Notiziario






Chef a 32 stelle e prodotti tipici

Il succursalismo non riguarda soltanto la ristorazione di massa, ad esempio Mc Donald, o l’alta moda, ma ora anche la gastronomia dove stiamo assistendo alla nascita di una nuova generazione di "ristoranti seriali", come talvolta sono chiamati. Il succursalismo gastronomico che si sta diffondendo soprattutto per opera dei francesi sembra essere trascurato dagli italiani, mentre dovrebbe meritare una speciale attenzione anche per i riflessi che ha sulle produzioni alimentari e in particolare quelle tipiche.

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Storia della bergamotticoltura dalla sua nascita ad oggi

La coltivazione del bergamotto (Citrus bergamia Risso & Poit) e la produzione della sua essenza, costituiscono da oltre due secoli, un raro momento di imprenditorialità agricola di respiro internazionale per la Calabria. Lo sviluppo di questa coltura, com’è noto, è legata all’invenzione in Germania dell’”aqua mirabilis” (in seguito denominata acqua di Colonia in ricordo della città dove venne prodotta per la prima volta) da parte di un emigrante italiano, che la ideò e ne ottenne il brevetto negli anni a cavallo del 1700. Ben presto l’essenza del bergamotto diventa l’ingrediente più prezioso e ricercato per la preparazione dei più prestigiosi profumi destinati all’aristocrazia ed alla borghesia internazionale. Nascono così, intorno alla metà del 1700, i primi bergamotteti nei giardini di alcune delle famiglie più abbienti di Reggio Calabria. 

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Agricoltura sostenibile e diritto agrario nel nuovo millennio, tra food safety e food security

Una sintesi dell’evoluzione intervenuta negli ultimi decenni in ordine alle problematiche che hanno coinvolto anche l’agricoltura nonché degli sviluppi che sono sotto i nostri occhi può efficacemente esprimersi mediante il ricorso a tre espressioni, ormai entrate nel gergo comune: food safetyfood security e sustainable agriculture.
La prima espressione food safety riassume efficacemente la   questione apparsa in maniera significativa sulla scena della politica economica e del diritto dai primi anni del nuovo secolo a partire dalla singolare occasione rappresentata in Europa dalla vicenda della c.d. mucca pazza. In un momento storico in cui sembrava che la fame nel mondo fosse in via di superamento, l’attenzione della politica agricola si è spostata dai prodotti agricoli, in quanto tali, agli alimenti, al fine di fornire un’adeguata tutela della salute dei consumatori di alimenti che pur sempre ed in larga maggioranza sono basati su prodotti agricoli. Sulla base di questo trend, accanto al tradizionale diritto agrario, concentrato sul fenomeno produttivo e sui mercati delle materie prime e indirizzato alla tutela dei produttori agricoli, quali agenti insostituibili nella realizzazione della produzione agricola di base, si è sviluppato il diritto alimentare indirizzato fondamentalmente alla tutela degli interessi dei consumatori finali dei prodotti alimentari.
La seconda espressione food security segna, viceversa, la drammatica riscoperta del problema relativo all’ inadeguatezza della offerta agricola alla luce della domanda alimentare del pianeta. Tale riscoperta, intervenuta a seguito della crisi mondiale del 2008, continua a sussistere in considerazione dello scarto tra l’attuale produzione agricola mondiale ed il fabbisogno globale alimentare che si prevede necessario per i prossimi decenni. In questa prospettiva, sono apparsi sempre più indispensabili il rilancio fondamentale del diritto agrario, quale diritto della produzione primaria, e, al tempo stesso, la riaffermazione circa l’eccezionalità del settore agricolo rispetto all’applicazione indifferenziata anche ad esso dei paradigmi neo-liberali tuttora dominanti negli altri settori dell’economia.
L’espressione sustainable agriculture individua in maniera efficace la linea fondamentale di politica economica e di diritto agrario in cui nel nostro immediato futuro devono collocarsi le scelte pur sempre importanti indirizzate al perseguimento tanto della food safety quanto della food security

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Dopo Taranto, statalizzeremo l’agricoltura?

