Notiziario






L' Accademia per il post Covid19

La complessa situazione economica dell'Italia presenta alcune vere e proprie precarietà e frequentemente, sia economisti di valore come pure gli estensori di documenti di orientamento per le scelte governative, riscontrando oggettive difficoltà per una energica azione sull'economia italiana, finiscono per fare riferimento, tra varie iniziative, alla attività di ricerca che, in modo taumaturgico, sarebbe in grado di incamminare la debole Italia su una strada di sicuro successo. Certamente la ricerca è una spinta propulsiva, ma deve essere calata entro realtà molto precise. Affermata genericamente può essere illusoria e può solo servire a sostenere surrettiziamente scelte politiche discutibili. L'Accademia dei Georgofili crede senza esitazioni nell'attività di ricerca e sa quanto essa sia utile non solo all'avanzamento delle conoscenze, del quale ne è lo strumento primario, ma anche per le inevitabili ricadute applicative. Comunque deve essere chiaro che tra il momento della ricerca e il possibile trasferimento delle innovazioni di processo e di prodotto nelle attività varie, può passare talora molto tempo, sempre che si riesca nell'intento di rendere trasferibile il lavoro di ricerca.
Le argomentazioni sopra riportate vanno bene per ogni periodo, ma pensiamo che siano particolarmente incisive in un momento, per molti versi drammatico, come questo del post Covid19, che stiamo attraversando.
A tal proposito l'Accademia ha deciso di attuare un servizio per gli agricoltori, in particolare quelli piccoli e medi che sono la maggioranza degli agricoltori italiani e che hanno necessità di accedere a informazioni circa la disponibilità di pratiche nuove che apportino o minore spesa o maggior guadagno -o entrambi- nelle loro attività aziendali. E' stata istituita una "Antologia delle innovazioni mature" (http://www.georgofili.it/sezioni/l-accademina-per-il-post-covid-antologia/50) articolata in varie "categorie" in modo da coprire la notevole varietà di richieste che possono emergere dai tanti settori agricoli, dalla cerealicoltura alla viticoltura e alla orticoltura, dalla difesa delle piante all'enologia, o dalla meccanizzazione alle tecnologie alimentari, ecc. Tutte le innovazioni contengono precise indicazioni su specifici interventi a carattere innovativo; si tratta cioè della vera utile innovazione, quella nata da problemi reali e che prospetta soluzioni ampiamente sperimentate e quindi pronte al trasferimento. Un rilievo non secondario: ogni innovazione è sottoposta al "referaggio" di colleghi specialisti, in gran parte Accademici georgofili, che validano il contenuto di ciascuna proposta. Questo lavoro ha preso l'avvio nel bel mezzo del "lockdown" causato dalla epidemia Covid19 ed è destinato a perdurare ancora per molte settimane con l'esame di un numero assai elevato di innovazioni mature. La immediata e generale risposta che la comunità scientifico-agraria sta dando a questa iniziativa mette in luce la generosità e la serietà dei moltissimi colleghi coinvolti.
Molte delle innovazioni pubblicate sullo specifico sito dell'Antologia sono di facile comprensione da parte degli agricoltori e immediatamente trasferibili; altre sono certamente frutto di studi accurati, ma ancora non validati dalle autorità competenti, in particolare dall'Unione Europea.

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Agricoltura e acqua: quando le parole contano

Il mondo occidentale produce tanto, ma consuma solo una quota di ciò che ha prodotto. Il resto non è però detto sia da considerare spreco in senso stretto, dato che sono le moderne catene distributive a implicare perdite di prodotti che al momento non sembrano comprimibili con le tecnologie attuali. Sia come sia, però, ogni chilo di cibo che non raggiunge le bocche dei cittadini manda comunque in fumo ogni sforzo fatto per produrlo, inclusa l’acqua necessaria a generarlo, quel cibo. Non è però colpa dell'agricoltura se insieme al cibo che si perde lungo le filiere alimentari o nelle case degli Italiani si va a perdere anche l'acqua servita per produrlo. Vi sono infatti alcune precisazioni da fare già sulle terminologie comunemente usate. Per esempio "consumare" ha davvero poco senso, visto che l'acqua non si "consuma", bensì si trasforma. Il ciclo dell'acqua esiste da quanto l'acqua stessa è presente sul Pianeta, quindi pensare che un turno irriguo la "consumi" è del tutto fuorviante.

