Notiziario








Una perniciosa formica nera

Il controllo demografico di Lasius alienus è necessario, se le foraggiatrici si introducono negli edifici alla ricerca di cibo.

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Come ripristinare le aree degradate nei vigneti

Si è concluso a fine giugno il Progetto europeo ReSolVe (Ripristino della funzionalità ottimale dei suoli nelle aree degradate dei vigneti tramite metodi biologici). Per aiutare agricoltori e tecnici a scegliere la tecnica di ripristino più idonea sono state preparate delle linee guida tradotte in 5 lingue.

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La pesca sulle tavole moderne

Ab ovo usque ad mala, dall’uovo alla frutta e cioè dall’inizio alla fine, sentenziavano gli antichi romani per dire che un ciclo o un evento era completo; anche noi italiani diciamo siamo alla frutta per esprimere il concetto che si è giunti alla fine, all’esaurimento di qualcosa, dei soldi, dell’ispirazione, della normalità e così via descrivendo anche una situazione grave o senza via di uscita. La frase deriva dalla composizione del banchetto che per i romani terminava con la frutta e per noi con un dessert quando, finiti i servizi di cucina, sulla tavola erano portati formaggio, dolce e la frutta. Perché la frutta chiude il banchetto dei romani e arriva fino a noi?
Il banchetto dei romani, ma anche dei greci e fin dai tempi omerici, è un evento sacrale nel quale si compie il sacrificio – da sacrum facere o rendere sacro – delle carni attraverso cui si entra in comunità con la divinità e tutto ruota attorno a questo. L’apertura del banchetto può essere l’uovo, simbolo della vita e della perfezione oppure, in taluni periodi, la lattuga, mentre il banchetto si conclude con la frutta il cibo che più si avvicina agli dei, loro dono come dicono i miti padani e, in seguito, ribadisce il racconto biblico dell’Eden.
Oggi la frutta non è sempre presente nei pasti in casa e nei ristoranti il dessert, spesso quasi un deserto, si compone solo di un dolce e solo quando un diabetico chiede una sua sostituzione gli viene presentata un’immancabile fetta di ananas. La frutta è anche completamente assente nelle pizzerie, piadinerie, paninerie e nei locali che offrono pasti rapidi. In questo nuovo modo di magiare la frutta, rara o espulsa dalla fine del pasto rientra nella moderna cucina innovativa, ricuperando anche remote tradi-zioni.
L’odierna presenza della frutta nell’attuale gastronomia ha radici antiche, quando nel Medioevo compare il gusto del dolce-speziato dei dolci di frutta e spezie come la spongata, dell’agro-dolce e del dolce-salato delle carni cucinate assieme alle castagne. Nel Rinascimento si sviluppa il gusto dolce-piccante che ha la sua più tipica espressione nella mostarda dove la frutta assieme al miele e alla senape è associata alle carni, con un’abitudine giunta fino a oggi. La presenza della frutta avanza nella cucina ottocentesca e del Millenovecento quando la frutta, trasformata anche in marmellata, entra nella pasticceria popolare delle crostate di frutta e la si trova in qualche piatto tipico, mentre inizia a trionfare in qualche preparazione d’alta cucina, come la pesca presente dal Bellini nell’aperitivo alla Pesca Melba nel dessert.

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Due lepidotteri Tortricidi negli agrumeti e nei pereti etnei

Sulla tenera vegetazione primaverile degli agrumi e dei peri sviluppano le larve del Tortricide Archips rosana, nate da uova deposte sul tronco e sulle grosse branche delle piante; molte essenze erbacee e arbustive, presenti negli stessi agrumeti e pereti, ospitano le polifaghe larve della Bega mediterranea del garofano, Cacoecimorpha pronubana che, solo occasionalmente, infestano le arance mature.

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Gli artigiani di Firenze a lavoro nella Torre de’Pulci

Quando il 12 marzo 1933 i Georgofili in solenne assemblea festeggiarono il loro trasferimento definitivo nel ”Palazzo Torre de’Pulci”, il lustro di secoli di storia c’era a pieno.
Prima di tutto, certamente, quello della prestigiosa istituzione fiorentina ricca di 180 anni di vicende gloriose che Arrigo Serpieri aveva evidenziato in una sua lunga relazione del 24 aprile 1932 al Ministro dell’Agricoltura e Foreste e quello anche però di una città, Firenze, che accoglieva, tramandata di generazione in generazione, l’arte di ‘lavorare con le mani’ e produrre capolavori; arte diffusa nelle strade della città (e nei borghi vicini) e che faceva della bella Firenze un luogo vivo, propulsivo, invidiato e non omologabile.