Il caso dell’ex Ilva di Taranto, bruscamente al centro dell’attenzione della politica e dell’opinione pubblica, mentre scriviamo è ancora lontano da una soluzione accettabile. In questi giorni la sostanza del problema è nascosta, sopraffatta dall’infinità di parole spese per una narrazione che non è propedeutica a nessuna soluzione concreta a breve termine. Temiamo che si aprirà una complessa contesa giuridica  che, qualunque ne sia l’esito, segnerà la fine di uno dei maggiori impianti del continente.
Al di là delle polemiche prontamente sviluppatesi ci sembra che il caso metta in evidenza due questioni generali. La prima consiste nel fatto che da più parti torna ad echeggiare un ritornello che pensavamo fosse ormai scomparso e dimenticato: l’invocazione di un pronto intervento di statalizzazione/nazionalizzazione dell’impresa da parte dell’Italia come garanzia del ristabilirsi di una situazione di funzionamento dell’impresa che sia efficace e cioè che consenta di conseguire gli scopi che la scelta politica si propone. La seconda è proprio la definizione di questi scopi che vengono ridotti all’alternativa fra proseguire nella produzione a qualsiasi costo, materiale e morale, oppure, all’opposto, chiudere l’impianto al fine della salute degli abitanti e dell’ambiente locale abbinando a ciò opere di disinquinamento, riqualificazione dell’area, avviamento di non meglio definite attività “green” secondo una linea politica che sembra trovare crescente consenso.
Quella delle nazionalizzazioni sembrava una strada ormai, e per sempre, abbandonata. Reca con sé l’amaro sapore di soluzioni di guerra, di autarchia, di politiche nazionaliste inefficienti ed inefficaci. Nel nostro paese ha condotto ad un’economia fortemente infiltrata dalla politica e dalla pressione di gruppi e settori. Raramente ha condotto a risultati economicamente positivi, scaricando i costi sul bilancio dello Stato e cioè, in ultima analisi, sui redditi dei cittadini. Alla base vi è la convinzione che lo Stato riesca a fare meglio dei privati nella produzione  e vendita di beni e servizi. Sappiamo che non è così, tanto che dopo svariati decenni dalla nascita dell’Iri abbiamo proceduto a privatizzare le imprese pubbliche, scoprendo che quelle più redditizie operavano in settori regolati dallo Stato, mentre stentavano a sopravvivere quelle messe sul mercato.

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L’arte del norcino, nell’ultimo libro di Giovanni Ballarini

In un’antichità arrivata fin quasi ai nostri giorni, il maiale era sacrificato tra Santa Lucia (13 dicembre) e Sant’Antonio (17 gennaio) per dare lustro con le sue carni alle feste di fine d’anno e di carnevale; e un proverbio diceva che a lavarsi i piedi si sta bene un giorno, a sposarsi un mese e sacrificando un maiale un anno. Sacrificare un maiale domestico che ha convissuto con la famiglia umana comportava un’intensa ritualità officiata da un magister o maestro esperto, competente, e abile e dal termine maestro derivano le voci dialettali settentrionali di masalèn, masalìn, masìn, masèr, massarìn, mazén di chi è maestro, il più grande di tutti, nel sacrificio del maiale, mentre nell’Italia centrale prevale il termine di norcino che fin dal Medioevo raffina la sua arte alla scuola dei chirurghi di Norcia.

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Un Tingide esotico dannoso al gelsomino: Corythauma ayyari (Drake)

In Italia i gelsomini ospitano poche specie di insetti fitofagi in grado di causare alterazioni; diffuso è il Diaspino Aspidiotus nerii, responsabile di ingiallimenti delle foglie che superano la soglia di attenzione ma che, raramente, interessano tutta la chioma. Nel 2012 è stata segnalata in Campania la presenza del Tingide di origine asiatica Corythauma ayyari (Drake) e rinvenuto successivamente nel Lazio, in Sicilia e in Sardegna. Nel bacino del Mediterraneo, è stato segnalato in Israele, nel 2004, e successivamente in Francia, nella penisola Iberica, Grecia, Malta e Tunisia. Più recentemente è stata intercettata nel Principato di Monaco e in Siria. Si ritiene quindi che il Tingide sia in fase espansiva nell’area mediterranea.