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Una bioeconomia circolare per il Green Deal europeo

Una delle eredità principali della recente pandemia è la consapevolezza della necessità di improntare il nostro rapporto con le risorse naturali su canoni di maggior equilibrio e rispetto. Si tratta, in altri termini, di riconoscere ad esse quel ruolo regolatore della funzionalità dei sistemi produttivi e di consumo dal quale abbiamo cercato di affrancarci, come se la nostra sopravvivenza e il nostro benessere fossero strettamente dipendenti dalla dominazione e dal controllo dell’ambiente, anziché dalla sincronizzazione dei nostri ritmi con quelli ineluttabili che sono propri delle leggi della fisica e della biologia. La COVID-19 è esplosa a seguito di un costume alimentare, diffuso in alcuni paesi dell’Asia, sul quale non si esprime alcun giudizio di valore se non per segnalarne il significato, molto più che simbolico, in termini di mancato rispetto delle più elementari norme della convivenza con le risorse della natura. Queste ultime, a loro volta, non hanno tardato a riappropriarsi degli spazi lasciati temporaneamente privi di presidio, a seguito della chiusura forzata delle attività umane imposta dallo stato di emergenza.
Tali segnali suggeriscono inequivocabilmente l’inderogabile urgenza di modificare un atteggiamento culturale, consolidato nei secoli, di arrogante hybris nei confronti dell’ambiente. Troppo spesso la natura è stata relegata a un ruolo subalterno e funzionale al nostro benessere, dimenticando che tale scopo può essere perseguito non a suo discapito, ma insieme e in armonia con essa. La prevaricazione dell’hybris dell’antropocentrismo è destinata a imbattersi, prima o poi, nella nèmesis della giustizia e dell’equilibrio che regolano la vita e la sopravvivenza su questo pianeta. Formazione, ricerca e progresso non devono dunque arrestarsi o arretrare, ma approfondire la conoscenza delle funzionalità degli ecosistemi allo scopo di coniugarla col benessere dell’uomo attraverso una relazione win-win.
La responsabilità delle scienze economiche, su questo piano, è centrale. Ad esse si chiede di promuovere una transizione della società verso modelli di produzione e consumo coerenti con i criteri di convivenza e sostenibilità appena richiamati. Non è un caso che il pensiero economico, di fronte ai fallimenti della dottrina classica, sulla quale tuttora si formano generazioni di studenti, abbia ramificato il proprio sviluppo attraverso l’adozione di nuovi approcci paradigmatici. Tra i più rilevanti, occorre menzionare quello della cosiddetta “green economy”, una teoria dello sviluppo con connotazioni egualitarie ed ecologiche. La green economy misura ricchezza e benessere non più in termini di flussi di PIL, ma come accumulazione di stock di diversi tipi di capitale, compreso quello naturale. L’economia verde consiste sostanzialmente nel ridefinire l’obiettivo delle attività legate alla produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi in migliori condizioni di benessere umano nel lungo periodo, in modo tale da non esporre le generazioni future a rischi ambientali.

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Le api nei loghi di movimenti e partiti politici

Le api mellifere sono state considerate un importante esempio di perfetta struttura sociale e di buon governo. Esiodo nel libro Teogonia, del 700 a.C., paragonò le api operaie agli uomini che nutrono le donne, quest’ultime paragonate agli sfaticati fuchi, che “restando dentro gli ombrosi alveari | l'altrui fatica nel loro ventre raccolgono”. Nel panorama politico italiano, l’acronimo ape è stato utilizzato, insieme all’immagine dell’insetto, dall’apparenza fumettistica, nel 2009, dagli Autonomisti per l’Europa - A.P.E.; nonché dalla formazione politica Alleanza popolare ecologista nel cui logo l’ape è raffigurata, con due sole ali. Sempre nel 2009 è nato il partito politico API Alleanza per l’Italia, che è stato ufficialmente sciolto nel 2016, e nel cui logo, del 2011, compaiono due api sempre con due sole ali.