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Listeria: il pericolo è nel biofilm

Recenti e ripetuti sono gli allarmi di Listeria monocytogenes negli alimenti, un argomento considerato anche nell’articolo Pericoli dalle verdure crude ("Georgofili INFO" - 04 aprile 2018) e nel quale si segnala che quasi nulla è l’efficacia del lavaggio con acqua di verdure contaminate, perché i batteri inquinanti sono compresi in biofilm fortemente adesi ai vegetali. Anche per questo molto scarsa è l’efficacia di disinfettanti o altro (bicarbonato) in concertazioni usabili in casa, mentre completamente inutili per la sicurezza sono l’aceto, il succo di limone e il sale. Cosa sono i biofilm che stanno assumendo una sempre maggiore importanza nella sicurezza alimentare?
Per molto tempo e ancora oggi la maggior parte della gente pensa che i microrganismi e in particolare i batteri vivano liberi nei liquidi o negli ambienti più diversi. Invece già alla fine del XVII secolo Anton van Leeuwenhoech con un primitivo microscopio scopre delle animaluculae nella placca dentaria, oggi definita un biofilm, o biopellicola o microfouling. Il biofilm è una aggregazione complessa di microrganismi contraddistinta dalla secrezione di una matrice extracellulare adesiva e protettiva, di sostanze polimeriche, spesso di carattere polisaccaridico (Polisaccaride Intercellulare Adesivo – PIA), frequentemente aderente a una superficie, sia di tipo biologico sia inerte, con eterogeneità strutturale e interazioni biologiche complesse. I biofilm, sui quali vi è un’ampia bibliografia, si compongono per circa il 15% da cellule e per il restante 85% dal materiale della matrice che protegge le cellule all'interno e facilita la comunicazione tramite segnali chimici o fisici. In alcuni biofilm sono stati rinvenuti canali d'acqua che contribuiscono a distribuire i nutrienti e le molecole segnale. Allo stesso modo, questi canalicoli convogliano verso la periferia sostanze di scarto ed eventuali esotossine.

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Dal no al Ceta al sì all’EPA: riflessioni sul commercio internazionale

I temi del commercio internazionale irrompono nel dibattito politico e nei mezzi di informazione. Ritorna, da lontani precordi, il protezionismo che sembrava avviato ad un inevitabile tramonto. E si accompagna al ritorno del “sovranismo” e cioè al desiderio di entità statali totalmente libere di prendere decisioni. Fa capolino persino la politica delle cannoniere con la chiusura dei porti e il blocco delle merci oltre che delle persone. Decenni di prevalenza della diplomazia, sembrano sopraffatti dai pugni sul tavolo.
Gli esempi non mancano: dall’avversione all’accordo con il Canada (Ceta) già in vigore, con la possibile mancata ratifica, all’innamoramento per l’accordo quasi gemello con il Giappone (EPA). Dallo sdegno verso gli US per la rottura degli accordi e l’imposizione di dazi all’altrettanto incongrua richiesta di procedere in modo casuale nei confronti di importazioni sgradite.
I temi in gioco sono numerosi, proviamo a ricapitolare. Il primo è la spinta al protezionismo nei momenti di gravi difficoltà. È il rifugio più semplice, ma anche il più costoso ed ingannevole. La teoria economica e la prassi indicano che può essere solo temporaneo, altrimenti crea una pericolosa assuefazione e non lascia spazio ai veri motori dello sviluppo la competitività e la redditività. Ogni stato o aggregazione di stati, per necessità, vi ha fatto ricorso, ma dà una pericolosa assuefazione da cui si fatica a uscire. Come il sonno della ragione genera solo mostri.
L’alternativa, sul piano teorico e pratico, è l’apertura dei mercati con trattative e soluzioni negoziate. È una strada in genere lunga e faticosa che porta a smantellare costose barriere doganali tariffarie e non tariffarie. Queste sono costruite su regole pratiche e cavilli formali usati impropriamente per frenare gli scambi come l’applicazione obbligatoria di standard di prodotto e di processo. Le più complesse sono quelle sanitarie motivate dall’imperativo della tutela della salute umana, animale e anche dell’ambiente. Negli ultimi decenni si è percorso un lungo e proficuo cammino che ha portato alla loro crescente riduzione. Questa scelta è confermata dalla teoria economica e dalla pratica e si regge sulla logica della teoria dei costi comparati che mostra che conviene produrre e commerciare ciò che si riesce a realizzare meglio di altri e a costi inferiori. L’eliminazione delle barriere di ogni tipo favorisce un incremento della ricchezza prodotta. L’economia mondiale ne ha bisogno, in particolare nell’attuale fase di convalescenza dopo la grande crisi.

