Notiziario










Ortofrutta figlia di un dio minore

L’ortofrutta al tavolo Mise-ICE non ha mai messo piede. Il tavolo al ministero agricolo ha partorito solo un impegno sul catasto frutticolo e nulla più (a proposito com’è finita? chi gestirà la nascita del catasto frutta? Anche qui porto delle nebbie). Poi anche di questo tavolo si sono perse le tracce. Perché? Per svogliatezza o perché, più semplicemente, nessuno lo ha sollecitato seriamente?

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Zafferano, spezia d’oro

Fin dall’antichità lo zafferano ha gli usi più disparati e serve per profumare, tingere tessuti, dipingere, curare malattie, colorare alimenti e insaporire vivande e ancora oggi è la più preziosa delle spezie che ai nostri giorni ha un prezzo simile a quello dell’oro, dai quaranta ai quarantacinque Euro al grammo!

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Difesa delle piante innovativa ed ecocompatibile

Il controllo delle malattie delle piante ad eziologia batterica è senza dubbio molto impegnativo e difficoltoso. Nonostante molteplici siano le modalità d’interazione che i batteri fitopatogeni possono instaurare con i loro ospiti vegetali, la lotta alle batteriosi delle piante deve essere sempre basata essenzialmente sulla prevenzione dell’infezione e della disseminazione del patogeno, piuttosto che sulla cura della malattia, quando conclamata
Le principali misure di controllo delle batteriosi delle piante prevedono l’introduzione e l’uso di varietà, cultivar o ibridi resistenti, l’adozione di pratiche colturali-agronomiche e di monitoraggio che permettono di ridurre l’inoculo infettante o la probabilità d’infezione, l'implementazione e applicazione di misure diagnostico-ispettive e di quarantena per escludere o limitare introduzione e/o diffusione del fitopatogeno e del materiale vegetale infetto. Anche l'uso di formulati a base di agenti di lotta biologica si è dimostrato in certi casi efficace per il controllo di alcune batteriosi di specie coltivate, con riduzione dell’incidenza e spesso anche della severità degli attacchi.
Nonostante ciò, una delle poche opzioni disponibili ed efficaci è spesso stata, e tuttora è, l’applicazione di battericidi. Mentre negli USA è permesso l’uso in pieno campo di taluni antibiotici quali fitofarmaci, in Europa i battericidi ammessi sono rappresentati esclusivamente da composti a base di rame. Se importanti come ruolo nella difesa integrata, i battericidi rameici sono talvolta addirittura indispensabili in agricoltura biologica. Ma a partire dagli anni '80 dello scorso secolo, è stato via via crescente il numero di segnalazioni relative allo sviluppo di resistenza al rame in batteri fitopatogeni afferenti a vari e diversi generi, fenomeno che ha destato notevoli preoccupazioni per la sostenibilità di questi interventi.
Più in generale, la crescente consapevolezza dei problemi di natura eco-tossicologica, derivanti dall’uso continuato, ma più spesso inutilmente eccessivo, del rame a protezione delle colture dalle malattie, in tempi recenti ha portato a norme legislative più restrittive per limitare l'uso dei composti antimicrobici rameici e quindi alla ricerca di possibili alternative.