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Un futuro con alberi, ma sul nostro pianeta

Ci crediamo uomini liberi, ma siamo in realtà condizionati, consapevoli o no, da molte forze di varia natura, non solo di carattere economico, ma anche sociali, psicologiche e, soprattutto, politiche.
Una delle maggiori armi per influenzare le opinioni del pubblico e per orientarlo verso certi atteggiamenti e verso certe scelte sono, come ben sappiamo, i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, cioè quelli che una volta erano la radio, i giornali (per chi sapeva leggere) e la televisione (in epoche più recenti) e adesso sono principalmente internet e i social network.
Questi potenti mezzi di persuasione e di propaganda costituiscono nella nostra società attuale grossi strumenti di potere in mano a gruppi economici e politici o agli stessi governi, che ne fanno l’uso che ritengono migliore allo scopo di piegare il pubblico alla propria volontà e ai propri interessi, facendogli dimenticare che, forse, i problemi sono altri.
Ho scritto questo lungo preambolo perché il bombardamento mediatico di pochi mesi fa per ricordarci i 50 anni che ricorrono dallo sbarco sulla Luna mi ha fatto ricordare, come a moltissimi, dove ero quella sera. Me lo ricordo benissimo, avevo 6 anni, ero a casa dei miei nonni, con genitori e qualche zio a vedere quello che all’epoca non riuscivo a percepire come qualcosa di straordinario. E lo era, allora come adesso. 
La stampa ha poi rilanciato notizie riguardanti progetti volti a portare l’uomo sulla Luna, su Marte e persino più in là, non più per qualche minuto, ma per viverci permanentemente. 
L’ambizione dell’uomo non conosce ostacoli e, per il futuro, si progetta di alterare l’atmosfera di Marte o il clima di Venere per renderli abitabili, di far nostre le risorse minerarie probabilmente presenti su questi pianeti.
Ma, forse, invece di pensare di colonizzare la Luna o Marte, dovremmo prima pensare di preservare il pianeta in cui abitiamo e, quindi, salvare noi stessi e coloro che ci seguiranno. Non dico che non si debbano perseguire queste strade che non sappiamo ancora dove ci porteranno, anzi. Altrimenti contraddirei la mia voglia di ricerca. 

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Una riuscita applicazione di controllo biologico

Nel 2000, nell’ambito di un progetto di ricerca sui fruttiferi tropicali e subtropicali, in un impianto di Avocado, cv Hass, alle pendici dell’Etna, è stata riscontrata una elevata infestazione del Tripide delle serre Heliothrips haemorroidalis. Attacca un gran numero di piante spontanee e coltivate, con preferenza per Viburno, Ficus, Azalee, Croton, Limone, Avocado, The, Passiflora, Caffè, Cacao, Cotone, Cola, Mango, Palme da cocco e da datteri.

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Città a misura di bambino

Seguendo l'attuale tendenza dell'urbanizzazione globale e la crescente attrazione delle città per le famiglie, gli ambienti urbani stanno diventando i contesti principali in cui le nuove generazioni di bambini cresceranno e prospereranno. Questa rapida urbanizzazione ha una serie di effetti tra cui una tendenza in crescita in cui non solo i giovani professionisti urbani scelgono di trasferirsi nelle aree urbane, ma anche, come detto, le famiglie. Le Nazioni Unite stimano che, a seguito della continua urbanizzazione della popolazione umana, entro il 2025 il 60% dei bambini del mondo vivrà in città.
Ciò che è indicativo è che per milioni di futuri nati i contorni della vita quotidiana e delle esperienze saranno modellati dagli ambienti urbani e ciò ha rinnovato l'interesse per la vita dei bambini nelle città nei settori delle scienze sociali, della pianificazione e progettazione e ha accolto con favore diverse prospettive di sviluppo nel vasto campo degli ambienti urbani a misura di bambino.
Tuttavia, ciò implica di affrontare diverse sfide, poiché crescere nelle città porta preoccupazioni legate a condizioni di vita sana e sicura, alla presenza di spazi ricreativi, ai trasporti, alla povertà urbana, ecc. Le città a misura di bambino devono tener conto del ruolo delle abitazioni, dei trasporti, delle reti comunitarie, del gioco, della governance e, soprattutto, della presenza di aree verdi, come prerequisiti importanti per vivere in città. Con l'ampliamento della portata degli studi sui bambini nell'ambito delle scienze sociali, l'analisi urbana è essenziale per migliorare la comprensione contestuale dei problemi e dei bisogni contemporanei dei bambini nella città; in particolare la pianificazione e la progettazione di nuove aree urbane (soprattutto nei paesi in via di sviluppo) e le loro influenze sulla vita quotidiana dei bambini.
È perciò fondamentale la creazione di comunità a misura di bambino e la costruzione o la rigenerazione di quartieri, città e regioni vitali e con un forte senso di appartenenza. Sebbene la pianificazione “per i bambini” non sia una materia nuova ed esista un corpus crescente di ricerche sullo sviluppo di comunità a misura di bambino, la gran parte della produzione scientifica si è concentrata però sull'affrontare le sfide nei quartieri per bambini, mentre la ricerca sul ruolo degli strumenti di progettazione e pianificazione per migliorare le pratiche relative alle comunità a misura di bambino non è ancora del tutto sviluppata.

