Notiziario















Umami, antichissimo nuovo gusto

Crudo, cotto e fermentato costituiscono un triangolo alimentare e una scala di valori nella quale le fermentazioni danno valore ai cibi creando nuovi alimenti. Molti sono gli alimenti fermentati che troviamo in tutte le culture umane e tra questi, nell'antico impero romano, le salse di pesce fermentate chiamate garum e liquamen. Altri antichi, ma sempre attuali alimenti fermentati di grande successo sono i salumi e i formaggi, le salse fermentate asiatiche e in Italia l’aceto balsamico. Una analisi approfondita del successo di questi alimenti dimostra che il segreto risiede nel loro particolare gusto ora identificato come umami o saporito, un quinto sapore che si aggiunge agli altri quattro sapori tradizionali del dolce, amaro, acido e salato. La scoperta dell’umami, il quinto sapore collegato al glutammato, contribuisce a spiegare il successo degli alimenti fermentati che non sta quindi soltanto nella possibilità di conservarli.

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Il problema di informare il consumatore e comunicare la scienza

La carne rappresenta solo un esempio lampante di come un’errata comunicazione abbia convinto i consumatori che la carne in generale e in particolare quella rossa possa rappresentare un pericolo per la salute e per l’ambiente.
Di fronte ad una situazione di questo genere, occorre precisare che le problematiche sono differenti e interessano due diversi ambiti: da un lato, la comunicazione in sé e dall’altro, il consumatore.
Infatti, il problema è duplice: esiste un problema di errata comunicazione che diffonde nella popolazione falsi miti e inutili allarmismi con importanti ripercussioni su alcuni settori, e un problema di individui non abbastanza informati e consapevoli e, quindi, non in grado di discernere le informazioni che gli vengono veicolate. 

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La “Cucina povera” dei poveri ovvero di una “Cioccolata economica”

Oggi la “cucina povera” è di moda e si sposa con il concetto della tutela dell’ambiente attraverso la cultura del riciclo, l’arte cioè di riutilizzare gli scarti o gli avanzi della tavola evitando lo spreco e contenendo i rifiuti.
E’ un concetto di recente introduzione nella nostra società che spesso sorprende per i risultati cui è capace di giungere grazie all’abilità e mestiere di raffinati chefs ed esperte donne di casa, ma che il passato non conosceva, sebbene i poveri superassero e di molto il 50% dell’intera popolazione.
I Georgofili molto si adoperarono per diffondere proprio fra i meno abbienti le conoscenze di base necessarie al loro sostentamento che essenzialmente era costituito dal pane.
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Certo è che la cioccolata era diffusa ed oltre che ritenuta “nutritiva … stomachica, cordiale, analettica” (cfr. Antonio Targioni Tozzetti, Corso di botanica medico-farmaceutica e di materia medica, 1847), solleticava il gusto e soddisfaceva il palato aromatizzata al gelsomino (ricetta nota e diffusa nella Firenze del Seicento) o proposta in fini elaborati di pasticceria quali la crema, i biscotti  e il marzapane al cioccolato, nonché arricchita con speciali gelatine come quella al lichene o quella al ‘salep di Persia’.  
Restava tuttavia un prodotto assai costoso e dunque destinato esclusivamente alle mense dei ricchi; forse fu anche per questa ragione che Manetti pensò di trascrivere in una copia di lavoro del suo trattato, una nota a margine contenente la ricetta, alla portata di tutti, di una “Cioccolata economica”.

