Siamo ancora qui a piangere vittime dell’ennesima catastrofe ambientale come quella che ha colpito Ischia il 26 novembre scorso. Sull'isola in poche ore sono caduti 126 millimetri di pioggia, il dato più alto mai registrato, che hanno causato frane e colate di fango, colpendo particolarmente la località di Casamicciola, sulla costa settentrionale. Siamo nel bel mezzo di una crisi climatica per cui questi nubifragi così violenti saranno la regola e non l’eccezione; ricordiamo, ad esempio, la catastrofe delle Marche nel settembre scorso. Al di la di tutte le notizie fornite dai mezzi di informazione di massa è sicuramente apprezzabile quello che il Corriere della Sera del 29 Novembre 2022 ha scritto sottolineando come dagli anni Sessanta del secolo scorso proprio a Ischia si sono abbandonati e perduti oltre duemila chilometri di terrazzamenti coltivati. Ecco spiegato in modo molto semplice una delle cause, se non la principale, dell’attuale catastrofe come fu del resto, ad esempio, a Giampilieri in Sicilia nel 2009 dove il paese, in seguito a un devastante nubifragio, fu invaso dal fango proveniente dalla frana dei terrazzamenti a monte da tempo abbandonati a se stessi.
A questo proposito è opportuno sottolineare che, specialmente nelle aree collinari e montane, con la scomparsa della cultura contadina, sul finire proprio degli anni ’60 del secolo scorso, vaste aree sono state abbandonate e con esse sono cessate quelle opere di paziente e faticosa cura del territorio operata dagli agricoltori a cominciare proprio dalla regimazione idrica (i cosiddetti “sciacqui” trasversali alle linee di massima pendenza che proprio gli agricoltori con tanto di zappa si apprestavano a fare dopo la semina del grano) che consentiva alle acque di scendere a valle in modo controllato e soprattutto contenendo l’erosione e quindi limitando il trasporto di materiale solido incluso quel fango di cui si parla solo in occasione dei disastri. Anche la tanto decantata riforestazione, se non viene governata, avviene in maniera disordinata nelle aree abbandonate senza né proteggere l’ambiente, né essere fruibile per attività turistico-ricreative.
L’agricoltura rimane, quindi, l’ultimo baluardo per la difesa del territorio e questo ruolo le deve essere riconosciuto e incentivato attraverso anche norme specifiche e chiare (oltre le attuali, PAC inclusa), proprio perché l’abbandono delle sistemazioni idraulico-agrarie (che tanta fatica e ingegno hanno richiesto nei secoli scorsi e che hanno fatto guadagnare all’Italia l’appellativo di “Bel Paese”) ha indubbiamente portato ad un aumento considerevole dei deflussi nei bacini idrologici con conseguente aumento del rischio di alluvioni, per cui occorre mettere in atto con urgenza programmi di messa in sicurezza del territorio avvalendosi delle conoscenze che i risultati della ricerca hanno messo a disposizione.
Le aziende agricole devono, quindi, essere incentivate e sostenute a intraprendere una ripresa di una nuova progettazione di sistemazioni idraulico-agrarie in chiave moderna oltre che, ovviamente, attuare una gestione sostenibile del suolo.
Inoltre, occorrerebbero norme chiare per porre fine al consumo di suolo e alla sua cementificazione (in molti casi una cementificazione selvaggia di cui ora ne paghiamo le conseguenze!); purtroppo, un disegno di legge in tal senso giace da anni in Parlamento.
Infine, occorre una capillare formazione dell’opinione pubblica, sensibilizzandola sulla crisi climatica in atto, sulla difficoltà della previsione di eventi estremi a livello di piccolo dettaglio, sul fatto che occorre mettersi in salvo all’inizio dell’evento, che poi può rivelarsi estremo. Qui occorre un adeguato supporto dei mezzi di comunicazione di massa, social inclusi, anche ad istruire la popolazione a saper distinguere le informazioni farlocche, o le polemiche sterili, che tanto più la situazione è grave e pericolosa e tanto più abbondano.
Sarebbe opportuno anche che l’opinione pubblica acquisisse, finalmente, la percezione della fragilità del suolo e dell’ambiente in cui viviamo, del ruolo dell’agricoltura e si comportasse di conseguenza perché la gestione del territorio è una questione politica e la sollecitazione di determinate scelte investe tutti e non solo i decisori politico-amministrativi. Il dramma è che l’attuale atteggiamento dell’opinione pubblica nel suo insieme (decisori politico-amministrativi inclusi) sulle problematiche della fragilità del suolo sembra essere di una totale, o quasi, non curanza. Quando si parla di problemi del suolo sembra che questi riguardino solo gli agricoltori! Chissà, che non dipenda proprio da questo atteggiamento il progressivo degrado delle risorse ambientali e in primo luogo del suolo.