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World Soil Day

Il 5 Dicembre si celebra la giornata mondiale del suolo; fu proposta nel 2002 dall’International Union of Soil Sciences (IUSS) di cui fanno parte tutte le società nazionali di Scienza del Suolo inclusa, quindi, la Società Italiana di Scienza del Suolo (SISS). In questo giorno la IUSS in collaborazione con la FAO sta organizzando eventi in tutto il mondo, Italia compresa, per richiamare l’attenzione su questa risorsa non rinnovabile e fragile visto che la degradazione del suolo è un problema a livello planetario dato che il centro di ricerche della Commissione europea ha pubblicato una Nuova edizione dell'Atlante mondiale della desertificazione, dal quale emerge che “oltre il 75% delle terre emerse sono già degradate e potrebbero esserlo oltre il 90% entro il 2050”.
Il detto di Leonardo da Vinci secondo cui “si conosce molto di più di quello che ci sta sopra la testa di quello che ci sta sotto i piedi” è quanto mai attuale. Nonostante la ricerca scientifica oggi abbia prodotto notevoli quantità di dati e sia in grado di fornire tutti gli elementi per operare una corretta gestione del territorio, purtroppo, troppo spesso, queste conoscenze sono sottovalutate o peggio ignorate dall’opinione pubblica, dai decisori politico-amministrativi e dagli operatori agricoli cioè da tutti i soggetti che dovrebbero adoperarsi per consentirne la corretta attuazione. 
Eppure è del tutto evidente che la degradazione del suolo e quindi dell’ambiente, dipende pressoché interamente dalle attività antropiche; da una parte con l’abbandono delle aree marginali e quindi con l’abbandono della manutenzione delle sistemazioni agrarie realizzate in passato e, soprattutto, del sistema di regimazione delle acque; dall’altra parte con l’intensificazione colturale degli ultimi 50 anni che, se da un lato ha portato un incremento produttivo, dall’altro ha causato, nel lungo termine, un progressivo degrado del suolo con una drastica riduzione del contenuto di sostanza organica e con un considerevole aumento, complici i cambiamenti climatici in atto, dei fenomeni erosivi, talvolta catastrofici. Da sottolineare anche che dall’inizio degli anni ‘80 si sta verificando un decremento della capacità produttiva del suolo in oltre il 10% delle terre coltivate. A questo si aggiunge il progressivo aumento delle aree impermeabilizzate, come bene evidenziato dal recente rapporto ISPRA sul consumo di suolo. Questo è tanto più grave proprio perché agricoltura e urbanizzazione competono per l’uso degli stessi suoli: tendenzialmente i terreni a più elevata potenzialità produttiva. La FAO stima che, con questo tasso di distruzione del suolo, ci rimangano solo 60 anni residui per disporre di sufficiente suolo fertile di buona qualità. 

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Tradizionali pratiche apistiche siciliane

Per oltre un millennio le indigene api nere siciliane (Apis mellifera siciliana) sono state allevate all’interno di arnie orizzontali, realizzate dagli stessi apicoltori assemblando porzioni di fusti di ferula. Un centinaio di tali arnie venivano collocate insieme, in luoghi asciutti, sotto tettoie, delimitate da muri perimetrali a secco, coperte con fasci di stoppie di frumento, o con canne e tegole. La parete posteriore dell’apiario era esposta a nord, e quella anteriore a sud-est, per scaldare gli alveari sin dalle prime ore del mattino. Tale esposizione era raccomandata anche da Plinio, Columella e da Varrone.

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Città verdi: un ossimoro o una futura conquista?

Negli scenari urbani che molti prospettano per il futuro, la presenza di zone verdi e di spazi che richiamino un concetto di “naturalità”, può svolgere un ruolo fondamentale per il miglioramento della qualità della vita e per il raggiungimento di una soglia minima di benessere per l’essere umano per il quale è divenuta imperiosa la necessità di rigenerare sia il corpo, sia lo spirito. Infatti, della nostra vita quotidiana di abitanti di grandi città, che cosa possiamo dire di più accettabile e scontato, se non che la viviamo con acuto affanno, senza la necessaria serenità e dedicando limitatissimo tempo alla meditazione?