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Pesce, dalla pesca all’allevamento

Le ricorrenti diatribe e proteste che ricorrono in occasione del fermo pesca stanno dimostrando l’esistenza di una crisi del sistema nel quale vi è anche un passaggio dalla raccolta o caccia del pesce al suo allevamento o coltivazione, come in tempi passati più o meno lontani era avvenuto per i vegetali e soprattutto per altri animali con contrasti anche aspri e non ancora terminati tra cacciatori e agricoltori dei quali è segno il primo biblico delitto dell’agricoltore Caino che uccide l’allevatore Abele. Un passaggio dalla raccolta all’allevamento del pesce trova una migliore comprensione considerando lo studio di Brian Fagan (Fagan B. - Fishing: how the sea fed civilization - Yale University Press 2017) su come la pesca, non come sport ma come sostentamento, è stata un elemento indispensabile nella crescita della civiltà fornendo cibo in modo sostenibile per consentire alle città, alle nazioni e agli imperi di crescere.

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La terra salvata dagli alberi

Ronald Reagan disse che causavano l'inquinamento atmosferico (è vero, non è una fake news, controllate). I ricercatori affermano che raffrescano l’aria, limitano l’inquinamento e forniscono tutta una serie di benefici sul nostro benessere. Gli agenti immobiliari dicono che aumentano i valori abitativi. Alcune persone li temono per le loro dimensioni, altre li “odiano” perché sporcano, danneggiano le pavimentazioni, ecc. Non c’è dubbio che esistano opinioni divergenti sugli alberi!
Se considerato da sole, c'è una base di verità per ciascuna di queste affermazioni. Purtroppo, anche in quella di Reagan, ma in altri articoli abbiamo già spiegato che è una piccola verità che va contestualizzata.
Molti alberi emettono gas organici volatili nell'atmosfera. Spesso sentiamo l'odore dei terpeni emessi dai pini e anche da altre conifere, ma anche da molte delle più comuni latifoglie.
Ecco perché il presidente Reagan ha incolpato gli alberi per l'inquinamento atmosferico. Questo composti organici volatili di origine biogenica (BVOCs) sono dei precursori della formazione di ozono nella bassa troposfera. L'ozono è uno dei principali componenti dell'inquinamento atmosferico che colpisce l'uomo, ma i gas organici degli alberi non vengono convertiti direttamente in ozono. La reazione è catalizzata dagli ossidi di azoto le cui sorgenti sono concentrate soprattutto nelle aree industrializzate e densamente popolate dove la presenza di agglomerati urbani e di fabbriche incide fortemente sullo stato di inquinamento dell’aria. La fonte di maggior emissione è rappresentata dal traffico veicolare, in particolar modo nei centri urbani, mentre nelle periferie risulta dominante la produzione industriale, in particolare quella delle centrali energetiche a combustione fossile; di una certa entità sono anche i contributi dati dagli impianti di riscaldamento.
Quindi la colpa è nostra…come sempre. Mentre emettono gas organici volatili, gli alberi assorbono una varietà di inquinanti atmosferici, inclusi l'ozono e gli ossidi di azoto, riducendone le concentrazioni nell’aria che respiriamo. Nell'atmosfera, gli ossidi nitrici vengono convertiti in acido nitrico, che gli alberi assorbono attraverso i loro pori o stomi. L'ozono nell'aria sarebbe dunque più alto se non fosse per l'assorbimento di ossidi nitrici da parte degli alberi. È la quantità di ossido nitrico che determina i livelli di ozono in molte regioni, non la quantità di BVOCs che le piante hanno sempre prodotto naturalmente, ma che vengono prodotti in maggior quantità in situazioni di stress ambientali. E chi è il colpevole maggiore delle situazioni di stress. Ancora una volta è spesso l’uomo a mettere gli alberi in condizioni di stress e, quindi, ad aumentare la produzione di composti organici volatili.

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L’economia al tempo della pandemia: dietro i Golden Powers il rischio del ritorno allo statalismo?

