Notiziario









Cooperazione e coordinamento della filiera agroalimentare: lo strumento delle Organizzazioni di Produttori

La giornata di studio del 22 febbraio, organizzata dall’Accademia dei Georgofili attraverso il suo Centro Studi GAIA, in collaborazione con CREA-Rete Rurale Nazionale e AGRINSIEME, ha consentito un’approfondita riflessione sulla situazione e sulle prospettive delle Organizzazioni di Produttori (OP) che rappresentano oggi lo strumento di punta a livello comunitario per rafforzare il potere contrattuale delle imprese agricole nella filiera.

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Amici Pastori, è tempo di agire

Il prof. Giancarlo Rossi, illustre e stimato Docente di Scienze Zootecniche del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari, insieme a 23 colleghi docenti, tecnici e dottorandi ha sottoscritto e chiesto di pubblicare su “Georgofili Info” un’opinione sulle cause che stanno deteriorando la produzione di latte e di classici formaggi

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Alimenti non italiani sofisticati e dannosi

In occasione della presentazione, a Roma, del sesto Rapporto «Agromafie» elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare, sono state allestite alcune portate denominate “Il crimine nel piatto degli italiani”. I clan mafiosi portano sulle tavole «prodotti illegali, pericolosi o frutto di sfruttamenti di agricolture primarie». Il regolamento Ue 1967/2006 ne mette fuori legge lo stoccaggio, l’immagazzinamento e la vendita che però ancora avviene attraverso vie illegali.

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Insetti … in poesia

Numerosi poeti hanno tratto ispirazione dagli insetti per comporre le loro opere. Già nel VI-V secolo a.C. Budda ammoniva: "Come l’ape raccoglie il succo dei fiori/ senza danneggiarne colore e profumo,/ così il saggio dimori nel mondo”. Intorno al 30 a.C. Publio Virgilio Marone, nel libro IV delle Georgiche, dedica dei versi ai malanni delle api: “Quando si dia il caso che/ per trista malattia/ languiscono i corpi (ché/ natura anche a loro dié i nostri malanni).”

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Diversità microbica e complessità dei vini naturali

Oggi il consumatore è giustamente più attento alla propria alimentazione, più consapevole del proprio diritto a alimenti sani e sicuri e a informazioni corrette e trasparenti. È disposto a spendere di più a patto di poter contare su qualità e sicurezza. Ma soprattutto è disorientato, confuso e in crisi di fiducia verso l’intero sistema agro-alimentare: secondo un recente sondaggio di People-Swg, il 60% degli italiani ritiene che “nessuno garantisce per gli alimenti che arrivano a tavola”.
Non si discosta da tale analisi il settore del vino, l’unico alimento in cui non vengono citati gli ingredienti di produzione, come se davvero nel vino ci fossero solo uva e solfiti. Nel vino sono ammessi nel processo produttivo fino a 75 coadiuvanti enologici, ma alcuni di questi in realtà sono dei veri additivi e quindi andrebbero citati in etichetta, come la gomma arabica che si aggiunge in pre-imbottigliamento e quindi in pratica “bevuta” dal consumatore.  Questa mancanza di una corretta informazione ha fatto nascere da una decina di anni il movimento del “vino naturale” parola provocatoria che si contrappone al “vino convenzionale” cioè il vino prodotto con l’utilizzo dei lieviti selezionati, di coadiuvanti enologici e proveniente da uve coltivate non in biologico. Chi produce vini naturali non utilizza ne lieviti ne batteri selezionati e non aggiunge durante il processo produttivo nessun coadiuvante enologico: è ammesso solo il metabisolfito di potassio in minime dosi. Sebbene i vini naturali rappresentano in termini di fatturato una minima fetta del mercato enologico, all’attualità in Italia ci sono più di 400 aziende che imbottigliano e commercializzano vini naturali. Un vino naturale è fondamentalmente un vino a fermentazione spontanea, cioè fermentato da lieviti indigeni presenti nell’habitat vitivinicolo. La fermentazione spontanea prevede la colonizzazione dell’habitat “mosto” da parte di una varietà di lieviti vinari chiamati “non Saccharomyces”. Con l’aumento della concentrazione alcolica nel mosto in fermentazione, le condizioni ambientali diventano progressivamente più restrittive per lo sviluppo dei lieviti non-Saccharomyces, consentendo, in tal modo, ai lieviti della specie Saccharomyces cerevisiae, generalmente dotati di un maggiore potere alcoligeno, di prendere il sopravvento e di portare a termine il processo fermentativo.  