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Poesia e amore di vino

Il vino è un alimento e oggi prevalentemente un piacere nel quale si combinano diversi sentimenti, ma nella Roma antica c'è il vino della cena, della medicina, della religione e della seduzione. Il vino della cena è permesso a uomini e donne in misure e regole diverse come il vino medicinale, mentre il vino legato alle cerimonie religiose è concesso agli uomini che devono officiarle. Nella Roma repubblicana e fino ai primi secoli della nostra era vige lo Ius osculi che dà all'uomo e soprattutto al pater familias la facoltà di baciare una propria congiunta per accertare se avesse bevuto o meno del vino perché alle donne, per una legge che Dionigi di Alicarnasso fa risalire a Romolo, è interdetto il consumo del vino, un ultimo residuo di un'antica società matriarcale prima della sua sostituzione con il modello patriarcale che storicamente conosciamo. A Roma vige anche il vino della seduzione suscitatore di emozioni d’amore che nell’età di Augusto (44 a. C. – 14 d. C.) affascina i poeti da Tibullo, Properzio, Ovidio e Orazio, senza dimenticare Virgilio e poeti minori quali Lucano, Giovenale, Silio Italico, e Stazio.
Il periodo imperiale coincide con la massima produzione e diffusione dei vini prodotti in Italia e a Roma arrivano quelli più famosi di ogni parte dell’impero da Taso, Cos, Lesbo, Sicione, Cipro, Telmeso, Tripoli d’Asia, Beyrut libanese, Sebennys egiziana. Diversi scrittori latini si occupano di agricoltura scrivendo della vite e del vino: Marco Porcio Catone (234 a. C. – 149 a. C. ) nel De agri cultura si ferma a parlare delle manipolazioni del vino, Marco Terenzio Varrone (116 a. C. – 27 a. C.) nel De re rustica (37 – 36 a. C.) dettagliatamente considera la vite, l’uva e il vino, Lucio Giunio Moderato Columella (4 d. C. – 70 d. C.) scrive il De re rustica un trattato poetico di enologia e Gaio Plinio Secondo o Plinio il Vecchio (23 d. C. – 79 d. C.) dedica al vino un’intera sezione del XIV libro della Naturalis historia considerandolo un elemento che contribuisce in modo fondamentale all’economia romana. Sono i poeti elegiaci che abbinano il vino all’amore, ritenendolo un elemento indispensabile per accendere la passione durante gli incontri amorosi soprattutto al di fuori della cerchia familiare, divenendo un complice per sedurre una donna, eludere le ansie e vincere i timori che precedono un incontro amoroso, con diversi atteggiamenti come studiato dal letterato Prof. Aldo Luisi che nei suoi studi ha particolarmente indagato questo aspetto dai quali si ricava anche quanto segue.
Per Albio Tibullo (54 a. C. – 19 a. C.) tra i maggiori esponenti dell’elegia erotica il vino è capace di lenire ogni dolore amoroso: Adde merum vinoque novos compesce dolores / occupet ut fessi lumina victa sopor, / neu quisquam multo percussum tempora Baccho / excitet, infelix dum requiescit amor (versa ancora vino schietto e col vino caccia i recenti dolori, perché il sonno vinca e chiuda gli occhi di chi è stanco di piangere: nessun svegli l’uomo che ha la testa stordita per il troppo vino, finché l’amore infelice si quieti).