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Profumo di carne

L’olfatto e la vista sono i primi sensi che guidano nella scelta e nella valutazione della carne e per questo gli studi che mirano al riconoscimento dei meccanismi di formazione delle sostanze aromatizzanti volatili delle carni e alla determinazione della loro influenza sul gusto sono di grande importanza. Inoltre i consumatori stanno diventando esigenti nella scelta della carne e dei prodotti a base di carne basandosi su qualità, freschezza e igiene e tra i fattori di qualità molto importanti sono la marmorizzazione (tessuti adiposi intramuscolari), la consistenza, il colore, la tenerezza e soprattutto il sapore e le caratteristiche aromatiche che sono rilevate prima e durante la masticazione.
L’aroma della carne è percepito attraverso le narici e quando la carne è posta in bocca e masticata e i composti aromatici volatili sono trasferiti attraverso la faringe ai recettori olfattivi (aroma retronasale) che costituisce circa l’ottanta per cento della sensazione gustolfattiva, come ognuno può costatare quando perde il senso dell’olfatto per un raffreddore. Tutti i componenti degli aromi volatili sono organici, hanno un basso peso molecolare e le strutture chimiche delle classi di aromi volatili sono molto diverse tra cui aldeidi, chetoni, idrocarburi, pirazine, acidi, esteri, alcoli, composti contenenti azoto e zolfo e altri composti eterociclici con differenze nelle strutture chimiche anche la loro volatilità molto diverse.
La carne cruda ha poco aroma e un sapore simile al sangue con differenze tra le diverse specie animali. Gli aromi più intensi si hanno nelle carni degli animali selvatici e, a parte i fattori genetici, dipendono dal metodo di alimentazione dell’animale, dalla qualità e dal tipo di foraggio, dalla frollatura e dal muscolo (taglio) della carne. 
Fatta eccezione per la bistecca alla tartara, l'uomo civilizzato preferisce che la carne sia stata esposta a un certo grado di calore (cottura) che provoca cambiamenti che riguardano la tenerezza, il contenuto di acqua, il colore, la dimensione e la forma, il sapore e l’aroma. Le caratteristiche aromatiche delle carni cotte hanno una grande importanza nella valutazione della qualità della carne, nell'accettazione e nelle preferenze dei consumatori. Il sapore dell'aroma delle carni cotte deriva da componenti aromatici volatili che scaturiscono da reazioni termicamente indotte che si verificano durante la cottura attraverso: A) reazione di Maillard di aminoacidi o peptidi con zuccheri riducenti; B) ossidazione dei lipidi, C) interazione tra prodotti di reazione di Maillard con prodotti lipidici ossidati; D) degradazione delle vitamine e in particolare della tiamina (vitamina B1).
Gran parte delle caratteristiche aromatiche della carne che si sviluppano durante la cottura derivano da una complessa interazione di precursori che generano circa un migliaio di composti aromatici volatili. Tra i fattori che influenzano gli aromi della carne cotta i lipidi hanno una grande importanza, tuttavia va notato che quantità significative di acidi grassi insaturi nella carne e nei prodotti a base di carne, usati per motivi di salute, possono avere influenze negative sul suo aroma perché i prodotti di decomposizione di questi acidi grassi più volatili influenzano i sapori della carne interagendo con la reazione di Maillard e riducendo la quantità di composti aromatici carnosi come i tiofeni. Il sapore e gli aromi delle carni cotte in gran parte dipendono anche dalla quantità e dal tipo di calore applicato e per questo il sapore e l’aroma di un pezzo di carne cotta al calore umido come un lesso o un bollito non è ovviamente lo stesso di quello risultante da una carne stufata, grigliata o fritta cotta al calore secco e a temperature elevata. 

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Gli schianti nella pineta della Feniglia: un danno annunciato?