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Quando cade un albero

La recente caduta di alberi in alcune città italiane e le problematiche connesse ai conflitti che spesso sorgono fra alberi e infrastrutture viarie, mi offre lo spunto per riprendere qualche concetto più volte da me espresso.
Mi pare che l’eco mediatica che si solleva quando cade un albero sia, fatta salva l’empatia verso le vittime, quanto meno esagerata e ciò determina una percezione distorta del problema, che esiste, ma non è un’emergenza, mentre lo è quella di mettere a punto piani pluriennali di gestione e rinnovamento per affrontare in modo proattivo e preventivo il problema.
Facciamo dunque un esempio riguardo alla percezione del rischio e alle similitudini con la situazione sociale. Nel nostro paese gli omicidi sono passati da 1442 nel 1992 a 343 nel 2017 (dati Viminale), di cui 46 attribuibili alla criminalità organizzata e 128 in ambito familiare-affettivo (‘11,8% in meno dell’anno precedente) con una diminuzione, quindi, del 76,2% in 25 anni. Alla forte diminuzione degli omicidi è corrisposto un aumento di quelli compiuti in ambito familiare (molti femminicidi), commessi per la maggior parte da italiani. Eppure, percepiamo e/o ci viene fatta percepire una condizione del tutto diversa.
Per il tasso di omicidi, seppur con differenze regionali e provinciali molto marcate, noi siamo al più basso livello sia europeo (trentesimo posto) sia mondiale (intorno al 170esimo posto).
Secondo il sociologo Ilvo Diamanti, l’Italia si caratterizza per il rapporto tra i mezzi di informazione (specialmente la televisione) e i fatti di criminalità comune. Diamanti sottolinea come i media italiani puntino alla “serializzazione” e alla “drammatizzazione” dei casi criminali, mentre in altri paesi l’informazione è “puntuale” e “contestuale”. Ciò avviene soprattutto quando si tratta di casi che coinvolgono persone comuni, o che si sviluppano nell’ambito amicale e familiare, specificando l’intento voyeuristico da comunità ristretta.
Dunque, è possibile che vi sia uno scollamento tra i dati reali e le percezioni degli italiani? Sicuramente sì. Si tratta della cosiddetta “EMOTIONAL INNUMERACY” ossia la tendenza a esagerare i dati di un fenomeno legato a una minaccia.
Questa errata percezione la si ha, come accennato, anche per i danni a cose e/o a persone causati da alberi. Gli alberi sono sempre caduti. Siamo noi che abbiamo posto dei target nell’area da loro occupata o li mettiamo nelle condizioni di non essere più stabili e siamo noi che diamo un’eco spropositata alla loro caduta, anche quando non fa danni.
È noto che la presenza degli alberi comporta un rischio e ciò implica che vengano messe in atto tutte le azioni per ridurlo e prevenirlo. Questo senza che l’attenzione ai rischi diventi paranoia. Le domande che dobbiamo porci sono quindi: quanti alberi, di quale specie, in quale specifica situazione, a seguito di quale evento, cadono in media ogni anno? È sulla base delle risposte a queste domande che poi dovrà essere elaborato un piano di gestione degli alberi che sia basato non solo sulle tecniche più avanzate e sulla gestione di persone qualificate, ma anche sul “buon senso” e su un approccio pratico.

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“Addio, mia bella addio”: dal campo di Curtatone e Montanara ai Georgofili

Poco meno di un mese fa, il 29 maggio, è stata celebrata all’Università di Pisa la ricorrenza del 160° anniversario della battaglia di Curtatone e Montanara. Siamo nella Prima guerra di indipendenza (1848) e la battaglia, combattuta sui campi lombardi in prossimità della fortezza austriaca di Mantova, vide la resistenza della divisione toscana (4.500 uomini circa con pochi cannoni) contro una preponderante forza austriaca di circa 25.000 uomini e oltre 80 cannoni.

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Le colorazioni vessillifere del lepidottero dell’Erba di San Pietro

L’Erba di San Pietro, Senecio squalidus aetnensis, è una delle più significative piante endemiche dell’Etna; diffusa da quota 1.750 a quota 3.050 m, limite estremo dei vegetali sul vulcano, caratterizza la vegetazione pioniera del piano alto mediterraneo, al limite del deserto vulcanico sommitale.

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Animali indesiderati: sfida etica ed economica

Televisione, giornali e media hanno dato notizia, con immagini anche truculente e shoccanti, della uccisione e distruzione di centinaia di migliaia di pulcini e di vitelli neonati, maschi indesiderati, mettendo in luce criticità che oltre l’etica e l’economia riguardano anche l’ambiente e la sostenibilità.
Nell’allevamento familiare di polli di razze a duplice attitudine (uova e carne) tutti i pulcini che nascevano erano allevati: le femmine per avere nuove galline e i maschi destinati alla tavola come galletti e capponi o galli per la riproduzione. Nessun animale era eliminato nei greggi di pecore e capre dove agnelli e capretti erano cibo pregiato. Negli allevamenti di bovini di razze a duplice o triplice attitudine (lavoro, latte, carne) i vitelli maschi non destinati al lavoro o alla riproduzione erano ingrassati per la carne.
Diversa è la presente situazione negli allevamenti di galline ovaiole nei quali i pulcini appena nati sono distinti per sesso e i maschi, che non hanno le caratteristiche genetiche di conformazione, precocità di sviluppo corporeo ecc. richieste dal mercato per produrre carne, sono considerati animali indesiderati ed eliminati. Lo stesso avviene negli allevamenti di bovine da latte per i vitelli maschi. Ogni anno in Italia sono eliminati quaranta milioni di pulcini maschi, in Europa i pulcini sono circa trecentotrenta milioni, i vitelli circa ventiquattro milioni, mentre mancano dati per altre specie (bufalini, agnelli, capretti ecc.).