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Rischi da crudismo per i cani e i gatti

Nelle società industrializzate non manca la voglia di un ritorno a una natura spesso soltanto idealizzata e per questo vi sono proprietari che per i loro animali, rifiutando gli alimenti industriali, si rivolgono a un’alimentazione che ritengono naturale, come la dieta crudista denominata BARF (Biological Appropriate Raw Food o Bone And Raw Food). Su questo modo di nutrire cani e gatti non mancano accurate indagini scientifiche sui vantaggi, svantaggi e rischi che riguardano anche i proprietari e l’ambiente.

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Le proprietà del pomodoro

 Originario dei territori tra il Perù ed il Messico, il pomodoro, portato in Spagna dal Messico nei primi decenni del XVI° secolo dal conquistatore Hernan Cortez, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo non come alimento, ma solo a scopo ornamentale, perché ritenuto un frutto tossico.
Ancora nel 1544, nel suo trattato “Herbarius”, Pietro Andrea Matthioli, lo inseriva ancora nell’elenco delle piante velenose, anche se era a conoscenza che in alcune regioni aveva cominciato ad essere utilizzato in cucina. 
Nel ‘500 e nel ‘600 il “pomus aureus”, cui venivano attribuiti misteriosi poteri eccitanti ed afrodisiaci, veniva impiegato per la preparazione di pozioni magiche e filtri d’amore. 
Dall'analisi genetica effettuata su 360 specie e varietà di pomodoro, è risultato che l'impronta del processo di selezione, operato dall'uomo nell’arco di circa 5 secoli è impressa nel 15,2 % del suo genoma ed ha portato a frutti molto più grandi, carnosi e sodi, ma meno resistenti a stress e malattie.
Questa solanacea facile da coltivare e dalla grande produttività è classificata giustamente tra gli alimenti nutraceutici, poiché il gran numero di studi condotti, a partire dalla seconda metà del secolo scorso e fino ai giorni nostri, ne hanno dimostrato le indubbie e numerose proprietà nutritive e salutari. Negli ultimi 15 anni l'attenzione di molti centri di ricerca si è rivolta, in particolare, ad una serie di sperimentazioni finalizzate ad aumentare il già elevato contenuto di antiossidanti fino ad ottenere frutti OGM con un contenuto del 500 % superiore a quello del pomodoro che compare comunemente sulle nostre tavole.
Il pomodoro fresco è costituito per circa il 94 % di acqua, ha un basso contenuto di macronutrienti ed è una miniera di micronutrienti. E'particolarmente ricco di vitamine e di provitamina A, di numerosi sali minerali (alcuni dei quali come lo Zn, il Cu, il Se, B, lo J, lo S) sono ben raramente reperibili in altri alimenti, di acidi organici, ma particolarmente elevata è la presenza di antiossidanti: ben 40 polifenoli e tanti carotenoidi fra i quali spicca per quantità e potere benefico il licopene.
Il licopene è presente soprattutto nella parte più esterna del mesocarpo del pomodoro e nella buccia con un valore nel prodotto fresco e coltivato all'aperto di d mg 3/Kg nei pomodori gialli a mg 50/kg nei pomodori rossi.   Per le sue proprietà di ridurre il rischio di insorgenza di numerose patologie, è l'antiossidante del pomodoro su cui sono massimamente puntati gli interessi della ricerca in campo medico.

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Alberi, cambiamenti climatici e cambiamenti sociali