In questi giorni si è parlato dei danni che la tempesta di vento ha causato su una parte della pineta della Feniglia e dei mancati diradamenti previsti dal Piano di gestione elaborato per questa foresta nel 2005, da chi scrive e dal prof. Marziliano. In effetti le carenze degli interventi colturali risalgono a epoche ben più lontane.
I lavori di rimboschimento della Feniglia iniziarono nel 1911 ad opera dello Stato che aveva acquistato questa lingua di terra per ragioni idrogeologiche. Era accaduto infatti che il Comune di Orbetello nel 1804 aveva venduto la Feniglia ad alcuni privati che, in meno di un secolo, l’avevano quasi del tutto denudata dalla vegetazione (la Legge Serpieri R.D.3267/23 non ancora era stata scritta!!). Ciò aveva provocato la desertificazione della Feniglia e fenomeni di inpaludamento della laguna di Orbetello, dovuti con ogni probabilità al trasporto della sabbia ad opera del vento e del ruscellamento idrico, con serio pregiudizio per la salute degli abitanti (impaludamento voleva dire rischio di contrarre la malaria) e le attività economiche legate alla pesca.
Per questo motivo il Ministero LL.PP. procedette all’esproprio, mentre il rimboschimento fu affidato al Corpo Forestale dello Stato. Dato che i lavori furono iniziati nel 1911 e ultimati nel 1950, i soprassuoli più vecchi hanno superato i 100 anni mentre i più giovani ne hanno circa 70. L’esame del progetto rappresenta un manuale per il rimboschimento delle dune. 
Il primo Piano di assestamento (C. Volpini 1950) individuò una fascia di protezione con Pino marittimo, Pino domestico, Ginepro e varie latifoglie a ridosso della fascia costiera, una compresa di Pino domestico per la produzione di pinoli (circa 320 ettari su 474 ha).
La gestione della Feniglia da parte dell’Ispettore Pepe, avvenuta prima dell’ultimo conflitto mondiale, ebbe le dovute cure colturali (sfolli e diradamenti) secondo gli studi e le conoscenze dell’epoca sulla coltivazione del Pino domestico per la produzione di pinoli. Mi piace ricordare la monografia di Biondi e Righini del 1910 che, per le pinete costiere della Toscana destinate alla produzione di pinoli, partendo da oltre 3500 piante per ettaro, prevedeva potature, sfolli e diradamenti che a 30 anni circa avrebbero dovuto portare la densità a circa 100 piante per ettaro (densità quasi definitiva). Lo stesso Pepe secondo una sperimentazione dettagliatamente documentata a 25-27 anni aveva, con frequenti diradamenti, ridotto il numero di piante a circa 250 piante per ettaro e 30 cm di diametro a m 1,30 dal colletto. Questo stesso Autore, nel valutare i risultati delle Sue esperienze, concluse raccomandando una selezione ancora più intensa allo scopo di stimolare maggiormente l’accrescimento del Pino domestico.
La Duna Feniglia è stata catalogata tra i biotopi di rilevante interesse vegetazionale da parte della Società Botanica Italiana; la Commissione per la Conservazione della Natura del CNR l’ha classificata tra i biotopi caratteristici della Macchia mediterranea; successivamente la Feniglia è stata iscritta nel libro nazionale dei boschi da seme. Con D.M. 26/7/1971 la Duna Feniglia è stata classificata tra le “riserve forestali di protezione per il suolo sabbioso e per le condizioni edafiche”.

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Chef a 32 stelle e prodotti tipici

Il succursalismo non riguarda soltanto la ristorazione di massa, ad esempio Mc Donald, o l’alta moda, ma ora anche la gastronomia dove stiamo assistendo alla nascita di una nuova generazione di "ristoranti seriali", come talvolta sono chiamati. Il succursalismo gastronomico che si sta diffondendo soprattutto per opera dei francesi sembra essere trascurato dagli italiani, mentre dovrebbe meritare una speciale attenzione anche per i riflessi che ha sulle produzioni alimentari e in particolare quelle tipiche.

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Storia della bergamotticoltura dalla sua nascita ad oggi

La coltivazione del bergamotto (Citrus bergamia Risso & Poit) e la produzione della sua essenza, costituiscono da oltre due secoli, un raro momento di imprenditorialità agricola di respiro internazionale per la Calabria. Lo sviluppo di questa coltura, com’è noto, è legata all’invenzione in Germania dell’”aqua mirabilis” (in seguito denominata acqua di Colonia in ricordo della città dove venne prodotta per la prima volta) da parte di un emigrante italiano, che la ideò e ne ottenne il brevetto negli anni a cavallo del 1700. Ben presto l’essenza del bergamotto diventa l’ingrediente più prezioso e ricercato per la preparazione dei più prestigiosi profumi destinati all’aristocrazia ed alla borghesia internazionale. Nascono così, intorno alla metà del 1700, i primi bergamotteti nei giardini di alcune delle famiglie più abbienti di Reggio Calabria. 

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Agricoltura sostenibile e diritto agrario nel nuovo millennio, tra food safety e food security

