Notiziario










Rodolia cardinalis: la coccinella emblema della lotta biologica classica

Numerose sono le notizie su empiriche realizzazioni di lotta biologica con l’impiego di entomofagi; la prima risale al IV secolo, epoca in cui, come riportato da Chi-Han, nel sud-est della Cina venivano vendute, in borse di giunco intrecciato, colonie della formica giallo-rossa Oecophylla smaragdina. I contenitori, venivano appesi ai rami dei mandarini per consentire alle formiche di predare gli insetti dannosi, ma anche quelli utili difficilmente sfuggivano alla predazione.

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Acqua e buon caffè

Il caffè e la pizza a Napoli sono diverse da ogni altro luogo, un'opinione o soltanto un mito? Per il caffè oggi sappiamo l’opinione ha una base scientifica, perché le ricerche avvalorano l'idea che la qualità del caffè dipende anche dall'acqua, mentre si attendono conferme per la pizza, il pane e altri alimenti, in una nuova e più l'ampia visione della loro tipicità e del loro legame con il territorio, nel quale l'acqua ha certamente il suo ruolo.

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Uscire dal centesimo

Se non ci saranno sorprese, sempre possibili, dal 1° gennaio 2018 l’Italia rinuncerà all’uso delle monete da 1 e 2 centesimi di euro. Gli eurocent, come un po’ pomposamente qualcuno li chiama, che girano nelle nostre tasche e trovano sempre più ridotte occasioni di impiego, però, non vengono aboliti, come giornali e telegiornali annunciano con grande evidenza. Semplicemente il nostro paese, dando comunicazione alla BCE per eventuali osservazioni, decide di sospenderne il conio per un periodo non definito, dettando le regole valide per una durata altrettanto non determinata. Sembra che la sfida all’euro inizi così, dai centesimi. 
Fra le reazioni negative all’euro, fin da subito, si era manifestato un diffuso fastidio per le monetine e, più in generale, per la maggiore monetazione metallica rispetto alle abitudini italiane. La storia è vecchia e risaputa: amiamo la carta moneta. Sino a poco prima del cambio avevamo una banconota, il biglietto di stato da 500 lire, con un controvalore in euro di circa 26 centesimi. Le storiche e amate mille lire, punto di forza della circolazione cartacea, valevano circa la metà di un euro metallico. Oggi la moneta maggiore, quella da 2 euro, corrisponde a quasi 4.000 lire, 4 banconote da 1.000. 
Vi fu chi disse e chiese, anche autorevolmente, che i pezzi da 1 e 2 centesimi fossero eliminati e venisse autorizzata per la sola Italia la banconota da 1 euro. Ovviamente ciò non era possibile. Al tempo le 5 e le 10 lire erano quasi scomparse, ma il centesimo di euro tanto sottovalutato valeva circa 20 lire la cui moneta circolava, mentre i 2 centesimi arrivano a quasi 40 lire. Ora, la manovrina estiva, accampando il risparmio di spesa e l’impegno virtuoso di destinare il risparmio alle casse esauste dello Stato, sospende i centesimi.

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La nuova agricoltura collegiale

Anche l’agricoltura sta attraversando una fase di importanti cambiamenti complessivi e collettivi, soprattutto nelle zone agricole ove era diffusa la mezzadria. Quando questi sistemi di conduzione vennero eliminati per legge e si ebbe una migrazione della manodopera dalle campagne alle industrie, raggruppate presso centri urbani, ci fu un generale abbandono delle tradizionali coltivazioni plurime (che erano mirate a ridurre i rischi di eventi negativi), una rinuncia alle consociazioni tra colture diverse su un unico appezzamento (per utilizzare meglio gli spazi), una rapida tendenza ad allargare quanto possibile gli appezzamenti (per meccanizzare tutte le operazioni colturali). Molti agricoltori si avvalsero di “contoterzisti”, cioè di terze aziende ben meccanizzate disposte ad eseguire varie operazioni, a pagamento, “senza compartecipazioni e assunzioni di alcun rischio”.
Attualmente si parla invece di una “Agricoltura di precisione”, che può avvalersi anche di sistemi operativi a distanza (controllata e guidata attraverso satelliti, computer, droni, robot, ecc.). I tradizionali lavori faticosi del contadino, stanno passando nelle mani di esperti che sanno usare strumenti operati da aziende e persone specializzate. Queste raggiungono il numero di 18.000 ed operano per conto di circa un milione di aziende agricole, sparse su tutto il territorio nazionale. Oggi, se si guarda con attenzione, soprattutto dall’alto di un elicottero, si ha una chiara percezione di ciò che sta avvenendo. Anche i piccoli appezzamenti privati e le piccole aziende vengono inglobate in ampie aree, da poter dedicare a uniformi monocolture collegiali (ad es.: di grano, fieno, barbabietole, ortaggi, frutteti, ecc.). 