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Alimentazione e ciarlatani in rete

Nel passato l’alimentazione degli italiani era regolata dalla tradizione che stabiliva cosa, come e quando mangiare durante il giorno (colazione, pranzo e cena), nel corso della settimana (giovedì gnocchi, sabato trippa ecc.), nel susseguirsi delle feste (Natale e Capodanno, ecc.) e nel volvere delle stagioni (tempo delle mele, delle castagne, del vino nuovo ecc.). Tutto questo è scomparso e allora sono spuntati prima i fisiologi, poi i nutrizioni-sti e i dietologi che con il loro camice bianco e anche le loro piramidi hanno tentato e continuano a cercare di regolare l’alimentazione della popolazione, ma con scarsi risultati. Sull’alimentazione oggi, usando terminologie anglofone, imperversano i blog (o siti) dove gli influencer (influenzatori) hanno migliaia e anche milioni di followers (seguaci più o meno fanatici). Inoltre i mezzi d’informazione, iniziando dai giornali, ogni giorno annunciano i cibi che non dobbiamo mangiare o i cibi che proteggono il cuore, fanno evitare il cancro o sviluppano l’intelligenza, in una ridda di notizie mutevoli e non di rado contrastanti, per cui quello che ieri era veleno oggi è salvifico o viceversa e questo va a incrementare l’attuale cucina di Babele, nella quale la gente, senza più le sicurezze della tradizione, diviene ansiosa se non timorosa di quello che deve mangiare.
Di particolare attenzione per la sua diffusione è il fenomeno degli influencer, blog, blogger e followers che comprendono anche i ciarlatani in rete.
Influencer è chi influenza qualcuno attraverso un blog, un sito di internet particolarmente predisposto per accogliere discussioni e scambi di opinioni. Proposto un tema si avvia una discussione alla quale via via si uniscono altri navigatori che con i loro più disparati pareri, e non di rado divagazioni, s’ingrossa il flusso dei messaggi, delle risposte, controrisposte e via dicendo, quando non si arriva ad insulti più o meno velati. Alcuni blogger con il tempo acquisiscono notorietà e hanno un elevato numero di utenti o seguaci (followers) più o meno abituali del sito che giunge anche a destare l’interesse di chi opera sul mercato. Sul sito compaiono allora messaggi pubblicitari che portano un utile economico per i blogger proprietari del sito e il blog da ludico diviene un lavoro remunerativo. Come in tutte le attività vi sono blogger trasparenti ma non mancano altri che non lo sono, divenendo influencer poco seri, superficiali, incompetenti e ignoranti degli argomenti che trattano e che, quel che è più grave, danno avvio a discussioni nelle quali i partecipanti non sono in grado di distinguere tra verità e fal-sità, i competenti dagli imbroglioni.

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Analisi costi-benefici e responsibilità decisionali

Il tema del momento è l’analisi costi benefici. Senza entrare nel metodo e nel merito delle conclusioni del gruppo di lavoro istituito a supporto delle decisioni sulla Tav Torino-Lione, vorremmo proporre qualche considerazione su questo strumento. L’analisi costi-benefici, in italiano definita “costi-ricavi”, fa parte di un insieme di metodologie di valutazione economica utilizzate, in genere, per le opere pubbliche o che, comunque, fruiscano di contributi pubblici. La semplicità, apparente, della sua denominazione  ne lascia intendere i contenuti. Si tratta di confrontare l’insieme dei costi da sostenere per realizzare una certa opera con quello dei ricavi o benefici, diretti ed indiretti, che ne deriverebbero. Se è semplice comprendere la logica che la guida, le cose si complicano nel momento in cui si deve passare alle necessarie valutazioni. Per definizione queste sono numerose e devono essere minuziosamente sviluppate. Sin qui nulla di particolarmente complesso, ma il fatto è che queste opere hanno tempi in genere non brevi per la realizzazione e, soprattutto, producono benefici tangibili e intangibili, variabili nel tempo e distribuiti su lunghi periodi. Si pone perciò il problema di confrontare valori che non sono contemporanei, alcuni noti o ben prevedibili, altri da stimare con grande anticipo e enorme prudenza. Mentre infatti i costi sono valutabili abbastanza facilmente e si verificano di solito in un arco di tempo breve rispetto alla durata dei benefici,  questi lo sono molto meno sia per la loro distribuzione nel tempo sia per le loro caratteristiche. Quelli non monetari, in qualche caso sono prevalenti. Occorrono dunque più livelli di stima e più valutazioni di natura diversa, ma la discrezionalità rimane elevata e dominante.