Una sintesi dell’evoluzione intervenuta negli ultimi decenni in ordine alle problematiche che hanno coinvolto anche l’agricoltura nonché degli sviluppi che sono sotto i nostri occhi può efficacemente esprimersi mediante il ricorso a tre espressioni, ormai entrate nel gergo comune: food safetyfood security e sustainable agriculture.
La prima espressione food safety riassume efficacemente la   questione apparsa in maniera significativa sulla scena della politica economica e del diritto dai primi anni del nuovo secolo a partire dalla singolare occasione rappresentata in Europa dalla vicenda della c.d. mucca pazza. In un momento storico in cui sembrava che la fame nel mondo fosse in via di superamento, l’attenzione della politica agricola si è spostata dai prodotti agricoli, in quanto tali, agli alimenti, al fine di fornire un’adeguata tutela della salute dei consumatori di alimenti che pur sempre ed in larga maggioranza sono basati su prodotti agricoli. Sulla base di questo trend, accanto al tradizionale diritto agrario, concentrato sul fenomeno produttivo e sui mercati delle materie prime e indirizzato alla tutela dei produttori agricoli, quali agenti insostituibili nella realizzazione della produzione agricola di base, si è sviluppato il diritto alimentare indirizzato fondamentalmente alla tutela degli interessi dei consumatori finali dei prodotti alimentari.
La seconda espressione food security segna, viceversa, la drammatica riscoperta del problema relativo all’ inadeguatezza della offerta agricola alla luce della domanda alimentare del pianeta. Tale riscoperta, intervenuta a seguito della crisi mondiale del 2008, continua a sussistere in considerazione dello scarto tra l’attuale produzione agricola mondiale ed il fabbisogno globale alimentare che si prevede necessario per i prossimi decenni. In questa prospettiva, sono apparsi sempre più indispensabili il rilancio fondamentale del diritto agrario, quale diritto della produzione primaria, e, al tempo stesso, la riaffermazione circa l’eccezionalità del settore agricolo rispetto all’applicazione indifferenziata anche ad esso dei paradigmi neo-liberali tuttora dominanti negli altri settori dell’economia.
L’espressione sustainable agriculture individua in maniera efficace la linea fondamentale di politica economica e di diritto agrario in cui nel nostro immediato futuro devono collocarsi le scelte pur sempre importanti indirizzate al perseguimento tanto della food safety quanto della food security

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Dopo Taranto, statalizzeremo l’agricoltura?

Il caso dell’ex Ilva di Taranto, bruscamente al centro dell’attenzione della politica e dell’opinione pubblica, mentre scriviamo è ancora lontano da una soluzione accettabile. In questi giorni la sostanza del problema è nascosta, sopraffatta dall’infinità di parole spese per una narrazione che non è propedeutica a nessuna soluzione concreta a breve termine. Temiamo che si aprirà una complessa contesa giuridica  che, qualunque ne sia l’esito, segnerà la fine di uno dei maggiori impianti del continente.
Al di là delle polemiche prontamente sviluppatesi ci sembra che il caso metta in evidenza due questioni generali. La prima consiste nel fatto che da più parti torna ad echeggiare un ritornello che pensavamo fosse ormai scomparso e dimenticato: l’invocazione di un pronto intervento di statalizzazione/nazionalizzazione dell’impresa da parte dell’Italia come garanzia del ristabilirsi di una situazione di funzionamento dell’impresa che sia efficace e cioè che consenta di conseguire gli scopi che la scelta politica si propone. La seconda è proprio la definizione di questi scopi che vengono ridotti all’alternativa fra proseguire nella produzione a qualsiasi costo, materiale e morale, oppure, all’opposto, chiudere l’impianto al fine della salute degli abitanti e dell’ambiente locale abbinando a ciò opere di disinquinamento, riqualificazione dell’area, avviamento di non meglio definite attività “green” secondo una linea politica che sembra trovare crescente consenso.
Quella delle nazionalizzazioni sembrava una strada ormai, e per sempre, abbandonata. Reca con sé l’amaro sapore di soluzioni di guerra, di autarchia, di politiche nazionaliste inefficienti ed inefficaci. Nel nostro paese ha condotto ad un’economia fortemente infiltrata dalla politica e dalla pressione di gruppi e settori. Raramente ha condotto a risultati economicamente positivi, scaricando i costi sul bilancio dello Stato e cioè, in ultima analisi, sui redditi dei cittadini. Alla base vi è la convinzione che lo Stato riesca a fare meglio dei privati nella produzione  e vendita di beni e servizi. Sappiamo che non è così, tanto che dopo svariati decenni dalla nascita dell’Iri abbiamo proceduto a privatizzare le imprese pubbliche, scoprendo che quelle più redditizie operavano in settori regolati dallo Stato, mentre stentavano a sopravvivere quelle messe sul mercato.