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Effetti della globalizzazione nel gelato

Dalla scoperta del fuoco il cibo è divenuto preferibilmente caldo. Specie se contenente o basato su grassi. Il ruolo di rinfrescare, in certe condizioni, è stato affidato alle bevande.
In ogni caso parliamo di temperature sopra 0 °C.
C’è stata tuttavia qualche eccezione qua e là.
Il gelato o qualcosa di simile a ciò che noi chiamiamo gelato è stato presente da tempo immemore dovunque ci fosse la possibilità ‘naturale’ (la tecnologia non sovviene che in tempi recenti!) di procurarsi il freddo (sotto 0° C) e mantenerlo per qualche tempo.

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La Cavolaia e altri insetti migratori

L’esigenza di ricercare habitat che siano, temporaneamente o stabilmente, idonei alla sopravvivenza, spinge molte specie animali a compiere migrazioni verso altri ambienti, seguendo innati istinti. La migrazione è una complessa “sindrome, comportamentale e fisiologica, finalizzata alla dispersione adattiva unidirezionale di tipo, soprattutto, aereo”. Essa coinvolge, con complesse interazioni, il volo, la riproduzione e l’alimentazione.

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La buona buccia della pesca

A l'amigo pèlighe 'l figo, al nemigo 'l persego è un proverbio veneto che tradotto in italiano recita: “all'amico pela il fico e al nemico la pesca”. Secondo la tradizione popolare di una regione nella quale vi era una buona produzione di questi frutti, la buccia del fico era ritenuta dannosa mentre quella della pesca salutare. Una semplice supposizione o un’antica e a noi nascosta verità? Inoltre di certi frutti bisogna mangiare la buccia, ricordando che un tempo le mamme raccomandavano di mangiarla perché dicevano che conteneva le vitamine?
Indubbio è che la buccia del fico non è gradevole e con un lattice che scola dal peduncolo molto irritante, senza dimenticare che nelle foglie sono presenti fu-rocumarine, sostanze fotodinamiche, ma cosa sappiamo delle pesche e soprattutto della loro buccia? Le pesche hanno una polpa carnosa, succosa e zuccherina, con la buccia di colore giallo-rossastra ma anche bruna, che può essere sottile e vellutata o liscia (nettarine), così gradevole da somigliare alla pelle delle gote di un bambino, ma oltre a questo gradevole aspetto non vi è altro?
L’estate è stagione delle pesche, anche se questo frutto conservato si trova in ogni stagione, e che sotto diverse forme (frutto fresco, conservato in scatola, essiccato, trasformato in succhi ecc.) gli italiani consumano in una quantità che secondo diverse fonti varia da quattro a quasi sette chilogrammi per anno e che tra la frutta si pone al sesto posto dopo mele, arance, banane, angurie, pere.
Le pesche contengono molta acqua (88,8 %), carboidrati (9,54 %) nei quali sono compresi molti zuccheri (8,39 %) e acidi organici, limitate quantità di fibra (1,5 %), proteine (0,91 %) e grassi (0,25 %) oltre a minerali (soprattutto potas-sio) e vitamine (soprattutto A, C, E). A cento grammi di polpa corrispondono circa quaranta chilocalorie. Diverse ricerche dimostrano che le pesche contengono molecole dotate di interessanti attività nutraceutiche, in particolare antiossidanti (tra i quali l’acido caffeico) polifenoli e molecole con azioni anti-ipertensive.

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Il suolo è una risorsa non rinnovabile

