del rischio di incendio, alterazioni (pur se temporanee) del paesaggio.
L’ordinanza di protezione civile dichiarata nei giorni successivi all’evento consentì di effettuare con rapidità tutta una serie di interventi volti al consolidamento dei territori, la messa in sicurezza dei versanti, la ricostruzione delle infrastrutture, la raccolta del legname. Ad oggi si stima che una percentuale variabile tra il 75 e il 90% del legname danneggiato dalla tempesta Vaia sia stato raccolto; la quota mancante è dovuta principalmente all’inaccessibilità dei luoghi che non permette l’accesso ai mezzi o che rende economicamente inattuabile; a raccolta e alle funzioni di protezione dalla caduta di massi e/o di slavine che il legname a terra è in grado di esercitare in attesa del completamento della costruzione delle barriere paramassi e paravalanghe.
Parafrasando un concetto espresso dal Prof. Lucio Susmel (professore di Ecologia forestale all’Università di Padova e propugnatore della selvicoltura naturalistica, disciplina sulla quale è improntata la gestione sostenibile delle foreste italiane), si può considerare la tempesta Vaia come una “sorta incidente sul lavoro della natura, incidente contro il quale le piante e gli animali, perfettamente integrati col mezzo fisico nella struttura ecosistemica, sanno reagire per sopravvivere, per risorgere e per riprendere l’equilibrio temporaneamente perduto”. Si può essere certi che la foresta ritornerà naturalmente; l’intervento dell’uomo sarà necessario solo per accelerare i processi naturali, per ottenere prima e meglio alcuni servizi indispensabili, in particolare quelli di protezione dei versanti.
Ma allora, a cinque anni di distanza è possibile considerare la tempesta Vaia un capitolo chiuso? Non ancora, in quanto è presente ed è attiva quella che si potrebbe definire “l’onda lunga di Vaia”, ossia l’emergenza fitosanitaria legata alla pullulazione del bostrico tipografo che, stimolata dalla grande quantità di legno a terra presente dopo la tempesta e favorita dagli andamenti meteorologici degli ultimi anni, sta provocando non pochi problemi ai popolamenti di abete rosso, sopravvissuti alla tempesta.
Si tratta di un fenomeno noto e atteso: le tempeste che periodicamente flagellano le foreste del centro e nord Europa insegnano che i danni provocati dal bostrico tipografo possono equivalere a quelli determinati dall’evento meteorologico e che limitati sono gli interventi che si possono porre in atto per contenere il fenomeno, il cui andamento segue la tipica distribuzione normale, con un massimo che si raggiuge non meno di 5-6 anni dopo l’insorgere del fenomeno.
I dati disponibili dal monitoraggio avviato nell’Italia nord-orientale a partire dal 2000 lasciano intravvedere un progressivo incremento del numero degli insetti presenti, legato anche all’aumento del numero di generazioni per anno. E pure i danni stimati manifestano un andamento simile: nella regione Veneto in tre anni il volume di legname morto per l’attacco del bostrico tipografo ha già superato la metà di quello danneggiato dalla tempesta Vaia.
Come accennato le contromisure da adottare sono limitate e spesso di scarsa efficacia; quello che dovrebbe essere posto in atto è un provvedimento simile a quello adottato subito dopo la tempesta Vaia, ossia la dichiarazione di emergenza mediante un’ordinanza di protezione civile.
Si tratta di un provvedimento giustificato dal carattere epidemico assunto dall’infestazione di bostrico tipografo, l’unico che possa consentire di adottare misure derogatorie in materia di affidamento di lavori pubblici e di acquisizione di beni e servizi e l’individuazione di specifici soggetti attuatori cui delegare la gestione degli interventi di raccolta del legname.
Questo provvedimento permette, infatti, di impostare un piano di azioni urgenti in grado di assicurare alle imprese boschive la possibilità di effettuare interventi capillari di raccolta del materiale colpito a vari stadi dall’insetto, operando a condizioni economiche favorevoli e garantite anche dalla qualità del legname che si riesce a raccogliere in tempo utile prima che si ammalori.
È chiaro che si tratta di una decisione politica importante, ma essa trova la sua giustificazione più forte nella necessità di preservare le risorse forestali e con queste una componente importante dell’economia dei territori montani.