Nel luglio dello scorso anno, il Servizio di Prevenzione Locusta del deserto (DLIS) della Fao, che ha sede a Roma, e che controlla quotidianamente le condizioni climatiche ed ecologiche, nonché la situazione delle popolazioni dell’ortottero, ha segnalato che, le intense piogge verificatesi nello Yemen, avevano creato le condizioni ottimali per la formazione dei giganteschi sciami che, dal gennaio di quest’anno, hanno infestato circa 10.000 Km quadrati in Kenia. Tali orde rappresentano un grave ricorrente problema in Etiopia, Sud Sudan, Uganda e Somalia.
Il 7 marzo 1819 Giacomo Ombrosi veniva eletto socio corrispondente dell’Accademia dei Georgofili insieme a Giuseppe Geri, Cosimo Del Nacca e Gaspero Mannajoni, tutti dichiarati “fiorentini”. In quello stesso 1819 il Granduca Ferdinando III di Lorena, aveva finalmente acconsentito all’apertura in Firenze di una sorta di vice-consolato statunitense (il consolato era a Livorno), con compito di favorire gli scambi commerciali fra i due Paesi e aiutare i numerosi cittadini americani (scrittori, poeti, pittori, incisori, scienziati) che transitavano in quel tempo per l’Italia e la Toscana. A dirigere questa sorta di agenzia commerciale fu, fino al 1823, Giacomo Ombrosi, anno in cui egli venne nominato primo console statunitense a Firenze.
L’Accademia dei Georgofili intende con questa esposizione rendere omaggio a Giacomo Ombrosi che nei suoi lunghi anni di consolato (ben 25) cercò di incentivare il legame fra i Georgofili e gli studiosi e scienziati d’Oltreoceano.
I Verbali delle adunanze accademiche testimoniano l’incremento costante dei soci corrispondenti statunitensi che al gennaio 1820 risultavano essere già circa una cinquantina, di cui tantissimi della “N. York”.
Anche i presidenti Monroe, Madison e Jefferson divennero in questi anni accademici georgofili corrispondenti.
Guardare alle ‘Americhe’ aveva costituito da sempre uno stimolo per l’Accademia fiorentina per quella curiosità scientifica manifestata fino dalla sua fondazione. Non pochi accademici viaggiatori solcarono gli oceani per studiare, osservare e descrivere morfologia, flora, fauna, popoli e abitudini sociali di lontani paesi; altri s’imbarcarono per spirito libertario e di avventura, divenendo poi anch’essi appassionati coltivatori di piante portate dalla Madrepatria. Basti ricordare in questo contesto Filippo Mazzei che mosso verso gli Stati Uniti per passione politica, giunse poi in Virginia (1773) dove acquistò la tenuta di Colle nella quale volle replicare le colture toscane di “raperonzoli, terracrepoli, cicerbite”, vitigni di più varietà; dai suoi campi in America inviava per contro in Toscana e ai Georgofili prodotti che era riuscito a ottenere nella sua nuova patria, come ad esempio 15 spighe di grano siciliano affinché ne fosse sperimentata la coltivazione.
Anche nel corso del secolo successivo questi viaggi da una parte all’altra dell’Oceano continuarono e sovente con le persone si mossero anche i prodotti della terra, come fu il caso dei vini toscani che furono sottoposti volutamente a lunghi tempi della navigazione (e la transoceanica -andata e ritorno- si rivelò la più adeguata) per saggiarne la durabilità.
Quegli stessi porti furono testimoni, sul finire del secolo e nei primi decenni del successivo, del massiccio esodo degli emigranti italiani che lasciavano le loro magre terre in cerca di fortuna al di là dell’Oceano. L’Accademia dei Georgofili fu particolarmente attenta a questo tema e bandì sull’argomento diversi concorsi la cui documentazione rende conto dell’enorme depauperamento di popolazione che si verificò in Italia a partire dagli ultimi decenni dell’800 fino a buona parte del secolo successivo.
31 gennaio 2020: si compie un altro passo in avanti sulla strada che porterà all’uscita dall’Ue della Gran Bretagna. La notizia appare nei mezzi di informazione quasi all’ultimo, ma soprattutto viene trattata quasi più sul piano emotivo o folcloristico che su quello del suo reale significato. Il Parlamento europeo saluta col vecchio canto degli addii, “Auld Lang Syne”, in italiano “Il valzer delle candele”. Ma non è ancora la vera separazione, l’iter si compirà, a meno di proroghe non escluse, il 31 dicembre con le norme che regoleranno la separazione e richiederanno anni per essere operative.