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Storia e storie di gelato

Storia e storie perché come per qualsiasi altro prodotto culturale nonostante tentativi più o meno validi di ricostruire un percorso nel tempo coeso e unitario a partire dalla notte dei tempi, l’intreccio di percorsi integrativi o anche paralleli, di storie, favole e leggende relativi ad usi alimentari di cibi gelati in diversi spazi e luoghi nel mondo (dalla Cina alla Turchia, alla Sardegna, alla Spagna) è fittissimo, incentrandosi anche su biografie di singoli artifex del gelato o inventori di tecniche di produzione, di degustazione e poi di commercializzazione sempre più perfezionate.
Il gelato moderno come noi lo intendiamo comunemente, a base pastosa, mantecata (dallo spagnolo preromano manteca, burro) da ingredienti e gusti oggi numericamente sempre più elevati, talvolta bizzarri, fu originariamente preceduto da due sottogeneri ancora oggi in voga: la granita e il sorbetto; come confermano del resto le concrete tracce relative alla storia della “forma” lessicale in italiano. Entrata solo nella quinta edizione del Vocabolario della Crusca: gelato come participio passato ed aggettivo «Pezzo gelato: dicesi un sorbetto molto più duro dell’ordinario e al quale si dà una figura qualsiasi mediante forma»; gelato come sostantivo, questa la definizione che ci interessa: «Latte, crema, sugo di qualche frutto e simili, congelato ad arte, e che si prende per uso di rinfresco; Sorbetto». Nel Dizionario della lingua italiana ovvero Compendio del Vocabolario della Crusca di Francesco Cardinali (1843) la voce è registrata in questo modo: «termine degli acquacedratari. Liquore, frutto o simile congelato che si prende ad uso di rinfresco»; nel Nuovo vocabolario italiano domestico di Giacinto Carena (1869) si legge: «‘Gelato’, che anche chiamano ‘pezzo duro’, è specie di sorbetto interamente indurito dal gelo, e a cui, con ‘forme’ appropriate si dà una determinata figura, come di pesca, d’arancia, di pera, di fico o altro».
Chi investigò con piglio scientifico sulla storia del sorbetto o gelato fu nel 1755 Filippo Baldini nel suo trattato edito a Napoli De’ sorbetti e de’ bagni freddi: un saggio sin dal titolo di taglio «medico-fisico» essendo Baldini «Professor di Medicina e Lettor Straordinario de’ Morbi Nervini nella Regia Università di Napoli, Accademico dell’Istituto di Scienze di Bologna, Socio corrispondente delle due reali Accademie di Firenze de’ Georgofili e de Fisico-Bottanici e della reale Accademia delle Scienze di Siena». Un trattato mosso dalla finalità di dimostrare scientificamente i «molti vantaggi» alla «nostra salute» apportati dal bere «acque ghiacciate» che «imparato abbiamo […] a condirle in mille guise con diversi odori, e sapori dando loro il nome di sorbetti».

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Un grillo occasionalmente presente su olivo in Calabria

Riordinando parte del materiale fotografico, collezionato nel corso degli anni passati nella Facoltà di Agraria di Reggio Calabria, mi sono imbattuto nelle diapositive degli insetti riscontrati, nel giugno del 1995, in un giovane oliveto di San Cosmo Albanese, piccolo centro della provincia di Cosenza, nel versante settentrionale della Sila Greca, i cui abitanti, di origine albanese, hanno mantenuto la cultura, la lingua, i costumi e il rito bizantino dei progenitori e hanno creato un suggestivo scenario di oliveti. Nel corso del sopralluogo ho constatato che l’abbondante melata, presente sulla chioma degli olivi, era escreta da numerosi adulti del Rincote Isside Hysteropterum grylloides, noto per gli occasionali danni all’Olivo, e le cui forme giovani vivono su piante erbacee. Sulla nuova vegetazione degli Olivi erano anche presenti alcuni esemplari di un Ortottero Ensifero Tettigonide, lungo circa 2 cm, con il capo col vertice giallo-bruno, guance e fronte verde-chiaro, con le ali anteriori brevi, in gran parte scoperte, ascrivibile al genere Metaplastes. Sulla base delle altre caratteristiche morfologiche, descritte dal prof Marcello La Greca, ho ritenuto potesse trattarsi di Metaplastes ippolitoi.