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Biocarburanti e allevamenti animali

Diverse ricerche dimostrano che l'industria di produzione di biocarburanti ha un importante effetto positivo nella fornitura globale di mangimi per gli animali e sull'uso del suolo per la coltivazione di materie prime.

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Prospettive di impiego dei vitigni di ultima generazione resistenti alle malattie

In un contesto in cui la sensibilità verso i temi dell’ambiente e della salute è sempre maggiore, anche il settore della viticoltura è chiamato ad una maggiore sostenibilità delle produzioni ed alla riduzione dell’impiego di fitofarmaci. Se da una parte ciò sta già avvenendo a seguito dell’introduzione delle tecnologie informatiche e dei modelli previsionali nella gestione della difesa, in prospettiva un ulteriore importante contributo potrà venire dalle biotecnologie e dal miglioramento genetico.

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Emergenza lupi in Maremma

Negli Stati in cui il lupo è protetto dalla Direttiva habitat, come l’Italia, la caccia al lupo non è consentita, ma occasionalmente, in circostanze particolari (come ad es. in zone ad elevata pressione predatoria sul bestiame in produzione zootecnica), alcune deroghe alla Direttiva possono essere temporaneamente applicate (art. 16 della Direttiva comunitaria habitat 43/92), purché sia mantenuto lo “stato di conservazione soddisfacente", della specie. Inoltre per la richiesta di deroga è necessario dimostrare che le misure di prevenzione siano applicate correttamente.
Il problema in Toscana è particolarmente accentuato sui rilievi maremmani che vantano una lunga tradizione pastorale. Dalle testimonianze risulterebbe che la presenza del lupo storicamente in tutta la Maremma era per lo più occasionale. Le campagne erano maggiormente popolate, il sistema di allevamento più intensivo di oggi e anche la prevenzione, conseguentemente, era maggiormente efficace. La stessa popolazione era più avvezza a determinate soluzioni adottate per difendersi dagli attacchi dei lupi: il “lavoro” svolto dai cani maremmani era non solo tollerato, ma apprezzato più di quanto non avvenga oggi da parte di escursionisti poco avvezzi a gestire un attacco o il semplice abbaiare di questi cani.  La presenza di ibridi (cane-lupo) rappresenta un problema in più in quanto, oltre a rappresentare motivo di inquinamento genetico della specie Lupo, con quello che ne consegue dal punto di vista biologico, cambia le modalità di predazione degli animali in produzione zootecnica, e pare che gli ibridi abbiano un minor timore nei confronti dell’uomo. Alcune ricerche che accreditano il lupo come principale controllore-selettore della fauna ungulata selvatica (l’analisi delle feci ha dimostrato in alcuni casi che le principale fonte di alimentazione è costituita da giovani cinghiali) spesso sono state eseguite in aree a scarsa densità di ovi-caprini.  La presenza di vaste aree protette rappresentano indubbiamente uno scrigno di biodiversità, ma anche zone di rifugio della fauna selvatica. Numerose ricerche (alcune presentate presso l’Accademia dei Georgofili che da sempre ha manifestato notevole sensibilità a questo problema) hanno messo in evidenza squilibri anche rilevanti, che nell’insieme finiscono per determinare un impoverimento della biodiversità quando determinate specie prendono il sopravvento.
In generale, oltre a provvedimenti normativi appropriati, un’opera di educazione ambientale su basi scientifiche si impone.

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Ortofrutta: i protagonisti ci sono, manca la politica

E’ stata una festa, una grande festa la settima edizione dei Protagonisti dell’Ortofrutta a Venezia (18 gennaio 2019), organizzata come di consueto dal “Corriere Ortofrutticolo”. Un evento che ha raggiunto la sua maturità e che consente un momento di incontro al di fuori delle solite logiche stressanti di lavoro.

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La cosa più intelligente che una città può fare? Piantare alberi