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Il ruolo del giurista all’interno dell’osservatorio locale del paesaggio lucchese

Il coinvolgimento del giurista in un settore come quello del paesaggio tradizionalmente retaggio della cultura non giuridica trae linfa vitale e ragion d’essere dalla dimensione costituzionale che il paesaggio ha assunto: la sua tutela contemplata dall’art. 9 è collocata nell’empireo dei principi fondamentali della Costituzione e la Corte costituzionale a più riprese ha ribadito la rilevanza del paesaggio come valore da proteggere, bene primario e assoluto, la cui tutela, affidata all’esclusiva competenza dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla protezione degli altri interessi pubblici in materia di governo del territorio. 

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Gusto e cucina di montagna

Le indagini sulle capacità gustative dei cibi ad alta quota hanno portato a stabilire che l'altitudine diminuisce la sensibilità delle papille gustative e soprattutto che l'aria rarefatta modifica sensibilmente l'olfatto, che come retrogusto determina per l’ottanta per cento l’apprezzamento del cibo, come si può costatare quando, soffrendo di raffreddore, i cibi perdono di aroma, sapore e gusto. 

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Consumi in crescita? Sì, no, forse

Segnalo ai nostri lettori un fenomeno che ha dell’incredibile, vagamente surreale. Alla vigilia di ogni evento, fiera o manifestazione che riguarda l’ortofrutta arriva un comunicato che annuncia l’aumento/la ripresa/ il rilancio dei consumi. Analogamente appena arriva il caldo, si legge che ‘esplodono’ i consumi di meloni, angurie, frutta estiva. Davanti a queste notizie – riprese dai giornali e tv –uno pensa: gli operatori del settore si sfregheranno le mani. Se aumentano i consumi, deve aumentare la domanda, bisogna tenere i magazzini pieni, i prezzi possono entrare in tensione: prezzi buoni per tutti? Fermi tutti, forse siamo su ‘Scherzi a parte’. Arrivano i ‘signori’ della Gdo e ci spiegano che non è così. Claudio Mazzini, n. 1 dell’ortofrutta Coop, da qualche tempo rilascia interviste spiegando che dal suo punto di vista non è così, che i dati disponibili non sono attendibili e senza dati attendibili niente analisi e scelte corrette. Parlando con Italiafruit Mazzini conclude: “Se oggi fossi un produttore e leggessi alcuni proclami direi: ‘Bene, avanti così! I consumi crescono, cresce il valore, quindi stiamo lavorando bene’. Peccato, però, che i consumi di ortofrutta a volume calano da 15 anni”.

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“I Territori della Toscana e i loro prodotti”: progetto di Georgofili e ANCI Toscana. Si comincia con la Lunigiana.