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Filetto duro: di chi è la colpa?

Già nella Bibbia sono magnificate le carni grasse e succulente, quindi tenere, mentre oggi si vogliono carni magre e poi ci si lamenta che sono dure. La diminuzione dei consumi delle carni bovine ha molte cause e tra queste anche l’opinione di un calo della loro qualità gastronomica, soprattutto la mancanza di tenerezza, oltre che la succosità, il sapore e l’odore, il calo di conservazione e di cottura. Perché oggi ci si lagna delle carni bovine che si ritengono dure? È vero? Di chi é la colpa?

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Impatto economico del cambiamento climatico in vitivinicoltura

I numerosi studi condotti negli ultimi anni dimostrano che il cambiamento climatico avrà un impatto economico importante sulla vitivinicoltura e renderà necessari mutamenti nelle strategie aziendali e nelle politiche di settore.
Gli studi disponibili dimostrano che il cambiamento climatico avrà effetti di breve e di medio/lungo termine, che saranno negativi o positivi nelle diverse aree viticole. Nel breve termine sono attese modifiche delle rese, della qualità dei vini, dei prezzi e quindi dei redditi e dei profitti. Nel medio-lungo termine invece si prospettano variazioni nella disponibilità di risorse per la produzione (negative nelle aree mediterranee), cambiamenti importanti della geografia vitivinicola con conseguenti impatti sociali, cambiamenti nei valori fondiari, modifiche nei rapporti competitivi.
Le analisi puntuali sugli effetti economici del cambiamento climatico in Italia sono piuttosto limitate, ma quanto già pubblicato e le evidenze empiriche restituiscono un quadro problematico. Studi in Franciacorta rivelano che l’imprevedibilità dell’evoluzione fenologica rende più difficile la programmazione delle attività produttive rendendo più difficile l’ottimizzazione dei costi. In Toscana si lamenta una riduzione della produzione di uva ad alto potenziale enologico. In Emilia Romagna un’estesa indagine presso viticoltori rivela una marcata percezione del problema e la necessità di adattare le tecniche di produzione alle nuove condizioni climatiche con un tendenziale aggravio di costi. Relativamente alle regioni meridionali, la notevole riduzione delle superfici, ben maggiore di quella media nazionale, trova le sue cause, probabilmente, anche nel cambiamento climatico.
In questo quadro complesso, le misure già in essere nella politica agricola comunitaria nell’ambito dell’intervento settoriale per il settore vitivinicolo e nei programmi di sviluppo rurale possono assistere le imprese e le loro organizzazioni negli interventi di adattamento al cambiamento climatico. In particolare per quanto l’OCM, la misura per la ristrutturazione dei vigneti e quella sugli investimenti possono favorire le trasformazioni in vigneto e in cantina che l’adattamento al cambiamento climatico rendono necessarie.

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Incontro ai Georgofili su giardini, paesaggi e la scuola di Marco Pozzoli

Martedì 26 giugno 2018 alle ore 9, nella sede dell’Accademia dei Georgofili si svolgerà un incontro dedicato al tema del giardino e del paesaggio, l'identità e il rapporto nelle opere di Marco Pozzoli, agronomo e architetto paesaggista fiorentino.

La Toscana è dai tempi più remoti meta di viaggiatori assetati di conoscenza e di bellezza, affascinati dalle ville e dai giardini, dal paesaggio che li circondava e di cui facevano parte integrante, in un rapporto di grande equilibrio. A partire dalla metà del XX secolo questa reciproca corrispondenza è andata sempre più affievolendosi, rendendo necessario individuare nuove forme di comunione e comunicazione tra paesaggio e giardino.

L'intento del seminario è di analizzare il lavoro di Pozzoli, gli elementi che si compongono nella sua ideazione e costruzione paesaggistica, in un susseguirsi di progetti realizzati dal 1970 in Italia ed Europa, tendenti ad un'immagine complessiva nella ricerca di un paesaggio ideale. Marco Pozzoli è stato allievo di Pietro Porcinai, il primo, e forse unico, “paesaggista” che nella metà del secolo scorso ha tentato l’opera di rinnovamento, inaugurando un nuovo modo di progettare giardini, in comunione con il paesaggio, le piante ed i materiali caratteristici della Toscana.