Non c’è dubbio che gli alberi possono rendere esteticamente più attraente una città. Ma non è questo il loro maggior pregio. Un numero crescente di ricerche suggerisce che piantare più alberi nelle nostre città, se ben pianificato, realizzato e gestito, potrebbe salvare ogni anno decine di migliaia di vite – in primis assorbendo l’inquinamento e contribuendo a ridurre gli effetti, talvolta esiziali, delle ondate di calore.
In effetti, una campagna di piantagione di alberi ben mirata potrebbe essere uno degli investimenti più intelligenti che una città “calda e inquinata” potrebbe (e dovrebbe) fare. Il che parrebbe una cosa fondamentale, dato che le aree urbanizzate cresceranno sempre di più consumando suolo ed energia in modo bulimico, aggiungendo circa 2 miliardi di persone in questo secolo e diventando sempre più calde e inquinate, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove si concentrerà la maggior crescita.
Purtroppo, molte amministrazioni continuano a pensare agli alberi come a un semplice ornamento, mentre avremmo dovuto a pensare a essi come a una parte cruciale delle nostre città del futuro: una vera e propria infrastruttura di salute pubblica già da diversi anni.
Gli alberi possono salvare vite in due modi:
1) Assorbono l’inquinamento da particolato prodotto dal traffico veicolare, da centrali elettriche e fabbriche. È un funzione importante, dato che il particolato può avere effetti devastanti sulla nostra salute e si stima che uccida annualmente circa 3,2 milioni di persone in tutto il mondo. L’effetto specifico varia da città a città, ma si può affermare, con piena certezza, che qualora si scelgano le specie giuste e le si mettano a dimora nel posto giusto, gli alberi migliorano indubbiamente la qualità dell’aria.
2) Possono raffreddare le aree urbane da 0,5 a 2°C nelle giornate più calde (con punte fino a 5°C); il che è vitale durante forti ondate di calore che ormai non possiamo più considerare anomale. Studi hanno rilevato che ogni grado in più in condizioni di forte afa porta ad un aumento del 3% o più della mortalità.

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E’ nata l’AISAM (Associazione Italiana per lo Studio e le Applicazioni delle Microalghe)

Nell’aprile 2017 si è svolto a Palermo il primo Forum Italiano sulle Tecnologie Microalgali (FITEMI). In quella sede i partecipanti ci hanno affidato il compito di creare un’associazione per promuovere lo studio e le applicazioni delle microalghe. Per rispondere al loro invito, ma anche sotto la spinta del crescente interesse del mondo industriale e della ricerca per questo gruppo microbico, nel giugno 2018 abbiamo fondato l’AISAM (Associazione Italiana per lo Studio e le Applicazioni delle Microalghe).
AISAM è un’associazione senza scopo di lucro nata per promuovere studi, ricerche, formazione giovanile e attività di supporto per le aziende sulla produzione, la trasformazione e la commercializzazione della biomassa di microalghe e dei prodotti derivati. Nessun settore applicativo è escluso: alimenti, mangimi, biocarburanti, cosmetici, farmaci, integratori e ogni altro prodotto e processo con utilità commerciale, ambientale o sociale. Altri obiettivi primari di AISAM sono la diffusione d’informazioni scientifiche affidabili e il rafforzamento delle relazioni tra aziende ed enti di ricerca.
Le microalghe, come strumento biotecnologico, sono oggetto di ricerche dalla metà del secolo scorso, ma è solo nell’ultimo decennio, da quando un gruppo di ricercatori del MIT ne ha (ri)proposto lo sfruttamento come fonte di biocombustibili, che si è registrato un “boom” di attività commerciali. Come molti altri abbiamo assistito con curiosità ed incredulità a questo fiorire d’iniziative industriali e progetti sostenuti da investimenti pubblici e privati che, solo per limitarci agli USA, hanno superato diversi miliardi di dollari.

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Stiamo sottovalutando la terribile minaccia della antibiotico-resistenza acquisita (Acquired Microbial Resistance, AMR) da parte dimolti batteri patogeni?

L’impiego indiscriminato degli antibiotici anche, e soprattutto, quando non servono, come nella terapia delle infezioni virali o il loro abuso, come nel caso dei mangimi nell’alimentazione degli animali in produzione zootecnica, ha portato ad una situazione che molti scienziati non esitano a definire tragicamente allarmante su scala globale. Infatti, sono ormai molti anni da che è stato lanciato l’allarme della comparsa di batteri patogeni, come le Salmonelle o i Clostridi, ormai divenuti resistenti agli antibiotici. La conseguenza è che molte patologie non sono più controllabili e spesso hanno esito letale nelle persone più deboli, come gli anziani.

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Come la dieta mediterranea ci allunga la vita

La sempre maggiore diffusione della dieta Mediterranea nel mondo come "dieta salva-cuore" ha determinato un significativo incremento della durata della vita media. Per chi nasce oggi in Italia, l’aspettativa media di vita è di 85 anni per la donna e di 80 anni per uomo.