Mercoledì 14 giugno, dalle ore 9.30 alle 13, si svolgerà all’Accademia dei Georgofili un incontro dedicato alla presentazione della Lunigiana e dei suoi prodotti tipici. Si tratta del primo di una serie di eventi dedicati a “I territori della Toscana e i loro Prodotti”, organizzati dai Georgofili con ANCI Toscana con il patrocinio di Unicoop Firenze, con lo scopo di valorizzare le aziende di trasformazione e i produttori locali, creando – ove possibile - un rapporto con la grande distribuzione.
I prodotti locali offrono infatti notevoli opportunità di tradizione e freschezza, utilizzabili come valore aggiunto sia da parte della GDO sia da parte di giovani che vogliano intraprendere la carriera di imprenditori agricoli, seguendo l’obiettivo della tipicità e della qualità.
In questo primo incontro sarà la Lunigiana a fare da protagonista, una terra tra Massa Carrara e La Spezia sinonimo di natura incontaminata e aria buona, tradizione contadina, duro lavoro dei campi e nei boschi. La cucina della Lunigiana è il risultato della fusione di diverse tradizioni provenienti da regioni confinanti (Liguria, Emilia Romagna, Toscana) con forti tradizioni gastronomiche. Gli ingredienti usati sono molto semplici, sapientemente dosati tra loro, creano una cucina dai sapori forti e delicati al tempo stesso. Materie prime povere, come le erbe spontanee che crescono nella zona, alla base della prelibata “torta d’erbi”. La farina prodotta con cereali locali, l’acqua e il sale che uniti insieme danno i “testaroli” (FOTO), piccole losanghe di sfoglia, fatte rinvenire in acqua bollente e poi condite con pesto, olio o sugo di funghi, forse il piatto più famoso della Lunigiana assieme ai “panigacci”, focaccette sottili da mangiare con formaggi freschi e salumi del luogo. Le castagne, i cui alberi coprono le colline lunigianesi, sono le protagoniste di molti piatti. La terra completa la sua opera con il fagiolo di Bigliolo, la cipolla di Treschietto, le varietà delle mele quali “rotella” e“binotto”, l’olio e il miele. Dall’allevamento si ottengono non solo salumi come la spalla cotta, il culatello, il filetto, la mortadella, ma anche l’agnello di Zeri.
Seguiranno nei prossimi mesi, presso l’Accademia dei Georgofili, altri incontri sui diversi territori toscani: quello successivo riguarderà la Garfagnana e la Media Valle del Serchio.
Il Presidente Giampiero Maracchi sottolinea l’impegno dell’Accademia relativamente alla valorizzazione dei territori, delle varietà locali e delle produzioni agroalimentari che, abbinate al sempre crescente interesse per l’ecoturismo, rappresentano una risorsa importante per l’economia della Regione.




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Mungitura robotizzata e costo di produzione del latte

Ancora scarsa in Italia è la diffusione della mungitura robotizzata, mentre sarebbe molto utile soprattutto nelle stalle di piccole e medie dimensioni, che più di altre godono dei vantaggi di questo metodo di mungitura che intervenendo sulla gestione della stalla nel suo insieme concorre a diminuire il costo di produzione del latte.

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L’attività agro-silvo-pastorale alla luce del nuovo regime dell’autorizzazione paesaggistica

In attuazione dell’art. 12 della legge 29 luglio 2014, n. 106 “Misure urgenti per la tutela del patrimonio culturale della Nazione e per lo sviluppo della cultura”, con D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, è stato emanato il regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata. Il provvedimento che si ispira ad esigenze di semplificazione dei procedimenti in materia di beni culturali e paesaggistici, individua due diverse categorie di interventi localizzati in aree paesaggisticamente vincolate: la prima comprende gli interventi e le opere che sono esonerati dall’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica, sia ordinaria che semplificata, e sono elencati nell’Allegato A); la seconda comprende a sua volta interventi e opere di lieve entità soggette al procedimento autorizzatorio semplificato, descritto agli artt. da 7 a 13 dello stesso decreto, elencati nell’Allegato B).  Il provvedimento coinvolge nella sua opera di semplificazione alcuni interventi inerenti l’attività agro-silvo-pastorale o ad essa funzionali.

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Il fico d’India a Lampedusa falcidiato dal “cancro gommoso”