PROGRAMMA

Introduzione al tema: SILVIA MARTELLI

Relazioni:
ELISABETTA NORCI - Cosa differenzia un giardino da un paesaggio?
LORENZO GNOCCHI - I giardini e il Genius loci
FRANCESCO FERRINI - Gli alberi nella progettazione paesaggistica
INES ROMITTI - La progettazione del paesaggio
MARCO POZZOLI - L’idea di giardino

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Progetto “HEAT-SHIELD”: sistema di allerta caldo per i lavoratori del settore agricolo e altri ambiti occupazionali

Il Progetto “HEAT-SHIELD”. prevede la realizzazione di una piattaforma previsionale specifica per il rischio caldo per l’intera Europa, ed indirizzata a cinque settori produttivi: agricolo, costruzioni, trasporti, turismo e manifatturiero. Il sistema previsionale fornirà all’utente una previsione personalizzata del rischio da caldo con suggerimenti dettagliati fino a 5 giorni.

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Le coccinelle dell’Etna

Numerose specie di insetti compiono spettacolari migrazioni raggiungendo, in volo, località molto distanti; non meno interessanti sono le migrazioni, su distanze minori, effettuate da alcune specie presenti anche nostri ambienti

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Rischio piombo nella cucina di selvaggina

Il piombo è stato accusato di avere intossicato la classe dirigente romana favorendo la caduta dell’Impero Romano, quando vi era l’abitudine dolcificare il vino con sali di piombo, una pratica che provocava comportamenti anomali e schizofrenici come quelli di alcuni imperatori. Inoltre gli antichi Romani conservavano il vino in recipienti di piombo dove l'acidità del vino provocava la formazione di sali solubili molto tossici e per la sua tossicità il piombo è stato bandito anche dagli utensili di cucina.
Il piombo è un importante inquinante ambientale e, secondo stime non recentissime, nelle zone umide dei Paesi dell’Unione Europea ogni anno con la caccia erano immesse da 2400 a 3000 tonnellate di piombo, di cui 148 tonnellate in Italia, dove ogni anno a seguito dell’attività venatoria era-no disperse nell’ambiente 25.000 tonnellate di pallini di piombo, pari a circa 700 milioni di cartucce. Per questo nelle munizioni usate nella caccia di piccoli e grandi animali il piombo deve essere sostituito con altri metalli o leghe di altri metalli. Tra gli animali selvatici molto sensibili al piombo sono gli uccelli nei quali l’avvelenamento avviene quando questi animali ingeriscono i pallini di piombo che nel ventriglio subiscono un processo di erosione e quando a causa dell’acidità̀ gastrica (pH 2,5) dal piombo metallico si formano sali molto tossici e che sono assorbiti dall’intestino.
Il piombo è stato bandito dalla cucina, ma può ancora entrarvi attraverso la cacciagione, soprattutto per due vie. Una prima via è il consumo di animali intossicati da piombo e che contengono significative quantità di sali di piombo in forma assorbibile. Una seconda via è la selvaggina abbattuta con proiettili di piombo. Nell’uomo i pallini di piombo eventualmente ingeriti con la carne di un selvatico cacciato non si fermano nello stomaco e in genere sono espulsi con le feci senza determinare significativa assunzione di piombo. Non bisogna però dimenticare che le carni di animali selvatici contengono dei pallini o frammenti delle munizioni il piombo metallico e che durante i procedimenti di cucina si possono formare composti di piombo solubile che quando sono assorbiti divengono molto rischiosi per chi mangia queste carni.
In diverse regioni mediterranee e in Italia vi è la tradizione di mettere la selvaggina, prima della cottura, in salmì o in una marinatura costituita da diversi ingredienti acidi, tra questi vino e aceto, o cuocere la carne con aceto, vino e pomodoro che con la loro acidità trasformano il piombo metallico in sali di piombo solubili molto tossici. Ovviamente importante è la quantità di frammenti di piombo presenti nella carne ma è certo i metodi di cottura con condimenti acidi portano alla formazione di piombo solubile che diffonde nella carne contaminandola per cui, dopo la cottura, è inutile togliere il pallino o i frammenti di piombo. Se è probabile che una più o meno lunga frollatura delle carni possa favorire il formarsi dei pericolosi sali di piombo solubili è indubbio che tra i diversi metodi di cottura la marinatura con aceto e vino e la cottura con aceto, vino e pomodoro sono pericolosi, mentre per ora mancano precise ricerche per altri sistemi di cucina, ad esempio l’arrostimento e la grigliatura.

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