Leggendo da internet il “Contratto” dell’attuale nuovo Governo si può rilevare che il “suolo” è menzionato al punto 4 “Ambiente, green economy e rifiuti zero”. Si legge, fra l’altro, che questo viene considerato una “risorsa rinnovabile” come l’acqua e le foreste.
Da sempre gli studiosi di scienza del suolo sostengono che il suolo stesso è una risorsa non rinnovabile proprio perché la sua formazione è un processo talmente complesso che richiede da centinaia a migliaia di anni. È ampiamente documentato dalla letteratura internazionale che molti suoli si sono formati alla velocità di un millimetro l’anno. Al contrario la velocità della sua degradazione e` estremamente più rapida, basti pensare, ad esempio, agli eventi catastrofici degli ultimi anni, verificatesi in seguito all’abbattersi di violenti nubifragi (bombe d’acqua); le conseguenti colate di fango sono dovute proprio all’asportazione degli orizzonti superficiali del suolo stesso. Inoltre, i due terzi del territorio nazionale sono ormai degradati a causa di una gestione del suolo non sempre sostenibile e ad attività antropiche non sempre corrette. La quasi totalità dei dissesti e dei fenomeni di forte degradazione sono imputabili proprio alle attività antropiche. Tutto questo fa si che il suolo sia una risorsa non rinnovabile e come tale va considerato nel programmare e mettere in atto interventi per la sua conservazione.
Questo concetto è ampiamente condiviso anche da importanti istituzioni come, ad esempio, l’Unione Europea che, a questo proposito, ha formulato la seguente definizione: “Il suolo e` una risorsa essenzialmente non rinnovabile e un sistema molto dinamico, che svolge numerose funzioni e fornisce servizi fondamentali per le attività umane e la sopravvivenza degli ecosistemi”. Anche la FAO da tempo afferma che “il suolo è una risorsa non rinnovabile”. Oggi conosciamo molto del suolo e disponiamo di un buon numero di banche dati, basti vedere le miriadi di pubblicazioni scientifiche, a livello nazionale e internazionale, su questo argomento ma, a dispetto di ciò, la percezione dell’importanza e della fragilità di questa risorsa fra i non addetti ai lavori rimane assai bassa, nonostante un apparente aumento della sensibilità dell’opinione pubblica verso le criticità ambientali. E questo non è un problema solo italiano visto che nella Nuova edizione dell'Atlante mondiale della desertificazione, pubblicato dal Centro ricerche della Commissione Europea (UE), si afferma che “oltre il 75% delle terre emerse sono già degradate e potrebbero esserlo oltre il 90% entro il 2050”. Quindi, la degradazione del suolo rappresenta attualmente una delle emergenze a livello planetario.


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Il georgofilo Renzo Giuliani

Renzo Giuliani, professore di zootecnia nell’Ateneo Fiorentino, era stato chiamato a far parte dell’antica Accademia dei Georgofili (fondata a Firenze nel 1753), in qualità di Socio corrispondente il 7 marzo 1926 e poi, come Socio ordinario dal 3 luglio 1932. Per 16 anni, dal maggio 1946 all’agosto 1962, fu continuativamente Presidente dell’Accademia.

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USA, Cina e la ricerca in biologia vegetale

Nel numero 2 del 2018 della rivista ASPB News, il presidente della ASPB (Società Americana dei Biologi delle Piante) Harry Klee, professore della University of Florida, ha scritto un articolo apparentemente molto "americano", ma credo ricco di riflessioni anche per noi. L'articolo, dal titolo "Un caso per ulteriori finanziamenti alla ricerca sulle piante", inizia con la constatazione che gran parte dei brevetti biotecnologici si originano dalla ricerca condotta nelle istituzioni pubbliche di ricerca in USA. Forse, con una certa sorpresa, si constata che il settore privato contribuisce decisamente meno alla produzione di innovazione.

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Nuova PAC 2021/2027: un’agenda per riflettere

La grande riforma della Pac, iniziata nel lontano 1993, giunge ora alla fase preparatoria della sua sesta versione per il periodo 2021/2027. La Commissione nel novembre 2017, al termine di una minuziosa e, forse, pleonastica consultazione delle parti in causa, ha presentato le grandi linee della futura riforma, in attesa di conoscere le risorse finanziarie non solo per l’agricoltura. A maggio ha reso pubblica la sua proposta di Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) per lo stesso periodo. Il 2 giugno quella relativa ai testi normativi della futura “nuova” Pac, compendiata in tre regolamenti, di cui uno, COM (392), contiene la sostanza della proposta.
Considerata l’importanza, ci si attende un dibattito che latita e appare rassegnato. Forse le cose cambieranno a primavera, nel calore preelettorale delle elezioni europee, a scapito della concretezza. Qui non illustriamo la proposta, ma proponiamo un’Agenda della Riforma che sia un elenco di punti critici e non un mero calendario.