Il Fico d'India, contrariamente a quanto il nome possa far credere, è originario del Messico ed è giunto in Europa dopo i viaggi di Cristoforo Colombo nel continente americano.  La prima notizia certa della presenza del fico d’india in Italia è del 1560 ca.    Il fico d’india è una pianta che si presta oggi a molteplici usi, è estremamente  rustica, si adatta a terreni poverissimi e   ha trovato nella Regione Mediterranea (ma la coltivazione del fico d’india è diffusa in tutti i continenti) il clima ideale per crescere e riprodursi. Il monopolio del mercato italiano (ca. il 90% della produzione nazionale), e in pratica di quello comunitario, è detenuto dalla Sicilia. La superficie complessiva interessata alla coltivazione specializzata del fico d’india nella nostra isola maggiore è di circa 3.500 ha, la maggior parte concentrati nei comuni di San Cono (CT), Belpasso (CT), Santa Margherita Belice (AG), e Roccapalumba (PA).  Si coltivano 3 varietà (“gialla”, “rossa” e“bianca”) e la produzione può raggiungere, in coltura irrigua, le 25 tonnellate per ha. Oltre che in Sicilia, il fico d’india è diffuso anche in altre aree del Mezzogiorno d’Italia e, naturalmente, in tutte le isole siciliane, incluso le più a Sud, Linosa e Lampedusa.
La presenza a Lampedusa del fico d’india è documentata quanto meno dal 1847. Bernardo Sanvisente, incaricato da Ferdinando II di organizzare e gestire la colonizzazione dell’isola con un primo nucleo di 250 coloni, così riferisce in un rapporto scritto per il Re nel dicembre del 1847: “Nei terreni novellamente dissodati fu mia cura di farli circondare da robuste, e forti sepaje siano di muri a secco che di palafitte, e da una quantità di fichi d’india, onde impedire i danni che ai campi aperti, sogliono accadere.  (Per la verità a suggerire questa operazione al Sanvisente, che era capitano di fregata e non agricoltore, fu la lettura della Scienza della Legislazione di D. Gaetano Filangieri. L’insigne giurista e filosofo italiano così scriveva: “Vi sono in molte nazioni dell’Europa alcune leggi che paiono espressamente emanate per distruggere l’agricoltura: alla testa di queste io trovo quella che proibisce ai proprietari delle terre di murare i loro poderi, e chiuderli con ogni specie di siepi, o argini…” e via di seguito a spiegare i motivi per cui i campi coltivati andavano recintati). Ed effettivamente ancora oggi i poderi di Lampedusa sono spesso delimitati da muri a secco o da filari di fichi d’india, almeno quelli che ancora sopravvivono (vedi dopo). In altra parte del rapporto Sanvisente parla di una “prodigiosa quantità di fichi d’india” fatti acquistare, insieme ad “alberi di diverse frutta e varie altre utili piantagioni",  nell’isola di Pantelleria per essere messi a dimora a Lampedusa.

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Antibiotici negli allevamenti e opinione pubblica

I primi esseri viventi comparsi sulla terra, più di tre miliardi e mezzo di anni fa, sono organismi microscopici genericamente denominati microbi, rimasti soli sul pianeta per tre miliardi di anni, durante i quali hanno fatto almeno sette "invenzioni" che hanno cambiato la faccia del pianeta e che dimostrano la grande “intelligenza biologica” di questi piccolissimi organismi.

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La Psilla del Siliquastro

Nel Medioevo, attorno alla figura di Giuda Iscariota, ritenuto l’amministratore, poco onesto, dei beni dei discepoli di Gesù, venne imbastita una poco edificante vicenda conclusasi, secondo la tradizione, con il suo suicidio per impiccagione al ramo di un Fico, o, secondo alcuni, della leguminosa arborea Cercis siliquastrum, indicata come “Albero di Giuda” per i numerosi baccelli, appiattiti e pendenti, che rimangono sulla pianta fino alla primavera seguente. 

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Arboricoltura in Italia

La perdita di aree verdi naturali e la progressiva urbanizzazione è certamente cosa di grande preoccupazione nella maggior parte del paese, ma è più grave in certe aree rispetto ad altre. Il carattere delle periferie esistenti e future è stato modificato o minacciato dalla rapida diminuzione delle aree agricole e dai più sottili cambiamenti provocati dalla perdita della copertura arborea attraverso gli interventi di urbanizzazione. Questa erosione di aree soprattutto periurbane mette a rischio i benefici ecosistemici che gli alberi forniscono e minaccia la sostenibilità sia economica sia ambientale delle città.
Inoltre, la nostra storia recente di temperature estive da record e di periodi prolungati di siccità, non solo estiva, in molte parti del nostro Paese, con una vera e propria alterazione nella distribuzione, intensità e frequenza delle precipitazioni e con una preoccupante intensificazione degli eventi estremi in tutte le regioni del Paese, pone all’attenzione del pubblico il tema del cambiamento climatico anche perché i suoi impatti sulla arboricoltura si fanno già sentire.
In conseguenza degli eventi estremi (ma non solo a causa di questi) gli alberi sono stati spezzati, sradicati o hanno subito rotture di grosse branche che hanno provocato significativi danni alla proprietà e, purtroppo, nei casi peggiori, dei morti. Agli arboricoltori e a coloro che si occupano di ricerca in questo settore viene chiesto di determinare perché si sono verificati questi eventi e se l'ispezione degli alberi avrebbe potuto prevenirli. Questo accende i riflettori sulla formazione di coloro che operano ai diversi livelli e sui protocolli che vengono utilizzati durante le ispezioni degli alberi, poiché la richiesta di un livello più elevato di professionalità e di un imparziale e indipendente giudizio sono più grandi che mai. Le immagini di alberi caduti su case e veicoli o, peggio ancora, che hanno causato lesioni a persone, sono drammatiche e possono portare a una reazione istintiva e alla rimozione di un gran numero di alberi. E spesso a nulla vale spiegare che l'influenza moderatrice degli alberi sulla velocità del vento durante i temporali potrebbe aver impedito danni o lesioni anche maggiori. Oltretutto, una spiegazione oggettiva di quello che è successo e di ciò che dovrebbe essere fatto per evitare il ripetersi di certi accadimenti raramente ottiene esposizione mediatica. 