La vicenda della Brexit merita attenzione per almeno tre ordini di motivi: 1. Il tremendo psicodramma di un Paese che stenta a comprendere la sua natura interna e il suo ruolo nel mondo; 2. Le conseguenze sul futuro dell’Ue che per la prima volta perde un componente (e che componente!) e della G.B., oggi sola dopo 47 anni di vita comunitaria; 3. Le considerazioni sul futuro dell’Italia che spesso sembra guardare ad un’Italexit come alla soluzione dei suoi annosi problemi.
Cani e gatti fanno oggi parte della famiglia umana nella quale vivono quasi come bambini e se per questi vi sono precauzioni di sicurezza - basta leggere i foglietti d’istruzione dei farmaci, i cosiddetti bugiardini – altrettanto non avviene per gli animali domestici che nelle case dell’uomo rischiano di avvelenarsi più facilmente che se vivessero in libertà. Se nel loro ambiente naturale gli animali hanno sviluppato comportamenti con i quali evitano rischi d’intossicazione soprattutto alimentare, questo non avviene negli ambienti artificiali delle case e dei giardini dell’uomo dove esiste un quasi illimitato numero di alimenti, farmaci, composti chimici nonché piante ornamentali a loro sconosciute e che non possono evitare, quando non è l’uomo stesso causa dell’avvelenamento.
Significativo alla fine del secolo scorso divenne il caso del farmaco Mexaform, un derivato idrossichinolinico largamente usato nell’uomo adulto e nei bambini per la cura delle diarree, e che i proprietari dei cani, soprattutto i medici, quando lo somministrarono al proprio animale per curarlo di una diarrea come fosse un bambino, ne provocarono la morte! Altrettanto pericoloso per i cani ospitati nell’autorimessa di casa è una perdita dell’antigelo dell’automobile che contiene un glicole dolciastro e gradito all’animale, ma molto tossico. Tra le piante ornamentali di casa o giardino, tossiche o irritanti per cani e gatti sono la dieffenbachia, il filodendro, l’oleandro, la stella di natale, l’agrifoglio, il ciclamino, il tasso, l’edera, l’ortensia e l’azalea.
Il giornale d’informazione All About Feed del 31 gennaio 2020, che tratta di innovazioni nel campo dell’alimentazione animale a livello mondiale, riporta alcune tecnologie più o meno innovative che vale la pena di segnalare.
Secondo uno studio pubblicato su Science il 5 luglio 2019 (Bastin et al.) piantare alberi su 0,9 miliardi di ettari, un’area pari a quella degli Stati Uniti compreso l’Alaska o della Cina, potrebbe “intrappolare” circa due terzi della quantità di carbonio nell'atmosfera prodotta dalle attività umane dall'inizio della Rivoluzione industriale.
L’affermazione, fatta sulla base di studi da parte del team di ricercatori del Politecnico di Zurigo, ha attirato l'attenzione di un mondo affamato di speranzose notizie sul clima. Ne è seguito, tuttavia, un dibattito e, secondo quanto sostenuto da altri scienziati sulla stessa rivista scientifica qualche numero dopo, queste cifre eccessivamente piene di speranza potrebbero "fuorviare lo sviluppo della politica climatica".
L'idea è sicuramente accattivante, semplice e concreta. C'è dunque spazio per piantare, molti, moltissimi alberi, per ridurre la quantità di anidride carbonica emessa naturalmente e/o a seguito delle nostre attività, che altera il clima del nostro pianeta.
Ai vari proclami e azioni avvenuti negli ultimi tempi, anche susseguenti al succitato articolo, ci sono state, tuttavia, anche reazioni scettiche. Forse troppo scettiche da parte di alcuni esponenti della comunità scientifica ed è indubbio che questo provoca un certo disorientamento nelle persone. Da una parte si dice che piantare gli alberi salverà il pianeta, dall’altra si dice che non è vero, o non lo è del tutto. Allora chi ha ragione?