Dopo un cammino che è stato lungo e incerto, giunge ad una conclusione, non sappiamo quanto definitiva, il percorso legislativo delle norme che riguardano la concessione al Governo di “particolari poteri di veto in caso di acquisto di partecipazioni societarie o di aziende o rami di aziende, oppure per impedire l’adozione di determinate delibere societarie, atti e operazioni da parte di soggetti stranieri” la definizione è ripresa dall’articolo di N.Lucifero a cui si rinvia (http://www.georgofili.info/contenuti/risultato/15026).
Ciò è avvenuto con il decreto legge 23/2020 poi convertito in legge che riguarda l’emanazione di norme fortemente vincolanti della libertà di impresa nel caso di investimenti esteri in condizioni che richiamino esigenze superiori di “sicurezza e di ordine pubblico” e la strategicità di specifici settori o comparti economici. Fra le novità del d.l 23 vi è l’inserimento fra i fattori determinanti previsti dal Reg. 2019/452 articolo 4, par. 1), lettera c) anche la “sicurezza dell’approvvigionamento di fattori produttivi critici, tra cui l’energia e le materie prime nonché la sicurezza alimentare”.
Quest’ultima intesa nel senso di “food security” ha assunto con l’epidemia un’importanza rilevante ed ha riportato, fra i temi in discussione per un futuro più consapevole, la gestione degli approvvigionamenti alimentari. Tutto ciò ha fornito lo spunto per completare il quadro normativo avviato nel lontano 1994 delle misure eccezionali da introdurre nell’agroalimentare in casi gravissimi.
L’opinione pubblica italiana ha sempre mostrato un’elevata sensibilità alle questioni alimentari, ma la questione non è semplice come si potrebbe credere e non può essere affrontata superficialmente. Già in passato ed ancora di recente, quasi a “furor di popolo”, si tentò di intervenire sull’agroalimentare introducendo poteri speciali mutuati dai comparti in cui questi erano già in vigore, con risultati sostanzialmente nulli.

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Addio al Maestro che scoprì la Xylella

Giovanni Paolo Martelli è stato lo Scienziato che  ha dedicato la  sua vita di studioso ai virus delle piante, un gentiluomo e un grande Maestro. Tra i fondatori della scuola barese di patologia vegetale era conosciuto e stimato in Italia e all’estero.  Ha dedicato la sua vita di studioso  alla salute delle piante, un tema molto sentito dall’opinione pubblica, fonte di alimenti per la sopravvivenza dell’umanità.  Il Professore, stimato anche dai virologi che si interessano della salute umana, ha lavorato in silenzio per decenni con risultati straordinari. Con l’inizio di questo anno ci ha lasciati ,in un momento in cui un nuovo terribile invisibile virus diveniva una grave sciagura per l’intera umanità, purtroppo senza un suo cospicuo contributo per sconfiggerlo.

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Proverbi del suolo

Davvero bella iniziativa quella della Società Italiana di Scienza del Suolo di realizzare un libro, curato dai colleghi Paola Adamo, Gian Franco Capra, Andrea Vacca e Gilmo Vianello e pubblicato dalla Casa Editrice Edizioni Dell’Orso, in cui sono raccolti, regione per regione, i proverbi legati più direttamente al suolo nei rispettivi dialetti.
Il nostro Paese ha avuto da sempre una forte vocazione agricola e, pur nella sua evoluzione, ha sempre tenuto viva la tradizione e coltivato la sua storia. In questa ottica si trovano quindi miriadi di proverbi e modi di dire risalenti anche a tempi lontanissimi e che riguardano l’agricoltura in generale, da quelli legati agli andamenti meteorologici, alle colture e ai raccolti.

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Lettera aperta della UEAA: “COVID-19 and Agriculture for Food and Nutrition Security”

L’Union of European Academies for Sciences applied to Agriculture, Food and Nature (UEAA) ha predisposto una lettera aperta sul tema “COVID-19 and Agriculture for Food and Nutrition Security” indirizzata alle Nazioni Unite, al G-20 e ai Governi Nazionali. La lettera mette in evidenza che mentre la pandemia di COVID19 sta rappresentando una grave crisi di salute pubblica mondiale, anche i sistemi agro-alimentari di tutto il mondo sono fortemente colpiti.

