Secondo un modello realizzato dalla Fondazione Enrico Mattei, il cambiamento climatico condurrebbe ad una perdita annua di PIL tra lo 0,16% e lo 0,2% nel casola temperatura dovesse aumentare nel 2050 di un 1,2% rispetto al 2001.
Distruzione della ricchezza che accelererebbe quindi una perdita di benessere equivalente alla riduzione del reddito nazionale di circa 20-30 milioni di euro, destinata a diventare sei volte maggiore nel 2100.
I settori più colpiti sarebbero quelli energetici, dove le minori necessità di riscaldamento invernale sarebbero compensate in parte dall’aumento di richiesta per il condizionamento estivo, quello dei servizi (dove rientra anche il turismo) e quello agricolo, con proiezioni che parlano di cali dell’1,45% nella produzione di grano e forti perdite anche per la frutta e la verdura.
Non c’è dubbio però che la madre di tutti i problemi sarà l’approvvigionamento idrico: tutti i modelli climatici indicano per l’Italia un futuro fatto di precipitazioni ridotte e concentrate in una maggiore frequenza di eventi estremi. Stando ad alcune ricerche citate dall’Ipcc (l’organismo dell’ONU che raccoglie e sintetizza le conoscenze scientifiche sul cambiamento climatico), a soffrire in particolare delle ristrettezze idriche saranno le colture tipiche del Mediterraneo.
Un esempio è già stato dato dalla micidiale ondata di calore che ha colpito l’Europa nel 2003: in quella circostanza, stando ai numeri dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, subirono forti perdite il foraggio (-40%), il mais (-25%), le patate (-19%) e il grano (-8%).
Da La Repubblica Affari &Finanza 16/04/2012
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