In una cucina di intensi cambiamenti e di forti innovazioni cosa si intende per tradizione, soprattutto in Italia dove la cucina non è soltanto passione e cultura, ma è anche lo strumento di valorizzazione delle proprie produzioni agro-zootecniche? Mai come in questo momento per questo sono necessarie alcune considerazioni sulla tradizione in cucina e gastronomia che non si articola nelle strettoie di un tema o di una ricetta, ma in un linguaggio gustativo che manipola la materialità degli ingredienti, loro incorporazione, presentazione e uso per esprimere una identità e mantenere una memoria e a questo riguardo vi sono almeno due tendenze o atteggiamenti.
Secondo un primo modo di intendere, tradizione è la trasmissione di un certo modo di saper fare la cucina appreso nella cucina stessa, di famiglia, di trattoria o ristorante, e del repertorio di esperienze gustative talora tradotte in taccuini, quaderni familiari o ricettari, ma sempre soggetti a trasformazioni e tradizioni sono le ricette della mamma o della nonna, ma anche i piatti di locali celebri del passato. Diverso modo d’intendere la tradizione gastronomica sarebbe un meccanismo espressivo che si nutre di formule convenzionali con la possibilità, anzi la necessità di mettere allo scoperto, attualizzandolo di continuo, il nucleo gustativo adeguandolo ai cambiamenti di gusto, di taluni contenuti e di uso e tradizione divengono in Italia le ricette che accolgono i nuovi vegetali e animali che da lontani continenti, come le melanzane prima e le patate e i pomodori poi. È comunque indubbio che la tradizione va vista non soltanto in un ristretto tempo di due o tre generazioni e in una memoria individuale – la cucina della mamma o della nonna o di un mitico ristorante soprattutto se comparso – ma come un deposito identitario di una memoria culturale di lungo periodo e di ampio respiro. In cucina e gastronomia, come in altre arti, la tradizione non è un sepolcro da conservare e venerare, ma un luogo dal quale far risorgere una nuova vita nella quale accogliere il presente e inglobare e perpetuare una memoria culturale.
L’innovazione è comunque l’ingrediente essenziale per tenere viva la tradizione in rapporti che non sono solo problemi di oggi, ma di sempre. Oggi però la ricerca gastronomica è più intensa e le innovazioni sono più violente perché siamo in un momento di forte cambiamento, come furono quelli del passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale e barocca, o da quest’ultima alla cucina borghese ora in disfacimento. L’arte gastronomica contemporanea, forte della disponibilità di nuove conoscenze e soprattutto di nuovi strumenti, nella sua ricerca spesso reinterpreta e rilancia formule gustative e visive, sperimentazioni stilistiche, strategie compositive, condizioni di uso evocandole da un lontano vicino o remoto, ma anche da contaminazioni o imitazioni da altre cucine, vicine o lontane. L’innovazione è oggi possibile per l’uso delle nuove attrezzature arrivate in una cucina sempre più di precisione e diviene necessaria per il cambiamento della qualità degli alimenti e la disponibilità di nuovi, come per esempio è avvenuto nella cucina del pesce dove vi è stata la drastica riduzione se non quasi completa scomparsa di quello d’acqua dolce di grande tradizione, sostituito dalla sempre maggiore disponibilità di quello di mare, un tempo ridotto a poche specie e spesso solo secco o salato. Altrettanto importanti sono oggi divenuti i rapporti di scambio e di contaminazioni con cucine e gastronomie di altre culture, fenomeno non nuovo - basta pensare al ruolo delle cucine arabe e iberiche nella formazione delle cucine tradizionali dell’Italia meridionale e centrale e delle cucine francesi e austriache in quelle dell’Italia settentrionale – ma oggi straordinariamente più intensi e soprattutto veloci. Altra situazione molto importante per il nascere e il diffondersi delle innovazioni è che in Italia, bisogna riconoscere, si sta passando da una cucina delle regioni italiane a una cucina italiana, con l’intermediazione della sempre più importante presenza e intermediazione culturale di una cucina e di una gastronomia industriale.
Nell’arte gastronomica italiana ancora viva è una memoria sociale che si fa agente di innovazione e tensioni del nostro tempo, non solo ripercorrendo antiche mappe e sentieri, ma anche antiche e indimenticabili impronte che si collegano alle nostre terre, suoli, coltivazioni e allevamenti che stanno anche alla base di paesaggi gastronomici. Anche per questo il settore agroalimentare italiano, il secondo come fatturato, è quello nel quale vi è la maggiore quantità e diversità di sperimentazione, ma di questa solo una piccola percentuale diviene innovazione, della quale solo una altrettanto minima percentuale ha la possibilità di divenire tradizione, in un processo che non cancella, anzi valorizza il passato, stabilendo un ponte di cultura gustativa tra un passato e la costruzione di un futuro. Come valutare allora le innovazioni che soprattutto nei tempi recenti stanno invadendo la cucina e la gastronomia italiana?
Non è certamente un caso che mai come oggi, in una cultura avida di novità solo pochi decenni fa inimmaginabili, in Italia vi sia una tenace e ostinata presenza di un passato riscoperto e soprattutto valorizzato e per questo nessuno vuole dimenticare e soprattutto abbandonare i monumenti gastronomici del passato ricchi di cultura, ma accanto a questi è necessario imparare a conoscere il procedere di un’evoluzione gastronomica che non è di oggi, ma ha antiche radici, soprattutto partecipando a una critica gastronomica necessaria per sceverare il buono dal meno buono e dal falso, come certamente avvenuto anche nel passato. Un’analisi gastronomica che non può basarsi solo sul personale giudizio del “mi piace o non mi piace” ma considerando criticamente le innovazioni gastronomiche, per accontentare tradizione e innovazione, come è giusto che sia.