Se le piante crescono sempre più basse è colpa del caldo

  • 17 March 2021

Ci sono piante che si restringono, alberi che si tagliano la chioma, foglie e frutti che si ritirano in dimensioni bonsai. Una decrescita, non si sa se felice o meno, ma forzata dai cambiamenti climatici che da circa vent'anni hanno a messo a dura prova la sudorazione della pianta, se così possiamo dire, riducendo sempre di più la quantità di acqua disponibile per l'organismo. Questa metamorfosi verso il basso è dovuta soprattutto a stagioni di siccità prolungate e all'aumento della radiazione solare secondo una ricerca dell'Università del Minnesota e della canadese Western University pubblicato sulla rivista internazionale Global Change Biology.
Conifere e piante annuali scendono di taglia. Alcune varietà più delicate di grano dopo solo cinque giorni di stress idrico iniziano a perdere colpi, altre più rustiche sembrano esserne immuni. Ma per adattarsi alle nuove condizioni l'84% delle 112 specie di 49 famiglie di piante analizzate nello studio sarebbero disposte a rinunciare a un po' delle proprie misure già entro il 2050. Le più colpite saranno le gimnosperme, come il pino e l'abete, e le annuali come la canapa o il granturco.
A rischio ci sono anche le comunità vegetali delle torbiere, i fiori spontanei delle praterie e gli alberi delle foreste boreali. Si salvano le felci, che hanno dimostrato di poter resistere a questo dislivello climatico mentre altre come la rosa potrebbero rimanere alte uguali ma con meno fiori. Il riscaldamento globale favorisce un genere di vegetazione più piccolo. "In realtà - spiegano i biologi nel paper pubblicato di recente - le conseguenze a lungo termine di questo fenomeno sono più complesse e hanno effetti diretti non solo sulle dimensioni  della pianta ma su cellule, foglie, germogli, radici e organi riproduttivi". Vale per quelle che crescono in natura così per come cultivar alimentari delle famiglia dei cereali e delle specie da frutto come il ciliegio e la pesca.
Con meno CO2 cala la produttività. In tempi di magra, dopo tutto, autoridursi di qualche metro è una strategia efficace per acclimatarsi in un ambiente più caldo dove aumenta la traspirazione. Con foglie più piccole e una crescita più lenta si risparmia energia e acqua. Per compensare, alcune specie potrebbero investire sullo sviluppo delle radici per intercettare meglio i nutrienti intrappolati nel sottosuolo ma lo studio sostiene che si tratta di una nicchia.
La tendenza verso il basso sarà l'evoluzione naturale anche per le piante in un buono stato di irrigazione. È come se si riprogrammassero per sopravvivere. Ma c'è un prezzo da pagare. Diventando più piccole hanno sì meno bisogno di acqua ma assorbono una quantità inferiore di anidride carbonica dall'atmosfera, il carburante che serve per fare la fotosintesi e produrre frutti e semi. In questo percorso all'indietro sarebbero coinvolti anche gli stomi, simili a piccole aperture sulla superficie delle foglie che sono quella valvola di comunicazione con l'atmosfera che consente di catturare la CO2 presente nell'aria.
L'analisi dimostra anche che all'interno della stessa famiglia ci sono specie o varietà, sia in natura che in coltivazione, che rispondono in modo diverso al riscaldamento globale. I ricercatori ritengono che i risultati dello studio offrano una raccolta di dati che può essere utilizzata per progettare nuove colture più resistenti al cambiamento climatico. In Italia, per esempio, sono state già sperimentate dal Crea e dalla Fondazione Edmund Mach piante di pomodoro, grano duro e melo con una migliore risposta alla mancanza d'acqua.

da Repubblica.it, 11/3/2021