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La fisica degli spaghetti al dente

Anthèlme Brillat Savarin nella IX meditazione della Fisiologia del Gusto o Meditazione di Gastronomia Trascendentale (1825) afferma che la scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella. Stelle e manicaretti sono un'opposizione ampiamente superata, perché oggi a fisica, sia pure di branche diverse, permette di individuare nei cieli buchi neri e nuove stelle e al tempo stesso la "fisica della materia soffice" consente di scoprire in cucina il segreto degli spaghetti al dente. Sempre questo secondo tipo di fisica sta dimostrando che nella pasta la forma è sostanza, perché in taluni piatti i bucatini non danno gli stessi risultati degli spaghettoni o spaghetti, per quale ragione i maccheroni rigati non sono omologabili a quelli lisci e, infine, per quale motivo vi sono tanti formati di pasta.
La materia soffice (soft matter) è un vasto insieme di materiali molto diversi, con proprietà intermedie tra lo stato solido e liquido e che si presentano come fluidi caotici e viscosi o come solidi disordinati e deformabili. Questa materia dai comportamenti difficili da prevedere e che comprende gran parte degli alimenti è stata studiata da diverse scienze tra le quali la chimica e oggi anche dalla fisica della materia soffice (soft matter food physics) della quale Pierre-Gilles de Gennes, Premio Nobel per la fisica (1991) è considerato padre. La fisica della materia soffice sta ora aprendo nuovi orizzonti interpretativi e applicativi sui comportamenti della pasta fresca e secca nelle loro differenti tipologie e forme, come dimostrano molte pubblicazioni, tra le quali quelle di Thomas A. Vilgis (Vilgis T. A. - Soft matter food physics — The physics of food and cooking - Rep. Prog. Phys. 78, 5 november 2015) e di Prabin Lamichhane e collaboratori (Prabin Lamichhane, Alan L. Kelly, Jeremiah J. Sheehan - Symposium review: Structure-function relationships in cheese - J. Dairy Sci. 101:2692–2709, 2018).
Gli italiani sono quasi ossessionati dalla cottura della pasta secca di grano duro con dopo la cottura deve essere “al dente” e cioè morbida ma non collosa all’esterno mantenendo un centro più duro. Questo risultato è stato oggetto di una quasi infinita serie di prove, discussioni, dispute e interpretazioni. Di recente la pasta al dente è stata oggetto di ricerche da parte della fisica della materia soffice studiando separatamente le modificazioni fisiche dell’amido e del glutine, costituenti la pasta secca, sotto l’azione della temperatura in ambiente acquoso, consentendo la costruzione di equazioni e di modelli interpretativi che permettono un controllo sistematico dei fenomeni connessi alla produzione e cottura della pasta secca che assicuri il desiderato carattere di essere al dente e non scotta.

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La Biblioteca dei Georgofili nel Mondo. Una breve nota storica