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Massimo Vincenzini eletto Presidente dei Georgofili

Oggi, 12 luglio 2018, nella sede dell’Accademia dei Georgofili, si è svolto lo spoglio delle schede per l’elezione del Presidente dell’Accademia dei Georgofili, indetta a seguito della scomparsa di Giampiero Maracchi.
I risultati, riportati nel corso di un’assemblea generale del corpo accademico, hanno decretato a maggioranza la scelta di Massimo Vincenzini come Presidente. La sua nomina era stata proposta all’unanimità dal Consiglio Accademico e dai Presidenti di Sezione.

Massimo Vincenzini è nato nel 1947 a Roma, dove si è laureato in Chimica nel 1975.
Dal 1976 al 1988 è stato Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) presso il Centro di Studio dei Microrganismi Autotrofi, con sede a Firenze, per poi diventare Professore Associato di “Microbiologia agraria” presso la Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Firenze. Dal 1999 è Professore Ordinario dell’insegnamento di “Microbiologia dei prodotti alimentari” per il corso di laurea in Tecnologie Alimentari e dell’insegnamento di “Controllo dei processi microbiologici nell’industria alimentare” per il corso di laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari.
Responsabile scientifico di vari progetti di ricerca, autore e coautore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche, dal 2008 al 2017 è stato presidente del Consiglio di Amministrazione della Azienda Agricola Villa Montepaldi s.r.l. (Università degli Sudi di Firenze socio unico), azienda di oltre 300 ettari che oltre ad operare sul mercato con i propri prodotti (vini DOCG, olio DOP, cereali) fornisce, per statuto, supporto alle attività proprie dell’Università (didattica, ricerca e trasferimento tecnologico).
Dal 2014 al 2017 è stato Presidente del Tuscan Food Quality Center, associazione costituitasi per aggregare a livello regionale tutte le istituzioni operanti in tema alimenti-alimentazione (ne sono soci fondatori i tre Atenei Toscani, la Scuola Superiore S. Anna, il CNR, l’Accademia dei Georgofili, le organizzazioni delle imprese agricole e altre istituzioni e/o accademie a carattere culturale).
Dal 2012 è membro del Consiglio Accademico dell’Accademia dei Georgofili, con l’incarico di Delegato Amministrativo.
Nel 2014 ha avviato la costituzione della società FoodMicroTeam s.r.l., spin-off accademico dell’Università degli Studi di Firenze, avente l’obiettivo di fornire assistenza tecnico-scientifica per il controllo e la gestione delle fermentazioni alimentari.

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Umami, antichissimo nuovo gusto

Crudo, cotto e fermentato costituiscono un triangolo alimentare e una scala di valori nella quale le fermentazioni danno valore ai cibi creando nuovi alimenti. Molti sono gli alimenti fermentati che troviamo in tutte le culture umane e tra questi, nell'antico impero romano, le salse di pesce fermentate chiamate garum e liquamen. Altri antichi, ma sempre attuali alimenti fermentati di grande successo sono i salumi e i formaggi, le salse fermentate asiatiche e in Italia l’aceto balsamico. Una analisi approfondita del successo di questi alimenti dimostra che il segreto risiede nel loro particolare gusto ora identificato come umami o saporito, un quinto sapore che si aggiunge agli altri quattro sapori tradizionali del dolce, amaro, acido e salato. La scoperta dell’umami, il quinto sapore collegato al glutammato, contribuisce a spiegare il successo degli alimenti fermentati che non sta quindi soltanto nella possibilità di conservarli.

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Il problema di informare il consumatore e comunicare la scienza

La carne rappresenta solo un esempio lampante di come un’errata comunicazione abbia convinto i consumatori che la carne in generale e in particolare quella rossa possa rappresentare un pericolo per la salute e per l’ambiente.
Di fronte ad una situazione di questo genere, occorre precisare che le problematiche sono differenti e interessano due diversi ambiti: da un lato, la comunicazione in sé e dall’altro, il consumatore.
Infatti, il problema è duplice: esiste un problema di errata comunicazione che diffonde nella popolazione falsi miti e inutili allarmismi con importanti ripercussioni su alcuni settori, e un problema di individui non abbastanza informati e consapevoli e, quindi, non in grado di discernere le informazioni che gli vengono veicolate. 

