Fino a pochi anni fa, le nostre imprese agricole vedevano tutelate le
proprie produzioni da una politica nazionale ispirata ad una chiara
economia reale. Oggi sono chiamate ad affrontare invece una confusa e
rapida evoluzione di filiere agroindustriali, delocalizzazioni
produttive, reti multinazionali, mercato globale, speculazioni
finanziarie, ecc.. La globalizzazione è ormai un processo irreversibile,
ma il mercato mondiale non può essere ancora considerato come una fonte
inesauribile, dalla quale chiunque può tranquillamente attingere i
necessari prodotti agricoli primari. Il commercio delle
commodities
alimentari è diventato anche oggetto di speculazioni finanziarie, capaci
di sconvolgere il naturale andamento crescente della domanda rispetto
all’offerta.
La nostra agroindustria sembra non accorgersi che sta
rischiando di perdere il primo scalino delle sue filiere nazionali, cioè
la disponibilità di prodotti primari della nostra agricoltura, i cui
costi di produzione tendono a superare i prezzi di mercato. Qualcuno ha
da tempo espresso il parere che “dove non c’è una sana agroindustria,
non c’è una robusta agricoltura”. Concetto giusto e di grande attualità,
ma cresce il timore che possa presto leggersi in senso inverso.
Nei
Paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), il basso costo della
manodopera determina un imbattibile livello di competitività. Questo
vantaggio fondamentale potrà presto consentire a quei Paesi di
trasformare autonomamente i propri prodotti primari ed esportare verso
di noi altrettanto competitivi alimenti elaborati.
Inoltre, la
moderna delocalizzazione, anche frazionata, delle attività produttive
agroindustriali favorirà la nascita di agguerrite reti multinazionali (o
nazionali, adeguate ai tempi) che potranno continuare a sfruttare il
marchio Made in Italy. In mancanza di adeguate regole condivise e di
efficienti controlli internazionali, capaci di garantire che questi
marchi non possano essere applicati anche direttamente all’estero.
Gli
stessi nuclei produttivi delle attuali filiere – a cominciare da quelle
alimentari – attendono di essere organizzati e regolamentati su basi
moderne, affinché nel loro ambito non vi siano ruoli privilegiati e
dominanti, capaci di creare sperequazioni nella formazione e nella
ripartizione del valore aggiunto complessivo, quindi con disparità tra i
redditi conseguiti dagli agricoltori ed i prezzi finali al consumatore
(sugli scaffali della grande distribuzione). Questi obiettivi possono
essere vantaggiosi per tutti. Andrebbero tempestivamente realizzati con
un univoco sostegno generale, pubblico e privato, nonostante che
l’intreccio dei vari interessi costituisca ormai una realtà complessa,
non facilmente malleabile e controllabile.
Il quadro in cui si
evolve rapidamente il contesto del mondo produttivo richiede grande
impegno politico. La tendenza a privare la nostra agricoltura della
necessaria attenzione e sostegno diventa quindi assai più grave di
quanto potesse esserlo fino a pochi anni fa.
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