Io pianterei alberi dappertutto se potessi ma, ovviamente, la mia volontà e il mio desiderio non necessariamente si trasformano in realtà. Uno sguardo più pragmatico ci dice che piantare alberi è una cosa non solo utile, è fondamentale, ma non è la panacea di tutti i mali.
Ho pensato di riassumere in questa breve riflessione alcune delle affermazioni e commenti recentemente pubblicati anche su prestigiose riviste scientifiche e sulla stessa rivista, Science, dove è stato pubblicato l’articolo di Bastin et al., e cercherò anche di provare a spiegare il perché di certi eccessivi ottimismi o, all’opposto, dei profondi scetticismi che rischiano di portare, come spesso succede, a uno scontro, anziché al dialogo e all’azione comune.
OP&AOP: perché contano nello scenario della PAC
Le Organizzazioni di produttori agricoli (OP e loro associazioni AOP) non sono una novità, soprattutto in alcuni comparti dell’agricoltura europea e nazionale. Nuovo è invece lo spazio di azione che gli viene assegnato nel quadro di riforma della PAC, già a partire dal Regolamento Omnibus.
Le OP sono gruppi di produttori agricoli che intendono cooperare e si costituiscono legalmente per gestire in comune le fasi a valle della produzione primaria. Gruppi di OP possono associarsi in AOP per svolgere in modo più efficace ed efficiente alcune funzioni o per svolgere su una scala territoriale più vasta. Le OP e AOP hanno interessato inizialmente alcuni settori, in particolare orto-frutta, latte e derivati, e olio di oliva.
L’attenzione del policy maker europeo si è rivolta a questi strumenti per la loro funzione economica di realizzare il coordinamento orizzontale della filiera attraverso la pianificazione, concentrazione e gestione dell’offerta degli aderenti. In altri termini, le imprese di produzione primaria che cooperano per gestire in comune l’offerta e collocarla sul mercato, riescono a superare la strutturale e storica debolezza nei rapporti di filiera e nelle relazioni contrattuali, attivando un meccanismo che permette di spuntare prezzi più remunerativi, così redistribuendo valore verso le fasi a monte della filiera.
L’ OP può svolgere anche attività che permettono di stabilizzare i prezzi, razionalizzare i costi e offrire accesso a servizi altamente qualificati, a mercati e tecnologie che sarebbero altrimenti di più difficile raggiungimento per l’impresa singola. Accanto all’efficienza economica, l’OP permette anche di collocare sul mercato produzioni di qualità intrinseca superiore e prodotte con metodi più rispettosi dell’ambiente. Nel complesso, si tratta di uno strumento che, se ben utilizzato, consente di conseguire maggiore efficienza e competitività alle filiere agro-alimentari e maggior forza alla componente agricola nei rapporti con le componenti a valle.
Per potenziare ed estendere l’efficacia di tale strumento di cooperazione, il Regolamento Omnibus ha introdotto la deroga alla concorrenza (art. 101 del TFUE) per le OP di tutti i settori, purché riconosciute dallo Stato membro, che svolgano per i propri aderenti la funzione economica di concentrare l’offerta e immetterla sul mercato.
Il quadro europeo tra cooperazione consolidata e nuovi schemi organizzativi
Lo studio “Study of the best ways for producer organisations to be formed, carry out their activities and be supported” EU Commission, DG-AGRI, May 2019 , che permette di conoscere meglio le OP europee, è stato reso noto dalla Commissione al termine di un articolato percorso che ha attraversato l’ultimo settennato, alla ricerca degli strumenti migliori per rendere più efficiente la filiera agroalimentare, innalzare e tutelare la posizione dei produttori agricoli nella filiera. Basata su un’indagine diretta, la dettagliata analisi rivela, come spesso accade, un quadro a macchia di leopardo che non facilita interpretazioni di carattere generale.
Dopo una notevole crescita dal 2013 al 2017 (+33%), sono circa 3.500 le OP e AOP riconosciute, presenti in 25 Stati Membri, ma con numerose differenze. Oltre 2500 sono in Germania, Spagna, Francia e Italia. Dal punto di vista settoriale, è ovvio che oltre la metà operi nel settore ortofrutta, seguito da latte e prodotti lattiero-caseari, olio di oliva e olive da tavola e vino. Complessivamente sono state riconosciute OP in 22 dei 24 settori riconducibili alle OCM, e in Italia interessano con varia intensità 16 settori.