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L’arte del norcino, nell’ultimo libro di Giovanni Ballarini

In un’antichità arrivata fin quasi ai nostri giorni, il maiale era sacrificato tra Santa Lucia (13 dicembre) e Sant’Antonio (17 gennaio) per dare lustro con le sue carni alle feste di fine d’anno e di carnevale; e un proverbio diceva che a lavarsi i piedi si sta bene un giorno, a sposarsi un mese e sacrificando un maiale un anno. Sacrificare un maiale domestico che ha convissuto con la famiglia umana comportava un’intensa ritualità officiata da un magister o maestro esperto, competente, e abile e dal termine maestro derivano le voci dialettali settentrionali di masalèn, masalìn, masìn, masèr, massarìn, mazén di chi è maestro, il più grande di tutti, nel sacrificio del maiale, mentre nell’Italia centrale prevale il termine di norcino che fin dal Medioevo raffina la sua arte alla scuola dei chirurghi di Norcia.

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Un Tingide esotico dannoso al gelsomino: Corythauma ayyari (Drake)

In Italia i gelsomini ospitano poche specie di insetti fitofagi in grado di causare alterazioni; diffuso è il Diaspino Aspidiotus nerii, responsabile di ingiallimenti delle foglie che superano la soglia di attenzione ma che, raramente, interessano tutta la chioma. Nel 2012 è stata segnalata in Campania la presenza del Tingide di origine asiatica Corythauma ayyari (Drake) e rinvenuto successivamente nel Lazio, in Sicilia e in Sardegna. Nel bacino del Mediterraneo, è stato segnalato in Israele, nel 2004, e successivamente in Francia, nella penisola Iberica, Grecia, Malta e Tunisia. Più recentemente è stata intercettata nel Principato di Monaco e in Siria. Si ritiene quindi che il Tingide sia in fase espansiva nell’area mediterranea.

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Un futuro con alberi, ma sul nostro pianeta

Ci crediamo uomini liberi, ma siamo in realtà condizionati, consapevoli o no, da molte forze di varia natura, non solo di carattere economico, ma anche sociali, psicologiche e, soprattutto, politiche.
Una delle maggiori armi per influenzare le opinioni del pubblico e per orientarlo verso certi atteggiamenti e verso certe scelte sono, come ben sappiamo, i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa, cioè quelli che una volta erano la radio, i giornali (per chi sapeva leggere) e la televisione (in epoche più recenti) e adesso sono principalmente internet e i social network.
Questi potenti mezzi di persuasione e di propaganda costituiscono nella nostra società attuale grossi strumenti di potere in mano a gruppi economici e politici o agli stessi governi, che ne fanno l’uso che ritengono migliore allo scopo di piegare il pubblico alla propria volontà e ai propri interessi, facendogli dimenticare che, forse, i problemi sono altri.
Ho scritto questo lungo preambolo perché il bombardamento mediatico di pochi mesi fa per ricordarci i 50 anni che ricorrono dallo sbarco sulla Luna mi ha fatto ricordare, come a moltissimi, dove ero quella sera. Me lo ricordo benissimo, avevo 6 anni, ero a casa dei miei nonni, con genitori e qualche zio a vedere quello che all’epoca non riuscivo a percepire come qualcosa di straordinario. E lo era, allora come adesso. 
La stampa ha poi rilanciato notizie riguardanti progetti volti a portare l’uomo sulla Luna, su Marte e persino più in là, non più per qualche minuto, ma per viverci permanentemente. 
L’ambizione dell’uomo non conosce ostacoli e, per il futuro, si progetta di alterare l’atmosfera di Marte o il clima di Venere per renderli abitabili, di far nostre le risorse minerarie probabilmente presenti su questi pianeti.
Ma, forse, invece di pensare di colonizzare la Luna o Marte, dovremmo prima pensare di preservare il pianeta in cui abitiamo e, quindi, salvare noi stessi e coloro che ci seguiranno. Non dico che non si debbano perseguire queste strade che non sappiamo ancora dove ci porteranno, anzi. Altrimenti contraddirei la mia voglia di ricerca. 

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