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La “Cucina povera” dei poveri ovvero di una “Cioccolata economica”

Oggi la “cucina povera” è di moda e si sposa con il concetto della tutela dell’ambiente attraverso la cultura del riciclo, l’arte cioè di riutilizzare gli scarti o gli avanzi della tavola evitando lo spreco e contenendo i rifiuti.
E’ un concetto di recente introduzione nella nostra società che spesso sorprende per i risultati cui è capace di giungere grazie all’abilità e mestiere di raffinati chefs ed esperte donne di casa, ma che il passato non conosceva, sebbene i poveri superassero e di molto il 50% dell’intera popolazione.
I Georgofili molto si adoperarono per diffondere proprio fra i meno abbienti le conoscenze di base necessarie al loro sostentamento che essenzialmente era costituito dal pane.
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Certo è che la cioccolata era diffusa ed oltre che ritenuta “nutritiva … stomachica, cordiale, analettica” (cfr. Antonio Targioni Tozzetti, Corso di botanica medico-farmaceutica e di materia medica, 1847), solleticava il gusto e soddisfaceva il palato aromatizzata al gelsomino (ricetta nota e diffusa nella Firenze del Seicento) o proposta in fini elaborati di pasticceria quali la crema, i biscotti  e il marzapane al cioccolato, nonché arricchita con speciali gelatine come quella al lichene o quella al ‘salep di Persia’.  
Restava tuttavia un prodotto assai costoso e dunque destinato esclusivamente alle mense dei ricchi; forse fu anche per questa ragione che Manetti pensò di trascrivere in una copia di lavoro del suo trattato, una nota a margine contenente la ricetta, alla portata di tutti, di una “Cioccolata economica”.

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Quando cade un albero

La recente caduta di alberi in alcune città italiane e le problematiche connesse ai conflitti che spesso sorgono fra alberi e infrastrutture viarie, mi offre lo spunto per riprendere qualche concetto più volte da me espresso.
Mi pare che l’eco mediatica che si solleva quando cade un albero sia, fatta salva l’empatia verso le vittime, quanto meno esagerata e ciò determina una percezione distorta del problema, che esiste, ma non è un’emergenza, mentre lo è quella di mettere a punto piani pluriennali di gestione e rinnovamento per affrontare in modo proattivo e preventivo il problema.
Facciamo dunque un esempio riguardo alla percezione del rischio e alle similitudini con la situazione sociale. Nel nostro paese gli omicidi sono passati da 1442 nel 1992 a 343 nel 2017 (dati Viminale), di cui 46 attribuibili alla criminalità organizzata e 128 in ambito familiare-affettivo (‘11,8% in meno dell’anno precedente) con una diminuzione, quindi, del 76,2% in 25 anni. Alla forte diminuzione degli omicidi è corrisposto un aumento di quelli compiuti in ambito familiare (molti femminicidi), commessi per la maggior parte da italiani. Eppure, percepiamo e/o ci viene fatta percepire una condizione del tutto diversa.
Per il tasso di omicidi, seppur con differenze regionali e provinciali molto marcate, noi siamo al più basso livello sia europeo (trentesimo posto) sia mondiale (intorno al 170esimo posto).
Secondo il sociologo Ilvo Diamanti, l’Italia si caratterizza per il rapporto tra i mezzi di informazione (specialmente la televisione) e i fatti di criminalità comune. Diamanti sottolinea come i media italiani puntino alla “serializzazione” e alla “drammatizzazione” dei casi criminali, mentre in altri paesi l’informazione è “puntuale” e “contestuale”. Ciò avviene soprattutto quando si tratta di casi che coinvolgono persone comuni, o che si sviluppano nell’ambito amicale e familiare, specificando l’intento voyeuristico da comunità ristretta.
Dunque, è possibile che vi sia uno scollamento tra i dati reali e le percezioni degli italiani? Sicuramente sì. Si tratta della cosiddetta “EMOTIONAL INNUMERACY” ossia la tendenza a esagerare i dati di un fenomeno legato a una minaccia.
Questa errata percezione la si ha, come accennato, anche per i danni a cose e/o a persone causati da alberi. Gli alberi sono sempre caduti. Siamo noi che abbiamo posto dei target nell’area da loro occupata o li mettiamo nelle condizioni di non essere più stabili e siamo noi che diamo un’eco spropositata alla loro caduta, anche quando non fa danni.
È noto che la presenza degli alberi comporta un rischio e ciò implica che vengano messe in atto tutte le azioni per ridurlo e prevenirlo. Questo senza che l’attenzione ai rischi diventi paranoia. Le domande che dobbiamo porci sono quindi: quanti alberi, di quale specie, in quale specifica situazione, a seguito di quale evento, cadono in media ogni anno? È sulla base delle risposte a queste domande che poi dovrà essere elaborato un piano di gestione degli alberi che sia basato non solo sulle tecniche più avanzate e sulla gestione di persone qualificate, ma anche sul “buon senso” e su un approccio pratico.

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