Una comunicazione di qualche giorno fa ha annunciato che la Biblioteca dei Georgofili compare nel Catalogo Mondiale (WorldCat). Una bella notizia che rende lieti gli utenti del Mondo.
Desideriamo tuttavia in questa sede rintracciare le radici di questo evento che datano ormai da quasi trenta anni, quando la Biblioteca dell’Accademia per la prima volta nella sua storia compare nel Mondo.
E’ necessario un breve excursus storico, poiché come sappiamo dalla storia degli eventi non possiamo prescindere senza tema di commettere sviste ed errori.
Ecco dunque alcuni dati: dal 1991 la Biblioteca dell’Accademia dei Georgofili si era dotata di un SW per la catalogazione del suo patrimonio librario. Erano gli anni in cui le biblioteche più piccole stentavano ad avvicinarsi all’universo SBN (Servizio Bibliotecario Nazionale) e la scelta ricadeva necessariamente su software di grande prestigio e di robusta struttura, ma restava lontana la possibilità di far parte di una rete bibliotecaria che avrebbe conferito visibilità al patrimonio librario e documentario.
Questo non fu il caso però della Biblioteca dell’Accademia dei Georgofili.
Il 27 maggio 1993 parte della sede accademica fu distrutta dall’atto dinamitardo di stampo mafioso: perirono cinque persone e molti furono i feriti. Il patrimonio archivistico e bibliografico finì in buona parte sotto il cumulo delle macerie da cui fu estratto dai vigili del fuoco nei giorni immediatamente successivi al tragico evento e trasportato in altri locali (Salone Magliabechiano presso la Galleria degli Uffizi) dai numerosi volontari accorsi - fra cui molti bibliotecari  e archivisti degli istituti fiorentini - e da questi ricollocati nelle diverse sezioni che componevano la biblioteca e l’archivio dell’Accademia.
Fu recuperato anche l’ultimo salvataggio del DB della biblioteca su floppy disk che miracolosamente era rimasto indenne e perfettamente leggibile, nonostante che il tavolo di lavoro e il PC su di esso sistemato fossero andati completamente distrutti. Il lavoro avviato solo da poco tempo non era andato pertanto perduto e fu possibile recuperarlo.
Il Presidente Franco Scaramuzzi con la tenacia, competenza ed energia che lo hanno sempre contraddistinto, unitamente a Carla Guiducci Bonanni allora direttore della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, vollero che ogni fase del lavoro venisse documentata affinché ne restasse testimonianza e memoria.
Fra pochi anni ricorrerà il 30° anniversario della strage dei Georgofili e grazie proprio alla documentazione conservata, sarà facile ripercorrere il cammino di quei giorni, di quei mesi densi di attività e di progetti. Chi scrive era presente e la memoria personale si fonde con gli attestati voluti tramandare affinché nulla si perdesse. La storia come abbiamo avuto modo di ripetere in più di un’occasione ha spessore e grave errore sarebbe quello di trarne affermazioni che non avessero fondamento nei fatti e nelle fonti trasmesseci.

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Prosecco, viticoltura e salute: accuse infondate

È una delle aree geografiche con le più alte aspettative di vita al mondo e mostra statistiche sanitarie al top per una molteplicità di patologie. Eppure la provincia di Treviso, patria del Prosecco, è una delle più battagliate del Belpaese a causa degli agrofarmaci utilizzati in viticoltura. Se da un lato il successo delle bollicine trevigiane ha portato crescita economica e reputazionale, dall'altro ha infatti inasprito le tensioni fra cittadinanza e viticoltori, accusati questi ultimi di avvelenare il territorio.

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I batteriofagi: una soluzione alternativa agli antibiotici come promotori di crescita in zootecnia?

Non tutti i virus sono nostri cattivi nemici come il Coronavirus tristemente famoso, responsabile della Covid-19, che chissà quando ci permetterà di tornare alla nostra vita di tutti i giorni. Ci sono anche dei virus che non se la prendono con gli animali, ma solamente con batteri specifici. Sono i virus batteriofagi. Se i batteri bersaglio dei batteriofagi sono patogeni per noi e per i nostri animali, come ad esempio i Clostridi o i Campylobacter, i batteriofagi ce ne liberano a tutto nostro vantaggio.

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I vitigni ibridi resistenti alle malattie fungine: l’equivoco dei nomi continua