La visione attuale dell’Africa da parte del mondo occidentale non è cambiata negli ultimi decenni e viene spesso evidenziata solo la difficile situazione delle popolazioni e la loro condizione critica del sistema socioeconomico e alimentare. Emerge frequentemente la scarsa considerazione e conoscenza delle reali potenzialità agroindustriali e sociali dei Paesi Africani, che opportunamente definite consentirebbero uno sviluppo economico integrato ed in equilibrio con le risorse ambientali e naturali disponibili sul territorio. La crescita dell’economia dei Paesi africani rimane legata alle origini etniche, storiche e culturali delle popolazioni, le quali, nonostante l’influenza discutibile del periodo coloniale, devono migliorare le loro condizioni con gradualità, basandosi sulle reali ed oggettive competenze locali.
La professionalità, la capacità operativa e organizzativa, in loco, devono essere adeguate alle tecnologie che vengono messe a disposizione dai Paesi occidentali. Lo sviluppo dei Paesi Africani dipende molto dalla loro volontà di accettare e partecipare al processo di innovazione tecnologica, che deve inserirsi in una società rurale in fase di forte trasformazione. Tale cambiamento sociale non deve essere imposto, come spesso avviene, ma accompagnato tenendo presente l’origine, la storia, le abitudini e tradizioni delle popolazioni per cui gli interventi devono migliorare il loro sistema di vita senza stravolgerlo. In Africa, vengono effettuate dai Paesi Europei, compresa l’Italia, molte azioni umanitarie e di sviluppo socioeconomico nel settore agroindustriale e alimentare. Queste sono presentate e gestite come interventi assistenziali in territori limitati, con scarso coordinamento e non concordati con le Amministrazioni locali e governative, per cui i benefici sulle popolazioni sono limitati. I Paesi africani soffrono l’eccesso di carità e donazioni, che spesso disincentivano la crescita sociale ed economica delle comunità, soprattutto rurali, che aspettano l’aiuto esterno per il vivere quotidiano e non per creare processi innovativi compatibili con la loro base culturale.
Le esperienze acquisite, positive e negative, dai molti progetti di cooperazione con i Paesi africani, evidenziano le difficoltà operative accompagnate da forme suggestive di informazioni che vengono, a volte, distorte dalla realtà esistente in molte comunità rurali, dove l’agricoltura viene ancora gestita con sistemi tradizionali e con i mezzi tecnici disponibili sul territorio. Assieme a sanità, scuola e formazione, l’agricoltura consente già a molte popolazioni africane di avere una sufficiente disponibilità di cibo, che non sempre raggiunge le tavole delle famiglie in quanto una parte si perde a seguito della mancanza di infrastrutture adeguate, esperienza degli operatori, tradizioni e abitudini alimentari.
Incendi devastanti e animali in difficoltà in Australia, immagini di dromedari con la gobba imbiancata di neve in Arabia Saudita, fotografie di rose e primule in fiore in Gran Bretagna e in Italia: di tutto questo si sono «riempiti» i media nelle ultime settimane. Ma, nel contempo, abbiamo ancora davanti agli occhi le immagini del novembre scorso, quando il nostro Paese è stato colpito da disastri notevolissimi per precipitazioni molto violente e a Venezia l’acqua alta ha superato ripetutamente valori estremamente elevati, allagando più volte gran parte della città.
Che cosa sta accadendo al clima della Terra? Si tratta di cambiamenti che sono sempre avvenuti o siamo in presenza di caratteristiche nuove, magari attribuibili a una «perturbazione umana» al clima naturale? Si tratta della riproposizione di condizioni già viste in passato, tipiche di una variabilità naturale del clima, o c’è dell’altro? Ebbene, oggi la scienza del clima dà alcune risposte a queste domande.
Dai dati delle stazioni meteorologiche sparse in tutto il mondo, sappiamo che la temperatura media globale della Terra alla sua superficie è aumentata di circa 1° C nell’ultimo secolo. Il trend degli ultimi decenni è confermato anche da misure satellitari. Siamo dunque in presenza di un riscaldamento globale: dobbiamo preoccuparci? Solitamente ci si preoccupa di situazioni nuove, di quanto non si è già sperimentato. Ma la Terra ha vissuto il passaggio tra ere glaciali e periodi caldi, come mostrano i «carotaggi» di ghiaccio in Antartide, e altri momenti di caldo anomalo ci sono stati negli ultimi duemila anni. Alle elementari non ci insegnavano forse che Annibale aveva attraversato le Alpi con gli elefanti e che la Groenlandia è chiamata così perché nel momento della sua colonizzazione era una terra verde (Greenland)? E allora?