A prescindere da ciò che ci dicono i media, i quali alternano periodi in cui ci mostrano o scrivono di Greta Thunberg a tutte le ore e in tutte le salse, salvo poi ricadere nell’oblio per spostare la nostra attenzione a problemi spesso ingigantiti da interessi di parte, esistono prove inequivocabili che il clima della Terra sta cambiando a un ritmo senza precedenti e non si limita al riscaldamento del globo.
La maggioranza degli scienziati informati (nel senso che fanno ricerca su questo specifico argomento e quindi ne possono parlare con cognizione di causa), concordano sul fatto che questo veloce cambiamento è il risultato dell’aumento dei gas serra nella nostra atmosfera direttamente causato da attività umane. Nessuno nega che i cambiamenti ci siano sempre stati, ma adesso il tutto sta avvenendo con scala temporale brevissima e con effetti che potrebbero essere imprevedibili per la loro entità. Gli effetti del cambiamento climatico sono infatti geograficamente iniqui, vari e imprevedibili con conseguenze potenzialmente devastanti e non pianificate sia per la diversità vegetale globale sia, in definitiva, per la sopravvivenza stessa dell'uomo.
Sappiamo anche che le piante sono fondamentali in questo scenario in quanto importanti regolatori del clima globale e sono la chiave di volta del ciclo del carbonio. L'assorbimento di anidride carbonica (CO2), uno dei principali gas climalteranti, durante la fotosintesi, il suo sequestro temporaneo nei tessuti dei vegetali e il suo stoccaggio permanente nelle parti permanenti sono le fasi attraverso il quale il carbonio viene rimosso dall’atmosfera e messo a disposizione di animali e umani per crescita e sviluppo. Gli alberi sono particolarmente importanti a questo proposito, fungendo da grandi pozzi di assorbimento, in quanto assimilano CO2 e la immagazzinano come biomassa legnosa, ma anche favorendo lo stoccaggio del carbonio nei suoli che può essere addirittura, e spesso lo è, superiore a quello stoccato nei vegetali.

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Microalga target per la produzione industriale di luteina naturale

La microalga Scenedesmus almeriensis ha attirato un crescente interesse come fonte naturale di luteina ed in particolare al momento rappresenta l'unica microalga maggiormente studiata per l'estrazione di questo pigmento [1]. 
La luteina (β,ε-carotene-3,3'-diolo; E161b), insieme ad altri carotenoidi, agisce nelle cellule delle microalghe come un raccoglitore di energia luminosa migliorando l’efficienza della fotosintesi e prevenendone il foto-danneggiamento. La luteina mostra anche benefici effetti sulla salute dell’uomo agendo come antiossidante, come agente antinfiammatorio e, accumulandosi nella macula della retina dell'occhio, è in grado di prevenire la malattia degenerativa della macula.

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Efficienza e sostenibilità dell’oliveto in prospettiva storica

La gestione dell’oliveto, sempre più antropizzata, si è mossa lungo due modelli che semplifichiamo così: quello di basso livello, supportato dai soli input naturali di azoto (per esempio la pioggia) e quello sempre più intensivo che ha avuto ed ha nell’attualità, dei limiti di sostenibilità.
In una recente ricerca che si riferisce al territorio della provincia di Lecce [1]  , si sono stimati in varie epoche gli OUTPUT (produzione di olive, legna, ecc.) e gli INPUT energetici applicati all’oliveto (lavoro umano e animale, concimi, fertilizzanti, macchinari, ecc.). Il rapporto tra i due valori, tradotti previamente in unità energetica, ci fornisce un quadro relativo all’evoluzione dell’efficienza energetica nella gestione dell’oliveto. 

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Funghi, “meretrici” in cucina fino all’Ottocento