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Il concetto di Marchio nella storia del vino

Da millenni il vino condivide la storia degli uomini.
Lo vediamo entrare da grande protagonista nella letteratura, nell’arte, nel pensiero mitico, nel pensiero simbolico e religioso, ma intrecciandosi con questi aspetti, reso fortissimo da questi aspetti, il vino è stato anche, da sempre, una fonte importante dell’economia. 
Il mercato l’ha visto protagonista da millenni. Da millenni il vino è costantemente un prodotto di particolare importanza commerciale. Percorre le vie di terra e le rotte marittime dei commerci delle antiche civiltà di Sumeri, Ittiti, Egizi, Fenici, Minoici, Micenei, dei Greci dell’epoca classica, dei Romani… Poi è ancora protagonista dei commerci del Medio Evo, è presente sulle nuove rotte transoceaniche dell’epoca delle grandi scoperte, che lo portano nel Nuovo Mondo. Seguendo poi l’evoluzione delle conoscenze, delle tecniche e delle nuove possibilità di trasporto, il vino si sposta sempre più agevolmente ed è un formidabile prodotto che genera economia. Anche oggi gli scambi internazionali continuano a crescere.
Quando si parla di mercati ampi, si manifesta una forte esigenza di identificazione. Per questo il concetto di Marchio nella storia del vino si dipana lungo i secoli.
Dalle civiltà più antiche fino a oggi, il vino ha avuto necessità di una identificazione per esigenze di registrazione e controllo della produzione, ma anche per l’imprescindibile esigenza di comunicare il tipo, la qualità, l’origine geografica.
Così il “Marchio” nella storia del vino conosce una continua evoluzione, ma è costantemente presente come segno di identificazione, rappresentazione, differenziazione di un prodotto rispetto a tanti altri.
Il Marchio è infatti un segno di riconoscimento di un particolare prodotto, è un “messaggio” che rivela l’identità del prodotto stesso ed è una garanzia e anche un impegno. 

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Suolo e Società: il ruolo della pedologia nella pianificazione territoriale

Questo argomento è stato trattato nel corso di una mia lezione tenuta il 23 marzo 2017, presso la Facoltà di Agraria di Pisa, in ricordo del Prof. Fiorenzo Mancini, considerato da tutti il padre della pedologia in Italia. Numerosi sono stati i suoi allievi che hanno operato nella ricerca pedologica, nell’applicazione della materia in diverse regioni italiane, nonché fuori dai confini nazionali, negli altri continenti e, in particolare, nei paesi in via di sviluppo.

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L’Osservatorio Locale del Paesaggio Lucchese

La recente costituzione dell’Osservatorio Locale del Paesaggio Lucchese, che detiene il primato di rappresentare il primo Osservatorio Locale del Paesaggio presente nella Regione Toscana, segna una tappa importante nel tormentato percorso verso la tutela e la valorizzazione del paesaggio toscano che rivela un affascinante intreccio di natura, economia e cultura.