Da alcuni anni, anche nei Paesi occidentali più sviluppati, con sempre maggiore frequenza, si verificano, in abitazioni, alberghi, cinema, teatri, e mezzi pubblici, le perniciose infestazioni di un insetto ematofago, che suscita ribrezzo ma, finora non segnalato quale vettore di malattie umane. Si tratta della ben nota Cimice dei letti, Cimex lectularius, che ha accompagnato l’uomo, e altri vertebrati, nel corso dell’evoluzione.
L’Emittero, ormai cosmopolita, ritenuto di origine asiatica, era già noto agli antichi Romani e Greci. E' stato recentemente segnalato in Germania, a Berlino.
Trentacinque ricercatori provenienti da tutto il mondo. Tre giorni di formazione e progettazione. Sei premi alle migliori ricerche scientifiche per sostenere la lunga e tortuosa carriera della ricerca accademica. Un solo protagonista: l’olio extravergine di oliva. Un’atmosfera adrenalinica ha pervaso la terza giornata del Training Congress Evoo Research’s Got Talent, durante il quale si sono sfidati, con lealtà e rigore scientifico, i 35 migliori talenti del mondo esperti di olio extra vergine di oliva, nel corso dell’evento internazionale svoltosi a Bari dal 20 al 22 gennaio 2020.
L'Unione Europea è determinata a diventare da qui al 2050 il primo blocco regionale climaticamente neutro.
Questo recente annuncio della Presidente della Commissione Europea, già nell'aria al momento del suo insediamento, trova attuazione nel cosiddetto European Green Deal Investment Plan. Il piano di investimenti per un'Europa sostenibile, presentato il 14 gennaio dalla Commissione, ha lo scopo di stimolare investimenti pubblici e l'impiego di fondi privati, grazie agli strumenti finanziari dell'Unione, per circa 1.000 miliardi di euro.
Secondo la Commissione tutti gli Stati Membri, tutte le regioni e tutti settori economici dovranno costruire questa transizione, ma alcune di queste saranno particolarmente toccate e conosceranno delle profonde mutazioni economiche sociali. A questo scopo il meccanismo per una equa transizione fornirà un sostegno finanziario e pratico, in maniera tale che esse possano aiutare i settori oggetto della trasformazione a superare la sfida climatica.
C'è però un rovescio della medaglia, infatti, anche se questo piano, attraverso un insieme di misure di sostegno diretto di almeno 100 miliardi di euro aiuterà il benessere della popolazione e renderà l'Europa più competitiva, si propone come primo obiettivo di eliminare i sistemi energetici più inquinanti come quelli basati sui combustibili fossili e di conseguenza individuando regionalmente i possibili maggiori beneficiari.
La Commissione, oltre a creare le incitazioni finanziarie che dovranno permettere il successo degli investimenti verdi, provvederà a fornire delle incitazioni regolamentari e aiuterà i poteri pubblici e gli attori del mercato a sviluppare i progetti necessari alla transizione. Tutto ciò lascia intravedere una azione di pungolo e controllo che la Commissione europea svilupperà anche nella messa in opera delle attuali politiche europee, orientandole sempre di più in un senso climaticamente positivo, ma anche rendendola più rigida per l'applicazione dei vari piani di sviluppo nazionali e regionali.
Il piano lanciato la scorsa settimana si propone di finanziare almeno 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili nei 10 anni a venire, a creare delle incitazioni allo sblocco e al nuovo orientamento degli investimenti pubblici e a fornire un sostegno pratico, aiutando i poteri pubblici e i promotori dei progetti per la realizzazione di progetti sostenibili.
“Cavare il sangue” da una rapa è un antico proverbio che indica un impossibile o non profittevole modo di operare. La rapa è un ortaggio di scarso valore, che non riveste una grande considerazione nella tradizione popolare e dal quale è impossibile pretendere risultati apprezzabili da chi è palesemente incapace di produrli, come può invece essere il sangue inteso come una forza vitale dotata di grande valore gustativo e simbolico. Un’opinione che è oggi sembra essere sfatata dal successo che sta avendo la legaemoglobina (leghemoglobina o legoglobina), una globina di batteri che vivono nelle leguminose dalle quali, anche se non sono una rapa, si ricava un “quasi sangue” o un “sangue vegetale” usato in preparazioni alimentari per vegetariani, vegani e non solo.