Vincenzo Tanara (Bologna ? – Bologna dopo il 1644), di famiglia nobile con il titolo di marchese, è dapprima militare al servizio di vari Signori poi dal 1624 magistrato a Bologna è famoso per aver scritto L'economia del cittadino in villa che, dopo l'edizione veneziana del 1644, conosce altre nove edizioni. Conosciuto per la sua passione per la caccia, tipico svago rustico anche dell'ambiente cittadino, Vincenzo Tanara nella sua opera descrive un'agricoltura non destinata alla sopravvivenza dei contadini, ma l'organizzazione della vita in villa, descritta come una unità produttiva detenuta da una famiglia di rango nobiliare o alto-borghese e orientata alle produzioni che abbiano mercato. In quest’opera vi è una chiara testimonianza di quanto ai suoi tempi poco siano considerati i funghi, diversamente da quanto oggi avviene nella nostra cultura alimentare e gastronomi-ca, dimostrando di come possano variare i gusti della tavola e al tempo stesso rendere cauti nel trasferire i nostri giudizi a tempi, luoghi e soprattutto culture di-verse. Infatti se nel XVI secolo prevaleva una gastronomia micofoba, oggi siamo in piena gastronomia micofila. Le culture alimentari umane possono essere infatti distinte culture micofile e culture micofobe e, se le prime amano i funghi, le se-conde li disprezzano e li escludono dal loro orizzonte culinario.
Vincenzo Tanara documenta la micofobia del XVI secolo in modo preciso in alcuni passi del suo trattato quando dice che non si può far le nozze con i funghi, che sono ancora li fonghi con qualche presagio, perché si dice anno fongato anno tribolato, che il nome di fungo significa morte e soprattutto che i funghi sono come le meretrici, ma a questo proposito è utile riporta il testo in una sua trascrizione attualizzata. Ad ogni modo l’uomo si espone a un pericolo tirato dalla gola da questo gusto. Ognuno sa che il fungo deriva da funus cioè dal dare morte e il boleto da bonum laetum quasi che portando una morte gustosa si possa chiamare buona, tuttavia basta il vederne, che non si trova chi, ancorché quasi naufragato con quelli, non si sottoponga a un nuovo pericolo. Oltre ciò mi pare che i funghi siano come le meretrici, da tutti biasimati e da tutti seguiti. Sempre il Tanara aggiunge che dei funghi si può dire che non sono né carne né pesce e pure si mangiano nei giorni destinati al pesce, alcuni paiono carne e i tartuffoli hanno sapore di carne e che i funghi mediante la cottura trasmettono un tal sugo gustoso che o da essi stessi o assieme con altre vivande li rendono tanto desiderabili, ancorché da tutti siano conosciuti di mal nutrimento o mortali.
Non si può far le nozze con i funghi è un proverbio dell’Italia settentrionale, mentre in quella meridionale i funghi sono sostituiti dai fichi secchi, che permane anche in seguito come attestato da Lorenzo Magalotti (1637 – 1712) il quale nelle Lettere scientifiche ed erudite del conte Lorenzo Magalotti cita che ... Voi sapete che a noi altri riesce alle volte il far propriamente le nozze co’ funghi. Il proverbio si trova anche nel Nouveau dictionnaire francois-italien composé sur les diction-naires de l'Académie de France et de la Crusca, Enrichi de tous les termes propres des sciences et des arts ... Par M. l'abbé François d'Alberti de Villeneuve, dans cette première édition italienne nouvellement corrigé, amélioré, & augmenté ... – Remondini, Venezia, 1777. E una sua citazione arriva fin quasi a noi con Riccardo Bacchelli (1891 – 1985) nel suo Il Mulino sul Po

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Micotossine: un pericolo spesso sottovalutato

Gli alimenti di origine vegetale, in particolare i cereali, vengono normalmente aggrediti da colonie di muffe, sia in campo che durante lo stoccaggio ed il trasporto. 
Perché ciò avvenga si devono verificare condizioni di temperatura dell’aria superiori a 20°C e di umidità dell’alimento superiori al 15%. Il danno che ne deriva è importante, sia perché l’ammuffimento altera negativamente le caratteristiche organolettiche dell’alimento ma, soprattutto, perché le muffe producono metaboliti tossici, le micotossine. Con l’aumento della temperatura media del pianeta, il fenomeno si comincia a verificare anche in zone che non lo conoscevano. 
I microfunghi che più comunemente attaccano le derrate alimentari appartengono ai generi Aspergillus, Penicillium e Fusarium.
Il consumo di alimenti contaminati comporta l’insorgenza di micotossicosi, anche molto gravi, negli animali che li consumano, uomo compreso. I ruminanti sono gli animali meno suscettibili, in quanto il loro abbondante ed efficiente microbiota ruminale è in grado di neutralizzare le micotossine, con la sola eccezione della aflatossina B1 che viene convertita in aflatossina M1, non meno tossica. Purtroppo, la aflatossina M1 passa facilmente nel latte, con le conseguenze che è facile immaginare. 
Sappiamo che nel nostro paese i controlli sugli alimenti sono puntuali ed affidabili, tanto da tranquillizzarci. Ciò non toglie che qualcosa sfugga, coscientemente o incoscientemente, e gli animali da reddito, alimentati con alimenti contaminati, anche nel caso che non trasmettano tossine all’uomo, nella migliore delle ipotesi vedono compromesse le loro produzioni. 

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