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Paparazzi del piatto e pornografia alimentare

Fotografare i piatti è una moda e i Paparazzi del Piatto sono coloro che compulsivamente mettono le loro foto di piatti su Facebook, Pinterest, Instagram inondando l’universo mondo informatico con Food Porn, un termine che non indica filmini hard dove il cibo fa da sfondo a scene di sesso, ma che identifica un cibo da mangiare soprattutto con gli occhi e che è presentato su riviste patinate o libri di cucina con fotografie di piatti che alla sola vista fanno venire l’acquolina in bocca.
Pornografia Alimentare è un altro termine che è attribuito a immagini di torte al cioccolato, arrosti succulenti, pastasciutte traboccanti sugo, salumi che sembrano emanare profumi meravigliosi e suscitano immagini di territori incontaminati, che non hanno niente da invidiare alle ragazze di copertina delle riviste. In entrambi i casi i termini di "Food Porn" e "Pornografia Alimentare" fanno riferimento al significato originale della parola greca porné che significa vendere e in questo caso indica l’uso dell’immagine per vendere un cibo o un piatto indipendentemente dai suoi valori nutrizionali, simbolici e quant’altro e quando la componente visiva supera di gran lunga quella del giusto e corretto consumo alimentare.
Come tutte le novità, fotografare il cibo per alcuni è divenuta una passione, un’ossessione, un disturbo comportamentale o mentale, se non una malattia. Con le foto dei piatti si può passare al collezionismo e alla condi-visione d’immagini dei piatti più gustosi con gli amici od altri tramite la rete informatica. Fotografare il cibo è un fenomeno complesso. Se si fotografa il cibo è perché lo si apprezza e si vuole condividerlo con altre persone e in questo senso aiutano molto i social network dove esistono siti dedicati al Food Porn dove le foto del cibo generano il cinquanta per cento in più di condivisioni rispetto alle foto della moda e dello stile. La mania di fotografare i piatti al ristorante non riguarda soltanto i giornalisti enogastronomici e i blogger, ma anche la gente comune e vi sono ristoratori che vietano di fotografare le pietanze ordinate per impedirne una riproduzione, ma vi sono anche ristoratori che gradiscono la fotografia perché la ritengono o ininfluente o una forma di pubblicità alla loro cucina.
L’ossessione digitale da cibo segnala un disturbo soprattutto quando l’aspetto di cosa si mangia è più importante della nutrizione e il cibo diventa un’ossessione, il centro della vita sociale e comunicare più importante del mangiare stesso. Mostrare e diffondere immagini di piatti prestigiosi, da parte di alcuni può anche essere il segno della rappresentazione di un proprio potere, economico o sociale. Su questo comportamento stanno riflettendo gli psicologi che indicano come una malattia psichiatrica compare quando le immagini del cibo divengono la principale se non l’unica cosa che si fa su Internet e quando l’utente diventa monotematico escludendo tutte le altre componenti dalla sua condivisione di informazioni.

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“Provando e riprovando”: alcune domande rivolte alla Scienza

L’articolo apparso la scorsa settimana a firma di Amedeo Alpi – La grande nebulosa del “vero o falso” ha inglobato anche la Scienza – ha messo il dito nella piaga. Con la sensibilità e l’esperienza da appassionato uomo di Scienza, Amedeo ha raccolto le sollecitazioni di due sociologi di Stanford: è ormai un dato di fatto che il cambiamento epocale che sta attraversando il nostro mondo ha travolto anche quello che sembrava inviolabile baluardo del “vero”, la verità “scientifica”. Il “rapporto fiduciario” che per secoli ha tributato alla prova scientifica il sigillo di inoppugnabilità non esiste più nell’opinione comune e la “polarizzazione ideal-politica” che occupa l’intero spazio del vivere civile ha ormai oltrepassato la soglia anche della dimostrazione sperimentale.
Credo che l’invito di Alpi a non trascurare questi nuovi fenomeni sia fondamentale. Mi permetto perciò di raccogliere la sollecitazione, condividendo qualche osservazione per allargare la discussione. Sono uno storico e mi è quasi inevitabile riformulare il problema da un altro punto di vista, che cerco di esprimere attraverso alcuni interrogativi. Mi domando ad esempio: al di là degli (incalcolabili) effetti dei nuovi strumenti di comunicazione – i citati social media – che cosa ci segnalano questi nuovi crescenti fenomeni? È sufficiente una controinformazione adeguata? Basta reclamare le prerogative delle “verità scientifiche”?
Comincio dicendo che le forme di manipolazione esistono da quando esiste il mondo. Del resto, se a detta di molti gli animali sono come gli uomini, in realtà c’è almeno qualcosa che distingue gli esseri umani: sanno mentire. Il Novecento è stato certamente l’apogeo delle falsificazioni, ampiamente documentato dalla famosa fattoria di George Orwell. Tuttavia, ciò che abbiamo riscontrato è che il falso deve sembrare vero, come sanno bene i falsari. La virtù del falso sta proprio nella sua verosimiglianza, nel suo riflettere le aspettative generalmente condivise.

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