Come ho già scritto in una nota pubblicata su questa rubrica nel maggio 2019 (http://www.georgofili.info/contenuti/risultato/12385), il problema dell’inquinamento ambientale legato alla coltura della vite è molto sentito in Europa, e la ricerca è ancora oggi prevalentemente orientata  a ridurre l’uso dei fitofarmaci attraverso la creazione di nuove varietà, ottenute da incroci tra la vite europea e varie specie di vite non europee, dotate di resistenza alle malattie fungine.
Questa linea di indagine, perseguita da varie Istituzioni sperimentali, ha portato nel 2015 all’iscrizione nel nostro registro varietale di 10 nuovi vitigni ibridi  da vino bianchi (B.) e neri (N.), ottenuti in Italia dall’Università di Udine con la collaborazione dell’Istituto di Genomica Applicata e dei Vivai Cooperativi Rauscedo. Tali vitigni hanno avuto origine da incroci tra viti americane ed asiatiche, a loro volta incrociati con  varietà di origine francese, ed è noto che mentre a tre di essi i Costitutori hanno attribuito nomi completamente nuovi (Fleurtai, B., Soreli, B. e Julius, N.), agli altri sono stati assegnati i nomi del genitore europeo, integrato da un aggettivo di fantasia  (Cabernet Eidos, N., Cabernet Volos, N., Merlot Kanthus, N., Merlot Khorus, N., Sauvignon Kretos, B., Sauvignon Nepis, B. e Sauvignon Rytos, B.).I vitigni  dell’Università di Udine stanno avendo una buona diffusione nelle regioni in cui sono ammessi alla coltura (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Veneto e Lombardia), dove le loro qualità si stanno rivelando di ottimo livello anche sotto il profilo della gestione sanitaria, che richiede  solo 2-3 trattamenti annui per la difesa anticrittogamica contro i 12-15 necessari per le varietà di Vitis vinifera
Premesso quanto sopra, è evidente che in generale i  vitigni ibridi di ultima generazione, prodotti in Italia o in altri Paesi, possono essere un mezzo importante per rendere più sostenibile la viticoltura, ma per alcuni di essi non si può dimenticare il  problema legato alla denominazione, poiché utilizzare un vitigno derivato da ibridazione interspecifica che abbia il nome del genitore “noto” può  illudere i viticoltori che la varietà “resistente” sia identica a quella “originale”.
Il problema è molto presente in Francia perché, oltre a quelli italiani, molti ibridi prodotti nel Centro-Nord Europa (Svizzera, Austria, Germania ed Ungheria) hanno utilizzato nomi che richiamano i vitigni francesi usati nell’incrocio e tali  nomi, oltre a creare equivoci, “disturbano” l’immagine “tradizionale” della viticoltura d’oltralpe.

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Pandemia da Covid-19 e agricoltura

Gli inglesi parlerebbero di boring, ma prossimo a diventare annoying, con riferimento al tema della connessione Covid 19, disastri ecologici e, questo non deve mai mancare, agricoltura intensiva. Comunque, bene ha fatto “Georgofili Info” a riprendere l’articolo da Repubblica dell’11 maggio (http://www.georgofili.info/contenuti/la-deforestazione-aumenta-il-rischio-di-nuove-pandemie/15023); esso infatti, mi consente di esprimere, con la necessaria fermezza, una serie di puntualizzazioni su questo malvezzo di riferire ogni disgrazia umana alla deforestazione e all’agricoltura (specie se intensiva).
In primo luogo, i rischi da virus “mantenuti in vita” da animali selvatici sono reali, ma hanno ben poco in comune con la deforestazione, semmai col fatto che sempre più vengono facilitati gli scambi con i mercati umidi (specie in Cina e, guarda caso da lì è venuto il SARS-CoV-2, non dal Brasile) e con i fenomeni turistici più o meno estremi nelle aree naturali, cui – ovviamente – si aggiunge la facilità di diffusione legata alla globalizzazione (come constatiamo ogni giorno in agricoltura con le forme aliene). Per favore, si legga al riguardo “Predicting wildlife reservoirs and global vulnerability to zoonotic Flaviviruses” di P. Pandit et al. (2018) su Nature Communications.
In secondo luogo, pur senza negare un ruolo agli squilibri ambientali, ci si deve render conto che le pandemie non si evitano “bloccando nelle foreste i virus”; anche perché le popolazioni locali fanno “man bassa” di quanto le foreste offrono: quante scimmie ed “altro” affumicati sui banchetti del mercato di Kabinda (RD Congo), dove vado spesso, e quanti turisti arrivano in simili località. Piuttosto ascoltiamo gli esperti e non i presunti tali; essi dicono che vi è la necessità di controlli sanitari per l’identificazione precoce di nuovi patogeni potenzialmente zoonosici nelle popolazioni di animali selvatici, al fine di prevedere interventi tempestivi (Jones et al, 2008, Global trends in emerging infectious diseases, Nature); concetto confermato con parole analoghe da UNEP Frontiers 2016 Report Emerging Issues of Environmental Concern nel capitolo delle zoonosi.

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