Nel novembre 2017 è stato finanziato dall’ U.E. il progetto Life “Soil4Life, l’essenziale è invisibile agli occhi”, coordinato da Legambiente e che vede come partner beneficiari associati CIA, CCIVS, CREA, ERSAF, ISPRA, SNPA, Politecnico di Milano, Comune di Roma e Zelena Istra. Obiettivo prioritario del progetto riguarda la diffusione della cultura sulla gestione sostenibile del suolo al fine di arginare il consumo di suolo nella sua accezione più ampia che vede al centro del dibattito l’incessante sottrazione di suolo fertile per l’agricoltura, che mal si coniuga con la richiesta da parte delle Nazioni Unite di intensificare le produzioni per azzerare la fame nel mondo.
Ormai quando sento ripetere ossessivamente la parola ‘sostenibilità’ sento puzza di bruciato, dell’ennesimo trappolone. E mi vengono cattivi pensieri. Mi spiego. Dai due giorni del salone Marca a Bologna è uscita una indicazione precisa, basata su dati di fatto inoppugnabili e su un retropensiero non reso esplicito. La marca del distributore (MDD) è ormai una solida realtà economica e di mercato. Vale quasi 11 miliardi di euro di fatturato, con una crescita più di tre volte superiore rispetto a quella dell’industria alimentare italiana negli ultimi 17 anni. Anche la quota di mercato è cresciuta passando dall’11,3% nel 2003 al 19,9% nel 2019 e un ulteriore aumento è previsto nei prossimi anni. Le stime di The European House – Ambrosetti parlano di una quota di mercato della MDD del 25% raggiunta già durante quest’anno. I prodotti MDD sostengono il fatturato delle catene e aiutano le famiglie a risparmiare qualcosa come 2,8 miliardi di euro all’anno. Quindi applausi, visti i tempi grami per i bilanci dei grandi retailer.
L’exploit dei prodotti MDD si coniuga con la crescente sensibilità per modelli di sviluppo sostenibili dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. C’è il pianeta da salvare, il cambiamento climatico da combattere, tutti vogliono cibi più ‘puliti’ e naturali, dall’origine tracciabile, carne prodotta senza ‘drogare’ gli animali, frutta e verdura senza residui chimici, meno plastica, meno sprechi, ecc. Il tutto ovviamente a prezzi più bassi possibili, perché anche i bilanci delle famiglie dei consumatori di questi tempi devono essere ‘sostenibili’.
Il messaggio uscito da Marca in sintesi è questo (lo scrivono loro nei comunicati): “La Distribuzione Moderna è già impegnata nel campo della sostenibilità ambientale e sociale e sta sviluppando nuovi progetti. La sostenibilità è riconosciuta come strategica, vengono definiti obiettivi specifici (quali la riduzione della plastica, la diminuzione delle emissioni, la tutela del benessere animale, la tracciabilità della filiera nei prodotti a Marca del Distributore), sono state create posizioni manageriali dedicate, la filiera è costantemente stimolata a muoversi in questa direzione, con risultati importanti dal punto di vista dello sviluppo dei partner della Marca del Distributore (MDD) e quindi dell’intero sistema produttivo”.
La sostenibilità nella Distribuzione Moderna (DM) è dunque un dato di fatto. Forti di questa sicurezza da Bologna è partito un altro messaggio rivolto alla ministra Bellanova e in subordine a tutto il mondo produttivo. “Dal 2021 lavoreremo solo con fornitori iscritti alla Rete del lavoro agricolo di qualità. Il tema del lavoro in agricoltura è estremamente critico: occorre prendere iniziative per garantire legalità e rispetto dei contratti”, dicono a una voce i n.1 di Coop, Conad-Auchan, ADM e Federdistribuzione. Musica per le orecchie della Bellanova. Alla politica si chiede di fare il suo dovere, di rendere questa legge ‘digeribile’ per le imprese, che finora l’hanno disertata, perché fonte di nuova burocrazia vessatoria.