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Coturnismo, avvelenamento naturale

Morire avvelenati da carni di allodole, tordi, quaglie o coturnici (da qui il termine coturnismo) cacciati in primavera è un evento tanto antico quanto strano, ignoto a molti e che nel passato è stato anche interpretato come una punizione divina. La prima, drammatica descrizione del coturnismo si legge difatti nella Bibbia, dove nel Libro dei Numeri (11 – versetti da 31 a 34) si narra che nella località di Kibrot-Attaava gli ebrei, durante il loro esodo dall’Egitto verso la Terra Promessa, s’imbattono in uno stormo di quaglie in migrazione, ne catturano un gran numero e le mangiano. Immediatamente sono colpiti da un avvelenamento collettivo e i molti morti sono sepolti sul posto, da allora denominato Kibrot Attahava e cioè “sepolcri dell’ingordigia”, perché Dio avrebbe punito con la morte gli ebrei colpevoli d’ingordigia.
Diversa è la sensibilità ai veleni tra uomini e animali e da qualche tempo è noto che alcuni alimenti ritenuti buoni se non salutari, in talune condizioni possono provocare gravi danni, come i mieli tossici e le lumache ma soprattutto allodole, tordi, quaglie e coturnici velenose. Le carni di questi animali, infatti, divengono tossiche quando questi piccoli uccelli si ali-mentano con piante di cicuta contenenti alcaloidi per loro innocui, ma molto pericolosi per l’uomo.
La cicuta è una pianta velenosa divenuta famosa per Socrate, condannato alla pena di morte per avvelenamento con questo vegetale. Tre sono le specie di cicuta velenose presenti nei paesi del Mediterraneo. La cicuta maggiore (Conium maculatum) è la più comune, passata alla storia per esse-re stata usata nella bevanda mortale di Socrate, e la sua velenosità deriva dalla coniina e dalla gamma-coniceina. Nella cicuta minore (Aethusa cynapium) la tossicità dipende dalla cinapina. Rara è la cicuta acquatica (Cicuta virosa) con la tossina cicutossina.

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Gli alberi nel portafoglio

Poco sa l’opinione pubblica del valore dei cosiddetti servizi ecosistemici, cioè quei servizi forniti dagli alberi che giustificano l’investimento di risorse come il lavoro, l'energia e l'acqua e che rappresentano i contributi diretti e indiretti al benessere umano, sostenendo la nostra sopravvivenza e la qualità della vita. Senza questi servizi l’uomo non esisterebbe e la civiltà umana non funzionerebbe, ma è difficile dar loro un prezzo e quindi gli ecoservizi restano in gran parte invisibili e sottovalutati dai mercati e dalla politica, anche se ricerche recenti hanno dimostrato che contribuiscono al benessere umano per circa due volte il Pil mondiale (71,8 trilioni di dollari), otto volte tanto l’economia statunitense. Pur esistendo un consenso generale, almeno fra gli addetti ai lavori, sul fatto che il verde urbano è essenziale affinché le città possano essere realmente sostenibili, quanto ne sappiamo veramente di questi benefici? Quanto è forte l'evidenza scientifica che supporta i diversi vantaggi del verde urbano? Molte delle ipotesi utilizzate riguardo al processo decisionale che coinvolge il verde urbano non sono indicate in modo chiaro, e questo collide con la sempre più pressante domanda di decisioni basate sull'evidenza. E quello che manca maggiormente, a tutti i livelli, scientifico, divulgativo, giornalistico e nell’opinione pubblica, è un’efficace comunicazione quando si parla di alberi in città. Come dovremmo comunicare il valore economico degli alberi? Diverse ricerche hanno dimostrato, per esempio, che la presenza di un verde urbano di qualità nel quartiere degli affari e nelle aree commerciali può promuovere una percezione positiva da parte dei clienti o con i partner commerciali. 
Nel clima economico attuale, con le aziende e gli esercizi commerciali che sono alla ricerca di nuovi metodi per mantenere la loro base di clienti, solo pochi commercianti comprendono che la semplice aggiunta di piante di fronte al negozio può fare la differenza nel modo in cui esso viene percepito. L'ambiente “positivo” creato da un luogo esteticamente gradevole non solo accoglie i clienti all'interno, ma migliora anche la percezione del livello di qualità dei prodotti e dei servizi offerti. La presenza di piante è, quindi, un modo efficace per rivitalizzare un business, portare nuova clientela, contribuire a ridurre il cosiddetto “stress da acquisto” e far sentire a proprio agio i frequentatori.

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