Dopo un cammino che è stato lungo e incerto, giunge ad una conclusione, non sappiamo quanto definitiva, il percorso legislativo delle norme che riguardano la concessione al Governo di “particolari poteri di veto in caso di acquisto di partecipazioni societarie o di aziende o rami di aziende, oppure per impedire l’adozione di determinate delibere societarie, atti e operazioni da parte di soggetti stranieri” la definizione è ripresa dall’articolo di N.Lucifero a cui si rinvia (http://www.georgofili.info/contenuti/risultato/15026).
Ciò è avvenuto con il decreto legge 23/2020 poi convertito in legge che riguarda l’emanazione di norme fortemente vincolanti della libertà di impresa nel caso di investimenti esteri in condizioni che richiamino esigenze superiori di “sicurezza e di ordine pubblico” e la strategicità di specifici settori o comparti economici. Fra le novità del d.l 23 vi è l’inserimento fra i fattori determinanti previsti dal Reg. 2019/452 articolo 4, par. 1), lettera c) anche la “sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime nonché la sicurezza alimentare”.
Quest’ultima intesa nel senso di “food security” ha assunto con l’epidemia un’importanza rilevante ed ha riportato, fra i temi in discussione per un futuro più consapevole, la gestione degli approvvigionamenti alimentari. Tutto ciò ha fornito lo spunto per completare il quadro normativo avviato nel lontano 1994 delle misure eccezionali da introdurre nell’agroalimentare in casi gravissimi.
L’opinione pubblica italiana ha sempre mostrato un’elevata sensibilità alle questioni alimentari, ma la questione non è semplice come si potrebbe credere e non può essere affrontata superficialmente. Già in passato ed ancora di recente, quasi a “furor di popolo”, si tentò di intervenire sull’agroalimentare introducendo poteri speciali mutuati dai comparti in cui questi erano già in vigore, con risultati sostanzialmente nulli. Il caso più importante è l’acquisizione del gruppo Parmalat da parte dei francesi di Lactalis nel 2011, con un’operazione che a norme vigenti aveva piena legalità, ma che si tentò di bloccare invocando addirittura la nazionalizzazione o, in alternativa, l’applicazione di norme speciali che risalivano al tempo delle privatizzazioni con la formula della Golden Share. Nonostante l’impegno dei Governi del tempo la questione si estinse da sola di fronte all’inesistenza di un soggetto interessato ad acquisire il gruppo Parmalat che finì a Lactalis nelle cui mani ha continuato a crescere e ad accumulare peso sul mercato caseario italiano. Attualmente nel gruppo, il maggiore al mondo, la quota di produzione ottenuta in Italia è seconda solo a quella ottenuta in Francia. Pochi anni dopo, nel 2018, sempre Lactalis è al centro di un nuovo caso: l’acquisizione di una società produttrice di formaggi e in particolate di Parmigiano Reggiano, la Nuova Castelli. Anche qui i tentativi di fermare l’operazione, motivati anche con la difesa del prodotto tipico fallirono per mancanza di alternative. Casi simili con andamenti diversi, incluso il ritorno del controllo a società italiane, vi sono stati, ad esempio nell’oleario, nelle bevande analcoliche e nel risicolo.
La discordanza fra intenzioni e risultati ha messo in mostra almeno tre fatti: un grado rilevante di improvvisazione da parte delle forze che volevano gli interventi, la assenza di eventuali “Cavalieri bianchi” disposti a intervenire e la mancanza di una linea strategica coerente e “nazionale”. Gli stessi ritardi nel completare il quadro normativo con l’agroalimentare vanno interpretati in questa logica. Ora rimane comunque il problema dell’assenza di strategie e di imprenditori ed è necessario definire meglio l’applicazione del Golden Power a causa della vaghezza della definizione e del suo stretto rapporto con il settore agricolo propriamente detto: fissare obiettivi di produzione interna essenziali per la sicurezza alimentare dell’Italia in casi di gravi calamità e su quelli determinare, comparto per comparto, soglie di intervento e di protezione. Sino a definire limiti anche per le superfici agricole interessate. Ipotesi più teorica che reale nel caso italiano, ma da prendere in considerazione nei casi di land grabbing. L’Italia è produttrice di alimenti ottenuti da materie prime di origine nazionale in misura che si riduce nel tempo. Importiamo grano duro per esportare pasta in quantità circa equivalente, favorendo così la formazione di un valore aggiunto che rimane nel nostro Paese. Ma anche per l’olio d’oliva importiamo oli da altri paesi che in parte utilizziamo per il consumo interno e in parte permettono un’esportazione che in valore in alcuni anni supera le importazioni. Gli stessi prodotti d’origine sono integrati in un mercato interno che deve importare latte, carni, bestiame e alimenti per gli animali.
In conclusione, il Golden Power è uno strumento molto più evoluto e di difficile impiego di quanto si possa credere e che richiede la formulazione preliminare di una politica agraria nazionale, sia pure nei limiti della Pac, che consideri ogni aspetto del settore, a partire dalla sicurezza alimentare e dello sviluppo di una imprenditoria moderna, in una logica di mercato avanzata e non semplicisticamente protezionista e con il rischio sempre vivo di uno strisciante statalismo.